Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 settembre 2015, n. 37527

Reati societari - Bancarotta fraudolenta - Mancato pagamento dell’Iva e contributi - Rilevanza

 

Fatto e diritto

 

1. Con sentenza pronunciata il 15.4.2014 la corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 12.12.2010, aveva condannato F.W., imputato, nella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione dal 1998 al 2004 e, successivamente, di amministratore unico della "S.L. s.r.l.", dei reati fallimentari di cui ai capi b) e c) dell’imputazione, alle pene, principale ed accessoria, ritenute di giustizia, per avere cagionato il fallimento dell'anzidetta società omettendo il versamento di contributi previdenziali e assistenziali e dei tributi In materia di IVA e di Imposte Dirette, nonché il pagamento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, accumulando in tal modo i debiti che hanno costituito la voce principale del passivo, nonché per avere distratto dal patrimonio sociale quattro autoveicoli, cedendoli alla "A. s.r.l.", senza corrispettivo alcuno, poco prima della dichiarazione di fallimento intervenuta il 16.11.2006.

2. Avverso la decisione della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, l'imputato lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del F. per il reato di bancarotta impropria di cui al capo b), perché la corte territoriale, con motivazione manifestamente illogica e contraddittoria, ha ritenuto ininfluente la circostanza che, ben quattro anni prima della dichiarazione di fallimento, era stato stipulato un contratto di cessione in favore della società "S." del ramo d'azienda costituito dal servizio di trasporto pubblico locale della "S.", in virtù del quale era stato previsto l'accollo da parte della cessionaria del valore dei debiti previdenziali ed erariali gravanti sulla cedente, laddove è stato proprio l'inadempimento da parte della "S." delle obbligazioni contrattualmente assunte a determinare il fallimento della "S.", che non si sarebbe verificato ove i debiti, il cui mancato pagamento viene individuato dalla corte di appello come la causa della grave situazione debitoria di "S.", fossero stati onorati dalla "S.", sicché la corte territoriale commette un ulteriore errore nell'affermare che, essendo previsto come contropartita della cessione del ramo d'azienda il pagamento della somma dì appena 160.000,00 euro, si sarebbe verificata una sostanziale svendita del suddetto ramo d'azienda, trascurando di considerare che il prezzo di vendita del ramo d'azienda comprendeva anche l'accollo dei debiti per un valore dì ben 5,000.000,00 di euro, che la "S." non avrebbe più dovuto riconoscere allo Stato; la illogicità e la contraddittorietà della motivazione si colgono, ad avviso del ricorrente, anche nella parte della motivazione in cui la corte territoriale sottolinea, contraddicendo sé stessa, che la cessione del ramo d'azienda avrebbe forse potuto coprire le posizioni debitorie, mentre inadeguata appare la motivazione della sentenza impugnata anche in relazione alla sussistenza del dolo, che presuppone pur sempre la astratta prevedibilità del dissesto quale effetto dell'azione antidoverosa, nel caso in esame non imputabile al F. in quanto il valore della stessa società era tale da far escludere in radice il rischio di un fallimento, come si desume dalla circostanza che al momento della sua cessione il ramo d'azienda del solo trasporto pubblico venne valutato più di cinque milioni di euro; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla bancarotta per distrazione, avendo omesso la corte territoriale di considerare che la cessione degli automezzi alla A.V. non è avvenuta senza corrispettivo, ma con particolari modalità di pagamento, che prevedevano il versamento della somma di euro 10.550,00 e la compensazione, per la restante parte, con crediti vantati dalla "A.V." nei confronti della S., per cui, da un lato, nessun impoverimento del patrimonio della società si è verificato, dall'altro non è configuratile in capo all'imputato nemmeno l'elemento soggettivo del reato in questione, su cui, peraltro, non vi è motivazione.

3. Il ricorso non può essere accolto, essendo sorretto da motivi, in parte infondati, in parte inammissibili.

4. Con particolare riferimento al primo motivo di ricorso non può condividersi la tesi difensiva secondo cui il fallimento della "S." andrebbe ascritto al mancato adempimento dell'obbligo contrattualmente assunto dalla "S." di provvedere al pagamento della notevolissima mole di debiti verso l'erario ed istituti previdenziali, comprensivi anche di interessi e sanzioni, che gravavano sulla società cedente.

Invero, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, che, sul punto, recepiva le indicazioni provenienti dal curatore fallimentare, la cessione del ramo di azienda relativo al trasporto pubblico a "S." per un corrispettivo di appena 160.000,00 euro, a fronte di un valore stimato in sei milioni di euro, ha costituito una sostanziale "svendita", "in ragione della enorme situazione debitoria consapevolmente maturata negli anni", per cui, ove anche la società cessionaria "avesse provveduto ad adempiere integralmente e puntualmente il proprio contratto" (circostanza, peraltro, non verificatasi, in quanto, come evidenzia il giudice di secondo grado, la "S." si era opposta alla esecuzione del contratto, non accollandosi integralmente il debito previdenziale, né erogando il finanziamento promesso) "è indubbio che S. risultava gravemente impoverita dagli effetti della scelta del F., incassando per la cessione del ramo di azienda 160.000,00 euro in luogo dei 6 MLN di euro corrispondenti al suo valore" (cfr. pp. 3-4 della sentenza oggetto di ricorso).

Pertanto, rispetto alla condotta del F., il quale, in violazione dei doveri che, in virtù della carica ricoperta all'interno della società fallita, gli competevano, ha omesso di provvedere all'adempimento delle obbligazioni tributarie e previdenziali gravanti sulla società medesima, in tal modo fornendo un contributo determinante per il verificarsi del fallimento, il mancato assolvimento da parte della società cessionaria dell'onere di adempiere al pagamento dei debiti in questione, costituisce un post factum Irrilevante ai fini della sussistenza del reato, che risulta integrato per effetto del fallimento causato dalla reiterata violazione degli obblighi debitori gravanti sull'imputato innanzi indicati.

Come affermato dall'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, infatti, in tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, I. fall., possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa individuabile e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa, come nel caso di mancato pagamento dei contributi previdenziali e dei debiti tributari, con carattere di sistematicità (cfr., ex plurimis, Cassazione penale, sez. V, 15/05/2014, n. 29586, rv. 260492; Cass., sez. V, 29/11/2013, n. 12426, rv. 259997).

Peraltro proprio la dimostrata inidoneità della intervenuta cessione di azienda a rendere possibile l'utile perseguimento dell'oggetto sociale, senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della società cedente (che avrebbe legittimato una estensione della contestazione di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale anche a tale condotta: cfr. Cass., sez. V, 10/01/2012, n. 10778, rv. 252008), rende del tutto evidente l'infondatezza della tesi difensiva.

Del pari infondati sono i rilievi difensivi riguardanti l'elemento soggettivo del reato.

Al riguardo si osserva che l'elemento soggettivo richiesto non è l'intenzionalità dell'insolvenza, essendo sufficiente la coscienza e volontà da parte degli amministratori di porre in essere abusi o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta ovvero atti intrinsecamente pericolosi per la "salute" economico-finanziaria dell'impresa, non essendo necessaria la rappresentazione e la volontà dell'evento fallimentare, ma solo la consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico, derivanti dalla propria azione (cfr. Cass., sez. V, 16/12/1998, n. 2905; Cass., sez. V, 18/02/2010, n. 17690, rv. 247320; Cass., sez. V, 06/05/2014, n. 42257, rv. 2603).

A tali principi si è attenuta la corte territoriale, evidenziando come il dolo, nel significato innanzi indicato, sia dimostrato dalla consapevolezza di come il reiterato mancato adempimento delle obbligazioni previdenziali e tributarie fosse contrario ai doveri legati al ruolo che il F. rivestiva all'interno della società ed agli interessi sociali, per l'evidente incidenza negativa che esso, accumulandosi, avrebbe prodotto sulla "salute" economico - finanziaria dell'impresa, consapevolezza risultante in re ipsd nel tentativo di farvi fronte (inutilmente) attraverso la previsione, nel contratto dì cessione di azienda, dell'accollo dei debiti da parte della società cessionaria.

5. Inammissibili, invece, appaiono i motivi di ricorso sintetizzati, sub n. 2).

Ed invero le censure del ricorrente al riguardo si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata (che si sofferma specificamente sulla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione addebitato al prevenuto; cfr. pp. 6-7), senza individuare vizi di logicità tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, in quanto tali, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. V, 22.1.2013, n. 23005, rv. 255502; Cass., sez. I, 16.11.2006, n. 42369, rv. 235507; Cass., sez. VI, 3.10.2006, n. 36546, rv. 235510; Cass., sez. IlI, 27.9.2006, n. 37006, rv. 235508).

Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di legittimità, anche dopo la novella dell'art. 606, c.p.p., ad opera della I. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 26.4.2006, n. 22256, rv. 234148).

Esulando, pertanto, dal controllo demandato alla Suprema Corte la rilettura degli elementi dì fatto posti a base della decisione, non costituisce vizio comportante controllo di legittimità la mera prospettazione di una diversa (e, per il ricorrente, più favorevole) valutazione delle emergenze processuali, come quella prospettata dal ricorrente (cfr. Cass., sez. V, 21.4.1999, n. 7569, rv. 213638), che, peraltro, appare anche manifestamente infondata.

Come si evince, infatti, dalla motivazione della sentenza oggetto di ricorso, è stato lo stesso F. a riferire che lo scopo del trasferimento degli automezzi (venduti ad un prezzo non coerente con il loro valore effettivo) era quello di sottrarre i beni a possibili procedure esecutive dei creditori di "S.", mentre con riferimento ai crediti vantati dalla "A." che avrebbero dovuto formare oggetto di compensazione, evidenzia la corte territoriale come essi non sono mai stati "indicati e comprovati" (cfr. pp. 6- 7).

6. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.