Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 settembre 2015, n. 19419

Tributi - IVA - Fatture soggettivamente false - Detrazione - Non sussiste - Imposte sui redditi - Deduzione - Sussiste

 

Fatto

 

La società ha impugnato avvisi di accertamento e la conseguente cartella di pagamento con i quali, in relazione all'anno d'imposta 1998, l'Agenzia delle entrate aveva accertato una maggiore Irpeg ed una maggiore Irap ed aveva recuperato l'imposta sul valore aggiunto detratta dalla contribuente in base a fatture emesse dalla s.r.l. G., la quale, secondo l'ufficio, era fittizia venditrice e, prima ancora, fittizia acquirente dal reale venditore, in quanto priva di qualsiasi struttura materiale, ottenendone l'annullamento dalla Commissione tributaria provinciale. Di contro, quella regionale ha accolto l'appello dell'Agenzia, evidenziando la mancanza di qualsivoglia struttura materiale della G. s.r.l. e l’irrilevanza dell’apparente pagamento con assegni e dell'assoluzione in sede penale dell’amministratore.

Avverso questa sentenza propone ricorso la contribuente per ottenerne la cassazione, affidandolo a sei motivi, che illustra con memoria ex art. 378 c.p.c., cui l'Agenzia replica con controricorso.

 

Diritto

 

1. - Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero, estraneo alle precedenti fasi del giudizio.

2. - Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono inammissibili, perché corredati di quesiti del tutto inidonei, disancorati dagli elementi rilevanti nella fattispecie concreta e congegnati come meri interpelli della Corte in ordine, rispettivamente, alla possibile valutazione degli elementi probatori acquisiti in sede penale (senza esplicazione alcuna di essi) ai fini dell'accertamento e del contenzioso tributario -secondo motivo- ed all'attribuzione dell'onere della prova in ordine alla dedotta inesistenza delle operazioni -terzo motivo. Irrilevanti, ad ogni modo, sono le deduzioni di fatto contenute in memoria conciate all’intervenuta assoluzione dell’amministratore della società dal reato contestagli in relazione alla vicenda in oggetto, sia in ragione della natura meramente illustrativa e non integrativa della memoria, sia della circostanza che non vi è prova che la sentenza di merito allegata sia divenuta cosa giudicata.

3. - Parimenti inammissibili sono il quinto ed il sesto motivo di ricorso, anch'essi corredati di quesiti formulati in maniera incongrua, perché volti ad interpellare la Corte sulla sussistenza di un obbligo di costituzione della parte resistente in appello e sulla qualificabilità in termini di acquiescenza della mancata costituzione -quinto motivo- nonché sull'esistenza dell’obbligo di presenziare nella pubblica udienza di discussione, pena la valutazione dell'assenza come rinuncia alla difesa -sesto motivo.

A ciò si aggiunge la considerazione che entrambi i motivi non colgono la ratio decidendi, essendosi il giudice d'appello limitato ad affermare che il compendio probatorio offerto dall'ufficio «...non è smentito dalla Distribuzione Carni, che oggi non è neppure comparsa».

4. - I restanti due motivi, che vanno esaminati congiuntamente, perché connessi, con i quali la società lamenta, ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., la violazione degli articoli 39 e 40 del d.p.r. n. 600 del 1973, là dove si è ritenuto legittimo un accertamento induttivo pure in assenza di irregolarità riscontrabili nella contabilità -primo motivo- nonché, ex art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla natura fraudolenta delle operazioni -quarto motivo- sono fondati limitatamente alle imposte dirette e nei confini di seguito precisati.

4.1. -La fatturazione per operazione soggettivamente inesistente postula, come nel nostro caso, che la fornitura sia stata acquisita effettivamente dal contribuente, ma che la merce sia stata fornita da soggetto diverso dal fatturante, di solito fittizio o comunque incapace di svolgere quell'attività. In questo caso, riva che il cessionario assume di aver pagato al cedente per l'operazione soggettivamente inesistente, ossia per la cessione non effettuata da quel preteso cedente, non è detraibile, perché pagata ad un soggetto che non era legittimato alla rivalsa né era assoggettato all'obbligo di pagamento dell'imposta: e ciò in quanto, ha rilevato la Corte di giustizia, il diritto di detrarre riva fatturata è connesso, come regola generale, all’effettiva realizzazione di un'operazione imponibile e l’esercizio di tale diritto non si estende all’Iva dovuta esclusivamente per il fatto di essere indicata in fattura (Corte giust. 31 gennaio 2013, C-643/11, punto 34; C-563/03, Antonio Jorge, punti 24 e 25; Corte giust. 15 marzo 2007, C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken, punto 23). Occorre, dunque, che i beni o servizi invocati a base del diritto di detrazione siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette ad imposta e che a monte detti beni o servizi siano fomiti da altro soggetto passivo.

Questi principi si specchiano nel Io comma dell’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972, che configura come presupposto della detrazione dell’Iva l’effettuazione di un’operazione, là dove tale presupposto «...deve ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell'operazione non coincidano con quelli della fatturazione» (in termini, fra varie, Cass. 19 settembre 2012, n. 15741 e 13 marzo 2013, n. 6229).

4.1. - Ciò posto, tocca a chi chiede la detrazione dell'Iva provare che ricorrono i presupposti per fruirne e l’amministrazione tributaria, qualora constati che il diritto a detrazione sia stato esercitato fraudolentemente, è autorizzata a chiedere, retroattivamente, il rimborso delle somme detratte (tra varie, Corte giust. 29 marzo 2012, C-414/10, Yaleclair SA, punto 32).

Nel caso dell’operazione soggettivamente inesistente, tuttavia, gli oneri incombenti su chi invochi il diritto di detrazione risultano temperati, in applicazione dei principi della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto: l'esercizio del diritto alla detrazione dell’Iva versata a soggetto diverso dal cedente/prestatore che, ha tuttavia, emesso la fattura, va negato, nel rispetto, peraltro, delle norme nazionali sull’onere della prova, al cospetto di oggettivi elementi, anche presuntivi, che inducano ad escludere la buona fede del committente/cessionario; buona fede configurabile qualora il committente/cessionario, pur avendo adottato tutte le ragionevoli precauzioni, non abbia avuto e non potesse avere la consapevolezza di partecipare, col proprio acquisto, ad un illecito fiscale dell'emittente delle fatture contestate (vedi, in particolare, Corte giust. 31 gennaio 2013, C-643/11, cit., punto 52, che, nell’escludere che il principio di certezza del diritto osti al diniego di detrarre l’Iva a monte nei confronti del destinatario di una fattura, fa leva sulla mancanza di qualsivoglia indizio che «faccia presumere che l’interessato non fosse in grado di orientarsi in modo utile per quanto concerne l'applicazione di tali normative», rileva in tema anche Corte giust. 6 dicembre 2012, C- 285/11, Bonik EOOD, la quale, peraltro, si riferisce ad un caso in cui non era emerso che i fornitori della società che aveva esercitato il diritto di detrazione erano società cartiere, ma in cui, soltanto, non v’era prova che i fornitori si fossero a loro volta approvvigionati dei beni forniti da altri soggetti: punto 15 della sentenza).

A tanto la Corte di giustizia ha aggiunto che non si può esigere in generale che il destinatario della fattura, soprattutto in caso in cui l’amministrazione tributaria si basi, per affermare l'inesistenza dell'operazione imponibile, su lacune nella contabilità dell’emittente della fattura, verifichi l’esistenza dei beni in questione e la possibilità dell’emittente di fornirli (Corte giust. 31 gennaio 2013, cit., punto 61).

4.2. -In ipotesi, tuttavia, di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente che abbia comportato l’acquisizione diretta, da parte del cessionario, di una prestazione eseguita da soggetto diverso dall’emittente della fattura (emittente privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione), l'immediatezza dei rapporti fra l'emittente ed il destinatario della fattura è forte indice oggettivo capace di escludere l’ignoranza incolpevole del cessionario: in tal caso, dunque, sarà il cessionario a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era non l'emittente della fattura, ma altro soggetto (espressamente in termini, Cass. n. 6229/2013, cit.; fa leva sull’onere di diligenza dell’operatore avveduto anche Cass. 22 febbraio 2013, n. 4525).

Non rilevano, in particolare, i dati emergenti dalla contabilità, giacché è proprio la conformazione della fatturazione per operazione soggettivamente inesistente dinanzi descritta a postulare l’esistenza di documenti contabili che formalmente riferiscano gli acquisti al soggetto fittiziamente interposto.

A fronte, dunque, del l'accertamento di fatto contenuto in sentenza, secondo cui la G. non aveva «altra struttura materiale che un computer e una stanzetta -con cui intratteneva cospicui rapporti d’affari non solo con la D.C. ma anche con altre diverse società del ramo, senza alcuna possibilità di s toccar e neppure per pochi minuti del bestiame né vivo né morto», le circostanze dedotte co! quarto motivo in ordine all'effettività dell'acquisto delle carni, del loro pagamento e della fatturazione, all'ingresso delle carni in Italia corredato di regolari DDT e del timbro di controllo CEE ed alle dichiarazioni degli operanti, il contenuto delle quali non è riportato, sono del tutto irrilevanti. D'altronde, la natura dell’attività (commercio di carni), contrassegnata da un’elevata deperibilità, comporta, secondo l’id quod plerumque accidit, assidui e diretti contatti tra acquirente e venditore, idonei a consentire al primo di rendersi conto delle caratteristiche del secondo.

La pretesa tributaria concernente l’Iva è dunque senz’altro legittima.

5. - In tema di imposte sui redditi, tuttavia, ai sensi dell'art. 14, comma 4 bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (nella formulazione introdotta con l'art. 8, comma 1, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. in legge 26 aprile 2012 n. 44), che opera, in ragione del precedente comma 3, quale ius superveniens con efficacia retroattiva in bonam partem, sono, deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o no, in una frode carosello), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (tra le più recenti, vedi Cass. 17 dicembre 2014, n. 26461 e 30 ottobre 2013, n. 24426).

5.1 La disposizione richiamala ha difatti stabilito che «non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale ovvero ima sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi», aggiungendo, al 3° comma, che «le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dal comma bis dell'articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell'entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi.

Resta ferma l'applicabilità delle previsioni di cui al periodo precedente ed ai commi 1 e 2 anche per la determinazione del valore della produzione netta ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive».

5.1- La sentenza va quindi sul punto cassata, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio per la verifica, ai fini delle sole imposte dirette, dei requisiti di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità dei relativi costi e della regolazione delle spese.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero, dichiara inammissibili il secondo, il terzo, il quinto ed il sesto motivo di ricorso, accoglie nel senso di cui in motivazione i restanti due, cassa sul punto la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.