Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE LAZIO - Ordinanza 10 novembre 2014

Tributi - Agevolazioni fiscali a favore degli immobili di interesse storico-artistico - Determinazione dell'imponibile, ai fini IRPEF ed ICI, in base alla minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato - Beneficio attribuito ai soli "immobili di interesse storico o artistico ai sensi dell'art. 3 della legge n. 1089 del 1939 - Omessa estensione agli immobili sottoposti a vincolo ai sensi dell'art. 21 della medesima legge - Irragionevole diversità di trattamento fiscale tra beni gravati da elevati costi di manutenzione

 

La ricorrente, con il citato ricorso in appello, lamenta quanto già esposto in primo grado e cioè l'essere stata sottoposta a gravosi oneri imposti dalla Soprintendenza per i beni architettonici, che hanno comportato il raddoppio delle ingenti spese pagate per il restauro e la conservazione dello immobile sopra descritto ed, a sostegno della propria richiesta, nuovamente allega sia copia del decreto del Ministro della P.I. sopra citato che le note del Ministero dei beni e le attività culturali, prot. n. 4125 del 24 aprile 2008 e prot. n. 5064 del 28 novembre 2008, dirette all'Amministratore dell'immobile sito in piazza S. Maria Maggiore (...), con le quali si invitava quest'ultimo «a provvedere al restauro e consolidamento» dello stabile dettando numerose prescrizioni concernenti l'impiego di personale specializzato nella restaurazione, la qualità del materiale da impiegare, la tinteggiatura, le parti da sostituire e quelle da conservare mediante particolari accorgimenti, la forma e qualità degli infissi, la sostituzione dei canali di gronda con l'impiego di materiale particolare il tutto «mediante esecuzione di specifiche esemplificazioni e campionature con il personale tecnico della Soprintendenza» nonché onerose prescrizioni meglio descritte in tali note.

 La ricorrente, quindi, rinnova quanto chiesto in primo grado e cioè, in via principale, la condanna dell'Agenzia delle Entrate di Roma 3 e del Comune di Roma al rimborso della differenza tra le imposte pagate, per gli anni 2007, 2008 e 2009, rispettivamente per l'Irpef sul reddito effettivo e per l'ICI su quello attualmente riportato in catasto, rispetto a quanto dovuto in applicazione delle leggi sopra citate, con interessi e rivalutazione dalla domanda al soddisfo, e, in via subordinata, la proposizione della questione di legittimità costituzionale delle leggi sopra citate per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione nella parte in cui non prevedono, per gli immobili di cui all'art. 21 della legge n. 1089 del 1939 (oggi d.lgs. n. 42/2004), lo stesso trattamento fiscale agevolato accordato ai beni di cui all'art. 3 di tale legge costituendo ciò un irragionevole nonché una ingiustificata disparità di trattamento tra proprietari di immobili che versano nelle stesse condizioni perché ugualmente gravati da ingenti spese per la conservazione e la tutela, nell'interesse pubblico, di un bene storico artistico.

A sostegno di tale richiesta la ricorrente richiama la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha individuato la ratio delle leggi dalla stessa richiamate «nella necessità di contemperare l'entità del tributo con le ingenti spese che i proprietari dei beni vincolati sono tenuti ad affrontare per preservare le caratteristiche degli immobili stessi», e le sentenze della Corte costituzionale nn. 345 e 346 del 2003 avente per oggetto le leggi invocate. Allega la circolare del 12 febbraio 1999, n. 34, del Dipartimento Entrate Aff. Giuridici ove nessuna distinzione viene operata in ordine alla tassazione dei beni di cui alla legge n. 1089/1939.

 

Motivi della decisione

 

Questa Commissione, alla stregua del chiaro tenore delle norme in esame e della giurisprudenza tributaria esistente in materia, ritiene non applicabile, in via estensiva, all'edificio in questione il trattamento fiscale, previsto «per gli immobili di interesse storico o artistico ai sensi dell'art. 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089», dall'art. 11, comma 2, della legge n. 413 del 1991 e dall'art. 2, comma 5, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 1993, n. 75.

Ritiene, invece, fondata e rilevante, ai fini della decisione del presente gravame, la questione di costituzionalità delle norme sopra richiamate nella parte in cui i benefici di cui all'art. 3 della legge n. 1089/1939 non si applicano anche agli immobili vincolati ai sensi dell'art. 21 di tale legge. L'accoglimento della eccezione di illegittimità costituzionale invocata non può che avere un rilevante rilievo sulla decisione della presente vertenza essendo decisiva per la relativa decisione.

La Corte costituzionale nel dichiarare, con la sentenza n. 345 del 2003, la illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 5 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, nella parte in cui non si applicava agli immobili di interesse storico o artistico di cui all'art. 4 della legge n. 1089 del 1939, ha statuito, al punto 2.1., quanto segue: «La ratio della agevolazione di cui si tratta va individuata in una esigenza di equità fiscale, derivante dalla considerazione della minore utilità economica che presentano i beni immobili di interesse storico o artistico in conseguenza del complesso di vincoli e limiti cui la loro proprietà è sottoposta. In relazione a tale ratio, occorre, dunque, verificare se la distinzione tra gli immobili di interesse storico o artistico appartenenti a "privati proprietari", di cui all'art. 3 della legge n. 1089 del 1939, e quelli di proprietà di enti pubblici o persone giuridiche private senza scopo di lucro, di cui all'art. 4, sia tale da giustificare un diverso trattamento fiscale, o se invece, sotto questo specifico profilo, essa sia manifestamente arbitraria e, quindi, tale da rendere incostituzionale la limitazione dell'agevolazione fiscale su di essa basata. 

Risulta, pertanto, evidente che la distinzione tra i beni di interesse storico o artistico di cui agli artt. 3 e 4 della legge n. 1089 del 1939 rappresenta un elemento di discrimine manifestamente irragionevole rispetto all'applicazione di un beneficio fiscale che trova - come si è osservato - il suo fondamento oggettivo proprio nella peculiarità del regime giuridico dei beni di cui si tratta. Mentre, d'altro canto, l'esigenza di certezza nei rapporti tributari cui assolve il provvedimento formale previsto dall'art. 3 della legge n. 1089 del 1939 (che, secondo un diffuso orientamento interpretativo, potrebbe mancare, come si è visto, per i beni di cui all'art. 4) ben può essere soddisfatta, per i beni appartenenti agli enti pubblici (o alle persone giuridiche private senza fini di lucro), dalla loro inclusione negli elenchi di cui allo stesso art. 4 della legge ovvero da un atto dell'amministrazione dei beni culturali ricognitivo dell'interesse storico o artistico del bene. Conclusivamente, la norma impugnata va ricondotta a legittimità costituzionale attraverso una pronuncia che ne estenda l'applicazione agli immobili di interesse storico o artistico di cui all'art. 4 della legge 1° giugno 1939, n. 1089.». E' opportuno aggiungere che gli immobili di cui all'art. 21, al contrario di quelli di cui all'art. 4, sono regolarmente catalogati con atto amministrativo (decreto del Ministero della pubblica istruzione) mentre, al pari di quelli di cui all'art. 3, sono sottoposti ad un complesso di vincoli e limiti cui la proprietà è sottoposta, da cui ne deriva una minore utilità economica per la necessità di venire incontro alle maggiori spese di manutenzione e di conservazione che i proprietari sono tenuti ad affrontare per preservare, nell'interesse pubblico, le caratteristiche degli immobili sottoposti a vincolo.

Vale la pena riportare quanto ha statuito, sempre la Corte costituzionale, con altra sentenza, la n. 346/2003, nell'esaminare sotto diverso profilo la legge in questione:

2.1. ... Passando all'esame della questione, nessun dubbio può sussistere sulla legittimità della concessione di un beneficio fiscale relativo agli immobili di interesse storico o artistico, apparendo tale scelta tutt'altro che arbitraria o irragionevole, in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall'art. 9 secondo comma della Costituzione".

 La Suprema Corte di Cassazione, sez. tributaria, da parte sua, ha, ripetutamente, ribadito, anche con recenti decisioni (V. sentenze nn. 11794 e 11891 del 2010), che «la ratio della normativa fiscale di agevolazione riposa nella necessità di venire incontro alle maggiori spese di manutenzione e di conservazione che i proprietari sono tenuti ad affrontare per preservare le caratteristiche degli immobili sottoposti a vincolo e che tali oneri sussistono anche nell'ipotesi in cui la ragione del vincolo riguardi soltanto una porzione dell'immobile, peraltro inscindibile rispetto al tutto.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, infine, al punto 13 della sentenza n. 5518/2011 hanno così deciso: «E' evidente che la disomogeneità che distingue gli immobili di interesse storico o artistico, da un lato, dagli immobili che non siano tali, dall'altro, e che legittima il diverso trattamento fiscale degli uni e degli altri, prescinde necessariamente dalla destinazione d'uso ed anche dalla classificazione catastale che abbiano gli immobili di interesse storico o artistico, essendo tale destinazione, o classificazione, ininfluente al fine di determinarne l'appartenenza alla categoria "protetta". A tanto si aggiunge l'estrema difficoltà di una precisa determinazione del reddito degli immobili in questione "per la forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione di tali beni". Da tali affermazioni si ricava che la ratio legis della disposizione di cui alla legge n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, è data dalla necessità di tenere conto del fatto che i proprietari degli immobili appartenenti alla tipologia considerata dalla norma in questione debbono affrontare, nell'interesse pubblico alla conservazione dei beni culturali, costi di manutenzione così rilevanti da rendere non sicuramente determinabile il reddito effettivo: una riprova può essere data dalla disposizione di cui alla legge n. 133 del 1999, art. 18, lettera c), che conferma il principio stabilito dalla legge n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, per il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi della legge n. 1089 del 1939, art. 3, "inteso a tenere conto dei vincoli gravanti su di essi nonché dell'interesse pubblico alla loro conservazione". Se ciò è vero, come è vero, ha affermato questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide e conferma, "non avrebbe senso logico introdurre, all'interno dell'unitaria categoria degli immobili di interesse storico-artistico, una distinzione tra detti immobili secondo la loro destinazione d'uso o la loro classificazione catastale: né l'interesse pubblico alla conservazione dell'immobile di interesse storico-artistico, né i costi di manutenzione, finalizzati alla tutela di tale interesse, né l'incertezza sulla determinazione del reddito effettivo che l'incidenza di tali costi causa, dipende (né può dipendere) dalla diversa destinazione, abitativa o meno, o dalla diversa classificazione catastale dell'immobile. Sicché limitare l'applicazione della disposizione di cui alla legge n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, ai soli immobili di interesse storico-artistico destinati ad uso abitativo o a quelli classificati in una determinata categoria catastale (ad es. la categoria "A"), significherebbe introdurre nel sistema una distinzione non ragionevole - tenuto conto della ratio legis della norma speciale - e optare, di conseguenza, per un'interpretazione della stessa norma che non sarebbe costituzionalmente orientata" (Cass. n. 14149 del 2009, in motivazione)».

Questa Commissione, rileva:

A) - che è pacifico in fatto che l'immobile del quale è, in parte, usufruttuaria la ricorrente, è stato sottoposto a vincolo, per come è detto nel decreto ministeriale allegato e per come ammette la stessa l'Agenzia delle Entrate, «per la tutela della Basilica di S. Maria Maggiore» e, per come prescrive l'art. 21, legge n. 1089/1939, «ad evitare che sia messa in pericolo la integrità delle cose immobili soggette alle disposizioni della presente legge, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente o di decoro» della detta Basilica di S. Maria Maggiore, bene tra quelli riconosciuti di interesse storico o artistico ai sensi dell'art. 3 legge n. 1089/1939, per cui, è chiaro, che il vincolo riguardante lo stabile per cui è causa, è stato posto a tutela della Basilica di S. Maria Maggiore; 

B) - che il condominio dell'immobile di cui sopra ha dovuto provvedere alla manutenzione e conservazione della facciata, e che, per aderire alle prescrizioni della Soprintendenza ai beni culturali, essendo tale immobile vincolato «a salvaguardia e tutela della Basilica di S. Maria Maggiore», ha dovuto adeguare i lavori alle prescrizioni suddette per cui la spesa prevista è notevolmente aumentata e ciò nell'interesse pubblico di conservazione di un bene storico-artistico;

 C) - che la soluzione di tale problema è indispensabile per la decisione della presente controversia (V. sentenze Corte cost.).

Da quanto sopra risulta in modo pacifico che il fine dichiarato del vincolo, al quale è stato sottoposto l'immobile di cui si discute, è la conseguenza diretta, in un rapporto di causa ad effetto, «della tutela e salvaguardia» della Basilica di S. Maria Maggiore, bene, si ripete, compreso tra quelli di cui all'art. 3 legge n. 1089/1939, vincolo che ha comportato per i condomini un notevole aggravio di spese. E se la ratio della legge che prevede l'agevolazione fiscale è quella, pacificamente individuata dalla Corte costituzionale e dalla Suprema Corte di Cassazione, «di venire incontro alle maggiori spese di manutenzione e di conservazione che i proprietari sono tenuti ad affrontare per preservare le caratteristiche degli immobili sottoposti a vincolo», non si vede come tale immobile possa essere escluso dal beneficio fiscale invocato dal momento che le maggiori spese sopportate dai quei condomini sono la conseguenza diretta del vincolo imposto allo stabile «per la necessità di preservare e tutelare le caratteristiche della Basilica di S. Maria Maggiore», bene artistico vincolato.

È di tutta evidenza che entrambi i vincoli, sia quelli ex art. 3 o ex art. 21, determinano le maggiori spese di cui alla ratio legis individuata dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione per cui un diverso trattamento fiscale appare irragionevole ed in contrasto con i parametri di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2, della legge n. 413 del 1991 e dell'art. 2, comma 5, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 1993, n. 75, in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione laddove limita l'agevolazione fiscale ai fini Irpef ed Ici solo «agli immobili di interesse storico o artistico ai sensi dell'art. 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 e successive modifiche». 

Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.

Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia comunicata alle parti nonché notificata al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati. 

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. 30 settembre 2015, n. 39.