Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 settembre 2015, n. 18377

Tributi - Sanzioni - Accertamento con adesione - Atto di contestazione dell’illecito - Sospensione del termine per impugnare - Sussiste

 

Svolgimento del processo

 

Rigettando l’appello dell’Ufficio di Formia della Agenzia delle Entrate la Commissione tributaria della regione Lazio con sentenza 28.6.2007 n. 354 ha confermato la decisione di prime cure che aveva annullato l’avviso di accertamento ai fini IVA, IRPEG ed IRAP per l’anno 2001 e l’atto di contestazione di violazione di norme tributarie notificati a L. s.r.L.

La CTR laziale rigettava i motivi di gravame concernenti la inammissibilità dei ricorsi introduttivi rilevando: a) che la sospensione del termine di decadenza per la impugnazione dell’avviso di accertamento, conseguente alla presentazione della istanza del contribuente volta a richiedere la formulazione della proposta di accertamento con adesione ex art. 6 comma 3 del D.lgs. 19.6.1997 n, 218, doveva intendersi estesa anche all’atto di contestazione degli illeciti tributari in quanto il provvedimento sanzionatorio era dipendente dall’atto impositivo; b) che la firma del difensore per autentica della sottoscrizione della parte relativa al conferimento della procura ad litem assolveva al requisito della sottoscrizione del ricorso introduttivo.

Nel merito i Giudici territoriali rilevavano la insufficienza probatoria degli elementi addotti dall'Ufficio a sostegno della pretesa, atteso che le schede di lavorazione rinvenute presso la ditta erano da considerarsi meri "preventivi di massima" suscettibili di modifiche nel corso dei lavori che potevano pertanto dare luogo anche a fatturazione di importi diversi; i costi sostenuti per gli automezzi dovevano essere ritenuti interamente deducibili trattandosi di beni inerenti; anche il costo relativo alla fattura emessa da A.G. per compensi di prestazioni professionali doveva ritenersi deducibile, essendo stato riconosciuto tale dall’Ufficio nelle controdeduzioni svolte in primo grado.

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate deducendo quattro mezzi di impugnazione ai quali resiste con controricorso la società eccependo anche la inammissibilità del ricorso.

L’Agenzia fiscale ha depositato anche memoria illustrativa.

 

Motivi della decisione

 

1. Il ricorso per cassazione è stato ritualmente proposto nel termine di decadenza ex art. 327 c.p.c. (richiamato dagli artt. 38 co 3 e 51 co 1 D.lgs. n. 546/1996 (n.d.r. D.lgs. n. 546/1992) per il processo tributario), dovendo conseguentemente essere rigettata la eccezione pregiudiziale formulata dalla società resistente, essendo stata pubblicata la sentenza di appello in data 28.6.2007 ed essendo stato tempestivamente consegnato in data 29.9.2008 l’atto di impugnazione all’Ufficiale giudiziario, per la notifica ex art. 149 c.p.c., in quanto primo giorno utile successivo al giorno di scadenza festivo (il 28,9.2008 cadeva di domenica), al quale è prorogato, ai sensi dell’art. 155 co3 c.p.c., il termine di decadenza della impugnazione.

2. Manifestamente infondata è la eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto della "procura ad litem".

In tema di contenzioso tributario, dopo la costituzione, disposta dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, e divenuta operativa l'1 gennaio 2001 (ex art, 1 del D.M, 28 dicembre 2000), delle agenzie fiscali, alle quali sono trasferiti i rapporti giuridici relativi alla gestione delle funzioni già esercitate dai dipartimenti delle entrate, le agenzie medesime possono avvalersi, per la rappresentanza in giudizio, ex art. 72 del citato d.lgs., del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, secondo la disciplina di cui all’art. 43 del R.D. 30 ottobre 1933, n, 1611, Ai sensi di quest'ultima disposizione, qualora sussista autorizzazione di legge, la rappresentanza e la difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato sono assunte in via organica ed esclusiva (eccettuati i casi di conflitto d'interessi con lo Stato o le regioni e fatta salva la facoltà delle amministrazioni, in casi speciali, di non avvalersi del detto patrocinio), con la conseguenza che è ammissibile il ricorso per cassazione proposto - dopo l'1 gennaio - dall'Agenzia delle Entrate rappresentata, senza la necessità di speciali autorizzazioni, dall’Avvocatura generale dello Stato, (cfr. Corte cass. V sez. 13.5.2003 n. 7329; id. 9.11.2004 n. 21301; id. 9.6.2005 n. 12152; id. 2.11.2006 n. 24623; id Sez. 5, Sentenza n. 11227 del 16/05/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 25268 del 16/10/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 3427 del 12/02/2010).

La abilitazione al patrocinio avanti la Corte di cassazione è attribuita agli avvocati dello Stato ex lege - non richiedendosi, ai sensi dell’art. 39 r.d. 22.1.1934 n. 17, la iscrizione nell’albo speciale, ex art. 82 ult. comma c.p.c., tenuto dal Consiglio nazionale forense ai sensi dell’art. 33 r.dl. 27.11.1933 n. 1578, non occorrendo neppure il conferimento del mandato speciale di cui agli artt. 83, comma 2, e 365 c.p.c., atteso il chiaro disposto dell’art. 1, comma 2, r.d. 30.10.1933 n. 1611, secondo il quale "gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni dinanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualità", e la norma dell’art. 1, comma 1, r.d. 30.10.1933 n. 1612 (recante il regolamento di esecuzione del TU delle leggi e delle norme giuridiche sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato) poi riprodotta nell’art. 9, comma 1, della legge 4 aprile 1979 n. 103 (recante modifiche all’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato) la quale dispone che "L’Avvocatura generale dello Stato provvede alla rappresentanza e difesa delle amministrazioni nei giudizi davanti alla Corte costituzionale, alla Corte di cassazione, al Tribunale superiore delle acque pubbliche, alle altre supreme giurisdizioni, anche amministrative, ed ai collegi arbitrali con sede in Roma, nonché nei procedimenti innanzi a collegi internazionali o comunitari (cfr. con riferimento alle controversie in materia tributaria: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 23020 del 15/11/2005; id. Sez. 5, Sentenza n. 11227; id, Sez. 5, Sentenza n. 3427 del 12/02/2010; id. Sez. 5, Sentenza n. 13156 del 11/06/2014. Vedi Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 14785 del 05/07/2011 che distingue tra procura ad litem, quale requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione, non richiesto in caso di difesa svolta dall’Avvocatura erariale, e contratto di patrocinio che attiene ai rapporti interni tra ente pubblico ed Avvocatura erariale, non costituisce requisito di ammissibilità del ricorso, e non incide sulla titolarità ed esercizio del "jus postulandi").

3. Con il primo motivo la Agenzia fiscale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 D.lgs. n. 218/1997 e dell’art. 21 D.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360 co 1. n. 3 c.p.c.

Sostiene la Agenzia fiscale che la sospensione del termine di impugnazione, conseguente alla presentazione della istanza di formulazione della proposta di accertamento con adesione di cui all’art. 6 comma 3 del D.lgs. n. 218/1997, avrebbe ad oggetto esclusivamente gli atti impositivi, sicché, essendo stato contestato l’illecito tributario con atto separato notificato il 16.1.2006, la mancata impugnazione dello stesso nel termine stabilito dall’art. 21 D.lgs. n. 546/1992 avrebbe reso il provvedimento sanzionatone definitivo.

3.1. II motivo è palesemente infondato.

3.2. La tesi difensiva della Agenzia delle Entrate è in contrasto tanto con il criterio interpretativo logico quanto con quello sistematico del complesso normativo che disciplina il procedimento di accertamento con adesione di cui al D.lgs. 19.6.1997 n. 218.

L’argomento logico addotto dalla CTR a sostegno della statuizione impugnata, secondo cui la contestazione dell’illecito si pone in rapporto di pregiudizialità necessaria con l’accertamento della imposta, sicché il procedimento di definizione dell’accertamento con adesione del tributo non potrebbe non involgere anche la sanzione, trova invero riscontro:

a) nella disposizione del comma 5 dell’art. 2 del medesimo decreto legislativo, nel testo applicabile ratione temporis, che ricollega alla definizione del procedimento la applicazione "nella misura di un quarto del minimo previsto dalla legge" (successivamente aumentata alla misura di un terzo, a seguito della modifica operata dall’art. 1 della legge 13.12.2010 n. 220, e ridotta alla metà nel caso di adesione a "verbale di constatazione" in materia di imposte sui redditi od IVA che consenta la emissione di "accertamenti parziali": art. 5 bis, introdotto dall’art. 83 co 18 del DL n. 112/2008 conv. in legge n. 133/2008) delle sanzioni comminate "per le violazioni concernenti i tributi oggetto della adesione, commesse nel periodo di imposta, nonché per le violazioni concernenti le dichiarazioni relative allo stesso periodo"

b) nella disposizione dell’art. 15 del D.lgs. n. 218/1997 che, nel testo applicabile ratione temporis, prevedeva la riduzione ad un quarto (attualmente ad un terzo) delle "sanzioni irrogate per le violazioni indicate nell'articolo 2, comma 5, del presente decreto" se il contribuente rinuncia ad impugnare l’avviso notificatogli ed a presentare istanza di accertamento con adesione.

3.3. La relazione di pregiudizialità necessaria istituita tra l’accertamento della obbligazione d’imposta e la fattispecie illecita correlata alla imposta evasa trova, peraltro, riconoscimento nella giurisprudenza di questa Corte che si è espressa sull’obbligo del Giudice di merito di sospensione necessaria del processo avente ad oggetto la impugnazione dell’atto irrogativo della sanzione, tutte le volte in cui la condotta illecita venga a dipendere dall’accertamento dell’inadempimento della obbligazione tributaria (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 14814 del 04/06/2008; id. SU 4.6.2008 n. 14814, in motivazione, paragr. 2.3.2.). Appare, peraltro, del tutto evidente come il nesso di interdipendenza debba essere accertato in concreto, ricorrendo il nesso di pregiudizialità tra debito d’imposta ed illecito finanziario, non in assoluto ma soltanto nel caso in cui la condotta illecita venga a riflettersi direttamente e dunque ad essere strumentale all’inadempimento della obbligazione tributaria (ed infatti gli artt. 2 co 5 e 15 co 1 del D.lgs. n. 218/1997, fanno espresso riferimento alle sanzioni irrogate "per le violazioni dei tributi oggetto dell’adesione"), ipotesi che si verifica in ogni caso di violazioni cd. "sostanziali", definibili "a contrario" rispetto alla definizione, contenuta nell’art. 6, comma 5 bis, del D.lgs. 18.12.1997 n. 472 (disposizione introdotta dall’art. 7 del D.lgs. 26.1.2001 n. 32) delle "violazioni meramente formali non punibili, che rispondono a due concorrenti requisiti (non arrecare pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non incidere sulla determinazione della base imponibile dell'imposta e sul versamento del tributo: cfr. da ultimo Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 5897 del 08/03/2013), secondo una distinzione che trova riscontro anche nella giurisprudenza comunitaria in materia di tributi armonizzati, laddove si afferma che la inosservanza di obblighi formali, "in mancanza di frode o tentativo di frode o di danno al bilancio dello Stato membro" (ossia in mancanza di pregiudizio arrecato agli interessi patrimoniali della Comunità), non determina la perdita del diritto a detrazione sicché la previsione di "una sanzione consistente in un diniego del diritto a detrazione" è da ritenere non conforme all’ordinamento comunitario in materia di IVA "nel caso in cui non fossero accertati nessuna frode o danno per il bilancio dello Stato" (cfr. Corte di Giustizia sentenze: S., C-25/07; E., C-95/07 e C-96/07; E.M.S.-B.T., C-284/11 secondo cui "il versamento degli interessi moratori può costituire una sanzione adeguata in caso di violazione di un obbligo formale"; da ultimo, sentenza 17.7.2014, C-272/13, E. s.c.a r.l.), in quanto violativa del principio di proporzionalità (risultando eccessiva rispetto allo scopo assicurare la esatta riscossione del tributo ed evitare la evasione. La nozione di violazione formale del diritto comunitario diverge, peraltro, da quella di violazione meramente formale non punibile dal D.lgs. n. 472/1997, atteso che nelle sentenze della Corte di Giustizia non è affatto prevista la esclusione "tout court" della misura sanzionatoria repressiva, se rispondente al principio di proporzionalità: cfr, sentenze R., C- 263/11; E., C-272/13).

3.4. Pertanto, ravvisato il nesso di pregiudizialità tra accertamento del tributo ed irrogazione della sanzione, la "ratio legis" che assiste il procedimento di accertamento con adesione (che è quella di risolvere preventivamente i conflitti potenziali con i contribuenti assicurando una entrata certa ed immediata all’Erario, evitando inutile esercizio di attività amministrativa e le difficoltà connesse ai tempi del contenzioso) avuto riguardo agli effetti e benefici di cui può fruire il contribuente aderente, tra cui specificamente la riduzione delle sanzioni collegate al tributo, impone di ricondurre nella disciplina sospensiva del termine di decadenza di cui all’art. 21 D.lgs. n. 546/1992 anche il provvedimento sanzionatorio, quando anche adottato e notificato separatamente dall’avviso di accertamento, sempre che la violazione finanziaria contestata integri una condotta materiale strumentale alla evasione della imposta accertata.

3.5. La "facoltà" attribuita all’Ufficio finanziario dall’art. 17co 1 D.lgs. n. 472/1997, nel testo applicabile ratione temporis (la norma prevedeva che, in deroga all’art. 16, "le sanzioni collegale al tributo cui si riferiscono possono essere irrogate, senza previa contestazione e con l'osservanza, in quanto compatibili, delle disposizioni che regolano il procedimento di accertamento del tributo medesimo, con atto contestuale all'avviso di accertamento o di rettifica, motivato a pena di nullità. La originaria "facoltà" non è più contemplata dalla norma attualmente in vigore che, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 23 co. 29 lett. b D.L. n. 98/2011 conv. in legge n. 111/2011, dispone "le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono sono irrogate di emettere un provvedimento impositivo distinto dal "collegato" provvedimento irrogativo di sanzione, notificati separatamente al contribuente, non appare, peraltro, di ostacolo alla riconducibilità dell’effetto sospensivo del termine di impugnazione ex art. 21 D.lgs. n. 546/1992 ad entrambi gli "atti collegati, tenuto conto altresì che la non contestualità dell’avviso di accertamento e del provvedimento sanzionatorio determina la applicazione della disciplina ordinaria di irrogazione della sanzione, prevista dall’art. 16 D.lgs. n. 472/1997 che impone all’Ufficio la previa notifica al contribuente dell’"atto di contestazione" dell’illecito tributario (a differenza della fattispecie procedimentale di cui all’art. 17 per cui è prevista la irrogazione della sanzione "senza contestazione") e che, in caso di mancata definizione agevolata della controversia (mediante oblazione: comma 3), consente al contribuente di produrre, nel termine di impugnazione dell’atto, "deduzioni difensive" volte a contestare la esistenza o gli elementi costitutivi dell’illecito (comma 4), insorgendo in tal modo l’obbligo dell’Ufficio di provvedere, motivando a pena di nullità anche in ordine a tali deduzioni (comma 7).

Ne segue che la istanza di formulazione della proposta per "accertamento con adesione", presentata dalla società I. a r.l. in data 28.2.2006 in relazione sia all’avviso di accertamento che all’atto di contestazione dell’illecito, entrambi notificati al contribuente il 16 gennaio 2006, in quanto rivolta a conseguire anche il beneficio della riduzione della sanzione, deve ritenersi pienamente idonea ad assolvere contestualmente tanto la funzione di atto di iniziativa - ai sensi dell’art. 6, comma 1 e 2, D.lgs. n. 218/1997 - del procedimento di "accertamento con adesione", quanto la funzione di atto di "deduzioni difensive" di cui all’art. 16, comma 4, D.lgs. n. 472/1997, e deve ritenersi pertanto pienamente idonea ad impedire la decorrenza del termine di impugnazione anche del provvedimento sanzionatorio, ex art. 21 D.lgs. n. 546/1997.

3.6. Alla stregua degli indicati criteri ermeneutici appare del tutto avulsa dal contesto normativo la tesi interpretativa restrittiva prospettata dalla Agenzia delle Entrate, fondata sul mero argomento letterale del testo dell’art. 1 del D.lgs. n. 218/1997: la norma, infatti, si limita a definire il perimetro di applicazione della "adesione" del contribuente "secondo le disposizioni seguenti, in base al criterio oggettivo della natura del tributo (comma 1: imposte sui redditi ed imposta sul valore aggiunto; comma 2: imposte sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecaria e catastale, INVIM), e se interpretata letteralmente come volta ad escludere i provvedimenti sanzionatori delle violazioni relative a quei tributi, verrebbe a determinare una ingiustificata disparità di trattamento nell’applicazione del medesimo "procedimento di accertamento con adesione", tra i contribuenti cui è stato notificato un atto impositivo contestuale alla sanzione e quelli invece cui sono stati notificati atti separati, onerati della previa proposizione dell’opposizione all’atto di contestazione dell’ illecito, esclusivamente al fine di poter richiedere la riduzione della sanzione in esito al procedimento di adesione (onere di introduzione del giudizio che viene ad integrare un adempimento non richiesto dal procedimento disciplinato dal D.lgs. n. 218/1997 e che viene ad innescare un inutile contenzioso avanti il Giudice tributario in palese antitesi con la "ratio legis" del decreto legislativo volta a prevenire proprio tale contenzioso, con pregiudizio ai principi costituzionali di pari trattamento di situazioni identiche e di efficienza dell’azione amministrativa ex artt. 3 e 97 Cost.).

3.7. La questione sottoposta alla Corte deve pertanto essere risolta alla stregua del seguente principio di diritto:"il nesso di pregiudizialità necessaria tra accertamento della debenza d’imposta e violazione tributaria (ove la condotta risulti strumentale all’inadempimento della obbligazione tributaria, integrando una violazione cd. sostanziale) comporta che - anche nel caso in cui la contestazione dell’illecito sia stata notificata con atto separato rispetto all’avviso di rettifica della imposta - la presentazione da parte del contribuente della istanza di definizione del rapporto tributario mediante procedimento per adesione ex D.lgs. n. 218/1997, determina, ai sensi degli arti. 6 e 12 del predetto decreto legislativo, la sospensione di gg. 90 del termine di decadenza ex art. 21 D.lgs. n. 546/1992 per la impugnazione tanto dell’atto impositivo, quanto dell’atto di contestazione deIl’illecito".

3.8. Conforme a diritto è, quindi, la statuizione della CTR che ha ritenuto tempestiva la impugnazione, tanto dell’avviso di accertamento quanto del provvedimento irrogativo della sanzione, proposta dalla società in seguito alla inutile scadenza della proroga di gg. 90 (decorrente dalla presentazione della istanza di cui all’art. 6 co 2 D.lgs. n. 218/1997) del termine di decadenza di cui all’art. 21 D.lgs. n. 546/1992.

4. Con il secondo motivo la Agenzia ricorrente denuncia il vizio di insufficiente motivazione ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c., sostenendo che i Giudici di appello non avevano esplicitato in modo chiaro l’affermazione secondo cui le "schede di lavoro" erano da ritenersi meri "preventivi" non dimostrativi della esecuzione di operazioni non contabilizzate.

4.1. II motivo è infondato.

4.2. La Commissione tributaria ha ritenuto che le "schede lavorazione" integrassero dei meri preventivi di massima, suscettibili di modifiche quanto agli importi in essi indicati nel corso delle lavorazioni e, con riferimento alla condivisione della decisione di prime cure, ha confermato tale valutazione sulla natura di dette schede rilevando: a) che le modifiche degli importi rispetto alle fatture successivamente emesse per gli stessi lavori, si riferivano soltanto ad un modestissimo numero di schede (circa 8-9% dei documenti esaminati); b) che la efficacia indiziaria della esecuzione di operazioni extracontabili, che era stata attribuita dall'Ufficio alle schede discordanti con le fatture era contrastata dalla natura di soggetti passivi IVA dei clienti i quali non aveva pertanto alcun interesse a favorire una sottofatturazione degli importi corrisposti alla società,

4.3. La critica svolta dalla ricorrente non incide sulla coerenza logica delle argomentazioni svolte dalla CTR, risolvendosi meramente nella inammissibile richiesta di una nuova valutazione nel merito degli elementi indiziari già esaminati dal Giudice di merito, che rimane preclusa nel giudizio di legittimità, dovendo ribadirsi il principio di diritto secondo cui il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'"iter" formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ.: in caso contrario, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, ovvero di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 17486 del 09/12/2002; id. Sez, 1, Sentenza n. 10576 del 04/07/2003; id. Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006; id, Sez, 1, Sentenza n. 1754 de! 26/01/2007).

5. Con il terzo motivo la Agenzia fiscale impugna la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 164 (già 121 bis), comma 1, lett. b), TUIR e dell’art. 19 bis, comma 1, lett. c), [recte dell’art. 19 bis.1, comma 1, lett. c ] del Dpr n. 633/72, in relazione all’art. 360co 1 n. 3 c.p.c.

Con il quarto motivo la parte ricorrente deduce il vizio di insufficienza della motivazione ex art.360 co 1 n. 5 c.p.c.

Con entrambi i motivi la Agenzia impugna la sentenza sostenendo che la CTR ritenendo deducibili per l’intero i costi "inerenti" sostenuti per gli automezzi da parte della società, avrebbe violato le norme indicate e comunque non motivato in ordine ai presupposti cui le norme violate consentivano la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’IVA, ed in particolare in ordine alla prova della esclusiva destinazione di tali veicoli all’attività d’impresa in quanto in possesso di determinate caratteristiche tecniche previste nella Tabella B allegata al Dpr n. 633/1972 (carrozzamento a pianale od a cassone con cabina profonda o a furgone anche finestrato).

5.1. Se il terzo motivo appare inammissibile per errata individuazione del parametro del sindacato di legittimità in quanto, la parte, come emerge dal quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., non intende censurare una errata interpretazione od applicazione della fattispecie normativa, quanto piuttosto una erronea valutazione delle risultanze probatorie in ordine all’esclusivo utilizzo dei beni strumentali nell’esercizio della attività imprenditoriale, occorre considerare in via preliminare che, per quanto concerne l’IVA, le limitazioni alla indetraibilità IVA stabilite dall’art.19 bis. 1 del Dpr n.633/1972, e prorogate con l’art. 30, comma 4, della legge n. 388/2000, sono state ritenute incompatibili con l’ordinamento comunitario (VI direttiva CEE n. 388/1977 e succ. mod.) dalla sentenza della Corte di giustizia in data 14.9.2006 , in causa C-228/05, S., emessa su rinvio pregiudiziale.

Il Giudice comunitario ha statuito, infatti, che qualora un ’esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita conformemente all'art. 17, n. 7, della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, le autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga al principio del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto enunciato dall'art. 17, n. 1, della medesima direttiva. Il soggetto passivo cui sia stata applicata tale misura derogatoria deve poter ricalcolare il suo debito d’imposta sul valore aggiunto conformemente alle disposizioni dell’art. 17, n. 2, della sesta direttiva, nella misura in cui i beni e i servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta.

La efficacia dichiarativa delle sentenze della Corte di Giustizia (da ultimo ribadita da questa Corte Sez. 1, Sentenza n. 13676 de116/06/2014) determina la non applicabilità della norma nazionale incompatibile, con effetto "ex tunc", venendo quindi a privare lo stesso oggetto della critica formulata dalla Agenzia ricorrente con i motivi terzo e quarto del ricorso per cassazione che debbono ritenersi, pertanto, infondati.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato con la condanna dell’agenzia fiscale soccombente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna l’agenzia fiscale alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in €6.500,00 per compensi e €200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.