Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 settembre 2015, n. 18301

Tributi - Fatture per operazioni soggettivamente inesistenti - Indeducibilità dei costi - Sentenza di conferma della cassazione - Revocazione - Sentenza penale di assoluzione - Effetti - Rimozione dell’indeducibilità - Sospensione dell'esecuzione della sentenza della Cassazione - Sussiste

 

Premesso in fatto

 

La società M.G. Advertising srl ricorre contro l’Agenzia delle entrate per la revocazione della sentenza di questa Corte n. 2199/14 con la quale, in accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle entrate, è stata cassata la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 386/1/09 e, con decisione nel merito, è stata confermata la ripresa fiscale per IRPEG, IRAP e IVA operata dall’Ufficio sul presupposto che talune fatture rimesse alla contribuente riguardassero operazioni soggettivamente inesistenti.

La suddetta sentenza n. 2199/14 ha ritenuto accertato che le prestazioni fatturate alla contribuente fossero state erogate da soggetto diverso da quello che aveva emesso la fattura e percepito l’IVA in rivalsa ed ha conseguentemente ritenuto non detraibile l’IVA e non deducibile il corrispettivo versato.

Per quanto specificamente riguarda l'indeducibilità dei corrispettivi esposti in dette fatture, nella sentenza n. 2199/14 - dopo la testuale trascrizione dell'articolo 14, comma 4 bis, della legge 537/93, come modificato dall'articolo 8, comma 1, del decreto legge 16/12 ("Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi.") - la suddetta indeducibilità viene affermata sull'argomento che, nella specie, vi era implicitamente prova che il pubblico ministero avesse esercitato l'azione penale "come desumibile dalle deposizioni di terzi rese in sede penale", argomento sulla cui base la Corte afferma: "non sono deducibili per l'acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, fatto salvo, qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione, il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione dei costi e dei relativi interessi.".

Avverso tale statuizione è rivolta l'impugnazione per revocazione oggetto del presente giudizio.

Secondo la ricorrente, la statuizione della Corte sarebbe affetta da vizio revocatorio consistente nella mancata percezione del fatto che il procedimento penale conseguente all'esercizio dell'azione penale a cui si fa riferimento nella sentenza qui gravata si era definito con l’assoluzione dell’amministratore p.t della società M.G. Advertising srl, sig.ra A.M.M.; assoluzione recata dalla sentenza del tribunale penale di Roma n. 25640/05, depositata il 6/12/05 e divenuta irrevocabile, prodotta nel giudizio di secondo grado il 12.2.09 e nel fascicolo del controricorso depositato il 23.12.10 presso la Corte di cassazione.

Argomenta al riguardo la ricorrente che la statuizione di conferma della ripresa fiscale relativa alla indeducibilità dei costi di cui alle fatture in contestazione non sarebbe stata adottata dalla corte di Cassazione se quest'ultima avesse percepito il fatto - risultante dagli atti - dell'intervenuta assoluzione penale dell’amministratrice della società contribuente; come implicitamente confermato dal rilievo che nella stessa sentenza di cui qui si chiede la revocazione era contenuta la precisazione "fatto salvo, qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione, il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione dei costi e dei relativi interessi".

L'Agenzia delle entrate resiste con controricorso deducendo l'inammissibilità del ricorso per la seguente triplice ragione:

a) per difetto di autosufficienza (per mancata trascrizione della sentenza penale);

b) per difetto di decisività del fatto storico non percepito, vale a dire la pronuncia della sentenza penale di assoluzione (in ragione dell'autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale);

c) per difetto di interesse alla revocazione (potendo la società ottenere il rimborso di quanto, in ipotesi, indebitamente versato).

Con separata istanza, notificata alla controparte in data 1.6.15 e depositata in cancelleria il 3.6.15, la ricorrente chiedeva la sospensione ex art. 401 c.p.c. della esecuzione della sentenza di cui qui si chiede la revocazione, lamentando l'irreparabilità del danno derivante dalla messa in esecuzione della cartella di euro 512.342,18 emessa a seguito di detta sentenza.

Il Presidente del Collegio - sospesa provvisoriamente, con decreto inaudita altera parte, l'esecuzione della sentenza di questa Corte n. 2199/14, limitatamente all'importo di € 200.000 - ha fissato l'adunanza del 23 luglio 2015 per la comparizione delle parti in camera di consiglio. A detta adunanza le parti sono comparse ed hanno discusso oralmente la causa. In sede di discussione l’Agenzia delle entrate ha contestato l’ammissibilità della procedura di sospensiva ex art. 401 c.p.c. in relazione alle revocazione delle sentenze della Corte di cassazione.

Il Collegio si è riservato e, con la presente ordinanza, scioglie la riserva.

 

Considerato in diritto

 

In punto di ammissibilità della sospensiva.

È preliminare l’esame dell’eccezione di inammissibilità della procedura di sospensiva ex art. 401, dedotta dall’Agenzia delle entrate in sede di discussione orale. Detta eccezione si fonda sul disposto del sesto comma dell’articolo 391 bis c.p.c., alla cui stregua "In caso di impugnazione per revocazione della sentenza della Corte di Cassazione non è ammessa la sospensione dell'esecuzione della sentenza passata in giudicato, né è sospeso il giudizio di rinvio o il termine per riassumerlo."

Secondo la difesa erariale, in sostanza, nel testo normativo sopra trascritto l’espressione "sentenza passata in giudicato " dovrebbe intendersi come riferita non soltanto alla sentenza di merito impugnata con ricorso per cassazione respinto, ma anche alla sentenza della Cassazione che, accogliendo il ricorso e cassando la sentenza gravata, abbia deciso la causa nel merito ai sensi dell’articolo 384, secondo comma, ultima parte, c.p.c.; con la conseguenza che, anche per quest’ultima sentenza varrebbe la preclusione alla sospensiva prevista dalla disposizione in commento.

Il Collegio non condivide questa tesi sia per considerazioni di carattere letterale, sia per considerazioni di carattere sistematico.

Quanto alle prime, si rileva che l'articolo 324 c.p.c. stabilisce che: "si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, ne ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 395"; il "passaggio in giudicato" implica, cioè, una modifica della situazione giuridica di una sentenza; modifica - legata al decorso del tempo - consistente nel "passaggio", appunto, dalla situazione di sentenza soggetta ai mezzi ordinari di impugnazione alla situazione di sentenza non "più" soggetta ai mezzi ordinari di impugnazione. Nel caso delle sentenze della Corte di cassazione tale modifica non può verificarsi, giacché esse non sono soggette ai mezzi ordinari di impugnazione; tanto che, come non si è mancato di notare in dottrina (ma si veda anche Cass. 18234/06, in motivazione) la revocazione per errore di fatto ex art. 395, n. 4, c.p.c. perde, nei confronti delle sentenze della Corte di cassazione, la natura di mezzo di impugnazione ordinario che ha nei confronti delle sentenze di merito e assume la natura di mezzo di impugnazione straordinario, come confermato dal quinto comma dell’articolo 391 bis c.p.c., laddove dispone "La pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di Cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto."

La sentenza della Corte di cassazione, dunque, non "passa in giudicato" ma, per mutuare una felice formula dottrinaria, "nasce già formalmente come passata in giudicato". Ciò convince, già sul piano letterale, della impossibilità di riferire alle sentenze della Corte di cassazione - comprese quelle pronunciate decidendo nel merito ai sensi dell'articolo 384, secondo comma, ultima parte, c.p.c. - l'espressione "sentenza passata in giudicato"che si legge nel sesto comma dell'articolo 391 bis.

Sul piano sistematico, poi, si osserva che la disposizione dettata nel sesto comma dell'articolo 391 bis c.p.c. completa quella dettata nel quinto comma del medesimo articolo, cosicché i due commi vanno letti unitariamente come fonte della complessiva disciplina del rapporto tra le vicende del giudizio di merito e l’impugnazione per revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c. delle sentenze della Corte di cassazione che non abbiano deciso il merito.

Alla stregua di tale disciplina:

- ove la sentenza della Cassazione abbia respinto il ricorso, la sentenza di merito impugnata con il ricorso respinto, da un lato, passa in giudicato nonostante la pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Cassazione (quinto comma) e, d'altro lato, non può essere sospesa qualora la sentenza della Cassazione venga impugnata per revocazione (sesto comma);

- ove la sentenza della Cassazione abbia accolto il ricorso e cassato con rinvio la sentenza gravata, il giudizio di rinvio, o il termine per riassumerlo, non sono sospesi qualora la sentenza della Cassazione venga impugnata per revocazione (sesto comma).

In questo quadro non è contenuta alcuna specifica regola che disciplini, con riferimento all’impugnazione per revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c., la possibilità di sospendere l'esecuzione delle stesse sentenze della Corte di cassazione (e, precisamente, delle sole sentenze della Corte di cassazione astrattamente suscettibili di esecuzione, vale a dire quelle emesse ai sensi dell'articolo 384, secondo comma, ultima parte, c.p.c.) e, pertanto, non vi è ragione di non dare applicazione al disposto dell'articolo 401 c.p.c., che attribuisce al giudice della revocazione - e quindi anche alla Corte di cassazione investita di un ricorso per revocazione ex articolo 395, n. 4, avverso una propria sentenza - il potere di sospendere l'esecuzione di tale sentenza con l'ordinanza di cui all'articolo 373 c.p.c.

Alla stregua degli esposti argomenti di carattere letterale e sistematico si deve quindi concludere per l'ammissibilità della sospensiva ex articolo 401 c.p.c. nei procedimenti di revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c. avverso sentenze della corte di Cassazione. L’esposta conclusione appare del resto conforme all'interpretazione costituzionale del sistema, giacché l’esclusione del rimedio cautelare della sospensiva ex art. 401 c.p.c. avverso sentenze della Corte di cassazione cha abbiano deciso nel merito della causa potrebbe prestarsi al dubbio di contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost.

Se, infatti, non sussiste perfetta identità tra una sentenza di merito ed una sentenza pronunciata da questa Corte ai sensi dell'articolo 384, secondo comma, ultima parte, c.p.c. - giacché quest'ultima sentenza si fonda, a differenza della prima, su accertamenti di fatto compiuti da altro giudice, ossia, appunto, dal giudice di merito (cfr. Cass. 7998/04) - va tuttavia considerato che l’ evidenziata differenza concerne i poteri cognitori del giudice ma non l’efficacia esecutiva della sentenza; cosicché la preclusione del rimedio cautelare della sospensiva avverso una sentenza della Corte di cassazione che abbia deciso la causa nel merito e sia stata impugnata per revocazione per errore di fatto determinerebbe, per un verso, un obiettivo vuoto di tutela e, per altro verso, un'ingiustificata disparità tra la tutela cautelare concessa nei confronti di sentenze impugnate per revocazione, tutte parimenti esecutive, a seconda che esse provengano dal giudice di merito o dalla Corte di cassazione.

In definitiva, l'istanza di sospensiva della sentenza di questa Corte n. 2199/14 deve ritenersi ammissibile. Né a tale conclusione osta la considerazione che la stessa non sia stata presentata nel ricorso introduttivo del giudizio di revocazione, bensì in un atto separato, giacché l’esigenza di tutela del contraddittorio a cui è preordinata la previsione, contenuta nell'articolo 401 c.p.c., secondo cui l'istanza di sospensione deve essere "inserita nell'atto di citazione" è egualmente soddisfatta quando, come nella specie, detta istanza separata venga notificata alla controparte, che già abbia ricevuto la notifica del ricorso per revocazione, prima di essere depositata nella cancelleria della Corte.

In punto di fumus boni juris.

Le preliminari eccezione inammissibilità del ricorso per revocazione sollevate nel controricorso della difesa erariale non appaiono dirimenti.

Quanto alla eccezione sub a), la dedotta carenza di autosufficienza, per mancata trascrizione della sentenza del tribunale penale di Roma n. 25640/05, non può ritenersi sussistente, giacché tale sentenza costituisce essa stessa il "fatto" che, a mente dell'articolo 395, n. 4, c.p.c. viene supposto inesistente ancorché la sua verità sia positivamente stabilita; tale sentenza deve quindi, nel giudizio di revocazione, formare necessariamente oggetto di esame diretto da parte della Corte, donde la non necessarietà della relativa trascrizione nel corpo del ricorso per revocazione.

Quanto alla eccezione sub b), il richiamo al principio dell'autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale è fuori luogo, giacché nella fattispecie in esame è la stessa legge che collega alla sentenza penale di assoluzione l'effetto di rimuovere l'indeducibilità dei costi "dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale"; ferma restando la competenza del giudice tributario ad accertare la concreta ricorrenza dei presupposti previsti dalla legge tributaria per il riconoscimento della deducibilità.

Quanto alla eccezione sub c), la stessa va ritenuta infondata, essendo palese che l'interesse ad evitare il versamento di imposte non dovute non è eliminato dalla possibilità di ottenere il rimborso.

Quanto alla sussistenza del denunciato errore revocatorio, essa appare plausibile in considerazione del rilievo che nella stessa sentenza di cui qui si chiede la revocazione si fa riferimento al diritto della contribuente di ottenere "qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione, il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione dei costi e dei relativi interessi". Può pertanto ritenersi che la decisione di merito di conferma degli atti impositivi impugnati derivi dalla mancata percezione della presenza in atti di quella sentenza penale di assoluzione che la stessa Corte di cassazione indica quale presupposto del diritto al rimborso delle somme versate sulla base di tali atti (e della pronuncia giudiziale che li conferma); vale a dire della sentenza del tribunale penale di Roma n. 25640/05, depositata il 6/12/05, prodotta nel giudizio di secondo grado il 12.2.09, nonché nel fascicolo del controricorso depositato presso la Corte di cassazione il 23.12.10.

In punto di periculum in mora.

La notevole rilevanza delle somme di cui si tratta induce il Collegio a confermare la sospensione dell'esecuzione della sentenza n. 2199/14, già disposta con decreto presidenziale emesso inaudita altera parte, fino a concorrenza della somma (riferibile al credito erariale per imposte dirette e sanzioni) di € 200.000,00.

 

P.Q.M.

 

Il Collegio conferma la sospensione dell'esecuzione della sentenza della Corte di cassazione n.2199/14 fino a concorrenza dell'importo di € 200.000,00, già disposta con decreto presidenziale.