Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 settembre 2015, n. 19412

Tributi - Sanzioni - Incertezza normativa - Risoluzione contrastanti dell’amministrazione finanziaria - Rilevanza

 

Svolgimento del processo

 

Viene proposto da A. s.r.l. rituale ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria della regione Piemonte in data 22.5.2008 n. 12 che aveva accolto l’appello dell’Ufficio di Alba della Agenzia delle Entrate ed, in riforma della decisione di prime cure, aveva dichiarato legittimi gli avvisi di accertamento che avevano liquidato la maggiore IVA dovuta dalla società per gli anni 2000, 2001 e 2003, in relazione a mancata contabilizzazione di corrispettivi ricevuti da A. s.p.a, per prestazioni di servizio ulteriori rispetto alla prestazione principale avente ad oggetto la rivendita in concessione di autoveicoli.

La CTR ha escluso che le somme versate dalla concedente A. s.p.a. potessero ricondursi a sconti, abbuoni o variazioni in diminuzione sul prezzo di acquisto dei veicoli destinati alla rivendita, come tali sottratti dal campo di applicazione IVA, ritenendo invece che si trattasse di corrispettivi legati da vincolo di sinallagmaticità, il cui ammontare era modulato, con funzione incentivante, in relazione ad ulteriori specifiche prestazioni di servizi richieste alla società concessionaria (raggiungimento di standard qualitativi relativi alla organizzazione ed al personale; esecuzione o partecipazione a campagne promozionali di vendila; sviluppo delle strutture e dei servizi informatici), dando luogo in caso di omessa prestazione anche alla risoluzione automatica del contratto.

La società lamenta la erronea interpretazione dei contratti di concessione di vendita prodotti in giudizio, deducendo con quattro motivi vizi di nullità processuale, violazione dei criteri normativi di ermeneusi dei contratti e vizi di insufficiente motivazione.

Resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.

La società ha presentato memoria illustrativa.

 

Motivi della decisione

 

Il primo motivo (vizio di insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.), ed il secondo motivo (vizio di contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.), debbono ritenersi inammissibili.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto il secondo viene a reiterare, in relazione al profilo del vizio di contraddittorietà, la medesima critica svolta con il primo motivo sotto il profilo del vizio di insufficiente motivazione.

Occorre premettere che, in difetto di una definizione positiva della nozione di servizio, contenuta nella VI direttiva CEE del Consiglio 30.5.1977 n, 388 e succ. mod., la stessa deve essere ricercata nella disposizione dell’art. 3, comma 1, Dpr n. 633/72 che, nel testo in vigore ai tempi dei fatti, dispone: "Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d'opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte".

L’art. 26, comma 2 Dpr n. 633/72, nel testo vigente ratione temporis prevede che "Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cederne del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'art. 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'art. 25. Il cessionario o committente, che abbia già registrato l'operazione ai sensi di quest'ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell'art. 23 o dell’art. 24, salvo il suo diritto alla restituzione dell'importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa.

Questa Corte, con specifico riferimento all’art. 26 co 2 del Dpr n. 633/1972, ha definito i confini tra "sconto (od abbuono) commerciale" praticato dal cedente sul prezzo di fornitura -in conseguenza del quale il cedente ha diritto di portare in detrazione ex art. 19 Dpr n 633/72 l’IVA corrisposta sulla nota di variazione, previa registrazione della stessa, ai sensi dell’art. 26 Dpr n. 633/72- e "premi o bonus" riconosciuti ai concessionari di vendita, periodicamente od a fine rapporto, per il raggiungimento di specifici obiettivi o risultati (ad es. volume di affari; ampliamento della clientela; numero di contratti; penetrazione territoriale del mercato, ecc.), ove contrattualmente predeterminati, statuendo che, mentre lo "sconto" è una componente che incide direttamente sul prezzo della merce compravenduta o del servizio scambiato, riducendone l’ammontare dovuto per le singole operazioni compiute, il "premio di fine anno" è, invece, un contributo autonomo riconosciuto indistintamente a fine esercizio al cliente al raggiungimento di un determinato fatturato o comunque per incentivarlo a futuri acquisti (cfr. Corte cass. V sez. 5.3.2007 n. 5006; id. V sez. 19.3.2007 n. 6475). Il nucleo della argomentazione logica della sentenza di appello, che ripete sostanzialmente le tesi sviluppate nella risoluzione della Agenzia delle Entrate del 17/09/2004 n. 120 si articola su due piani:

a) la accertata relazione di corrispettività tra i "bonus" riconosciuti ed i risultati concernenti standards qualitativi richiesti alla concessionaria e dipendenti dallo svolgimento di specifiche attività (qualificate fiscalmente come servizi);

b) l’assunzione in contratto dell’impegno da parte della concessionaria della esecuzione di dette attività, ritenute pertanto oggetto di obbligazione, risultando sanzionato con clausola risolutiva espressa l’inadempimento "per carenze di strutture o personale, per mancati raggiungimenti degli obiettivi contrattuali di vendita o di mercato" (sentenza CTR, in motiv. pag. 9).

Tali elementi vengono riconosciuti dalla CTR come indicativi della pattuizione di "bonus cd. Qualitativi" ("costituendo la remunerazione di attività che il concessionario svolge in aggiunta a quella principale di compravendita la terminologia è tratta dalla risoluzione n. 120/JK), che debbono pertanto essere fatturati dal concessionario, e non di "bonus c.d. quantitativi" (che invece configurano "incentivi corrisposti in vista dell'incremento del numero delle vendite, si traducono in una corrispondente riduzione dei prezzi originariamente praticati dulia Società all’atto della cessione dei prodotti al concessionario" -ibidem-) e che legittimano l’applicazione dell’art. 26 Dpr n. 633/72.

La CTR piemontese, sulla scorta dell’esame delle disposizioni dei contratti di concessione di vendita, ha ritenuto che le prestazioni individuate negli allegati al contratto sotto le voci "Standard organizzativi per concessionario A.U.D.I. (in cui erano previsti livelli standard minimi attinenti "alle strutture di vendita, all’organizzazione del personale, alla predisposizione di un adeguato sistema informativo, all’esecuzione di attività promozionale nonché "Bonus per indice soddisfazione cliente" (connessi al punteggio attribuito in relazione al grado di soddisfazione della clientela rilevato in base ad una indagine commessa a soggetto terzo), il cui mancato raggiungimento comportava inadempimento sanzionato con clausola risolutiva espressa, integrassero autonome obbligazioni -rispetto a quella principale di rivendita degli autoveicoli- aventi ad oggetto un "facere", assunte dalla società concessionaria, e che i "bonus" corrisposti in dipendenza del perseguimento di determinati risultati connessi all’espletamento di quelle prestazioni configurassero veri e propri corrispettivi dovuti dalla concessionaria (volti a remunerare tali prestazioni e dunque in relazione sinallagmatica), sussistendo pertanto i presupposti impositivi di cui all’art 3 co 1 Dpr n. 633/72.

Tanto premesso appare meramente di stile la critica di "insufficienza motivazionale" svolta alla sentenza di appello in relazione al richiamo -operato dalla CTR- alle indicazioni interpretative fornite dalla Ag. Entrate con la risoluzione n. 120/E 2004, in quanto, secondo la società ricorrente, non pertinenti alla fattispecie, riguardando un’altra tipologia di contratti di concessione di vendita. La censura difetta di autosufficienza in quanto non è affatto dimostrato (né peraltro è argomentato) come tale "richiamo" a detti criteri interpretativi diretti ad accertare la autonomia e corrispettività delle prestazioni- abbia in concreto inficiato la validità della argomentazione logica sopra descritta (in particolare la società ricorrente non tornisce alcuna specifica critica attinente all’erroneo impiego di uno o più dei predetti criteri, né tanto meno alcuna indicazione circa la inapplicabilità degli stessi con riferimento alla fattispecie concreta oggetto di esame da parte della CTR).

Del pari non è conducente a dimostrare la contraddittorietà logica della conclusione raggiunta dalla CTR, la critica di illogicità interna ai passaggi motivazionali -contenuti nella pagina 12 della sentenza di appello- con i quali i Giudici di appello hanno inteso ampliare soltanto "ad abundantiam" (fornendo alcune esemplificazioni "a contrario") la illustrazione delle ragioni già diffusamente esposte a sostegno della conclusione del carattere autonomo e non accessorio e della natura corrispettiva delle prestazioni di servizi (non oggetto della obbligazione principale) la cui esecuzione dava luogo alla erogazione dei "bonus", volendo semplicemente ribadire, pur se con esposizione incerta e con riferimenti a nozioni giuridiche non coerenti con i precedenti enunciati gli accertamenti in fatto, che la nozione di sconto od abbuono prescinde dal nesso sinallagmatico tra le prestazioni, a tal fine richiamando confusamente le nozioni di corrispettività tra le prestazioni (attinente alla interdipendenza causale delle prestazioni), di onerosità o gratuità del contratto (attinente alla commutatività delle prestazioni, e cioè alla determinazione del quantum del vantaggio e del sacrificio che le partì conseguono dalla esecuzione del contratto), fino ad ipotizzare -nel tentativo di fornire un esempio alternativo al nesso di corrispettività- una "sostanziale coincidenza" dello sconto ed abbuono praticato dalla concedente con una sorta di "atto di liberalità" rivolto indiscriminatamente a favore di tutti i concessionari, "indipendentemente" dal raggiungimento dei risultati prefissati ed in assenza di obbligazioni assunte dalle parti, oppure ancora -sempre inseguendo virtuali ed ipotetiche ricostruzioni alternative- ravvisando nel pagamento del bonus una "prestazione aleatoria" (cfr. sentenza CTR, in motivazione pag. 12), ipotesi queste, che evidenziano uno sforzo immaginativo pletorico e superfluo definitosi in esempi astratti incongrui o non pertinenti che, tuttavia, non inficiano la validità del criterio discretivo, esposto nei precedenti passaggi motivazionali, utilizzato dalla stessa CTR per qualificare la natura delle prestazioni contrattuali in questione, alla stregua della distinzione tra "bonus qualitativi" (intesi come contributi o premi in relazione all'espletamento di determinate attività collaterali ma distinte dalla prestazione principale -rivendita autoveicoli - dedotta in contratto, e quindi assoggettati ad IVA in quanto da ritenere veri e propri corrispettivi accessori), e "bonus quantitativi" (tali essendo le variazioni in diminuzione ex post del prezzo di acquisto dei veicoli, riconosciute dalla concedente alla concessionaria in relazione a risultati -generalmente relativi al fatturato realizzato- conseguiti nella esecuzione della prestazione principale dedotta in contratto - rivendita di autoveicoli).

Pertanto, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, le inappropriate e superflue digressioni svolte in motivazione dalla CTR nel tentativo di aggiungere ulteriori "chiarimenti esplicativi", non inficia la struttura logica della motivazione fondata sugli altri argomenti logici sopra riportati, né l'esito della decisione, dovendosi soltanto correggere tale ultronea ed inutile esposizione del Giudice di appello -investita dalla critica mossa con il motivo di ricorso in esame-, rimanendo fermo, invece, il nucleo portante della motivazione fondato sulla ritenuta corrispettività tra le prestazioni (servizi ulteriori ed erogazione dei bonus) e sulla alterità dei maggiori servizi richiesti alla Concessionaria rispetto alla prestazione principale del contratto, in quanto da ritenersi, ai sensi dell’art. 3 co 1 Dpr n. 633/1972, autonome prestazioni di servizio, fondate su vincolo obbligatorio, ai fini dell’assoggettamento ad IVA.

La contestazione di insufficienza o contraddittorietà logica rivolta ai passaggi della motivazione indicati, non assume pertanto il carattere di "decisività" richiesto dall’art. 360 co 1 n. 5 c.p.c. e determina la inammissibilità delle censure.

Quanto alla contestazione dell’errore commesso dalla CTR nel rilevare il vincolo obbligatorio avente ad oggetto la esecuzione delle prestazioni "accessorie" compensate con i bonus, desumendola dall’esame delle clausole di risoluzione del contratto, sostenendo la parte ricorrente che invece tali clausole, secondo gli ordinari criteri ermeneutici dei contratti ed in particolare il criterio del significato fatto palese dalle parole, non potevano riferirsi alle prestazioni concernenti il raggiungimento di risultati considerati dalle parti come meramente eventuali, in quanto rimessi alla libera iniziativa della società concessionaria, rileva il Collegio che la censura è inammissibile sia per errore nella individuazione del paradigma normativo alla stregua del quale è richiesto il sindacato di legittimità, sia per carenza di autosufficienza.

Quanto al primo aspetto il motivo è inammissibile, intendendo far valere la società ricorrente la erronea applicazione di criteri ermeneutici dei contratti, e quindi un "errar in judicando" che doveva essere dedotto come vizio di violazione di norme di diritto ex art. 360 co 1 n. 3 c.p.c. e non come vizio logico di motivazione.

Quanto al secondo aspetto, la mancata trascrizione dell’intero contenuto delle disposizioni contrattuali atte a rilevare e qualificare la o le prestazioni principali, quelle accessorie od aggiuntive, ed a verificare, mediante la necessaria attività interpretativa del negozio, quali siano le violazioni dell’accordo ritenute essenziali dalle parti attraverso la previsione di clausole risolutive automatiche per l’inadempimento (l’Agenzia fiscale, nel controricorso, afferma che altri articoli del contratto - non riprodotti - avrebbero inteso le "prestazioni aggiuntive" come essenziali), non consente alcuna verifica della fondatezza della censura.

Dalle disposizioni contrattuali riprodotte soltanto in stralcio, non è dato, infatti, accertare le prestazioni collegate alle clausole risolutive di cui all’art 20, punti 3 e 6 del contratto (cfr. ricorso pag. 38-40) ed in particolare ad attività connesse al raggiungimento dei risultati per i quali la società concedente si obbliga a versare i bonus.

Dagli stralci del contratto e dalle argomentazioni svolte dalla ricorrente, sembrerebbe, infatti doversi distinguere un contenuto obbligatorio (che comprende certamente la prestazione principale di rivendita dei veicoli, ma anche, a quanto pare -in difetto di trascrizione del contenuto dell’allegato 4 del contratto- il conseguimento ed il mantenimento di "standard minimi relativi alla erogazione dei servizi connessi o di altri servizi, al di sotto dei quali si verificherebbe inadempimento contrattuale) da un contenuto, invece, meramente eventuale, in quanto condizionato dalla libera iniziativa della società concessionaria, concernente, tanto un mero incremento quantitativo della prestazione principale (dedotto non "in obligatione sed in condicione"), quanto, sembra, nella effettuazione di attività diverse dalla prestazione principale se pure ad essa funzionali e connesse, non essendo tuttavia evincibili dalle parziali trascrizioni del contratto quali e quante fossero le prestazioni di servizi dedotte in obbligazione, né quali tra esse si ponessero in relazione di autonomia od accessorietà con la obbligazione principale (il richiamo, contenuto nella memoria illustrativa della società, al precedente di questa Corte V sez. 10.6.2011 n. 12751, non è dirimente, atteso che in quella sentenza, con accertamento in fatto condotto alla stregua del testo contrattuale, era stato ritenuto il carattere sostanzialmente unitario della prestazione principale assoggettata ad IVA non essendo state individuate ulteriori, autonome, prestazioni aggiuntive, non riconducibili funzionalmente a quella principale).

Neppure è specificato dalla parte ricorrente l’esatto contenuto della "prestazione" (erogazione dei bonus) posta a carico della società Concedente. Il termine "bonus", infatti ha contenuto meramente descrittivo di una utilità ma non del contenuto della stessa (premio in denaro; sconto od abbuono sul prezzo indicato nelle fatture di acquisto dei veicoli; attribuzione di altri benefici), contenuto che appare rilevante ai fini della decisione, dovendo evidentemente distinguersi applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente" (che autorizza, ai sensi dell’art. 26 co. 2 Dpr n. 633/72, nel testo in vigore ratione temporis- la variazione in diminuzione della base imponibile e dunque dell'IVA) dalla concessione dei "premi" (che non consente, invece, tale variazione in diminuzione). Dagli stralci degli allegati e delle disposizioni contrattuali, non risulta, infatti, che la erogazione dei "bonus", consistenti in versamenti di somme di denaro effettuate dalla società Concedente, sia stata considerata dalle parti come decurtazione dall’importo del prezzo fatturato. Tanto l’allegato 2.2., lett. 1, n. 3 (Bonus per Indice Soddisfazione cliente - ISC), quanto l’allegato 2.2., lett. 1, il. 2 (Standard organizzativi per il concessionario AUDI), riportati per stralcio nel ricorso, dispongono, rispettivamente, che "A condizione che il concessionario abbia raggiunto nell’ambito del programma "il cliente prima di tutto" il punteggio minimo convenuto ed indicato nei relativi prospetti, partecipando attivamente alla precitata indagine ed attuando i relativi piani di lavoro secondo le linee concordate, al Concessionario medesimo verrà riconosciuto ...un bonus...% sul fatturalo dal Fornitore al Concessionario relativo alle autovetture consegnate ai clienti nel quadrimestre" (cfr. ricorso pag. 33) e che "A condizione che il concessionario abbia realizzato gli standard previsti nel Contratto di Concessione come da allegato 4, al Concessionario medesimo verrei riconosciuto ...un bonus...% sul fatturato dal Fornitore al Concessionario relativo alle autovetture consegnate ai clienti nel quadrimestre" (cfr. ricorso , pag. 59).

Alcun riferimento è contenuto in tali clausole al prezzo di acquisto dei veicoli corrisposto dalla società concessionaria: non si concorda, infatti, alcuna restituzione parziale del prezzo, né le parti hanno convenuto di procedere alla variazione in diminuzione degli importi fatturati, ai sensi dell’art. 26 co 2 Dpr n. 633/72. Ie disposizioni negoziali sopra trascritte sembrano prevedere, soltanto, il pagamento di una somma determinata in base a parametri percentuali rapportati al volume di affari della concedente: se così fosse si tratterebbe dunque di un "premio" e non di uno "sconto od abbuono" incidente sul prezzo di acquisto dei veicoli, estraneo al campo di applicazione dell’art. 26, comma 2, Dpr n. 633/72, non riconducibile alla categoria degli atti di liberalità quanto piuttosto il corrispettivo di una prestazione relativa ad un’obbligazione di risultato (così giurisprudenza SC Sez. 5, Sentenza n. 5006 del 05/03/2007; ìd. Sez. 5, Sentenza n. 6475 del 19/03/2007; id. Sez. 6 - 5, Ordinanze n. 5208 del 30/03/2012).

Il terzo motivo con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, en 1371 c.c., in relazione all’art. 360 co 1 n. 3 c.p.c. è inammissibile per inidoneità del "quesito di diritto" formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.

Il quesito non consente, infatti, alla Corte di assolvere ai compito nomofilattico in quanto, da un lato, si prescinde del tutto dalla fattispecie concreta, essendo soltanto astrattamente descritta la violazione delle norme indicate in rubrica ("dica la Corte se...incorre in violazione ...dei criteri legali di ermeneutica contrattuale...la sentenza impugnata che ometta di interpretare le clausole contrattuali alla luce del prioritario criterio del tenore letterale delle parole disattendendo anche la comune intenzione delle parti, oltre che l’equo contemperamento di interessi delle parti); dall’altro si limita tautologicamente a reiterare l’enunciato normativo, chiedendo alla Corte se debbano osservarsi i criteri ermeneutici degli atti negoziali da impiegare nell’ordine tassativo indicato dalle norme.

Il quarto motivo censura la sentenza di appello per vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 co 1 n. 4 c.p.c., in quanto la CTR non avrebbe provveduto ad esaminare la richiesta subordinata, proposta con il ricorso introduttivo e riproposta dalla società nella memoria di costituzione in grado di appello, di disapplicazione delle sanzioni pecuniarie ai sensi degli artt. 8 Dlgs n. 546/92 e 10 co 3 legge n. 212/2000 per obiettive condizioni di incertezza sulla portata delle norme tributarie sullo "sconto", dimostrata nella specie -secondo la ricorrente- dalla circostanza che A. s.p.a. aveva presentato apposito interpello sui dubbi applicativi della norma in ordine al quale la Agenzia fiscale aveva ritenuto necessario di dover provvedere a fornire chiarimenti con la risoluzione n. 120/E del 2004.

La CTR ha omesso del tutto di esaminare la domanda subordinata ritualmente formulata dalla società contribuente. Il rilevato vizio processuale di omessa pronuncia, tuttavia, non determina per ciò stesso l'accoglimento del ricorso e la conseguente rimessione della causa al giudice di rinvio affinché pronunci sulla questione pretermessa, allorquando la questione di diritto sulla quale il Giudice di merito non ha pronunciato non richieda, come nel caso di specie, ulteriori accertamenti in fatto, in quanto -secondo la costante giurisprudenza di legittimità- a questa Corte è consentito, alla stregua di una interpretazione dell’art. 384 co 2 c.p.c., costituzionalmente orientata ai principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., di non disporre il rinvio della causa in seguito alla cassazione della sentenza impugnata, decidendo la causa nel merito (cfr. Corte cass. II sez, 1.2.2010 n. 2313; id. I sez. 22.11.2010 n. 23581; id. sez. lav. 3.3.2011 n. 5139; id. Sez. 3, Sentenza n. 15112 del 17/06/2013; id. Sez. 1, Sentenza n. 28663 del 27/12/2013; Sez, 6 - 3, Ordinanza n, 21257 del 08/10/2014).

La domanda di applicazione della esimente di cui agli arti. 10 co 3 legge n. 212/2000, 8 Dlgs n. 546/1992, e 6 co 2 Dlgs n. 472/1997, deve ritenersi fondata.

La società contribuente, a sostegno della incertezza normativa, aveva addotto specifici e convergenti elementi indiziari, quali l’ondivago comportamento amministrativo della P.A., più volte ritornata, con soluzioni divergenti, sulla stessa materia (risoluzione n. 120/E del 17.9.2004; risoluzione n. 36/E del 7.2.2008; nota Agenzia Entrate n. 2009/74786), le ammissioni dell’Agenzia fiscale che aveva dato atto che "la questione ha dato origine, in particolare a partire dal 2007, ad un diffuso contenzioso" prevalentemente conclusosi nei gradi merito in senso sfavorevole agli Uffici finanziari.

Con riferimento alla specifica questione, gli elementi giustificativi della allegata incertezza sono stati già oggetto di accertamento da parte di questa Corte nel precedente della V sez. 29.7.2014 n. 17250, che ha ritenuto dirimente il rilievo secondo cui proprio l’Amministrazione finanziaria aveva ritenuto opportuno disporre che gli Uffici procedessero ad un riesame degli accertamenti già effettuati, "in ragione delle difficoltà connesse, per un verso, alla netta differenziazione, all'interno dei singoli contratti conclusi fra concessionari e casa madre, fra bonus c.d. quantitativi - considerati esenti da IVA in quanto soggetti alla disciplina di abbuoni e sconti- e bonus qualitativi - invece qualificati come relativi a prestazioni di servizio aggiuntive da parte dei concessionari, come tali soggetti ad IVA alla stregua del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 1".

Non pare dubbio che l’accertamento compiuto nel precedente giurisprudenziale richiamato, assuma rilevanza anche nel presente giudizio, tenuto conto che, per giurisprudenza costante della Corte, la valutazione della obiettiva incertezza sulla portata applicativa della norma tributaria, non deve essere riferita al dubbio soggettivo prospettato dall’interpellante, o ancora alla valutazione di incertezza effettuata dalla Agenzia fiscale interpellata, e dunque a circostanze fattuali suscettibili di variare in relazione alle diverse fattispecie concrete dedotte in giudizio, ma sussiste errore esimente, determinato dalla incertezza normativa -proprio per non sconfinare nell’arbitrio interpretativo dei singoli contribuenti o degli Uffici finanziari-, soltanto quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, con un coordinamento concettualmente difficoltoso per equivocità di contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente (cfr, Corte cass. Sez, 6 - 5, Ordinanza n. 18031 del 24/07/2013), e che deve dare luogo ad insicurezza del risultato interpretativo ottenuto, riferibile non già ad un contribuente generico o professionalmente qualificato o all'Ufficio finanziario, bensì al Giudice, unico soggetto dell'ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 13457 del 27/07/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 18434 del 26/10/2012; id, Sez. 5, Sentenza n. 4522 del 22/02/2013; id, Sez. 6-5, Ordinanza n. 4394 del 24/02/2014).

Tale quadro oggettivo è stato considerato nel precedente richiamato ed il Collegio ad esso può dunque fare riferimento, in difetto -peraltro- di qualsiasi apprezzabile contraria deduzione formulata dalla Agenzia fiscale resistente.

In conclusione il ricorso deve essere accolto, quanto al quarto motivo (inammissibili gli atri motivi); la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e, non occorrendo procedere ad ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 co 2 c.p.c. con l’accoglimento del ricorso introduttivo, limitatamente alla inapplicabilità delle sanzioni pecuniarie irrogate.

Le evidenziate incertezze nella interpretazione delle norme tributarie da applicare alla fattispecie controversa, legittimano la integrale compensazione delle spese di lite dell'intero giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, limitatamente al quarto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso introduttivo, limitatamente alla inapplicabilità delle sanzioni pecuniarie irrogate.

- Dichiara interamente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.