Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 settembre 2015, n. 19050

Tributi - Reddito d’impresa - Deducibilità della retribuzione dell’amministratore delegato come dipendente - Sussiste

 

Svolgimento del processo

 

L'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia che, rigettandone l'appello, ha confermato la deducibilità dei costi sostenuti dalla spa I.I. poi incorporata nella spa A.P., per la retribuzione del lavoro dipendente prestato da V.A. in aggiunta al compenso a lui erogato quale componente del consiglio di amministrazione della società, ed ha così escluso la violazione del principio di inerenza, contestata alla contribuente dall'ufficio finanziario.

Secondo il giudice d'appello, infatti, era stato correttamente ritenute in prime cure che l'ulteriore attività svolta dal componente del consiglio di amministrazione della compagine era "direttamente collegata all'attività societaria e volta alla produzione di reddito, adempiendo all'obbligo motivazionale e cogliendo la questione in punto inerenza dell'attività svolta nell'interesse della Società. A nulla rilevando eventuali incompatibilità di natura civilistica in capo all’A. che non limitano la deduzione di detti costi".

La società contribuente resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo del ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 95 e 109 del tuir (nella nuova numerazione), censura la decisione per aver affermato piena deducibilità di emolumenti asseritamente corrisposti all'amministratore delegato di una società, dotato di amplissimi poteri di rappresentanza ed amministrazione della stessa, al quale veniva altresì corrisposto un compenso per tale carica, commisurato in misura percentuale ai ricavi della società, ed assume che tali emolumenti sarebbero, al contrario, indeducibili dal reddito della società contribuente, in virtù del principio di necessaria inerenza di tutti i costi, ai sensi della seconda disposizione in rubrica, nonché dei principi in materia di deducibilità delle spese di lavoro ai sensi della prima disposizione in rubrica.

Con il secondo motivo denuncia emessa motivazione per non avere la sentenza impugnata "preso in considerazione la questione della prova del rapporto di subordinazione tra la società contribuente ed il proprio amministratore delegato (circostanza rilevante ai fini dell'art. 366 bis cod. proc. civ.)".

I due motivi del ricorso, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente legati, sano infondati, e per taluni aspetti inammissibili.

La critica che il ricorso muove alla sentenza d'appello è imperniata sulla incompatibilità, ovvero sulla inconciliabilità, della posizione di componente del consiglio di amministrazione di una società di capitali, incontestabilmente rivestita dall'A., con quella di lavoratore subordinato, alle dipendenze della medesima società.

II Collegio anzitutto osserva che l'assunto è infondato, come in più occasioni questa Corte ha avuto modo di chiarire, sottolineando come incompatibilità con la condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della società sia ravvisabile nella sola qualifica di amministratore unico di una società, non potendo ricorrere in tal caso l’effettivo assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare di altri, che si configura cane requisito tipico della subordinazione (Cass. n. 13009 del 2003); come "la qualità di amministratore di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della medesima solo ove sia accertata l'attribuzione di mansioni diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita (Cass. n. 329 del 2002); e infine come "in tema di imposte sui redditi e con riferimento alla determinazione del reddito d'impresa, l'art. 62 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - articolo largamente trasfuso nel "nuovo" art. 95 del tuir) -, il quale esclude l'ammissibilità di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato o l’opera svolta dall’imprenditore, limitando la deducibilità delle spese per prestazioni di lavoro a quelle sostenute per lavoro dipendente e per compensi spettanti agli amministratori di società di persone, non consente di dedurre dall'imponibile il compenso per il lavoro prestato e l’opera svolta dall'amministratore unico di società di capitali" (Cass. n. 13009 del 2003).

Ciò detto, in secondo luogo non può tuttavia farsi a meno di rilevare che il giudice d'appello ha escluso la rilevanza di "eventuali incompatibilità di natura civilistica in capo all’A., perché esse "non limitano la deduzione di detti costi". Ed ha rigettato l'appello dell'ufficio, mandando assolto il giudice di primo grado che aveva considerato deducibili perché inerenti i costi per lavoro dipendente in discorso. "Correttamente", infatti, la Commissione provinciale aveva "ritenuto che l'ulteriore attività svolta dal componente del consiglio di amministrazione era direttamente collegati all'attività societaria e volta alla produzione di reddito, adempiendo all’obbligo motivazionale e cogliendo la questione in punto inerenza dell'attività svolta nell’interesse della società.

La ratio decidergli della sentenza, incentrata sulla ritenuta effettività ed inerenza di quei costi, non sembra dunque essere stata colta dal ricorso dell'Agenzia, la quale,in ogni caso, non ha svolto nei confronti di essa adeguate censure, il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese del giudizio seguano la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in euro 5.000 per compensi di avvocato, oltre alle spese forfetarie nella misura dei 15% e agli accessori di legge.