Giurisprudenza - TRIBUNALE DI ROMA - Ordinanza 05 maggio 2015

Impiego pubblico - Ferie maturate e non godute all'atto della cessazione del rapporto - Corresponsione di trattamenti economici sostitutivi - Recupero delle somme indebitamente erogate - Responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente - Violazione del principio di uguaglianza per irragionevolezza - Violazione del principio della retribuzione proporzionata ed adeguata - Lesione del diritto alle ferie annuali retribuite e non rinunciabili - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla normativa comunitaria (art. 7, comma 2, Direttiva CE 2003/88) - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 5, comma 8 - Costituzione, artt. 3, 36, commi primo e terzo, e 117, primo comma, in relazione all'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE del 4 novembre 2003.

 

Con ricorso depositato l'8 agosto 2014 S. F. ha qui convenuto in giudizio la Azienda USL Roma E.

Esposto: di aver lavorato alle dipendenze di questa come dirigente medico fino al 1° febbraio 2013, quando era stato collocato a riposo; che alla cessazione del rapporto di lavoro aveva maturato 222 giorni di ferie non godute; che la mancata fruizione era stata determinata dalle gravi malattie di cui era affetto (cardiopatia sulla quale si era innestato un linfoma non Hodkin), che, a loro volta, avevano fatto si che dal gennaio 2010 alla cessazione del rapporto egli, tra periodi di malattia, fruizione di permessi ex lege 104/92, assenze per cure climatiche, etc.), negli ultimi tre anni fosse stato assente dal servizio per oltre complessivi anni due; che, fatta richiesta il 20 marzo 2013 della corrispondente indennità sostitutiva, l'Amministrazione gliel'aveva negata con provvedimento del 22 aprile 2013, per il divieto di monetizzazione posto dall'art. 5, comma 8, del d.l. n. 95/2012, convertito in legge n. 135/2012;

dedotto: che il diritto alle ferie era costituzionalmente garantito dall'art. 36, comma 3, in modo irrinunciabile; e dall'art. 7 della Direttiva CE 2003/88; che il lavoro prestato nei periodi destinati al riposo feriale andava retribuito anche agli effetti del primo comma del medesimo art. 36 Cost., e quindi la cd. indennità sostitutiva delle ferie non godute aveva anche e prima di tutto natura retributiva, sicché l'eventuale assenza di responsabilità del datore di lavoro non poteva ostare al beneficio; che sebbene la disposizione legislativa invocata dall'Amministrazione escludesse, per evidenti ragioni di contenimento della spesa pubblica, il trattamento economico sostitutivo, lo stesso Dipartimento della Funzione Pubblica, con nota dell'8 ottobre 2012, aveva negato l'esistenza della preclusione nel caso di conclusione anomala del rapporto di lavoro seguente ad eventi che avevano impedito la fruizione delle ferie maturate per causa non imputabile ad alcune delle parti, assumendo che la disposizione aveva per "ratio" quella di colpire le condotte abusive di mancata fruizione/concessione delle ferie con ricorso alla monetizzazione; e sarebbe invece irragionevole ed ingiustificata se le ferie non fossero state godute per ragioni di salute; chiedeva condannarsi il convenuto al pagamento in suo favore della somma di € 86.369,10, oltre accessori e spese.

Resisteva la Azienda USL Roma E chiedendo respingersi l'avversa domanda perché, anche a seguire l'orientamento della Funzione Pubblica, nella specie il S. non era stato ininterrottamente assente, alternando ripetutamente periodi di malattia e periodi di servizio, e questi ultimi erano stati in numero tale da consentirgli negli anni 2010/2013 l'intera maturazione delle ferie maturate.

Osserva il giudicante che l'art. 5, comma 8, del d.l. n. 95/2012 convertito in legge n. 135/2012 prevede che "le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (Istat) ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009 n. 196, nonché delle autorità indipendenti ivi inclusa la Consob, sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile".

Tale disposizione è stata modificata dall'art. 1, comma 55, della legge n. 228/2012, con una aggiunta che esclude dalla sua applicazione alcune categorie di personale che qui non interessano.

Il caso in esame appare rientrare inequivocabilmente nel divieto di monetizzazione posto dalla disposizione.

L'Amministrazione convenuta rientra nel novero di quelle soggette a tale disposizione.

L'attore risulta cessato per collocamento in quiescenza, a domanda (come risulta dalla richiesta di liquidazione dell'indennità), o forse per collocamento a riposo d'ufficio, casi entrambi comunque espressamente contemplati dalla disposizione. Questa peraltro afferma di applicarsi "anche" ai casi di cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età, e quindi non solo a detti casi. Se a questo si aggiunge che la monetizzazione non è consentita "in nessun caso", appare evidente che la causa di cessazione è indifferente rispetto al divieto.

Consta in atti che il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con nota del 5 agosto 2012, ha espresso il parere che la disposizione, in quanto non retroattiva, non troverebbe applicazione per ferie maturate prima della sua entrata in vigore, e nel caso in cui la fruizione secondo le cadenze previste dalla legge e dal CCNL sia stata impedita da fatti obiettivi non imputabili ad alcuno.

In altro prodotto parere privo di data la F.P. trae argomento dal fatto che la disposizione faccia riferimento a cause di cessazione prevedibili (collocamento a riposo) o determinate da fatto del lavoratore (mobilità, dimissioni, risoluzione), per sostenere che, anche per la necessità di preservare la compatibilità della regola coi principi costituzionali e comunitari, il divieto opererebbe solo nei casi in cui sarebbero state praticabili (da entrambe le parti) le iniziative necessarie per consentire la fruizione delle ferie maturate prima della cessazione del rapporto; e non, invece, nei casi, quale la cessazione del rapporto seguita ad un periodo di malattia, in cui la mancata fruizione delle ferie fosse determinata da causa non dipendente né dalla volontà del lavoratore, né dalla capacità organizzativa del datore di lavoro.

In senso analogo risulta essersi pronunciata la Ragioneria Generale dello Stato con parere del 14 settembre 2012.

L'art. 5, comma 8 cit., non sembra consentire siffatte esegesi. La disposizione in questione è entrata in vigore il 7 luglio 2012, e, nella sostanza:

a) obbliga le parti a fruire e far fruire le ferie maturate secondo quando maturano, e comunque prima della cessazione del rapporto;

b) nel caso il pubblico dipendente cessi con ferie maturate e non godute, ne vieta la monetizzazione.

L'attore è cessato dal servizio il 7 febbraio 2013, quando la disposizione già vigeva.

Stando a quanto si assume in ricorso e trova riscontro agli atti, dal 7 luglio 2012 l'attore avrebbe potuto fruire delle ferie accumulate dal 10 al 22 luglio, dal 29 luglio al 15 agosto, dal 1° al 20 settembre, dal 28 settembre al 3 ottobre, dal 20 ottobre al 2 novembre, dal 4 novembre al 9 novembre; dal 11 al 26 novembre; dal 1° al 14 dicembre; dal 16 al 21 dicembre; dal 23 al 28 dicembre; dal 30 dicembre al 4 gennaio; dal 7 all'11 gennaio; dal 13 al 18 gennaio; dal 22 al 26 gennaio.

Non la avrebbe recuperate tutte, ma in parte si. Peraltro l'arretrato di ferie non appare totalmente determinato dalla malattia, perché consta in atti che l'attore, nel gennaio 2010, epoca di inizio della sua elevata morbilità, aveva già 113 giorni di ferie arretrati per gli anni precedenti.

Da allora, è stato spesso in malattia, peraltro non ininterrotta, e l'accumulo patologico avrebbe potuto ridursi solo a condizione che l'attore non lavorasse pressochè mai. Per converso, esso è aumentato, essendosi l'attore, come assume, sentito in dovere di prestare attività lavorativa nei (pochi) giorni in cui la malattia (in parte, peraltro, riconosciuta dipendente da causa di servizio) e le esigenze di cura glielo consentivano, e quindi di astenersi dal chiedere le ferie.

La disposizione ha riguardo alle ferie maturate solo riguardo all'obbligo di fruizione, e per inferire che dal 7 luglio 2012 le parti avrebbero dovuto fruire/far fruire le ferie fin lì maturate e non godute non è necessaria alcuna applicazione retroattiva della disposizione.

La disposizione parla di ferie maturate senza operare alcuna distinzione tra ferie maturate dopo l'entrata in vigore del decreto e ferie maturate prima. Anzi parlando di ferie maturate, e non "maturande", ha chiaro riguardo a tutte le ferie già maturate.

Tale lettura appare invincibilmente coerente con la "ratio" della disposizione, che si radica in esigenze di contenimento della spesa pubblica. Se ci sono ferie maturate arretrate, la fruizione ed il recupero vanno consentiti ed imposti "a fortiori", perché se si fanno fruire solo quelle correnti, il lavoratore è destinato a cessare con un credito feriale, che è proprio ciò che si intende evitare.

La distinzione inerente l'imputabilità al prestatore o all'amministrazione (considerate, se ben si comprende, nella tesi, equivalenti) della mancata fruizione delle ferie maturate non sembra trovare alcun fondamento né testuale né logico-giuridico.

I casi che la disposizione indica come casi in cui essa si applica "anche", risultano in effetti essere accomunati dal fatto di essere determinati da fatto del lavoratore o programmabile dall'amministrazione, ma comprendono in effetti la generalità delle cause di cessazione come tali.

In ogni caso la disposizione dice "anche"; lo fa dopo aver posto il divieto di monetizzazione in termini generalizzati; dopo aver detto che la monetizzazione non è consentita "in nessun caso"; e per un fine che per sua natura non consente di fondare su di esso alcuna distinzione.

La disposizione non contiene infine alcun riferimento, diretto né mediato, all'imputabilità della mancata fruizione (che, evidentemente, non ha in sé niente a che vedere con la causa di cessazione), né alle ragioni di eventuali impedimenti al riguardo, quale fattore rilevante nel divieto.

La domanda andrebbe dunque, sulla base di tale disposizione, respinta, perché il divieto di monetizzazione posto dalla disposizione appare pienamente applicabile alla fattispecie, e non dipendere né dalla materiale possibilità di fruizione delle ferie rimaste non godute (possibilità che peraltro almeno in parte c'era) né dalla responsabilità all'una o all'altra parte per la mancata fruizione.

La disposizione, poi, nel dire (in modo piuttosto anodino) che le ferie "sono obbligatoriamente fruite" sembra porre un obbligo di fruizione a carico del lavoratore, o quantomeno, a carico di questi, un onere di cooperazione nella fruizione del diritto.

Vige, peraltro, anche nel pubblico impiego, ex art. 2, decreto legislativo n. 165/2001, l'art. 2109 c.c., che dice che il periodo feriale è stabilito dal datore di lavoro, seppur tenuto conto degli interessi del lavoratore. La fruizione delle ferie è quindi prima di tutto un diritto irrinunciabile, cui corrisponde un obbligo datoriale di preordinazione del periodo feriale. Non appare dunque predicabile che il diritto alla fruizione delle ferie sia condizionato da una domanda, cosa che in via generale non è prevista e che implicherebbe la possibilità che il lavoratore rinunci alle ferie semplicemente astenendosi dal chiederle.

Nella specie, il C.C.N.L. 94/97 per la dirigenza medica e veterinaria del S.S.N., che il giudice conosce d'ufficio ex art. 47, comma 8, decreto legislativo n. 165/2001, e che risulta ad oggi l'unico a regolare la fattispecie all'art. 21, nel prevedere che le ferie sono fruite dal dirigente anche frazionatamente nel corso di ciascun anno solare nel rispetto dell'assetto organizzativo dell'azienda, non sembra derogare in via generale all'art. 2109 c.c., se non quanto alla facoltà del prestatore di godere delle ferie, a domanda, in modo frazionato, semprechè non ostino contrarie ragioni aziendali; né attribuire al medesimo un diritto incondizionato di gestirsele ("per incidens", la dirigenza medica non è certo dirigenza nel senso tradizionale di preposizione all'azienda o a un suo ramo, sicché non appare nella specie ipotizzabile che l'attore potesse mettersi in ferie quando voleva: arg. ex Cass. 13953/2009; 9146/2009); mentre il relativo comma 13, che prevede che alla cessazione del rapporto di lavoro le ferie sono monetizzabili se non fruite per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà .del dirigente, oltre a restare potenzialmente esposto a giudizio di nullità per contrarietà a norme imperative secondo quanto si viene ad ipotizzare, e secondo Cass. 9146/2009 cit., lascia almeno spazio alla monetizzazione in caso di mancata fruizione non imputabile al lavoratore, cosa che l'art. 5 cit. neppure di perita di prevedere.

Orbene, la disposizione appare di (assai) dubbia legittimità costituzionale, nella parte (che si ritiene essere almeno quella in grassetto) in cui essa vieta, in termini sostanzialmente assoluti, la monetizzazione delle ferie maturate e non godute all'atto della cessazione del rapporto di lavoro; ed a maggior ragione in quanto lo fa a prescindere da qualsiasi valutazione inerente la responsabilità della mancata fruizione delle ferie.

L'art. 36, comma 3, della Costituzione prevede che il lavoratore ha diritto a ferie annuali retribuite, e non può rinunciarvi.

L'art. 7 della Direttiva CE n. 2003/88, cui la legislazione italiana deve attenersi ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, prescrive che "Gli Stati prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali. Il periodo minimo di ferie annuali non può essere sostituito da un'indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro".

L'art. 10, del decreto legislativo n. 66/2003 e s.m. attua tali previsioni prevedendo che le ferie vanno godute nel corso dell'anno di maturazione e, per massimo due settimane, nei 18 mesi successivi all'anno di maturazione, e che tale diritto non può essere sostituito dall'indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.

Da tale sistema si evince che le ferie vanno essenzialmente godute in natura, di regola entro l'anno di maturazione e comunque entro un lasso di tempo che non ne pregiudichi la funzione di reintegrazione delle energie psico-fisiche. Doverosamente, quindi, il legislatore appresta ogni misura necessaria a far si che le ferie siano effettivamente fruite secondo quando maturano, e vieta che, nel corso del rapporto di lavoro, il diritto alla fruizione in natura sia sostituito dalla monetizzazione, stante anche il fatto che ciò si risolverebbe nella rinuncia alle ferie in cambio di denaro, vietata da Cost. 36/3.

Il giudicante non trova ragione per non ammettere che la fruizione delle ferie, oltre a formare oggetto di un diritto irrinunciabile del lavoratore, possa formare anche - in certi limiti - oggetto di un obbligo in capo a questi, in ragione della necessità di evitare che la mancata fruizione dia luogo ad un aggravio di spesa pubblica.

Non appare, però, costituzionalmente legittimo vietare la monetizzazione delle ferie maturate e non godute alla cessazione del rapporto; e men che meno prescindendo totalmente dalla eventuale responsabilità delle parte datoriale e dell'eventuale assenza di responsabilità del lavoratore per la mancata fruizione. Si deve premettere che in linea di principio ciò che è irrinunciabile è la fruizione delle ferie in natura. Tuttavia, l'art. 7 della Direttiva Ce cit., nel vietare la monetizzazione delle ferie salvo il caso della cessazione del rapporto di lavoro, pare implicare che se il rapporto di lavoro cessa con ferie maturate e non godute, lo stesso diritto all'indennità sostitutiva costituisce diritto comunitario sostitutivo inderogabile. Il divieto di monetizzazione in corso di rapporto ha infatti la funzione di non vanificare la fruizione del riposo quale bene in natura. Una volta che questo, per la cessazione del rapporto, resti irreversibilmente pregiudicato, appare implicato che l'indennità sostitutiva sia comunque dovuta.

La Corte di Giustizia Europea, nella sentenza 20 gennaio 2009 in C. - 350/2006, ha stabilito che nel caso in cui il lavoratore non abbia potuto fruire in tutto o in parte delle ferie alla cessazione del rapporto di lavoro a causa di malattia, l'art. 7, comma 2 della Direttiva esige che gli si riconosca il diritto ad una indennità finanziaria. La stessa Corte, nella sentenza 3 maggio 2012 in C-337/2010, ha ribadito lo stesso principio. In buona sostanza, la Corte afferma che la stessa indennità sostitutiva è dovuta in forza della Direttiva, almeno se la mancata fruizione delle ferie non è dovuta a causa imputabile al lavoratore.

Nei casi esaminati dalla Corte l'impedimento era stato assoluto, trattandosi di ferie maturate in periodi di malattia ininterrotti o durati per un tempo tale da impedire obiettivamente l'integrale fruizione delle ferie.

Pur tuttavia, se il fatto che la Corte abbia dato rilevanza all'imputabilità o meno al lavoratore della mancata fruizione delle ferie implica che, ai fini del diritto comunitario del beneficio economico, la responsabilità esclusiva di questi possa legittimamente assumere portata ostativa; considerato che ai sensi dell'art. 7 gli Stati membri debbono assumere le misure necessarie a garantire il diritto alla fruizione e che, per principio comunitario generale, tutte le autorità pubbliche degli Stati membri debbono concorrere, secondo le competenza di ciascuno, all'attuazione delle direttive (CGE 1/6/99 in C-302/97, Konle; CGE 30/9/2003 in C-224/2001, Kobler); non appare conforme al diritto comunitario che, in caso di mancata fruizione delle ferie a fine rapporto il diniego del diritto all'indennità sostitutiva si fondi puramente e semplicemente sulla mancata fruizione, come se la relativa responsabilità fosse per definizione tutta e solo del prestatore.

Se non ci fosse l'art. 5, comma 8 qui censurato, questo giudice potrebbe, nella peggiore delle ipotesi, almeno valutare se nel caso di specie, del tutto particolare, la mancata fruizione delle ferie trovi in tutto o in parte causa imputabile al lavoratore; se vi sia colpa datoriale esclusiva o in concorso; e se tali circostanze debbano avere incidenza nel diritto all'indennità e sulla sua misura. Si deve d'altronde ricordare che se la mancata fruizione delle ferie fosse dovuta anche in parte a colpa datoriale, l'indennità sostitutiva spetterebbe sicuramente a titolo risarcitorio secondo i principi generali.

Nella specie, ed allo stato, appare evidente che il datore di lavoro non ha fatto nulla per anni per impedire una abnorme accumulo di ferie arretrate, ed è venuto meno all'obbligo imposto dall'art. 2109 c.c. di stabilire i periodi feriali. Per converso, l'idea che l'obbligo del lavoratore di cooperare all'attuazione del suo diritto alla fruizione delle ferie implicasse nel caso di specie che egli, in vista del proprio pensionamento, dovesse preventivamente darsi carico di azzerare la sua capacità residua di collaborare nell'Azienda, chiedendo le ferie nei pochi giorni in cui la sua malattia e le sue esigenze di cura gli consentivano di lavorare (è il caso di rammentare che la dirigenza medica pubblica è, come le altre, soggetta a processi di valutazione, e che il prestatore ha quindi un interesse specifico a fare qualcosa quando può), a costo della perdita tanto del diritto alla fruizione delle ferie quanto del diritto all'indennità sostitutiva, e di un eventuale differimento della sua messa a riposo, appare superare la soglia della ragionevolezza, oltre che dei principi comunitari e costituzionali in materia di ferie.

Peraltro, il divieto di monetizzazione delle ferie appare in contrasto con la Costituzione a prescindere dagli eventuali profili di imputabilità al prestatore della mancata fruizione.

Il lavoratore che cessa dal servizio senza aver fruito di parte delle ferie maturate cessa, per definizione, avendo lavorato dei giorni in più rispetto a quelli per i quali è stato retribuito. In tal senso si insegna ormai comunemente che la cd. indennità sostitutiva delle ferie non godute ha in realtà essenzialmente e primariamente natura retributiva, trattandosi della retribuzione di giorni lavorati e che avrebbero dovuto essere dedicati al riposo, per i quali la retribuzione è imposta ex Cost. 36, comma 1 (Cass. 20836/2013, 17353/2012, 11462/2012).

La questione di legittimità costituzionale appare quindi rilevante in causa, perché il divieto di monetizzazione posto dalla disposizione censurata osta all'accoglimento della domanda attorea, che parrebbe invece probabilmente fondata in assenza di tale disposizione.

Essa appare inoltre non manifestamente infondata, perché il divieto di monetizzazione "in ogni caso" appare ledere il diritto alla retribuzione del lavoro prestato in eccedenza rispetto a quanto si sarebbe dovuto lavorare ogni anno tenuto conto del diritto ai riposi feriali, in violazione dell'art. 36, comma 1, della Costituzione; appare ledere l'art. 36, comma 3 della Costituzione, perché il diritto a ferie annuali retribuite implica che, nel caso di lesione irreversibile del diritto in natura, il diritto economico non possa essere pregiudicato; appare ledere l'art. 117 della Costituzione perché l'art. 7, comma 2, della Direttiva CE 2003/88 esige che il lavoratore che, senza propria colpa, ovvero anche per colpa datoriale, non abbia potuto fruire di ferie maturate prima della cessazione del rapporto di lavoro sia compensato economicamente; appare infine ledere Cost. 3, perché appare manifestamente irragionevole, in un sistema legislativo e costituzionale nel quale le ferie sono essenzialmente un diritto irrinunciabile, che va garantito dal datore di lavoro mediante preordinazione dei periodi di ferie, il divieto di monetizzazione operi a prescindere dall'imputabilità al datore di lavoro della mancata fruizione, ovvero in mera ragione dell'introduzione di un obbligo di fruizione a carico del prestatore implicante puramente e semplicemente che se non chiede le ferie e per ciò solo la colpa della mancata fruizione è tutta sua.

Appare perciò rilevante e non manifestamente infondata, ai sensi degli artt. 3, 36, commi 1° e 3°, e dell'art. 117 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 8, del d.l. 6 luglio 2012 n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012 n. 135, nel suo complesso, o, in subordine, nella parte in cui prevede che le ferie maturate e non godute alla cessazione del rapporto "non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostituti, nonché, eventualmente, della disposizione che prevede che «La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile"».

 

P.Q.M.

 

Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87;

Dichiara rilevante, e non manifestamente infondata, con riguardo agli artt. 3, 36, commi 1 e 3, e 117 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 8, del D.L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012 n. 135, nel suo complesso, o, in subordine, nella parte in cui prevede che le ferie maturate e non godute alla cessazione del rapporto "non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi", nonché, eventualmente, nella parte in cui prevede che La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile";

Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso;

Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 07 ottobre 2015, n. 40