Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 ottobre 2015, n. 20083

Pubblico impiego - Licenziamento disciplinare - Procedimento penale a carico del lavoratore per assenteismo - Legittimo

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 29.8.2014, la Corte d’Appello di Messina confermò la pronuncia di prime cure che aveva rigettato l’impugnazione del licenziamento disciplinare per giusta causa irrogato a S.G. dallo I. della Provincia di X per fatti di  rilevanza penale, ritenendo l'avvenuto rispetto dei tempi di emanazione del provvedimento disciplinare, la prova dei fatti addebitati e la lesione irreversibile dell'elemento fiduciario. Avverso tale sentenza della Corte territoriale, S.G. ha proposto ricorso per cassazione fondato su sette motivi.

Lo I. della Provincia di X ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. La Corte territoriale ha ritenuto che la "notizia dell’infrazione" a partire dalla quale decorre il termine per la conclusione del procedimento disciplinare (cfr, art. 55 bis, comma 4, terzo periodo, dlvo n. 165/2001: Il termine per la contestazione dell'addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 3 ovvero dalla data nella quale l'ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell'infrazione, mentre la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora") va intesa nel senso "dell’acquisita consapevolezza del fatto che il dipendente abbia commesso un’infrazione disciplinare (o di altra natura) dalla quale può scaturire l’applicazione di una sanzione e l'esatta portata di essa", evidenziando che la notizia dell’infrazione costituisce il prius a seguito del quale l’amministrazione potrà valutare l’opportunità o meno di compiere un’indagine istruttoria interra e che la conoscenza è finalizzata alla successiva contestazione dell’addebito disciplinare, onde deve essere sufficiente a determinare la conoscenza dell’esatta portata dei fatti da addebitare, anche in previsione della durata massima dei  termini di svolgimento del giudizio disciplinare che sono diversificati a seconda della gravità dell’infrazione.

Partendo da tali presupposti, la sentenza impugnata ha ritenuto che, nel caso di specie, la notizia dell'infrazione, in assenza di indagine interna, era coincisa con la conoscenza dei capi di imputazione per i quali era stato aperto il procedimento disciplinare a carico del S. e che il primo atto esplicativo in tal senso era stato rappresentato dall’ordinanza di applicazione di misure cautelari del 3 dicembre 2012, non potendosi ritenere a tal fine sufficiente la conoscenza dell’avvenuto arresto del dipendente, neppure nel caso in cui (come nella specie) la parte datoriale fosse stata a conoscenza della generica riferibilità della misura cautelare ad un’infrazione riguardante fatti commessi in attività di servizio; ha quindi rilevato che non poteva trarsi la prova certa dell’avvenuta conoscenza, in capo al coordinatore generale, dell’esatta portata delle infrazioni di rilevanza penale ascritte al S. dalla determina dirigenziale n. 292 del 13.12.2012, posto che, in assenza di prova specifica, sia l’avviso di conclusione indagini che l’ordinanza applicativa delle misure cautelari era stata notificata ai soli indagati e non all'Amministrazione di appartenenza e che quest’ultima era stata solo a conoscenza della generica riferibilità delle indagini a fatti commessi in servizio, tanto che venne contestualmente dato incarico ad un legale di intraprendere le necessarie azioni a tutela dell’Ente, ivi compresa la costituzione di parte civile; la prova certa della conoscenza dei capi di imputazione penale, ossia della notizia dell’infrazione, poteva dirsi raggiunta solo in data 9 gennaio 2013, allorché il legale incaricato trasmise all’Amministrazione copia della richiesta di applicazione della misura cautelare per il S. e della conseguente ordinanza applicativa degli arresti domiciliari, dell’informativa di reato della Guardia di Finanza e relative annotazioni e dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari; ancorché le indagini avessero preso avvio da una segnalazione del coordinatore e potesse ritenersi altamente probabile che il medesimo fosse a conoscenza del relativo esito già nel dicembre 2012, doveva ribadirsi che solo la piena conoscenza dell’esatta portata dei fatti addebitati in sede penale poteva integrare quella "notizia dell’infrazione" a cui la legge riconnette la data di decorrenza del termine di conclusione del procedimento disciplinare, tanto più laddove, come nel caso all'esame, l’indagine aveva coinvolto un rilevante numero di dipendenti con posizioni diversificate sotto il profilo penale (e, dunque, anche disciplinare) sia in relazione alle fattispecie penali addebitate che ai numero delle ore a cui riferire la mancata presenza in servizio, estremamente variabile nella specie; ne derivava quindi l’infondatezza dell’eccezione di decadenza sollevata dal lavoratore, essendosi il procedimento disciplinare concluso nel termine di legge di centoventi giorni decorrente appunto dal 9 gennaio 2013.

1.1 Tale impostazione è stata censurata dal ricorrente con il primo motivo, rubricato per violazione dell’art. 55 bis dlvo n. 165/01 e dell’art. 97 della Costituzione; ripercorsi i fatti che avevano preceduto l’avvio del procedimento disciplinare, il ricorrente deduce al riguardo che solo dalla data dell'arresto (11.12.2012) o al più da quella di nomina del difensore dell’Ente (12.12.2012) andava fatto decorrere il termine entro cui avrebbe dovuto concludersi il procedimento stesso; sostiene infatti che la Corte territoriale era pervenuta ad una conseguenza non conforme al concetto di "notizia", laddove aveva ritenuto che la stessa significasse solo la piena conoscenza dell’esatta portata dei fatti addebitati in sede penale.

1.2 Osserva la Corte che la "notizia dell’infrazione", di cui al ridetto art. 55 bis, comma 4, terzo periodo, dl.vo n. 165/01 non può risolversi in segnalazioni o conoscenze generiche e frammentarie delle circostanze fattuali, costituendo il momento propedeutico alla trasmissione degli atti all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari (art. 55 bis, comma 3, dl.vo n. 165/01), il quale, a sua volta, nel rispetto di rigorosi termini di legge, deve procedere alla contestazione degli addebiti con la necessaria specificità; la notizia dell'infrazione deve essere pertanto tale da consentire all'amministrazione la conoscenza dell'esatta portata dei fatti da addebitare, ancorché ulteriori elementi possano eventualmente essere acquisiti pure successivamente.

A tale principio si è conformata la Corte territoriale, onde deve essere esclusa la denunziata violazione di legge.

1.3 Peraltro il ricorrente, pur non avendo rubricato il motivo sotto il paradigma di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cpc, censura la sentenza impugnata anche in relazione all'individuazione del momento in cui, nel caso specifico, l’Ente avrebbe avuto la "notizia dell’infrazione" in particolare assume che il coordinatore era a conoscenza dei comportamenti punibili già dai mesi di giugno - settembre 2010 e ne aveva avuto conferma il 10.12.2012, quando si era realizzato l’arresto del dipendente ed erano stati comunicati l'avviso di conclusione delle indagini e l’ordinanza di applicazione delle misure cautelari, tanto che l’Amministrazione, il giorno successivo, non aveva esitato a nominare il proprio difensore.

1.4 Tale profilo di censura è anzitutto inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, non essendo state indicate (e tanto meno riportate in ricorso) le risultanze probatorie in base alle quali si dovrebbe ritenere provato l’avvenuta comunicazione all’Amministrazione degli indicati atti del procedimento penale, a fronte della contraria affermazione della sentenza impugnata secondo cui, "in assenza di prova specifica", tali atti erano stati notificati ai soli indagati.

Inoltre nel presente giudizio trova applicazione, ratione temporis, il disposto dell'art. 360, comma 1, n. 5, cpc, nel testo vigente a seguito della riformulazione dello stesso attuata dall’art. 54 dl n. 83/12, convertito con modificazioni nella legge n. 134/12, considerato che la sentenza impugnata è stata depositata il 29.8.2014.

In proposito le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di affermare i principi secondo cui:

- la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cpc, disposta dall'art. 54 dl 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione, cosicché è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione;

- l'art. 360, primo comma, n. 5, cpc, riformulato dall’art. 54 del dl 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciaste per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cpc, il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr, Cass., SU, nn. 8053/2014; 8054/2014; 9032/2014).

Alla luce di tali principi devono dunque ritenersi inammissibili i profili di doglianza rivolti contro l’accertamento del fatto storico decisivo (acquisizione della "notizia dell’infrazione") quale effettuato dalla sentenza impugnata, che, nei termini diffusamente ricordati, appare analitica, esaustiva e priva di vizi logici ed elementi di contraddittorietà che ne compromettano la comprensione.

1.5 Ne discende il rigetto del motivo all’esame.

2. Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 324 e 329 cpc e 2909 cc, il ricorrente deduce l’avvenuta formazione del giudicato interno, in carenza di specifica impugnazione sul punto, in ordine al rilievo, contenuto nella sentenza di prime cure, secondo cui "Solo in data 14 dicembre 2012 è stata trasmessa allo I. copia dell’ordinanza di custodia cautelare, della relativa richiesta del P.M., dell’informativa di reato..."

Premesso che la sentenza di primo grado conclude la sua indagine sul punto con il rilievo che il licenziamento intimato dal ricorrente in data 7 maggio 2013 doveva ritenersi senz’altro rispettoso del termine di centoventi giorni previsto dalla legge, onde al riguardo la parte datoriale non aveva interesse ad impugnare la pronuncia di primo grado, deve considerarsi che l'indicazione della data di trasmissione degli indicati documenti all’Amministrazione (14.12.2012) è palesemente frutto di un errore materiale, come puntualmente eccepito dal controricorrente, atteso che risulta documentalmente che la data del 14.12.2012 fu invece quella in cui il Sostituto Procuratore della Repubblica autorizzò il rilascio delle copie e che la Corte territoriale ha accertato in fatto (nell’ambito della revisio prioris istantiae demandatagli) che solo in data 9 gennaio 2013 l’avvocato incaricato dall’Ente aveva trasmesso copia degli atti penali all’Amministrazione.

Del resto, proprio perché l’indagine del Giudice di prime cure si era conclusa con l'affermazione dell’avvenuto rispetto del termine di legge, l’indicazione (materialmente erronea) della data del 14.12.2012 non poteva costituire il presupposto logico giuridico della decisione ed essere, come tale, potenzialmente suscettibile di passaggio in giudicato, posto che, a voler prendere tale data come dies a quo per il conteggio del termine di 120 giorni, tale termine sarebbe risultato spirato al momento dell’intimazione del licenziamento, avvenuta nel maggio del 2013.

Il motivo all’esame è pertanto infondato.

3. Con il terzo motivo, denunciando violazione dell’art. 1, commi 49, 57 e 60 legge n. 92/12; degli artt. 118 e 421 cpc e dell’art. 111 della Costituzione, il ricorrente si duole che i giudici delle prime fasi del giudizio non avessero ammessa la richiesta prova per testi al fine di dimostrare il suo stato di salute e che egli non fosse stato mai sentito; deduce che aveva prestato annualmente un numero di ore maggiore rispetto a quelle contrattualmente stabilite e che, nonostante il suo attaccamento al lavoro, aveva subito un trasferimento ad altro ufficio "senza ricevere spiegazioni e soprattutto senza comprendere quali fossero i compiti tecnici al lui assegnati essendo stato lasciato dal mese di luglio 2012 al mese di settembre successivo completamente privo di attività da svolgere; assume che i "rarissimi ritardi in entrata" erano dipesi dalle sue condizioni psicologiche; si duole che la Corte territoriale non abbia preso in considerazione tali circostanze, non consentendo, come già i primi Giudici, la prova sul punto; sostiene infine che, se le prove fossero state svolte e si fosse tenuto conto delle sue difese, il fatto contestato non avrebbe potuto essere ritenuto di gravità tale da giustificare il licenziamento.

Con il quinto motivo, denunciando omesso esame di un fatto decisivo, nonché violazione degli artt. 2119 cc e 115 cpc, il ricorrente deduce che, dopo l’audizione in sede di Ufficio Procedimenti disciplinari, in data 6.5.2013, gli erano state attribuite delle pratiche da svolgere, deducendone che il vincolo fiduciario non avrebbe potuto considerarsi leso.

I due motivi, fra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

3.1 I profili di doglianza relativi all’attività istruttoria dei primi Giudici sono palesemente inammissibili, siccome non rivolti contro la sentenza impugnata; parimenti inammissibile è la doglianza afferente alla mancata ammissione delle prove richieste, non essendo stato trascritto in ricorso, in violazione del principio di autosufficienza, il contenuto di dette prove; l’allegazione di un deficitario stato di salute è priva peraltro di decisività, posto che, ove pure sussistente, avrebbe semmai potuto legittimare una richiesta di congedo, ma non l’allontanamento dal luogo di lavoro durante l’orario di servizio; del pari, il preteso demansionamento (al riguardo del quale, in ulteriore violazione del principio di autosufficienza, non sono state indicate le emergenze probatorie che dovrebbero comprovarlo) avrebbe potuto astrattamente legittimare un’azione a contenuto risarcitorio, ma non certo l’allontanamento dal posto di lavoro; privo dell’indicazione delle emergenze probatorie che dovrebbero comprovarlo, e come tale inammissibile in questa sede, è altresì il rilievo che, a partire dal 6.5.2013, il ricorrente avrebbe ricevuto nuovi incarichi lavorativi, fermo restando che si tratta comunque di circostanza in sé priva di decisività.

La Corte territoriale ha inoltre accertato in fatto che, considerato l’arco temporale rilevato, il S. era risultato assente dal servizio per una media giornaliera (su venticinque giorni lavorativi) pari a due ore e venti e tale rilievo è stato contrastato solo in termini assolutamente generici, con la ricordata allegazione dei "rarissimi ritardi in entrata".

Deve poi considerarsi che la Corte territoriale ha compiutamente esaminato le circostanze fattuali rilevanti ai fini del giudizio, sia in ordine, come già detto, airammontare delle assenze; sia alle modalità con cui le stesse venivano attuate (conferimento del proprio badge per la strisciata ad altri colleghi onde apparire falsamente presente in servizio); sta in relazione alla dimessa certificazione del Dipartimento di Salute Mentale del 25 gennaio 2013, "ossia successiva alla contestazione disciplinare e alla misura cautelare degli arresti domiciliari"; sia alla circostanza, "allegata ma non provata" di avere prestato attività lavorativa negli anni dal 2010 al 2012 in misura superiore al dovuto "e comunque pur sempre per un totale orario eccedente di gran lunga inferire alle ore "non lavorate" nel periodo contestato", traendone la conclusione che il comportamento del lavoratore, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, era idoneo a determinare una lesione irrimediabile del vincolo fiduciario.

3.2 Ne discende che le censure svolte con i motivi all’esame, alla luce dei già ricordati principi relativi alla deducibilità del vizio di motivazione, non possono scalfire le argomentazioni della sentenza impugnata.

4. Con il quarto motivo, denunciando violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, il ricorrente lamenta la disparità di trattamento di cui sarebbe stato oggetto rispetto ad altri colleghi che, essi pure incriminati nel medesimo procedimento penale per fatti analoghi, non erano stati licenziati ed avevano avuto la sospensione del procedimento; ribadita la doglianza della mancata ammissione delle prove richieste - inaccoglibile per le ragioni già illustrate -, il ricorrente deduce che il licenziamento irrogatogli era "illegittimo e discriminante".

4.1 Al riguardo la Corte territoriale ha rilevato che il principio di parità di trattamento non trova applicazione nella materia e che, nel caso di specie, appariva richiamato irragionevolmente, posto che il numero di ore non lavorate contestate al fratello del ricorrente era pari a circa la metà (delle quali, peraltro, la stessa Amministrazione aveva ammesso, in sede disciplinare, che una parte potevano ritenersi giustificate in considerazione delle funzioni espletate), mentre per un’altra collega appariva evidente che le giustificazioni addotte in sede disciplinare erano state di rilievo tale da indurre l'Ente ad attendere ulteriori accertamenti in sede penale, senza che potesse, in sede giuridiziaria, sindacarsi l’operato dell'Amministrazione, siccome ragionevolmente motivato; inoltre andava considerato che, in relazione alla maggior parte dei dipendenti, il tempo "non lavorato" era variabile dei alcuni minuti fino ad un monte ore di gran lunga inferiore a quello contestato al S..

4.2 Anche in relazione alla questione sottesa alla doglianza all'esame la sentenza impugnata ha dunque motivato in termini chiari ed esaustivi, sicché le censure svolte non sono idonee a scalfirla, risolvendosi il dedotto carattere discriminatorio del licenziamento in un’affermazione generica e priva di concreti elementi di sostegno.

5. Con il sesto motivo, denunciando violazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione, il ricorrente si duole che uno dei componenti dell’Ufficio che aveva disposto il licenziamento era lo stesso funzionario che aveva dato impulso al procedimento, lamentando quindi il difetto di imparzialità.

5.1 La Corte territoriale ha rilevato al riguardo che la censura di non imparzialità della Commissione di disciplina non era mai stata formulata nell'originario ricorso.

Questa affermazione, di carattere evidentemente decisivo, non è stata oggetto di specifica impugnazione, sicché la doglianza all'esame, che ripropone la questione di merito senza indicare quando e come sarebbe stata sollevata fin dal primo grado di giudizio, si presenta inammissibile.

6. Con il settimo motivo, denunciando violazione dell’art. 115 cpc, il ricorrente lamenta che l’Ente non aveva fornito le prove delle assenze in base alle quali era stato irrogato il licenziamento, deducendo che, nella sentenza impugnata, mancava persino l'apprezzamento, peraltro di per sé insufficiente, a conferire dignità di prova agli elementi ricavati dagli atti di indagine prodotti ex adverso.

6.1 La Corte territoriale ha rilevato al riguardo che, per quanto attiene all'idoneità della prova raccolta in sede di indagine penale, andava osservato che la stessa, seppure non ancora filtrata dal dibattimento, non appariva neppure avversata da una richiesta di prova contraria nel presente giudizio, atteso che nel ricorso originario, datato 24 giugno 2013, la prova testimoniale richiesta riguardava solo le ragioni dell'assenza, ma non era volta a contrastare le risultanze oggettive dell’accertamento penale.

Anche in questo caso ci si trova dunque in presenza di una motivazione esaustiva e priva di elementi di contraddittorietà, la quale, nei termini indicati, prende in considerazione non soltanto gli esiti delle indagini penali, ma anche il comportamento processuale del ricorrente, che non aveva contrastato le risultanze oggettive di tali indagini, traendone convergenti conclusioni nel senso della idoneità della prova acquisita.

Ne discende quindi l’infondatezza del motivo.

7. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, dpr n. 115/02.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in euro 3.600,00 (tremilaseicento), di cui euro 3.500,00 (tremilacinquecento) per compenso, oltre spese generali 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.