Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 settembre 2015, n. 18227

Enpacl - Contributo soggettivo - Requisiti - Art. 21, comma 1, L. n. 249/1991

 

Svolgimento del giudizio

 

La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma con cui era stata accolta l’opposizione di P. R. avverso il decreto ingiuntivo con cui gli era stato ingiunto il pagamento di € 10.659,78 a favore dell’Enpacl (Ente Nazionale di previdenza e assistenza dei consulenti del lavoro) a titolo di contributo soggettivo.

La Corte ha riferito che l’opponente aveva affermato di non dovere alcuna somma in quanto aveva cessato ogni attività e che inoltre aveva dedotto di avere i requisiti ex art. 21, comma 1, L. n. 249/1991 per la liquidazione dei contributi versati all’ente e dunque opponibili in compensazione.

La Corte territoriale ha rilevato che la censura dell’ente riguardava soltanto la possibilità di procedere alla compensazione tra i crediti non essendo quantificata la somma compensabile e che tuttavia l’importo delle somme dovute risultava dalla nota del 12/7/2004 con conseguente piena operatività della compensazione tra i crediti.

Avverso la sentenza dep. 20/07/2008 ricorre l’ENPACL formulando due motivi. Il P. è rimasto intimato. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 115, 116 c.p.c.nonché dell’art. 1363 cc. Lamenta l’erronea interpretazione della nota del 12/7/2004 e la mancata considerazione da parte della Corte d’appello della corrispondenza pregressa con cui si era chiarito che non era possibile la compensazione.

Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 1243 cc non essendo giustificata la compensazione.

Il ricorso è inammissibile in quanto risulta omessa del tutto la formulazione dei quesiti come richiesto dall’art 366 bis c.p.c.

Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza depositata dopo il 2/3/2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 che ha introdotto l’articolo 366 bis citato, e prima della L. n 69/2009 ( entrata in vigore a decorrere dal 4 luglio 2009) che ha abrogato detto articolo. Dispone l'art. 366 bis c.p.c., che, nei casi previsti dall'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d'inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, che consenta alla Corte di enunciare un corrispondente principio di diritto.

La formulazione del quesito di diritto, trova ragione nel bilanciamento (o nella coniugazione - v. sent. n. 20603/2007) dell'interesse personale e specifico del ricorrente - a una decisione della lite diversa (e più favorevole) - con l’interesse generale all'esatta osservanza e all'uniforme interpretazione della legge, sicché alle parti è "imposto l'onere della sintetica ed esplicita enunciazione del nodo essenziale della questione giuridica" di cui il ricorrente auspica una soluzione più favorevole da quella adottata dalla sentenza impugnata. Tale quesito, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve essere formulato in maniera specifica , chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36), e "deve comprendere l’indicazione sia della "regola iuris" adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo" e "la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile" (v. Cass. 30-9-2008 n. 24339).

Nella fattispecie i motivi del ricorso, sebbene attengano a violazioni di legge, difettano del tutto della formulazione del quesito di diritto.

Deve precisarsi che costituisce ius receptum l'irrilevanza che il quesito possa ricavarsi o essere precisato dalle deduzioni svolte nell'illustrazione del ricorso (vedi Cass. S.U. 26 marzo 2007, n. 7258), siccome deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l'enunciazione di una "regula iuris" che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all'esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Ciò vale a dire che la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l'errore di diritto asseritamene compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazioni del ricorrente, la regola da applicare" (Cass. S.U. n. 3519/2008).

La mancata formulazione del quesito determina l’inammissibilità del ricorso . Nulla per spese stante la mancata costituzione del P.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso , nulla per spese.