Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 settembre 2015, n. 19039

Pubblico impiego - Trasferimento per incompatibilità ambientale - Mancato superamento del periodo di prova - Legittimo

 

Svolgimento dei processo

 

1. - Con sentenza del 18 dicembre 2008 la Corte di Appello di Trento - sezione distaccata di Bolzano ha respinto l'appello proposto da A.P., dipendente della locale Provincia Autonoma, in forza sin dal 1° settembre 1999 presso il posto di custodia ittico-venatoria di Bolzano-Bassa Atesina, avverso la sentenza del primo giudice che aveva respinto il ricorso di questi, volto, in via principale, a sentir dichiarare l'illegittimità del trasferimento per incompatibilità ambientale attuato in data 24 gennaio 2007, o, in via subordinata, a sentir dichiarare l'illegittimità del medesimo trasferimento, "in quanto superato il periodo di prova con scadenza 2/11/2006", pattuito in sede conciliativa dalle parti il 10 aprile 2006.

Con ricorso del 30 novembre 2009 il P. ha domandato la cassazione della sentenza per 2 motivi. Ha resistito con controricorso la Provincia Autonoma di X.

 

Motivi della decisione

 

2. - Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2096 c.c. nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 del contratto intercompartimentale 2001-2004 valido per i dipendenti della Provincia di X ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.

Avuto riguardo al verbale sottoscritto dalle parti innanzi alla commissione di conciliazione, ove si stabiliva che entro sei mesi dal 2 maggio 2006 l'amministrazione avrebbe dovuto adottare "una decisione definitiva riguardo la permanenza del Sig. P. presso l'Ufficio caccia e pesca, con la conseguenza che, in caso di esito negativo del periodo di sperimentazione, il dipendente avrebbe rinunciato ad impugnare il decreto di trasferimento, il ricorrente lamenta che i giudici d'appello da una parte avrebbero qualificato tale periodo ''come patto di prova valido" ma, per altro verso, avrebbero escluso l'applicabilità dei principi generali in materia di patto di prova: in particolare il principio del rispetto del termine, superato il quale il rapporto di lavoro si intende consolidato (art. 2096, c.c., ult co.).

In conclusione si interroga la Corte "se qualificato un periodo di lavoro come <patto di prova valido> il giudice di merito possa prescindere, ai fini della comunicazione del mancato superamento dello stesso, del temine di scadenza di sei mesi indicato dalle parti".

La censura è priva di fondamento.

La disciplina legale invocata - quella contrattuale non viene riportata nel corpo del motivo con violazione del precetto della necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione - riguarda il patto di prova cui può essere condizionata la definitiva assunzione del dipendente e non certo la clausola negoziale contenuta nell'accordo conciliativo del 10 aprile 2006 con cui veniva differito il trasferimento per incompatibilità ambientale, essendo il P. già dipendente della Provincia dal 1999.

La Corte territoriale ha fornito una adeguata interpretazione dell'accordo contenuto nel verbale di conciliazione del 10 aprile 2006 - non suscettibile di censura in questa sede di legittimità - ritenendo che con esso le parti avevano condiviso il "fatto che una potenziale situazione di incompatibilità ambientale si era venuta a creare e che il dipendente aveva sei mesi di tempo per dimostrare di averla superata e quindi di essere in grado di mettere a disposizione le proprie energie lavorative nel posto di lavoro già occupato senza mettere a repentaglio la funzionalità dell'ufficio sotto il profilo della sua credibilità esterna; ciò che "l'amministrazione voleva conoscere, e che il lavoratore aveva acconsentito a far sperimentare, ... era proprio la capacità del dipendente di avere una buona relazione organica con l'ufficio".

Evidente, dunque, che al di là della definizione di tale clausola come "patto di prova", od essa non può certo applicarsi la disciplina codicistica dì cui all’art. 2096 prevista per la sperimentazione finalizzata non ad una verifica di compatibilità ambientale nell'ambito di una procedura di trasferimento bensì all'assunzione di un dipendente.

3, - Con il secondo mezzo di gravame si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. chiedendo alla Corte "se, in relazione alla fondatezza del provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale del ricorrente sia congrua e sufficientemente motivata la sentenza impugnata nella parte in cui deduce quali unici motivi oggettivi di incompatibilità ambientale quelli di cui ai docc. 36 (non aver preso appunti durante un corso di formazione) e 38 (aver solo parzialmente osservato l'obiettivo n. 1 concordato il 2 maggio 2006) sopraccitati, senza menzionare e considerare ulteriori elementi che univocamente dimostrino Ia incompatibilità ambientale del ricorrente rispetto al soggetto con cui è stato ritenuto in conflitto: il direttore E.H. anzi trascurando circostanze ed elementi di prova fondamentali a dimostrazione a contrariis della perfetta compatibilità ambientale del ricorrente, quali per l'appunto la testimonianza rese dal teste E.H. direttore dell'ufficio, sopra richiamata".

Il motivo non può trovare accoglimento.

Come noto, per consolidato orientamento di questa Corte la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in termini, tra le tante, Cass. SS.UU. n. 24148 del 2013).

Invero il motivo di ricorso ex art. 360, co. 1, n, 5, c.p.c. non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l'attendibilità e la concludenza nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando cosi liberamente prevalenza all'uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (tra numerose altre: Cass. SS.UU. n. 5802 del 1998 nonché Cass. n. 1892 del 2002, n. 15355 del 2004, n. 1014 del 2006, n. 18119 del 2008).

Invece parte ricorrente, lungi dal denunciare una totale obliterazione di un "fatto controverso e decisivo" che, ove valutato, avrebbe condotto, con criterio di certezza e non di mera probabilità, ad una diversa decisione, si è limitata, attraverso un riesame delle risultanze probatorie, a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo patrocinato dalla parte, proponendo un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti.

Tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo dì tale convincimento rilevanti ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.

Sicché la censura in esame si traduce nell’invocata revisione delle valutazioni e dei convincimenti espressi dal giudice di merito, tesa a conseguire una nuova pronuncia sul fatto, non concessa perché estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità.

4. - Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate in euro 4.100,00, di cui euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.