Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 settembre 2015, n. 18128

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Sentenza dichiarativa di fallimento - Valida su istanza di uno o più creditori - Non serve l’accertamento giudiziale del credito

 

"La Corte d’Appello di Venezia, rigettando il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento emessa nei confronti della s.r.l. H. su istanza del creditore G.Z. affermava:

la legittimazione dell’istante si fondava non solo sul credito di E 7.000 relativi alla statuizione di condanna proveniente da una sentenza passata in giudicato ma anche su altre due analoghe pronunce provvisoriamente esecutivi aventi ad oggetti crediti per oltre 120.000 euro; la censura relativa al mancato esercizio del diritto di difesa in ordine ad informazioni assunte officiosamente e rilevanti ai fini dell’accertamento dello stato d’insolvenza doveva ritenersi infondata in quanto per un verso l’art. 15 legge fall consente al tribunale l’esercizio di poteri istruttori officiosi, dall’altro il dedotto vizio si traduce in motivo d’impugnazione, con conseguente pieno potere di accertamento da parte del giudice di secondo grado; l’insolvenza deve ritenersi pienamente sussistente in quanto oltre ai quattro titoli esecutivi posti a base dell’istanza di fallimento, sono emersi debiti tributari e previdenziali per 1.714.669,54 euro. Infine risultano a carico della debitrice ulteriori debiti nei confronti dei dipendenti per ben 2.371.305,75 in privilegio e E 292.392,89 in chirografo.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la s.r.l. H. affidandosi a quattro motivi. Hanno resistito con controricorso la curatela fallimentare e il creditore istante.

Nel primo motivo viene censurata la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 legge fall, nonché l’art. 6 per avere la Corte d’Appello riconosciuto la legittimazione dell’istante sulla base di un solo credito accertato con giudicato pari a 7.000 euro dal momento che le altre voci di credito sono oggetto di contenzioso giurisdizionale.

In particolare, il ricorrente evidenzia che la legittimazione dell’istante nel nuovo regime caratterizzato dalla non dichiarabilità del fallimento ex officio, assume particolare rilievo e osserva che nella specie la motivazione al riguardo è soltanto apparente, formulando la medesima censura anche sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’omessa pronuncia.

La censura è manifestamente infondata in tutte le sue articolazioni. Come di recente evidenziato dalle S.U. di questa Corte con la sentenza n. 1521 del 2013 "In tema di iniziativa per la dichiaratone di fallimento, l’art. 6 legge fall., laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l'altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudicale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all'esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’ istante.(cui è seguita in termini Cass. 11421 del 2014). L’entità dei crediti fondati su titolo esecutivo di cui il creditore istante ha dimostrato di essere titolare, come esattamente rilevato dalla Corte d’Appello è del tutto idonea a fondarne la legittimazione.

Nel secondo motivo, anch’esso articolato sotto i tre profili sopra evidenziati, viene censurato l'illegittimo esercizio da parte del tribunale fallimentare del potere di desumere l’insolvenza da accertamenti officiosi non più consentiti nel nuovo regime, essendo esclusa la declaratoria officiosa del fallimento. A giudizio del ricorrente tale accertamento non poteva essere svolto perché afferente a rapporti giuridici intercorsi con terzi e non con l’istante. Inoltre al ricorrente non è stato consentito difendersi tempestivamente in sede di giudizio di dichiarazione di fallimento in quanto le informazioni da Equitalia sono state assunte dopo e solo dopo aver sentito il debitore. Nel merito le esposizioni indicate dovevano ritenersi insussistenti dal momento che erano state pattuite tre rateizzazioni del debito ed infine la Corte d’Appello aveva fondato la propria valutazione dell’insolvenza sull’esame non corretto dello stato passivo.

La censura è manifestamente infondata. Come stabilito dalla giurisprudenza consolidata di questa sezione (Cass. 17281 del 2010), il potere di indagine officiosa è residuato in capo al tribunale, pur dopo l'abrogazione dell'iniziativa d'ufficio, tenuto conto dell'esigenza di evitare la pronuncia di fallimenti ingiustificati, potendo il giudice tuttora assumere informazioni urgenti, ex art. 15, quarto comma, legge fall, utilizzare i dati dei ricavi lordi in qualunque modo essi risultino e dunque a prescindere dalle allegazioni del debitore, ex art. 1, secondo comma, lettera b), legge fall, assumere mezzi di prova officiosi ritenuti necessari nel giudizio di impugnatone ex art. 18 legge fall; tale ruolo di supplenza, volgendo a colmare le lacune delle parti, è però necessariamente limitato ai fatti da esse dedotti quali allegazioni difensive ma non è rimesso a presupposti vincolanti, richiedendo una valutazione del giudice di merito competente circa l'incompletezza del materiale probatorio, l'individuazione di quello utile alla definizione del procedimento, nonché la sua concreta acquisibilità e rilevanza decisoria, (così anche Cass. 13086 del 2010).

Nella specie, il potere officioso come dedotto dalla stessa parte ricorrente è stato dettato per un verso dall’audizione del debitore, dall’altro da informazioni assunte nel procedimento, in quanto ritenute eziologicamente conseguenti ai dati e agli elementi di fatto già acquisiti e conosciuti oltre dall’esame della documentazione contabile (ritenuta non attendibile), ovvero da indizi ed elementi desunti dalle allegazioni difensive e dagli elementi probatori versati in atti, alla luce dei quali il tribunale ha ritenuto di dover svolgere approfondimenti istruttori del tutto legittimi alla luce della massima sopra illustrata.

Peraltro, ove in primo grado si fosse potuto riscontrare un vulnus nell’esercizio del diritto di difesa, tale lesione nel secondo grado non può più essere ritenuta sussistente, così come evidenziato correttamente nel provvedimento impugnato, essendo la società stata posta nella condizione di contrastare gli accertamenti svolti in sede di dichiarazione di fallimento.

Infine, deve osservarsi che la Corte d’Appello, non solo ha pronunciato sul punto ma ha anche motivato esaurientemente in ordine alla sussistenza di un’esorbitante esposizione debitoria dovuta oltre che a debiti ingenti verso i dipendenti anche a quelli derivanti da omissioni previdenziali e tributarie, del tutto non evidenziate nei bilanci depositati, fondando il proprio assunto sull’esame dello stato passivo.

Pertanto, ove si condividano i predetti rilievi, il ricorso deve essere respinto".

Il Collegio aderisce alla relazione depositata osservando in ordine alla memoria del controricorrente Z. che le spese processuali del presente procedimento dal medesimo sostenute, proprio alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità indicato nella pronuncia n. 1186 del 2006, non possono essere poste a carico della procedura dal momento che l’autonoma resistenza con controricorso esclude che il creditore istante abbia agito nell’interesse della medesima, difettando peraltro un’autorizzazione degli organi della procedura al riguardo. La sua posizione di litisconsorte necessario deriva dalla proposizione dell’istanza di fallimento e dall’interesse a coltivarla al fine di beneficiarne degli effetti oltre che a scongiurare la domanda risarcitoria. Si ritiene in conclusione che le spese processuali siano recuperabili nei confronti del fallito se e quando tornato in bonis. In conclusione il ricorso deve essere respinto con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese di lite.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio da liquidarsi in favore della parte contro ricorrente in E 5000 per compensi; E 100 per esborsi oltre accessori di legge in favore di ciascuno dei contro ricorrenti.

Si dà atto della sussistenza delle condizioni di legge per il versamento in capo al ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.