Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 settembre 2015, n. 19044

Lavoro subordinato - Diritti ed obblighi del datore e del prestatore di lavoro - Demansionamento - Onere della prova

 

Svolgimento del processo

 

L'avv. A.P. ha convenuto il giudizio la Banca X esponendo di essere iscritto nell'elenco speciale degli avvocati addetti ad uffici legali pubblici e di essere stato addetto fino al 25 agosto 1997 al servizio contenzioso della Banca convenuta; di essersi iscritto nel 1995 al Sindacato F. e di esserne divenuto dirigente provinciale; di essere stato trasferito nell’agosto 1997 dal servizio contenzioso al servizio legale e affari generali, con provvedimento ingiustificato, antisindacale e con affidamento di mansioni qualificabili come di "minore caratura"; di essere stato discriminato rispetto agli altri colleghi dal momento di inizio dell'attività sindacale. Ciò premesso, ha chiesto l'accertamento della nullità del provvedimento di trasferimento datato 1 agosto 1997; l'emissione dell’ordine di reintegra nelle funzioni presso il servizio contenzioso; la condanna della società al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati dalle condotte Illegittime.

Il Tribunale adito ha respinto ogni domanda e la Corte di appello di Firenze ha confermato tale pronuncia mediante argomenti cosi sintetizzabili:

- "nonostante la dovizia dì intrecci di lettura con cui l’appellante riorganizza il materiale probatorio", nessuna prova era emersa circa il sostanziale demansionamento cui sarebbe stato sottoposto il P. nel trasferimento (o mutamento di mansioni) dipendente dall'atto del 1997 con cui era stato assegnato all'ufficio legale ed anzi vi era un'assoluta carenza di allegazioni, ancor prima che di prove, non essendo stato precisato in che cosa consistessero le mansioni da ultimo attribuite, né era stato operato un raffronto tra queste e le mansioni svolte in precedenza, onde dare contenuto alla deduzione di c.d. "diminuzione di caratura" prospettata a fondamento del ricorso;

- poiché nessuno dei trentasei capitoli di prova articolati dal ricorrente era dedicato alla descrizione delle nuove mansioni, priva di rilevanza causale era la doglianza di riduzione della lista testimoniale operata in primo grado; inoltre, dalla prova testimoniale (teste D. superiore gerarchico del P. era emerso un sostanziale ridimensionamento quanto alle mansioni svolte dal ricorrente prima del trasferimento, avendo l'avv. P. svolto compiti sostanzialmente privi di autonomia decisionale;

- in ordine alla pretesa natura discriminatoria del trasferimento, la ricostruzione dei passaggi dei funzionari era lacunosa; essa descriveva il movimento complessivo che aveva coinvolto il personale di una società controllata e la cessione di alcune attività alla C. s.p.a., ma non forniva elementi per ritenere svolta un'attività in danno del ricorrente; si trattava di atti attuativi della discrezionalità datoriale, non è macroscopicamente irrazionali; non erano emersi elementi (deposizione del teste S.) per ritenere che la società avesse imputato al ricorrente lo sviluppo di alcune indagini penali che avevano interessato un dirigente; neppure era emerso che la mancata promozione dei Pagni alla qualifica superiore fosse dipesa dallo svolgimento dell’attività di sindacalista (teste M.).

Per la cassazione di tale sentenza ricorre l'avv. P. con sette motivi, cui resiste la Banca X con controricorso, seguito da memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia violazione dell'art. 2697 c.c. In rapporto all’art. 1218 c.c., in ordine alla distribuzione degli oneri probatori in tema di dequalificazione ex art. 2103 c.c. (art. 360 n 3 c.p.c.). Si chiede se violi tali norme la sentenza che, a fronte della contestazione mossa alla datrice dal dipendente circa l’equivalenza delle mansioni assegnate a seguito di mutamento disposto dal datore di lavoro e dell’istanza di ammissione delle prove circa la qualità delle mansioni precedenti e le chances di ulteriore sviluppo, nonché dell’allegazione specifica di elementi ritenuti dequalificanti delle nuove mansioni, ometta di assumere le prove indotte dal dipendente e ne rigetta la domanda affermando che questi non avrebbe dato la prova della dequalificazione, così invertendo l’onere della prova, ponendolo a carico del lavoratore anziché del datore di lavoro.

Con il secondo motivo si censura la sentenza per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo. Quanto alle mansioni svolte prima del mutamento disposte con nota del 1.8.97, non era stato debitamente considerato che il ruolo di preposto al settore, con la competenza sulle aree Toscana Ovest e Nord e coordinamento di addetti subordinati, poteva essere desunto dalla deposizione del teste D. in relazione al contenuto degli ordini di servizio 12.6.95 e 20.9.95.

Con il terzo e il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 2103 e 2934 ex. in relazione all'art. 1422 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.); in via subordinata, violazione o falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 c.c.(art. 360 n. 3 c.p.c.). Si impugna il capo di sentenza che ha ritenuto maturata la prescrizione quinquennale e si assume che l'azione diretta a far dichiarare la dequalificazione integrerebbe un'azione di nullità, come tale imprescrittibile a termini dell’art. 1422 c.c. e che comunque le pretese relative alla domanda di dequalificazione potrebbero essere soggette alla prescrizione decennale e non a quella quinquennale.

Con il quinto motivo ci si duole di insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi (art. 360 n. 5 c.p.c.) atti a fornire la dimostrazione, in via indiziaria, dell'intento discriminatorio. La Corte di appello aveva omesso di esaminare fatti decisivi, quali: a) la singolare coincidenza temporale tra la conclusione della trattativa sul contratto integrativo aziendale (31.7.07), nella quale il ricorrente si era particolarmente esposto come sindacalista, e il provvedimento di trasferimento/mutamento di mansioni del 1.8.97; b) l’inosservanza della prassi aziendale di dare corso al provvedimento di trasferimento previa acquisizione del parere dei responsabili dei servizi di provenienza e di destinazione; c) le modalità con le quali il provvedimento venne adottato, senza preavvertimento dei dirigenti preposti al servizi; d) l’assenza di ragioni organizzative, atteso che il ricorrente prese il posto dell'avv. P., improvvisamente distaccato presso altro servizio, mentre il posto così lasciato vacante venne coperto mediante assunzione dall'esterno; e) il mancato esame di circostanze successive significative dell'intento discriminatorio della Banca (avvio di un procedimento disciplinare nel 1998, con sanzione poi revocata; attribuzione nel 2000 della posizione di quadro direttivo di grado 3 anziché di grado 4, all'atto della applicazione della nuova scala di classificazione); f) incongruità o contraddittorietà delle ragioni addotte dalla convenuta a sostegno della mancata promozione nell'anno 2002; g) lacunosità e contraddittorietà della valutazione delle deposizioni del teste M. e del teste G.

Il sesto motivo denuncia nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.). La Corte di appello aveva omesso di pronunciare sul motivo di gravame avente ad oggetto l'ammissibilità e la rilevanza di due capitoli di prova di parte convenuta, ammessi dal Tribunale e sui quali si era fondata la deposizione del teste M. Il motivo si incentra sulI’incapacità del teste M. e sull'inammissibilità dei capitoti deferitigli.

Con il settimo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell'art. 244 c.p.c. Si chiede se violi tale norma la sentenza del Giudice di merito che ammette una prova per testimoni su capitoli istruttori nei quali non sia dato identificare ’’fatti", ma mere valutazioni soggettive del teste (nella specie: la parte "venne ritenuta avere carattere e atteggiamenti rancorosi nei confronti" della datrice di lavoro).

Il primo motivo di ricorso è infondato, restando assorbito nel suo rigetto l'esame dei restanti.

Si discute se l'avv. A.P. legale della Cassa di Risparmio di X., abbia subito un demansionamento per il fatto di essere stato trasferito nell'agosto 1997 dal Servizio Contenzioso al Servizio Legale e Affari Generali e se tale provvedimento aziendale sia nullo perché discriminatorio in ragione del fatto che il ricorrente era dirigente provinciale del Sindacato F.

La Corte distrettuale ha evidenziato che vi era un’assoluta carenza di allegazioni circa il contenuto delle mansioni da ultimo attribuite e che il ricorso introduttivo era privo del necessario raffronto tra queste e le mansioni svolte in precedenza dall'avv. P., sicché la c.d. ''diminuzione di caratura" prospettata a fondamento del ricorso si risolveva in un'affermazione generica; ha pure osservato che nessuno dei trentasei capitoli di prova era dedicato alla descrizione delle nuove mansioni. Ad analoghe conclusioni è pervenuta in ordine alla prospettata natura discriminatoria del mutamento di mansioni. Le ulteriori considerazioni svolte in ordine all'esito della prova testimoniale condotta dal giudice di primo grado costituiscono argomenti aggiuntivi, idonei a integrare una seconda ratio decidendi, ma non interferenti sulla idoneità della prima a sorreggere il decisum. Parimenti, il denunciato carattere discriminatorio del mutamento di mansioni assumeva a presupposto l'accertamento della violazione degli obblighi datoriali di cui all'art. 2103 c.c.

Il principio di diritto, richiamato dal ricorrente, secondo cui incombe sul datore di lavoro l'onere di provare l'esatto adempimento dei suoi obblighi, presuppone resistenza delle necessarie allegazioni, gravanti sul lavoratore che agisce, circa resistenza di una dequalificazione o di un demansionamento riconducibili ad un inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell‘art. 2103 cod. civ.

Come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte nella sentenza n. 5454 del 6 marzo 2009 (conformi, Cass. n, 20716 del 2013 e n.15527 del 2014), in tema di demansionamento e relativo onere probatorio, il lavoratore può reagire al potere direttivo che assume esercitato illegittimamente prospettando circostanze di fatto volte a dare fondamento alla denuncia e, quindi, con un onere di allegazione di elementi di fatto significativi dell'illegittimo esercizio, mentre il datore di lavoro, convenuto in giudizio, è tenuto a prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti posti dal lavoratore a fondamento della domanda (art. 416 c.p.c.) e può allegarne altri, indicativi, per converso, del legittimo esercizio del potere direttivo. (Nella specie, le S.U, hanno confermato la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto infondata la domanda del lavoratore per la "carenza di ogni allegazione quanto alla natura demansionante dei compiti lavorativi afferenti allo specifico incarico").

La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi ritenendo che gravasse sul ricorrente l’onere di allegare le circostanze significative dell'inadempimento datoriale e che ciò richiedesse sia la descrizione delle mansioni da ultimo attribuite, sia il raffronto tra queste e le mansioni svolte prima del trasferimento. Tale argomento ha carattere assorbente di ogni altra questione. E' ben vero che la sentenza impugnata, dopo aver aderito a tale prima ragione di decisione, ha argomentato anche in ordine all’esito della prova testimoniale svolta in primo grado, confermando l'assenza di riscontri favorevoli alla tesi dell’appellante, ma tale secondo ordine argomentativo integra una seconda ratio decidenti, atta a rilevare nel caso in cui la prima possa risultare erronea. Nella specie, il primo ordine argomentativo, in linea con i principi espressi da questa Corte, esaurisce ogni altra questione, il cui esame resta ultroneo.

In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese del giudizio di legittimità, poste a carico del soccombente, sono liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell'art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

 

P.Q.M

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi e in Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge e 15% per rimborso spese forfettarie.