Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 settembre 2015, n. 38539

Tributi - Imposte sui redditi - Accertamento - Fatture false - Disconoscimento dei costi fittizi esposti in contabilità - Non contestuale rideterminazione dei ricavi - Legittimità dell'accertamento - Sussiste

 

Ritenuto in fatto

 

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato - Con la sentenza impugnata, la Corte d'appello ha confermato la condanna inflitta al ricorrente per avere, nella sua qualità di legale rappresentante della S.S. S.p.a., omesso di versare nel termine previsto per la dichiarazione annuale di sostituto d’imposta (c.d. mod. 770) ritenute alla fonte relative ad emolumenti erogati nell'anno 2006 e risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti d'imposta, per un importo pari ad € 139.736.

2. Motivi del ricorso - Avverso tale decisione, l'imputato ha proposto ricorso, tramite difensore, deducendo:

1) erronea applicazione della legge penale avuto riguardo all'art. 45 c.p. Più precisamente, il ricorrente deduce assenza dell'elemento soggettivo in quanto l'imputato avrebbe agito in presenza di una causa di forza maggiore per crisi di liquidità dell'azienda;

2) vizio di motivazione per mancata valutazione di una prova;sebbene la difesa avesse allegato la "illiquidità", i giudici non hanno motivato in ordine alla incongruità di tale prova ignorando l'obiezione difensiva (alla sentenza di primo grado) secondo cui non tutti i crediti costituenti "attivo circolante" rappresentano "disponibilità liquide". Si fa, infatti, notare che, una cosa è la condizione economica dell'impresa ed altra è la condizione finanziaria: mentre, dai valori dell'attivo circolante, si evince la funzionalità economica della società (es. i crediti che essa vanta e che attestano la potenziale vitalità) la liquidità disponibile (o di cassa), invece (vale a dire l'incasso) indica il grado di effettiva operatività finanziaria.

Siccome non sempre i crediti sono di facile ed immediato realizzo, se, nella specie, si fosse tenuto conto di tale dato (in particolare, dei ritardi da parte del Comune nel pagamento dei debiti che esso aveva con l'impresa), si sarebbe potuti pervenire a conclusioni differenti;

3) vizio di motivazione in relazione alla mancanza di risposta alle deduzioni difensive.

Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata.

Con atto depositato il 27.4.15, il ricorrente ha prodotto una memoria nella quale ribadisce che la crisi di liquidità della sua società è dipesa dalla insolvenza del suo unico committente (il Comune di Salerno) ed allega, a riprova, documentazione.

 

Considerato in diritto

 

3. Motivi della decisione - Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

3.1. E' per tabulas che il M., nella sua qualità di legale rappresentante della società S.S. S.p.a." - pur avendo dichiarato, con l'apposito modello 770/07 relativo all'anno 2006, di avere operato ritenute alla fonte sugli emolumenti erogati per l'anno 2006 e risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti di imposta - non ha provveduto al versamento degli importi nel termine di legge previsto per la presentazione del modello (31.10.07). Il pagamento, infatti, risulta avvenuto tardivamente in data 22.12.09 (e comunque in maniera parziale mancando le maggiorazioni per interessi).

Tutto ciò è evincibile dalle pronunzie di merito, qui esaminate (tra le quali deve includersi legittimamente anche quella del Tribunale che, essendo stata confermata in appello, si "salda" con essa - s.u. 4.2.92, M., Rv. 191229; Sez. I, 20.6.97, Z., Rv. 208257 Sez. I, 26.6.00, S., Rv. 216906) e non viene neppure contestato dall'imputato che, infatti, si difende invocando, a propria discolpa, di avere agito in una situazione "necessitata" a lui non ascrivibile perché riferibile al fatto che unico socio ed unico committente della società era il Comune di Salerno.

L'argomento - speso anche in appello e ribadito con la memoria successiva alla presentazione del ricorso - non può tuttavia essere accolto.

Come bene ricordato da questa S.C. (sez. III, 9.10.13, M., n. 5905, non massimato), l’esimente invocata (che non trova definizione specifica nell'articolo 45 c.p. che si limita a indicare l’effetto di causazione della condotta - "commesso il fatto per" - da attribuirsi o al caso fortuito o alla forza maggiore) è tradizionalmente identificata come la vis major cui resisti non potest, e consiste in quell'evento, proveniente dalla natura o da fatto umano, che costituisce una forza maggiore rispetto a quella che può essere esercitata dall'agente. In tal modo, l'evento viene rescisso in modo assoluto dalla Condotta dell'agente stesso (da ult., Cass. sez. I, 5 aprile 2013 n. 18402).

Il precedente appena citato - proprio con riguardo ad una richiesta della esimente per difficoltà economiche dell'impresa dell'imputato, anche in quel caso negata - evidenzia, peraltro, che «per poter ravvisare la causa di giustificazione della forza maggiore è necessario aver acquisito la prova rigorosa che la violazione del precetto penale è dipesa da un evento del tutto estraneo alla sfera di controllo del soggetto agente».

Anche altra recente decisione (sez. III, 4.12.07, c., rv. 238986), sempre in motivazione, qualifica la forza maggiore come un fatto che esula completamente dalla condotta dell'agente, così da «rendere ineluttabile il verificarsi dell'evento che, conseguentemente, non può in alcun modo ricollegarsi ad una azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente».

La vis major è dunque quella causa esterna all'agente che sostituisce la serie causale a lui ascrivibile, innescandone un'altra, diversa e completamente autonoma rispetto alla condotta dell'agente stesso e, così come ripetutamente affermato anche dalla migliore dottrina in materia, perché possa dirsi sussistente la invocata "forza maggiore", occorre che l'elemento causante sia "determinante" ( non rilevando, invece, se qualificabile solo come causa concorrente Sez. IV, 23.11.82 n. 1492).

3.2. E' proprio alla luce dei brevi richiami giurisprudenziali appena effettuati che appare evidente come il caso di specie non sia riconducibile, come auspicato dal ricorrente, nell'alveo della "forza maggiore".

E ciò è possibile affermare proprio alla luce delle produzioni difensive volte a porre in evidenza la (apparente) "dipendenza" della società dell'imputato dal Comune di Salerno (unico socio e committente).

Premesso che la esistenza di una situazione di "sofferenza" non costituisce in sé causa di giustificazione, è altresì incontestato che, come evidenziato già in primo grado (f. 4), la società non si trovava in una condizione di illiquidità completa «ma sono state operate delle scelte soggettive da parte dell'organo amministrativo che ha coscientemente privilegiato il pagamento di alcuni debiti rispetto ad altri, in primis, quelli erariali».

D'altro canto, è anche stato correttamente sottolineato dai giudici che, quello qui contestato, è un reato proprio, istantaneo ed a forma vincolata che si consuma allo scadere del termine previsto dalla legge per la presentazione della dichiarazione del sostituto di imposta. Le ritenute certificate rappresentano somme dovute dai soggetti che percepiscono i compensi e che, per maggiore economicità, sono, per volontà legislativa, trattenute e poi versate dal soggetto che eroga le retribuzioni il quale, in tal modo, opera come sostituto dell'Erario introitando le somme spettanti a quest'ultimo ma cui deve, comunque, consegnarle, nel termine di legge.

Il sostituto di imposta che non vi ottemperi, perciò, può esser scriminato nella misura in cui si dimostri la sua impossibilità assoluta a farlo per ragioni a lui non ascrivibili.

Ebbene, nello specifico, come già evidenziato, non solo, tale impossibilità non era assoluta ma relativa (essendo stati, nel frattempo, onorati debiti diversi da quello erariale) ma, per di più, si deve riscontrare (anche grazie alla documentazione fornita dall'imputato con la memoria) una sorta di "responsabilità" dell'imputato ravvisabile nella sua mancata (e sollecita) attivazione.

Quest'ultimo, infatti, nella sua veste di amministratore, proprio perché consapevole della situazione di sofferenza nella quale versava la società, avrebbe dovuto puntare ad una sollecita ricapitalizzazione. Invece, come risulta dal verbale di cui all'all. 3 della memoria difensiva, essa è avvenuta solo in data 30.6.08 e, quel che più conta, la stessa delibera dell'unico socio (v. all. 2) è già di per sé successiva alla scadenza del termine (31.7.07) per adempiere con l'Erario.

Fermo restando, cioè, che non si discute la crisi di liquidità evocata dall'imputato, proprio nella delibera del Consiglio Comunale del 28.12.07 si legge già alla data di approvazione del bilancio periodico chiuso il 30.6.07, si dava atto delle «gravi difficoltà finanziarie ed economiche» della società amministrata dall'imputato tanto è vero che il Consiglio di amministrazione aveva deliberato di convocare l'assemblea straordinaria dei soci «per l'abbattimento del capitale sociale e contemporanea ricostituzione del medesimo». Tuttavia, a dispetto della stessa norma del codice civile ivi citata (art. 2447 c.c.) che prevede che «gli amministratori devono senza indugio convocare l'assemblea», la situazione non è stata affatto affrontata con sollecitudine dal M. se è vero, come risulta in atti, che tale assemblea è stata tenuta solo un anno dopo la scadenza del termine per il versamento delle somme qui in contestazione.

E ciò, senza che il M. nella sua difesa - pur articolata e documentata - abbia fornito alcuna valida giustificazione di cotanto ritardo.

A tale stregua, a questo punto, invocare la crisi di liquidità dell'azienda risulta sicuramente non adeguato a sostenere la causa di giustificazione ed a scriminare quindi la obiettiva infrazione penale commessa dall'imputato.

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.