Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE ROMA - Ordinanza 13 maggio 2015

Contenzioso tributario - Appello - Notificazione del ricorso effettuata senza il tramite dell'ufficiale giudiziario - Obbligo di depositare copia dell'appello presso la segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata - Residua operatività nel solo caso di notificazione del ricorso effettuata (a mezzo raccomandata) dalla parte che si difende personalmente - Contrasto con l'esigenza di effettivo esercizio del diritto di difesa - Disparità di trattamento in raffronto ai casi di notificazioni effettuate dal difensore o dal messo notificatore (equiparate dalla giurisprudenza della Cassazione alla notificazione effettuata a mezzo ufficiale giudiziario) - Diversità di tutela processuale fra contribuente (che si difenda personalmente) e amministrazione finanziaria - Violazione dei principi di eguaglianza e di parità delle parti

 

Premesso che:

 

la sig.ra P. M. ricorreva avverso la cartella di pagamento, per l'importo di euro 399,39 - relativa a interessi e sanzioni per omesso o carente versamento IRAP, per l'anno di imposta 2005 - emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973; chiedeva inoltre di riconoscere un credito IRAP di euro 2.253,00, versato a saldo con modello F 24 in data 20 luglio 2006;

la CTP di Roma, con sentenza n. 234/5113, rigettava il ricorso, con compensazione delle spese, rilevando che la ricorrente ha limitato le proprie difese a mere asserzioni, omettendo qualsivoglia produzione documentale a sostegno della tesi della non debenza dell'imposta;

propone appello la contribuente che rappresenta di svolgere attività di amministratore di condominio, non assoggettabile ad IRAP, in quanto non sussiste il requisito della autonoma organizzazione. Nel caso di specie essa svolgeva la propria attività in un modestissimo locale, di pochi metri quadrati, ricavato nell'abitazione dove la stessa risiedeva e conviveva con i propri familiari; inoltre non impiegava beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile (nella specie le modestissime attrezzature e beni indicati nel libro dei beni ammortizzabili) e con l'aiuto occasionale di una sola persona, il cui incarico consisteva nella pulizia della stanza e nella spedizione dei plichi postali;

la contribuente chiede, quindi, l'annullamento della cartella di pagamento impugnata ed il riconoscimento del credito IRAP di euro 2.253,00, con condanna della Agenzia delle entrate alla restituzione di tale somma erroneamente versata per il periodo di imposta 2005;

si è costituita in giudizio l'Agenzia delle entrate, la quale, nelle proprie controdeduzioni chiede di verificare l'avvenuto deposito di copia dell'appello presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale (in relazione al disposto dell'art. 53, comma 2, decreto legislativo n. 546/1992) e rappresenta che: la parte non può stare in giudizio personalmente, in quanto il valore della controversia supera euro 2.582,28; è pertanto necessario che la parte sia invitata a nominare un difensore ai sensi dell'art. 12, decreto legislativo n. 546/1992; è inammissibile la richiesta di riconoscimento del credito IRAP di euro 2.253,00, non avendo presentato la parte una specifica istanza di rimborso; nel merito, la contribuente si è avvalsa per l'anno di imposta in questione di prestazioni di lavoro altrui per l'importo di euro 3.290,00; ne consegue la sussistenza del requisito della autonoma organizzazione e la legittimità dell'assoggettamento ad IRAP.

All'udienza del 16 aprile 2015, assente l'Ufficio, la parte si è riportata al proprio atto di appello ed ha ribadito la volontà di stare in giudizio senza assistenza tecnica.

 

Osserva

 

1. Ritiene la Commissione di sollevare, d'ufficio, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 2, seconda parte, decreto legislativo n. 546/1992, che prevede l'inammissibilità dell'appello nel caso di omesso deposito di copia dell'atto di impugnazione presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, per contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione.

2. Va premesso che l'oggetto della controversia è relativo alla legittimità della cartella impugnata, per un importo di euro 399,39, essendo manifestamente improponibile ed irrilevante l'ulteriore richiesta, di riconoscimento di un credito IRAP e di condanna della Agenzia delle entrate al rimborso di quanto erroneamente versato, contenuta nel ricorso introduttivo e nell'appello: infatti, ai sensi dell'art. 19, comma 1, lettera g), decreto legislativo n. 546/1992, può essere impugnato dinanzi alle Commissioni tributarie il "rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi" non dovuti, e, secondo quanto prevede l'art. 21, comma 2, dello stesso decreto, "il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all'art. 19, comma 1, lettera g), può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge di imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto".

Occorre pertanto, per poter impugnare il diniego di rimborso, la presentazione di una domanda di restituzione, che nel caso di specie non risulta proposta dalla parte.

D'altro canto nelle stesse controdeduzioni presentate dall'Ufficio in primo grado il "Valore della controversia" era indicato in euro 399 e la Commissione tributaria provinciale non ha invitato la parte di munirsi di assistenza tecnica, avendo evidentemente ritenuto che quello sopra indicato era il valore della controversia.

Comunque, che il valore della controversia non superi il limite di euro 2.582,28 è dimostrato con certezza dalla circostanza che, a voler considerare rilevante la richiesta di riconoscimento del credito di imposta IRAP per euro 2.253,00, in questo caso non dovrebbe essere computato l'importo degli interessi e sanzioni, ai sensi dell'art. 12, comma 5; secondo periodo ("per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato").

Non può quindi essere accolta la richiesta dell'Ufficio di invitare la parte alla nomina di un difensore, potendo essa, per una causa dell'importo così definito, stare in giudizio personalmente.

3. Ciò posto, dovrebbe essere dichiarata, in conformità alla richiesta della Agenzia delle entrate, l'inammissibilità dell'appello, dal momento che la contribuente non ha provveduto a depositare, presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale di Roma, la copia dell'appello stesso. L'art. 53, comma 2, seconda parte, del decreto legislativo n. 546/1992, (come modificato dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248) infatti stabilisce che "ove il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l'appellante deve, a pena d'inammissibilità, depositare copia dell'appello presso l'ufficio di segreteria della Commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata". Poiché tale adempimento è stato omesso, l'appello è, secondo la normativa vigente al momento della sua proposizione, inammissibile.

E' vero che l'art. 36 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, in materia di semplificazioni fiscali, ha disposto l'eliminazione del secondo periodo del comma 2 dell'art. 53 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, per cui, dalla data di entrata in vigore di tale decreto (13 dicembre 2014), non è più necessario, ai fini della ritualità della proposizione dell'appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale, procedere al deposito di copia dell'atto di impugnazione presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale.

Tuttavia, come precisato dalla Agenzia delle entrate con circolare n. 31/E/14 del 30 dicembre 2014, in mancanza di specifica disposizione transitoria, opera il principio generale secondo cui la norma processuale sopravvenuta trova applicazione con riguardo ai singoli atti di processi già in corso. Conseguentemente, la nuova disposizione si applica agli appelli notificati dopo il 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore del decreto.

Ciò in applicazione del principio affermato dalla Corte di cassazione (vedi sentenza n. 18261/14, che richiama anche altre precedenti pronunce, in part. n. 3688 del 2011), secondo cui "nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all'art. 11 preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore ma anche i singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sua entrata in vigore, quand'anche la nuova disciplina sia più rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all'epoca dì introduzione del giudizio". Pertanto "l'efficacia della norma nuova, salvo diversa disposizione del legislatore, regola anche gli atti di processi già in corso se tali atti siano compiuti successivamente all'entrata in vigore della norma e ciò sia nel senso che se si tratta di atti di parte debbono compiersi secondo quanto da essa preveduto, sia nel senso - meramente consequenziale - che gli atti compiuti successivamente all'entrata in vigore debbono essere valutati nella loro ritualità applicando la nuova norma. Ne deriva la conseguenza che al contrario l'apprezzamento da parte del giudice della ritualità di atti del processo compiuti anteriormente all'efficacia della nuova norma dev'essere valutata in base alla norma previgente".

Per gli appelli proposti, come quello di specie, prima della entrata in vigore della nuova normativa (l'appello della sig.ra M. è stato notificato il 3 luglio 2014 e depositato presso la Commissione tributaria regionale il 31 luglio 2014), deve quindi continuare ad applicarsi la disposizione che prevede l'inammissibilità nel caso di omesso deposito di copia dell'appello presso la Commissione tributaria provinciale.

Va evidenziato, al riguardo, che, secondo la Corte di cassazione, sez. 5, ordinanza 24 marzo 2011, n. 6811 "in tema di contenzioso tributario, ai fini della regolare proposizione dell'appello dinanzi alle commissioni tributarie regionali, la notifica a mezzo posta, eseguita ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53, equivale in tutto e per tutto a quella effettuata a mezzo ufficiale giudiziario, con la conseguenza che l'inammissibilità, prevista dalla seconda parte del comma 2 dell'art. 53, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (nel testo modificato dall'art. 3-bis del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito in legge 2 dicembre 2005, n. 248), nel caso di omesso deposito della copia dell'appello presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, che ha pronunciato la sentenza impugnata, deve ritenersi riferita non agli atti di appello notificati per posta ai sensi della menzionata legge n. 53 del 1994, ma solo al caso in cui la notifica sia stata eseguita a mezzo raccomandata, così come consentito dall'art. 16, comma 3 del decreto legislativo n. 546 del 1992".

Nel caso di specie la notifica è stata effettuata direttamente dalla parte mediante raccomandata (come risulta dalla ricevuta di spedizione e dall'avviso di ricevimento allegati all'appello) e pertanto non sussistono dubbi sulla applicabilità della norma, sopra citata, che stabiliva l'inammissibilità dell'appello.

4. Secondo questa Commissione la norma (art. 53, comma 2, seconda parte, decreto legislativo n. 546/1992), sulla base della quale dovrebbe essere dichiarata l'inammissibilità dell'appello, si pone in contrasto con gli articoli 3, 24 e 111, comma 2, Cost.

4.1. Sulla rilevanza della questione non sussistono dubbi, in quanto l'appello è tempestivo (essendo relativo ad un giudizio instaurato prima del 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della legge n. 69/2009); inoltre, la contribuente ha prodotto, in allegato all'appello, documenti relativi alla ritenuta insussistenza del requisito della autonoma organizzazione, necessario per la assoggettabilità ad IRAP, ma l'esame del merito dell'appello è precluso dalla causa di inammissibilità dedotta dall'Ufficio.

4.2. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, va rilevato quanto segue.

La Corte costituzionale, con la sentenza 4 dicembre 2009, n. 321, ha già preso in esame la questione di costituzionalità dell'art. 53, comma 2, decreto legislativo n. 546/1992 ed ha affermato che, secondo il rimettente, la norma denunciata ha lo scopo di informare la segreteria del giudice di primo grado dell'intervenuto appello e, quindi, di impedire l'erronea attestazione del passaggio in giudicato di detta sentenza (tale ratio è pertanto identica a quella sottesa all'art. 123 disp. att. codice di procedura civile). Ebbene, secondo la Corte costituzionale, "il rimettente individua correttamente la ratio della disposizione censurata, ma erra nel ritenere che tale ratio possa essere soddisfatta dall'evocato comma 3 dell'art. 53 del decreto legislativo n. 546 del 1992. La richiesta di trasmissione del fascicolo prevista da quest'ultimo comma, infatti, viene avanzata dalla segreteria del giudice di appello solo "dopo" la costituzione in giudizio dell'appellante e, pertanto (contrariamente a quanto dedotto dal rimettente) non consente alla segreteria del giudice di primo grado di avere tempestiva notizia della proposizione dell'appello. E ciò risulta ancora più evidente se si tiene conto anche del tempo necessario a che la richiesta pervenga alla segreteria della Commissione tributaria provinciale. Detta richiesta non è, perciò, idonea ad evitare il rischio di una erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, limitandosi essa a consentire al giudice di secondo grado di ottenere la disponibilità del fascicolo in tempo utile per la trattazione della causa in appello. ... E', dunque, erroneo sostenere che la suddetta ratio sia soddisfatta dalla sola richiesta di trasmissione del fascicolo di primo grado, perché questa non può sostituire né l'avviso scritto inviato dall'ufficiale giudiziario né il deposito previsto dalla disposizione censurata".

La questione è poi stata dichiarata manifestamente infondata con ordinanza n. 43 del 2010 (con cui la Corte rileva "l'erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il rimettente, secondo cui la disposizione censurata sarebbe priva di ratio. ... l'applicabilità della disposizione censurata ai soli casi in cui la notificazione dell'appello non avvenga per il tramite dell'ufficiale giudiziario trova, poi, adeguata giustificazione nel fatto che, nei casi in cui la notificazione sia invece effettuata mediante ufficiale giudiziario, la tempestiva notizia della proposizione dell'appello è fornita alla segreteria del giudice di primo grado dallo stesso ufficiale giudiziario, ... una diversa disciplina legislativa sul punto, pur essendo astrattamente possibile, non sarebbe necessariamente più razionale di quella censurata né, comunque, sarebbe costituzionalmente obbligata. ... In ordine alla dedotta violazione dell'art. 24 Cost. sotto il profilo del pregiudizio al diritto di azione, l'accertata ragionevole funzione della norma censurata esclude che la sua applicazione ponga oneri o modalità tali da rendere estremamente difficile l'esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento di attività processuale".

La Corte costituzionale ha preso in esame la questione ancora con la sentenza n. 17 del 2011 (con cui si è specificato che "non è ravvisabile la disparità di trattamento che l'ordinanza di rimessione ritiene sussistente tra chi utilizza lo strumento della notifica dell'appello per mezzo dell'ufficiale giudiziario e chi, anche per ragioni di convenienza (celerità della procedura), si avvale della spedizione dell'atto a mezzo posta con raccomandata a.r. Invero, la rimettente omette di considerare che il legislatore, nel ragionevole esercizio della discrezionalità che gli appartiene, ha conformato in modo diverso le due forme di notificazione. La prima è eseguita con il tramite dell'ufficiale giudiziario, cioè di un soggetto pubblico obbligato a dare immediato avviso scritto dell'avvenuta notifica al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata: ciò ai sensi dell'art. 123 disp. att. Codice di procedura civile, applicabile al processo tributario in virtù del generale richiamo alle norme del codice di procedura civile, effettuato dal comma 2 dell'art. 1 del decreto legislativo n. 546 del 1992. La natura pubblica dell'ufficio, è affidato il compimento dell'atto e lo specifico dovere che gli è imposto dalla legge giustificano la mancata previsione di un effetto di decadenza (inammissibilità) correlato all'inosservanza del detto dovere"), nonché con l'ordinanza n. 141/2011.

4.3. Pur non potendosi riproporre quindi argomenti già ritenuti infondati dalla Corte costituzionale, va rilevato che la Corte di cassazione ha emesso recentemente decisioni che sembrano poter giustificare la valutazione di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità in esame, sotto profili diversi rispetto a quelli già esaminati dalla Corte costituzionale.

La Corte di cassazione ha infatti interpretato in modo restrittivo l'art. 53, comma 2, secondo periodo, escludendo che la causa di inammissibilità in esso prevista possa operare sia nei casi in cui la notifica sia effettuata dal difensore a mezzo del servizio postale, sia nei casi di notifica da parte del messo notificatore (cfr. Cass., sez. 5, ordinanza 4 ottobre 2014, n. 22639, secondo cui "in tema di contenzioso tributario, ai fini della regolare proposizione dell'appello dinanzi alle commissioni tributarie regionali, la notifica tramite il messo di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16, comma 4, ovvero il difensore a mente della legge n. 53 del 1994, equivale integralmente a quella effettuata a mezzo ufficiale giudiziario, sicché, nel caso di omesso deposito della copia dell'appello presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale che ha pronunciato la sentenza impugnata, il gravame non è inammissibile ai sensi del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 2, seconda parte (nel testo modificato dal decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248), trovando piuttosto applicazione anche in tale ipotesi la regola di cui all'art. 123 disp. codice di procedura civile, che onera l'ufficiale giudiziario (e, quindi, anche il messo notificatore e il difensore) di dare immediato avviso scritto dell'avvenuta notificazione dell'appello alla segreteria del giudice che ha reso la sentenza impugnata").

Dalla giurisprudenza sopra citata si deduce quindi che la causa di inammissibilità prevista dall'art. 53, comma 2, secondo periodo, operi nel caso di ricorso proposto personalmente dal contribuente (che non si avvale di assistenza tecnica ai sensi dell'art. 12, comma 5, decreto legislativo n. 546/1992), cioè dal soggetto per il quale può ritenersi meno agevole, per carenza di preparazione professionale, la conoscenza della normativa specifica applicabile ed il rispetto delle formalità prescritte per l'ammissibilità dell'impugnazione, e non invece nel caso di ricorso proposto dall'Ufficio, che si avvalga, per la notifica dell'appello, di proprio personale, autorizzato allo svolgimento delle funzioni di messo notificatore.

La ratio dell'art. 53, comma 2, secondo periodo, non è quindi in discussione.

La questione che questa Commissione ritiene significativa non è se la previsione dell'obbligo di depositare copia dell'appello presso la Commissione tributaria provinciale abbia o meno una significativa ratio (che il legislatore non ha ritenuto peraltro di rilevanza primaria, dal momento che ha disposto l'abrogazione della norma); ma se la previsione di inammissibilità dell'appello nel caso di omesso deposito, solo peraltro quando la notifica non sia effettuata dall'ufficiale giudiziario, dal messo notificatore o dal difensore, possa ritenersi compatibile con gli articoli 3, 24 e 111, comma 2, della Costituzione.

4.4. Nella situazione presa in esame, in cui l'esigenza di evitare l'erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado può porsi in contrasto con l'esigenza di consentire un effettivo esercizio del diritto di difesa, va ritenuto che la norma menzionata realizza una violazione degli articoli 3, 24 e 111, comma 2, Cost., in quanto rende eccessivamente difficoltoso l'esercizio del diritto di difesa del contribuente (cfr. Corte cost., sentenza 6 dicembre 2002, n. 520), mediante l'attribuzione alla sola parte privata dell'onere, per l'ammissibilità dell'appello, di un effettivo deposito del ricorso sia presso la Commissione tributaria regionale che presso la Commissione tributaria provinciale (d'altro canto ad una eventuale erronea attestazione del passaggio in giudicato di una sentenza si può pervenire anche nel caso in cui il messo notificatore abbia omesso di inviare alla segreteria del giudice a quo l'immediato avviso scritto della avvenuta notificazione dell'appello e, in ogni caso, è possibile facilmente porvi rimedio mediante la cancellazione della medesima attestazione, non appena la segreteria della Commissione tributaria regionale invia la richiesta di trasmissione del fascicolo, ai sensi dell'art. 53, comma 3, decreto legislativo n. 546/1992).

4.5. La questione di costituzionalità in oggetto appare in conclusione non manifestamente infondata in quanto il parametro della inviolabilità del diritto di difesa non può essere preso in esame, a seguito del sopravvenuto orientamento del giudice di legittimità, sopra richiamato, distintamente dai principi costituzionali di uguaglianza e di parità delle parti (contribuente e amministrazione finanziaria). In particolare va rilevato che, se il messo notificatore (cfr. art. 16, comma 4, decreto legislativo n. 546/1992, secondo cui "l'ufficio del Ministero delle finanze e l'ente locale provvedono alle notificazioni anche a mezzo del messo comunale o di messo autorizzato dall'amministrazione finanziaria, con l'osservanza delle disposizioni di cui al comma 2") ometta, per negligenza, di dare avviso scritto dell'appello proposto dall'Ufficio, presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, si viene in questo modo a frustrare la ratio dell'art. 53, comma 2, seconda parte, senza che ne consegua alcuna sanzione di inammissibilità.

Come sopra rilevato, la Corte costituzionale ha considerato congrua la previsione secondo cui non è inammissibile l'appello quando l'omissione sia addebitabile all'ufficiale giudiziario, in quanto "la natura pubblica dell'ufficio cui è affidato il compimento dell'atto e lo specifico dovere che gli è imposto dalla legge giustificano la mancata previsione di un effetto di decadenza (inammissibilità) correlato all'inosservanza del detto dovere".

La Corte di cassazione ha però affermato che i messi notificatori speciali che dipendono dall'amministrazione finanziaria debbono essere assimilati ai messi comunali e non ai messi di conciliazione o a quelli del giudice di pace, categorie, queste ultime, che dipendono dall'amministrazione giudiziaria (Cass., sez. 5, sentenza n. 2249/2005).

E' stato inoltre ritenuto inammissibile, per difetto di notificazione, il ricorso per cassazione che "non è stato notificato per mezzo di un ufficiale giudiziario, o di un aiutante ufficiale, e neppure di un messo di conciliazione, ma a mezzo di un messo speciale dell'ufficio IVA (vale a dire del medesimo ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, e che compare nell'intestazione dell'atto con la formula "per quanto occorre possa", come ricorrente insieme all'Amministrazione finanziaria). Questi messi speciali degli uffici finanziari hanno potere di effettuare validamente notifiche - ove debitamente autorizzati ai sensi dell'art. 16, quarto comma, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, sul contenziosi tributario - nell'ambito del procedimento speciale dinanzi alle commissioni tributarie, ma sono privi di qualsiasi potere notificatorio nell'ambito del procedimento per cassazione, anche se in materia tributaria, che è regolato esclusivamente dalle norme di carattere generale, ed in particolare dal codice di procedura civile" (cfr. Cass., sez. 5, 7 novembre 2005, n. 21516).

Nel momento in cui la Corte di cassazione (ordinanza n. 22639/2014) ha equiparato (ai fini dell'applicazione dell'art. 53, comma 2, seconda parte decreto legislativo n. 546/1992) la notifica del messo notificatore, che, pur essendo inserito in un ufficio pubblico, è tuttavia organo di una delle parti del processo, a quella dell'ufficiale giudiziario, la residua previsione di inammissibilità dell'appello solo quando la omissione sia imputabile alla parte privata comporta la violazione del complesso delle norme costituzionali sopra menzionate (articoli 3, 24 e 111, comma 2, Cost.), non essendo conforme a Costituzione una disciplina processuale che tuteli il diritto di agire in giudizio ed il diritto di difesa in modo difforme con riferimento alle diverse parti del processo.

Né si può dire che la disparità di trattamento derivi non dalla norma, ma dalla interpretazione che ne ha dato la Corte di cassazione, quando ha escluso che la sanzione di inammissibilità sia applicabile nel caso di inadempienza imputabile al messo autorizzato dall'amministrazione finanziaria. Questa Commissione infatti, al riguardo, non può che prendere atto dell'orientamento del giudice di legittimità, anche perché un mutamento di indirizzo appare difficilmente realizzabile, stante la intervenuta abrogazione integrale dell'art. 53, comma 2, seconda parte: la Corte di cassazione ha adottato l'interpretazione più restrittiva della norma in esame, equiparando all'ufficiale giudiziario altre figure che intervengono in sede di notificazione, ma ha con ciò determinato un trattamento di favore per la parte pubblica (non essendo sanzionate da inammissibilità le inadempienze riferibili ad un proprio organo, il messo notificatore ex art. 16, comma 4, decreto legislativo n. 546/1992), rispetto alla parte privata.

 

P.Q.M.

 

Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;

Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 2, seconda parte, decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, per violazione degli articoli 3, 24 e 111, comma 2, della Costituzione, dispone la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Ordina che a cura della Segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 16 settembre 2015, n. 37