Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 settembre 2015, n. 19410

Tributi - Dichiarazione - Emendabilità - Adeguamento agli studi di settore - Non sussiste

 

Ritenuto in fatto

 

L'Agenzia delle Entrate propone ricorse per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di B.O. e della G.L. spa, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 70/05/2007, depositata in data 18/02/2008, con la quale è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente.

La controversia concerne l’impugnazione di una cartella di pagamento, emessa, a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi, ex art. 36 bis DPR 600/1973, per IRPEF relativa all'anno 2001, sulla base di una dichiarazione integrativa dell'ottobre 2002, con la quale la contribuente, ex art. 2 comma 8 DPR 322/1998, si era conformata agli studi di settore, integrando, in aumento, i ricavi originariamente dichiarati e dichiarando, di conseguenza, un maggior reddito d'impresa, ma non versando poi l'imposta dovuta.

I giudici di primo grado, nell'annullare la cartella di pagamento, rilevavano che, avendo la cartella di pagamento, rilevavano che, avendo la B., successivamente alla suddetta dichiarazione integrativa, presentato, nei termini di legge, una terza dichiarazione, "correttiva", volta ad annullare, ex art.2 comma 8 bis DPR 322/1998, la precedente, "non intendendo ...integrare i ricavi registra ti per adeguarsi agli studi d settore", l'Ufficio non poteva procedere, ex art.36 bis DPR 600/1973, liquidando la seconda dichiarazione sostitutiva dei redditi, dovendo operare mediante un accertamento in rettifica dei dati contenuti nella terza ed ultima dichiarazione presentata.

I giudici d'appello, nel respingere sia il gravame principale dell'Agenzia delle Entrate sia quelle incidentale della contribuente, hanno preliminarmente ritenuto tempestivo il deposito, da parte dell'appellante principale, dell'otto presso la segreteria della Commissione Tributaria Provinciale di Padova, ai sensi dell'art.22 d.lgs. 546/1992.

Nel merito, i giudici della C.T.R., confermando lo. statuizione di primo grado, hanno sostenuto che avendo la contribuente, con l'ultima dichiarazione presentata, "in data 23/10/2003", inteso "non integrare i ricavi registrati per adeguarsi agli studi di settore (cui non era obbligato a conformarsi)", l'Ufficio avrebbe, al più, potuto procedere con avviso di accertamento, non potendo invece "ignorare" la terza dichiarazione sostitutiva e procedere a liquidazione della dichiarazione per l'anno 2001, ex art.36 bis DPR 600/1973, sulla base dei dati dichiarati nella seconda dichiarazione, "correttiva" (poi annullata dalla contribuente).

- I giudici hanno poi ritenuto questione nuova, inammissibile ex art.57 d.lgs, 546/1992, quella, pure eccepita dall'Agenzia delle Entrate, di implicita rinuncia alla dichiarazione integrativa sostitutiva, per effetto dell'intervenuta adesione della contribuente al condono, ex art.9 l.239/2002. Le parti intimate, B.O. ed Equitalia Polis spa, già G.L. spa, hanno depositato controricorsi, nonché, la sola intimata B., ricorso incidentale, affidato a 25 motivi.

 

Considerato in diritto.

 

1. L'Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell'art.2 comma 8 bis DPR 322/1998, in quanto la seconda dichiarazione, presentata dalia contribuente nell'ottobre 2002, non integrava una mera dichiarazione di scienza, emendabile nei medi e termini di legge, ma una dichiarazione negoziale, implicante l'esercizio di un'opzione offerta dal legislatore, avendo la B. effettuato la scelta, cui non era obbligata, dì avvalersi degli studi di settore, dichiarando un reddito maggiore di quello originariamente dichiarato, dichiaratone questa non emendabile, con conseguente inefficacia della terza dichiarazione presentata, correttiva dalla seconda.

Con il secondo motivo, la stessa Agenzia delle Entrate invoca la violazione, ex art.350 n. 3 c.p.c., degli artt. 2 comma 8 bis DP3 322/1998 e dell'art.1428 c.c., in quanto consentire, secondo quanto statuito dai giudici della C.T.R., al contribuente di modificare le proprie precedenti manifestazioni di volontà produttive di effetti nel rapporto giuridico tributario, invocando asseriti errori, non riconoscibili (in quanto, in particolare, non emergenti dal testo), implicherebbe, di fatto, una ingiustificata compressione del termine concesso al legislatore all'Amministrazione per l'esercizio del potere di accertamento per coloro che non si avvalgono degli studi di settore (entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione).

In ultimo, con il terzo motivo, la ricorrente denuncia un'ulteriore violazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell'art. 2 comma 8 bis DPR 322/1993, avendo i giudici ritenuto che la seconda dichiarazione presentata dalla contribuente fosse emendabile, non alla luce della riconosciuta presenza di un errore, ma sulla base di una mera manifestazione successiva della contribuente di una intenzione, implicante un semplice ripensamento.

2. La contribuente B. ha articolato venticinque motivi di ricorso incidentale, lamentando: i)con il primo motivo, la nullità della sentenza, ex art.360 n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia circa la necessità per l’Ufficio erariale di operare ex art.42 DPR 600/1973, mediante emissione di un avviso di accertamento motivate e non ex art. 36 bis stessa legge, mediante procedura di liquidazione; 2) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., degli artt. 36 bis e 42 DPR 600/1973, per la ritenuta ipotesi di rigetto implicito dell'eccezione sollevata dalla contribuente, circa la necessità dell'Ufficio di non utilizzare la procedura di liquidazione, iscrivendo direttamente a ruolo l'imposta non versata, ma di emettere un avviso di accertamento motivato; 3} con il terzo, il quarto ed il quinto motivo, rispettivamente, la nullità della sentenza, ex art.360 n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia, ovvero l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., ovvero la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., circa la nullità della cartella di pagamento per violazione degli artt.36 bis DPR 600/1973 e 6 comma 6 l. 212/2000, non essendo stato instaurato un contraddittorio anticipato, attraverso la comunicazione preventiva di irregolarità al contribuente, prescritta in presenza di "incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione"; 4) con il sesto, settimo ed ottavo motivo, rispettivamente, la nullità della sentenza, ex art.360 n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia, ovvero l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., ovvero la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., circa l'illegittimità dell’iscrizione a ruolo, non essendo stata data alla contribuente, stante la mancata notifica alla stessa di una comunicazione preventiva, la possibilità di definire le sanzioni in modo bonario, presentando un'istanza di autotutela; 5) con LI nono, decimo ed undicesimo motivo, rispettivamente, la nullità della sentenza, ex art. 360 n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia, ovvero l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., ovvero la violazione o falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., circa la nullità o l'inesistenza della notifica della cartella, non essendo stato rispettato l'art. 26 DPR 602/1973 ed il combinato disposto degli artt. 149 c.p.c.e 3 l. 890/1982, essendo stata la cartella notificata mediante raccomandata spedita con ricevuta di ritorno, senza che il notificatore provvedesse a redigere la relata di notifica, in epigrafe alla cartella stessa, né venisse apposto, sulla busta, il numero di registro cronologico o la sottoscrizione dell'ufficiale notificatore; 6) con il dodicesimo, tredicesimo e quattordicesimo motivo, rispettivamente, la nullità della sentenza, ex art.360 n. 4 c.p.c., per emessa pronuncia, ovvero l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., ovvero la violazione o falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., circa la eccepita nullità della cartella di pagamento per difetto di sottoscrizione; 7) con il quindicesimo, il sedicesimo ed il diciassettesimo motivo, rispettivamente, la nullità della sentenza, ex art. 360 n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia, ovvero l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, ex art. 360 n. 5 c.p.c., ovvero la violazione o falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., circa la eccepita nullità della cartella di pagamente per mancata indicazione de_ responsabile di procedimento, ex art.1 l. 212/2000; 8) con il diciottesimo, diciannovesimo e ventesimo motivo, rispettivamente, la nullità della sentenza, ex art.360 n. 5 c.p.c., per omessa pronuncia, ovvero l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., ovvero la violazione o falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., circa la nullità della cartella di pagamento per carenza di motivazione; 9) con il ventunesimo, ventiduesimo e ventitreesimo motivo, rispettivamente, .la nullità della sentenza, ex art.360 n. 4 c.p.c., por omessa pronuncia, ovvero l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c.,, ovvero la violazione o falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., circa la nullità, eccepita, della cartella sotto ulteriore profilo, la mancata indicazione della data di formazione e trasmissione del ruolo, necessarie al fine di consentire al contribuente di verificare il rispetto, da parte dell'Amministrazione finanziaria, dei termini perentori di cui agli artt.17 e 25 DPR 602/1973; 10) con il ventiquattresimo ed il venticinquesimo motivo, rispettivamente, l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., circa l’eccezione sollevata dalla contribuente, in punto di inammissibilità dell'appello, per mancato tempestivo deposito dello stesso presso la segreteria della CTF di Padova, nonché la violazione o falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., delle stesse disposizioni, ma in punto di tardività della costituzione in giudizio della Agenzia delle Entrate, avvenuta a mezzo del servizio postale cor. atto spedito alla C.T.R., in busta chiusa, in violazione dell’art.53 comma 2 e 22 comma 1 d.lgs. 546/1992, oltre il termine di 30 gg., essendo stato l'appello spedito dall'Agenzia delle Entrate "in data 21 marzo 2007" e ricevuto da ..la contribuente "in data 23 marzo", mentre il deposito presso la segreteria della Commissione Tributaria Regionale del Veneto era avvenuto "in data 26 aprile 2007".

La controricorrente B. eccepisce altresì la formazione di un giudicato interne in ordine alla autonoma statuizione, pure presente nella sentenza impugnata, circa l'illegittimità dell'operato dell'Ufficio, il quale avrebbe dovuto preventivamente emettere un avviso di accertamento ex art. 42 DPR 600/1973 e non procedere con la liquidazione ex art.36 bis DPR 600/1973.

3. Preliminarmente, in relazione al suddetto ricorso incidentale e, principalmente, agli ultimi due motivi in esso esposti, nonché all'eccezione di giudicato interno, pure sollevata dalla B., questioni tutte preliminari di merito o pregiudiziali di rito, deve richiamarsi quanto affermato di recente da questa Corte a Sezioni Unite (Cass.S.U. 7381/2013): "in tema di giudizio di cassazione, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni preliminari di merito o pregiudiziali di rito, ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, sicché, laddove le medesime questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte solo in presenza dell'attualità deli1 interesse, ovvero unicamente nell'ipotesi della Fondatezza dei ricorso principale".

4. Tanto premesso, esaminati i motivi del ricorso principale dell'Agenzia delle Entrate, congiuntamente in quanto connessi, gir stessi sono fondati.

4.1. L'art. 2, comma 8 bis, del DPR 322/1998, regolamento per la presentazione delle dichiarazioni, prevede che le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di un maggior reddito o, comunque, di r un maggior debito d'imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare, non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo; aggiunge, inoltre, che l'eventuale credito risultante dalle predette dichiarazioni può essere utilizzato in compensazione ai sensi del D. Lgs. n. 241 del 1997, art. 17.

Questa Corte, pronunziando in tema d'imposte dirette, ha reiteratamente affermate il principio di diritto secondo cui, in adesione all'art. 53 Cost., la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione e incidenti sull'obbligazione tributaria, è esercitatone non solo nei limiti in cui la legge prevede il diritto al rimborso, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, ma anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria (Sez. 6-5, Ordinanza n. 3754 del 18/02/2014; conf. Sez. 5, Sentenza n. 2226 del 31/01/2011 e n. 22021 del 13/10/2006).

La dichiarazione fiscale - infatti - non ha, in generale, natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, costituendo essa un momento dell'iter volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria (Sez. U n. 15063 del 25/10/2002).

Né esigenze di mera stabilità amministrativa, in ossequio alle quali si è sostenuta, in un remoto passato, la non modificabilità della dichiarazione, possono comprimere il diritto del contribuente a versare le imposte secondo il principio di capacità contributiva sancito dall'art. 53 Cost.; tanto in sintonia con la disposizione statutaria dell'art. 10, secondo cui i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede, essendo, appunto, conforme a buona fede non percepire somme non dovute ancorché dichiarate per errore dal presunto debitore (Cass. n. 22021 del 13/10/2006).

Ne derive che nulla osta, sempre in generale, a che la possibilità di emenda, mediante allegazione di errori nella dichiarazione e incidenti sull’obbligazione tributaria, sia esercitabile non solo nei limiti delle disposizioni sulla riscossione delle imposte (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38) ovvero del regolamento per la presentazione delle dichiarazioni (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2), ma anche nella fase difensiva per opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato (Cass. 26198/2014).

4.2. Tuttavia occorre vagliare se si sia, nella fattispecie, effettivamente in presenza di una dichiarazione di scienza erronea emendabile.

Risulta pacifico in atti, oltre che accertato in sentenza, che: 1) la contribuente presentava, nel 2002, una prima dichiarazione, con la quale veniva dichiarato un reddito d'impresa di "£ 50.073.000";

2) nell'ottobre 2002, la stessa presentava una dichiarazione "correttiva" - secondo l'Ufficio, ai sensi del comma 8 art.2 DPR 322/1998, secondo la contribuente, per un mero errore materiale "commesso dal software di compilazione della dichiarazione" - con la quale, in conformità agli studi di settore, indicava sotto la voce "F09" ("compensi non annotati per adeguamento a parametri e studi di settore") ulteriori ricavi per "£ 100.261.000" (con conseguente reddito complessivo di "£ 150.334. 000", vedasi pag. 19 controricorso);

3) in data 23/10/2003, la B. presentava infine una terza dichiarazione, sostitutiva della precedente, con cui la medesima rettificava, ex art. 2 comma 8 bis DPR 322/1998, la pregressa dichiarazione, azzerando il dato corrispondente al codice "F09".

4.3. Ora, questa Corte ha (cfr. Cass. 25056/2006) già precisato che "il principio della emendabilità e ritrattabilità di ogni dichiarazione fiscale si riferisce alle sole ipotesi in cui la dichiarazione risulti frutto di un errore, testuale c extra testuale, di fatto o di diritto (v. tra le altre Cass. n. 4388 del 2004), essendo peraltro evidente che tale errore debba essere allegato, specificato e provato" e che "l'errore emendabile deve sempre riguardare il contenuto "proprio" della dichiarazione di scienza, non la manifestazione di volontà implicita nell'esercizio di un'opzione offerta dal legislatore, come nell'ipotesi disciplinata dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, dove il legislatore attribuisce al contribuente la facoltà di optare tra dichiarare un valore uguale e superiore di quello determinato sulla base del criterio automatico (cosi ponendo un limite al potere di rettifica dell'Amministrazione), oppure dichiarare un valore inferiore (esponendosi al suddetto potere di rettifica), dovendo perciò ritenersi che la richiesta del contribuente di emendare la propria dichiarazione su questo punto non sia altro che una richiesta di esercitare nuovamente l'opzione offerta dal legislatore, ma "a posteriori", cioè quando la precedente opzione si sia, come in questo caso, rivelata meno favorevole" (con riguardo alla emendabilità di una dichiarazione INVIM presentata ai sensi dell'art.52 comma 4 del DPR 131/1986).

Ancora più di recente (Cass.1128/2009), questa Corte ha chiarito che "in materia tributaria, il principio secondo cui ogni dichiarazione del contribuente affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, è, in linea di principio, emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l'assoggettamento dei dichiarante ad oneri contributivi, diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, non può trovare ingresso nell'ipotesi di successiva resipiscenza del contribuente, dovuta ad una diversa valutazione della convenienza fiscale, tale ipotesi essendo incompatibile, sul piano logico, con quella dell'errore: pertanto, si fini dell'emendabilità della dichiarazione, occorre che il contribuente provi che egli avrebbe indicato dati diversi da quelli dichiarati, in quanto indubitabilmente fondati alla luce degli elementi in suo possesso ai momento della dichiarazione, ove il percorso formativo di quest'ultima non fosse stato viziato dall'incidenza determinante dell’"errore".

E' stato poi affermato (Cass. 1427/2013) che "sebbene le denunce dei redditi costituiscano di norma delle dichiarazioni di scienza, e possano quindi essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente ai pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno quando il legislatore subordina t la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall'erario, la dichiarazione assume per questa e parte il valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che queste fosse conosciuto o conoscibile dall’amministrazione" (cfr. Cass. 7294/2012).

4.4. Avendo la contribuente, con la seconda dichiarazione, nell'ottobre 2002, inteso adeguarsi agli studi di settore, è utile richiamare il disposto dell'art.10 l. 146/1998, nel testo vigente ratione temporis: "1. Gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui all'articolo 62- sexies del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, sono effettuati nei confronti dei contribuenti con periodo d'imposta pari a dodici mesi e con le modalità di cui al presente articolo 2. Nei confronti degli esercenti attività d’impresa in regime di contabilità ordinaria per effetto di opzione e degli esercenti arti e professioni, la disposizione del comma 1 trova applicazione solo se in almeno due periodi d’imposta su tre consecutivi consideraci, compreso quello da accertare, l’ammontare dei compensi o dei ricavi determinabili sulla base degli studi, di settore risulta superiore all'ammontare dei compensi o ricavi dichiarati, con riferimento agli stessi periodi d'imposta. 3. Indipendentemente da quanto previsto al comma 2, nei confronti dei contribuenti in regime di contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, l'ufficio procede ai sensi del comma 1 quando dal verbale di ispezione, redatto ai sensi dell'articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, risulta motivata l'inattendibilità della contabilità ordinaria in presenza di gravi contraddizioni c l'irregolarità delle scritture obbligatorie ovvero tra esse e i dati e gli elementi di rettamente rilevati in base ai criteri stabiliti con il decreto dei Presidente della Repubblica 16 settembre 1996, n. 570. 4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo non si applicano nei confronti dei contribuenti che hanno dichiarato ricavi di cui all'articolo 53, comma 1, esclusi quelli di cui alla lettera c), o compensi di cui all’articolo 50, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di ammontare superiore al limite stabilito per ciascuno studio di settore dal relativo decreto di approvazione del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. Tale limite non può, comunque, essere superiore a 10 miliardi di lire. Le citate disposizioni non si applicano, altresì, ai contribuenti che hanno iniziato o cessato l’attività nel periodo d’imposta ovvero che non si trovano in un periodo di normale svolgimento dell’attività....".

4.5. Tanto premesso, esula, come già sopra ribadito, dalla disciplina circa l’emendabilità della dichiarazione fiscale l'errore relativo alla indicazione di dati riferibili ad espressione di, manifestazioni di volontà negoziale.

In effetti, se vi è stata inizialmente indicazione di un valore del reddito d'impresa, congruo rispetto agli studi di settore, frutto evidentemente di una precisa scelta manifestata dalla compilazione di una voce specifica del modello di dichiarazione fiscale e dall'indicazione di maggiori ricavi, non dichiarati inizialmente (nell'originaria dichiarazione dei redditi), la contribuente avrebbe dovuto dimostrare, nel contestare l'alto impositivo notificatogli dalla Amministrazione finanziaria, l'errore commesso nella propria dichiarazione correttiva (quella del 2002). - In particolare, la contribuente avrebbe dovuto chiarire in che cosa era consistito l'errore intervenuto con la seconda emenda della dichiarazione dei redditi ovvero quali altri obiettivi perseguiva la presentazione di una dichiarazione correttiva della dichiarazione fiscale originariamente presentata; la stessa si è invece limitata ad affermare genericamente essersi trattato di "un errore commesso dal software di compilazione della dichiarazione".

La stessa contribuente era altresì onerata, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui. All’art. 1427 c.c. e ss. - estesa dall'art. 1324 c.c. in quanto compatibile agli atti unilaterali "inter vivos" a contenuto patrimoniale - a fornire "la prova della rilevanza dell’errore con riguardo ad entrambi i requisiti della essenzialità e della obiettiva riconoscibilità (da valutarsi secondo la diligenza propria che deve essere richiesta agli Uffici accertatori)" (Cass. 7294/2012).

4.6. Ne consegue che, non avendo la ricorrente fornito prova del requisito di obiettiva riconoscibilità dell'errore, da parte della Amministrazione finanziaria, indispensabile affinché il vizio della volontà potesse incidere sulla dichiarazione negoziale e non di mera scienza, presentata nell'ottobre 2002, invalidandola e rendendo così efficace l'ultima dichiarazione correttiva, il ricorso principale deve essere accolto.

5. Venendo quindi all'esame del ricorso incidentale ed anzitutto dell'eccezione di giudicato interno, sollevata dalla B., quest'ultima non merita accoglimento.

Invero, i giudici della C.T.R. hanno affermato che, stante la piena validità ed efficacia dell'ultima dichiarazione presentata dalla contribuente, ex art. 2 comma 8 bis DPR 322/1998, l'Ufficio, non potendola ignorare, avrebbe dovuto, al più, procedere con accertamento e non procedere alla liquidazione della dichiarazione per l'anno 2001, ex art. 36 bis DPR 600/1973, in base ai dati dichiarati nella c.d. "dichiarazione correttiva", quella presentata ex art. 2 comma 8 DPR 322/1998. Ma l'Agenzia delle Entrate, con il presente ricorso, giunge alla radice della questione, censurando la statuizione inerente la piena validità ed efficacia della dichiarazione integrativa dell'ottobre 2003, cosicché, dall'accoglimento dei motivi, risulterebbe travolta anche l'affermazione, pure presente in sentenza, in ordine all'illegittimità della procedura ex art. 36 bis DPR 600/1973 ed alle necessarietà dell'accertamento ex art. 42 stessa legge.

6.1. Il ventiquattresimo motivo del ricorso incidentale, implicante vizio motivazionale, è inammissibile, essendo ivi dedotto un vizio della motivazione in diritto della sentenza, sulla questione, giuridica e non di fatto, della, tempestività dell'atto di appello dell’agenzia delle Entrate, in conformità agli artt. 53 comma 2 e 22 d.lgs. 546/1992.

6.2. L'ultimo motivo del ricorso incidentale, implicante vizio di violazione di norma di diritto, in ordine alla inammissibilità dell’appello dell'Agenzia delle Entrate, è altresì inammissibile.

Va osservato, invero, che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 - richiamato, per il giudizio di appello, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2 - richiede, ai fini della rituale costituzione in giudizio del ricorrente, il deposito, non solo di copia del ricorso spedito per posta, ma anche della ricevuta di spedizione dell'atto per raccomandata a mezzo del servizio postale.

E la mancata allegazione di detta ricevuta è sanzionata - al pari dell'omesso deposito della copia del ricorso - con l'inammissibilità dell'impugnazione, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, e non sanabile neppure per effetto della costituzione del resistente (conf. Cass. 24162/06, 1025/03).

La ratio di siffatta previsione è stata ravvisata (Cass. 7383/2011) nel fatto che la decorrenza del termine di trenta giorni, per la costituzione in giudizio del ricorrente, è normativamente ancorata alla spedizione, e non alla ricezione del ricorso da parte del resistente.

Il che si evince dal fatto che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 1, prevede modalità di deposito che presuppongono solo la spedizione del ricorso, e non la sua ricezione, sottraendo, in tal modo, detto adempimento alla regola di cui ai medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 5 a tenore del quale "i termini che hanno inizio dalla notificazione o comunicazione decorrono dalla data in cui l'atto è ricevuto" (Cass. 20262/04, 14246/07).

Ora, ai fini dell'autosufficienza del ricorso, la ricorrente incidentale avrebbe dovuto offrire a questa Corte la prova del fatto positivo, costituito dalla data esatta di spedizione della notifica dell'atto di appello a mezzo posta, costituendo tale data la condizione temporale necessaria per fare scattare il termine perentorio di deposito dell'atto.

Ed, infatti, l'esercizio del potere di diretto esame degli atti dei giudizio di merito, riconosciuto alla Corte di Cassazione nel caso, qui ricorrente, di deduzione di un error in procedendo, non esonera la parte dal riportare, in seno al ricorso per cassazione, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare nei suoi termini esatti, e non genericamente, il vizio processuale, in modo da consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche, il controllo del corretto svolgersi dell'iter processuale (Cass. 4928 del 2013; Cass. 23420 del 2011; Cass. 20405 del 2006).

Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione non consente, infatti, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi.

La ricorrente incidentale, anche nel quesito di diritto, si limita poi a riferire che la costituzione in appello da parte dell'appellante Agenzia delle Entrate era avvenuta mediante utilizzo del servizio posta, con atto comunque "spedito entro i 30 giorni dalla data di notifica dell'appello, ma pervenuto alla segreteria della Commissione Tributaria Regionale del Veneto oltre i 30 giorni dalla spedizione... ed anche dalla ricezione dell'atto di appello da parte dell'appellata".

Quanto al mancato rispetto delle modalità di spedizione dell'atto di appello non in plico raccomandato senza busta, ma in basta chiusa, conte previsto dall’art. 20 del d.lgs n. 546 del 1992, questione, peraltro, non espressamente riprodotta nel quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c.), il motivo è infondato, avendo questa Corte già chiarito che "nel processo tributarie, nel caso in cui non sia contestata la tempestività ovvero una difformità della copia depositata rispetto all'originale notificato, la circostanza che la spedizione a mezzo posta dell'atto d'impugnazione non sia stata eseguita con plico raccomandato senza busta non rileva ai fini dell’ammissibilità dell'appello" (Cass. 7797/2008).

Inoltre, la ricorrente incidentale, ai fini dell'autosufficienza, non indica in quale sede essa aveva sollevato la contestazione circa l'effettiva corrispondenza tra l'atto contenuto nella busta e l'originale depositato.

6.3. Gli ulteriori motivi del ricorso incidentale, riguardanti questioni non esaminate dai giudici d'appello perché assorbite, sono tutti inammissibili o infondati.

I primi due motivi sono infondati, in quanto non vi è stata né un'omessa pronuncia né un rigetto implicito, stante l'espressa statuizione da parte della C.T.R. in ordine all'eccezione di illegittimità della procedura ex art. 36 bis DPR 600/1973.

I motivi terzo, quarto e quinto (circa la nullità della cartella di pagamento per violazione degli artt. 36 bis DPR 600/1973 e 6 comma 6 L. 212/200, sono del pari infondati.

Come chiarito da questa Corte Cass. (cass. 8342/2012), "in tema di riscossione delle imposte, l'art. 6, comma quinto, della legge 27 luglio 2000, n. 212, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi dell'art. 36 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ma soltanto "qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest'ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso", situazione, quest'ultima, che non ricorre nel caso in cui nella dichiarazione vi sia un mero errore materiale, secondo l'assunto della ricorrente stessa (Cass. 7536/2011).

I motivi sesto, settimo ed ottavo (in ordine alla omessa comunicazione preventiva al contribuente, al fine di ottenere la riduzione delle sanzioni) sono parimenti infondati.

Invero, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’omessa comunicazione dell'invito al pagamento prima dell'iscrizione a ruolo, con la riduzione e per gli effetti previsti dall'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, non determina la nullità di tale iscrizione e degli atti successivi, ma una mera irregolarità, inidonea ad incidere sull'efficacia dell'atto, sia perché non si tratta di condizione di validità, stante la mancata espressa sanzione della nullità, avendo il previo invito al pagamento l'unica funzione di dare al contribuente la possibilità di attenuare le conseguenze sanzionatorie dell'omissione di versamento, sia perché l'interessato può comunque pagare, per estinguere la pretesa fiscale, con riduzione della sanzione, una volta ricevuta la notifica della cartella (Cass. 3366/2013).

I motivi nono, decimo ed undicesimo sono infondati (nullità cartella notificata mediante raccomandata spedita con ricevuta di ritorno, senza che il notificatore provvedesse a redigere la relata di notifica). Questa Corte ha precisato (Cass. 16949/2014) che "in tema di notificazione a mezzo del servizio postale della cartella esattoriale emessa per la riscossione di imposte o sanzioni amministrative, la notificazione può essere eseguita anche mediante inizio, da parte dell'esattore, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si ha per avvenuta alla data indicata nell'avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dai consegnatario (nella specie, il portiere), senza necessità di redigere un'apposita relata di notifica, rispondendo tale soluzione al disposto di cui all'art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che prescrive l’onere per l’esattore di conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione di notifica o l'avviso di ricevimento, in ragione delle forma di notificazione prescelta".

I motivi dodicesimo, tredicesimo e quattordicesimo (nullità della cartella di pagamento per difetto di sottoscrizione) e quindicesimo, sedicesimo e diciassettesimo (nullità della cartella di pagamento per difetto dell'indicazione del responsabile di procedimento) sono del pari infondati.

Giova richiamare il principio di diritto da ultimo affermato da questa Corte (Cass. 25773/2014): "In tema di riscossione delle imposte sul reddito, l'omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente, non comporta l'invalidità dell'atto, la cui esistenza non dipende tanto dall'apposizione dei sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all'organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma dell'art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell'esattore, ma solo la sua intestazione e l'indicazione della causale, tramite apposito numero di codice".

Ancora questa Corte (Cass. 8613/2011; nella specie trattasi di cartella notificata nel gennaio 2005) ha precisato che "in tema di atti tributari, l'art. 7, comma 2, lett. a) della legge 27 luglio 2000, n. 212, il quale dispone che per qualsiasi atto dell'Amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione - e, quindi, anche per le cartelle esattoriali - si debba "tassativamente" indicare il responsabile del procedimento, non comporta, nel caso di omissione di tale indicazione, la nullità dell'atto, non equivalendo la predetta espressione ad una previsione espressa di nullità, come confermato anche dall'art. 36, comma 4-ter, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito nella legge 28 febbraio 2008, n. 31 - norma ritenuta dalla Corte costituzionale, con sent. n. 58 del 2009, non in contrasto con gli artt. 3, 23, 24, 97 e 111 Cost. - che, nell'introdurre specificamente Ia sanzione di nullità per le cartelle non indicanti il nome del responsabile del procedimento, fissa la decorrenza di tale disciplina dal 1° giugno 2008, precisando, con portata interpretativa, che "la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse" (conf. Cass. 15221/2012; Cass. 23747/2013).

I motivi diciottesimo, diciannovesimo e ventesimo (nullità della cartella di pagamento per carenza di motivazione) sono sempre infondati.

Sempre questa Corte (Cass. 25329/2014) ha affermato che "in tema di motivazione della cartella di pagamento, l'atto con cui siano rettificati i risultati della dichiarazione e, quindi, sia esercitata una vera e propria potestà impositiva, va motivato debitamente, dovendosi rendere edotto il contribuente dei fatti su cui si fonda la pretesa, mentre quello con cui si proceda in sede di controllo cartolare ex artt. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, alla liquidazione dell'imposta in base ai dati contenuti nella dichiarazione o rinvenibili negli archivi dell’’anagrafe tributaria, può essere motivato con il mero richiamo alla dichiarazione, poiché il contribuente è già in grado di conoscere i presupposti della pretesa".

Infine, i motivi ventunesimo, ventiduesimo e ventitreesimo (nullità della cartella per la mancata indicazione della data di formazione e trasmissione del ruolo) sono inammissibili, per difetto di autosufficienza, non essendo ritrascritto il contenuto della cartella.

7. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso principale deve essere accolto, respinto il ricorso incidentale, e la sentenza impugnata deve essere cassata; non essendovi necessità di ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va respinto il ricorso introduttivo della contribuente.

Le spese processuali dell'intero giudizio, considerato che l'applicazione dei principi elaborati da questa Corte si presenta non immune da aspetti di problematicità, vanno integralmente compensate tra le parti.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell'intero giudizio.