Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 settembre 2015, n. 17449

Professioni liberali - Avvocato e procuratore - Ente pubblico - Decreto ingiuntivo - Difesa dell'ente pubblico - Difesa dei dipendenti - Contratto di patrocinio legale

 

Ritenuto in fatto

 

1. - È impugnata la sentenza della Corte d'appello di Messina, depositata il 20 aprile 2009, che ha rigettato l'appello proposto dall'avv. C. F. avverso la sentenza del Tribunale di Messina e nei confronti dell'E.N.A.I.P. - Ente Acli per l'Istruzione Professionale di Messina.

1.1. - L'ENAIP aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo che gli intimava di pagare la somma di lire 14.286.760 all'avv. F., a titolo di compenso per l'attività prestata nel giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale amministrativo regionale - sezione staccata di Catania, deducendo di non aver conferito alcun mandato sostanziale alla professionista, e di essere stato difeso da un altro legale.

L'opposta aveva precisato di aver ricevuto mandato ad litem sia dall'Ente sia da alcuni dipendenti dello stesso, i quali erano intervenuti nel giudizio a sostegno della posizione dell'Ente stesso.

1.2. - Il Tribunale aveva accolto l'opposizione e revocato il decreto ingiuntivo.

2. - La Corte d'appello confermava la decisione richiamando, come già il Tribunale, il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il rapporto sostanziale di patrocinio legale va tenuto distinto dalla procura ad litem, e l'obbligo di corrispondere il compenso al professionista grava sulla parte del contratto di patrocinio, che può non coincidere con il soggetto che ha rilasciato la procura, mentre non era pertinente il richiamo dell’appellante alla disciplina della simulazione.

2.1. - Secondo la Corte distrettuale, gli elementi emersi dall'istruttoria valutati complessivamente portavano a ritenere che, pur a fronte di un'unica procura alle liti, fossero stati conclusi due contratti autonomi e distinti di mandato, e che pertanto l'Ente non era tenuto a pagare il compenso all'avv. F..

3. - Per la cassazione della sentenza d'appello ha proposto ricorso C. F., sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso l'E.N.A.X.P. di Messina.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il ricorso è infondato.

1.1. - Con il primo motivo è dedotta violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, n. 4, cod. proc. civ.

1.2. - Si lamenta l'erronea qualificazione dell'eccezione formulata dall'ENAIP, secondo cui il conferimento del mandato alle liti ad entrambi i legali era soltanto formale, mentre nella sostanza l'Ente intendeva essere rappresentato unicamente dall'avv. C.. Con tale eccezione, ad avviso della ricorrente, l'Ente aveva dedotto l'esistenza di un patto contrario alle risultanze documentali ovvero l'inesistenza della volontà negoziale, assumendo quindi che l'incarico professionale fosse simulato, ma la Corte distrettuale, come già il giudice di primo grado, aveva ritenuto che la questione cosi posta riguardasse la "non corrispondenza tra soggetto che ha conferito l'incarico professionale e se ne è assunto i relativi oneri e soggetto che ha rilasciato la procura ed è stato il reale beneficiario della prestazione".

In ossequio al disposto di cui all'art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, è formulato il seguente quesito di diritto: "se l'avere la Corte d'appello di Messina nella pronuncia oggetto dell'odierno gravame determinato e qualificato l'eccezione proposta dall'ENAIP non come eccezione di simulazione assoluta bensì come deduzione di non corrispondenza tra il soggetto che ha conferito l'incarico professionale di rappresentare e difendere tale Ente nel dedotto giudizio amministrativo e soggetto che ha rilasciato la profumeria inficiato della prestazione, cosi modificando la prospettazione giuridica di parte e sostituendo l'azione o eccezione proposta con una diversa, perché fondata su fatti diversi ovvero su una diversa causa petendi, abbia comportato un vizio di extrapetizione in violazione dell'articolo 112 cod. proc. civ. che, sostanziandosi un error in procedendo, determina nullità della pronuncia impugnata".

2. - Con il secondo motivo è dedotta violazione degli artt. 1417, 2722 e 2729 cod. civ., in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.

Si assume che l'erronea qualificazione dell'eccezione formulata dall'ENPAI avrebbe comportato l'applicazione di un regime probatorio incompatibile con la simulazione.

A corredo del motivo, è formulato il seguente quesito di diritto: "se, in virtù del combinato disposto degli artt. 1417, 2733 e 2729, secondo comma, cod. civ. , la prova della simulazione del contratto incontra nei rapporti tra le parti gli stessi limiti della prova testimoniale, per cui, se il negozio simulato è stato redatto per iscritto, al contenuto del documento non può opporsi né la prova per testi né quella per presunzioni, risolvendosi l'accordo simulatorio in un patto contrario contestuale alla conclusione del contratto simulato, del quale le parti sono in grado di procurarsi la prova scritta, e se, conseguentemente, nel caso di specie, la Corte d'appello di Messina, con la pronuncia oggetto del presente gravame, confermando la sentenza di primo grado affetto dal medesimo vizio e decidendo essa stessa in base a presunzioni abbia violato le norme sopra indicate".

2.1. - Le doglianze, da esaminare congiuntamente perché in rapporto di subordinazione logica, sono infondate.

2.1.1. - Diversamente da quanto assume la ricorrente, la Corte d'appello ha qualificato in modo corretto l'eccezione formulata dall'ENAIP nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, con la quale non è stata contestata l'esistenza e l'efficacia della procura ad litem formalmente rilasciata dall'Ente ad entrambi i legali, bensì il rapporto sottostante con uno di essi.

L'eccezione era dunque finalizzata a contestare la coincidenza del contratto di patrocinio con la procura alle liti, coincidenza che si deve presumere, salvo che sia dimostrata, anche in via indiziaria, l'esistenza di rapporti distinti sul piano processuale e su quello sostanziale (ex plurimi a, Cass., sez. 2A, sentenza n. 26060 del 2013).

3. - Con il terzo motivo è dedotta violazione dell'art. 115 cod. proc. civ., in riferimento all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.

Si contesta che la Corte d'appello, pur avendo riconosciuto che il Tribunale aveva applicato erroneamente la regola sul riparto dell'onere probatorio, aveva poi affermato che la questione era "priva di risvolti pratici sull'esito della lite", senza rilevare a sua volta che l'ENAIP non aveva fornito la prova dell'eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata, e senza considerare la prova fornita dalla appellante sul punto.

A corredo del motivo, è formulato il seguente quesito di diritto: "se, in ossequio al disposto di cui all'art. 115 cod. proc. civ., il giudice debba porre a fondamento del proprio convincimento le prove fornite dalle parti e se, conseguentemente, nel caso di specie, la Corte d'appello di Messina con la sentenza oggetto dell'odierno gravame, omettendo di rilevare che a fondamento delle proprie istanze l'avv. F. aveva fornito piena prova del mandato conferitole dall'ENAIP e del comprovato e mai contestato espletamento dell'attività professionale demandatale da cui nasceva la pretesa creditoria azionata nel giudizio in questione, nonché del riconoscimento da parte dell'Ente debitore della propria tenutezza al versamento del detto corrispettivo, e che invece priva di idoneo supporto probatorio risultava l'eccezione di carenza di mandato sollevata dall'ENAIP, e per tali ragioni accogliere l'appello proposto dall'avv. F., anziché rigettarlo, abbia violato la norma di cui all'art. 115 cod. proc. civ.".

3.1. - La doglianza è inammissibile.

3.1.1. - Le questioni che hanno ad oggetto la valutazione delle prova, e cioè l'attività regolata dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., integrano il vizio di motivazione e debbono pertanto essere prospettate ai sensi dell'art. 360, n. 5) , cod. proc. civ. (ex plurimi a, Cass., sez. 3A, sentenza n. 15107 del 2013), e, in ossequio al principio di autosufficienza, la parte ricorrente ha l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, sulla base delle deduzioni contenute nell'atto di ricorso, senza necessità di indagini integrativa {ex plurimis, Cass., sez. 6-L, ordinanza n. 17915 del 2010).

4. - Con il quarto motivo è dedotto vizio di motivazione, in assunto omessa, insufficiente e contraddittoria per avere la Corte d'appello posto alla base della decisione presunzioni formulate su elementi indiziari di carattere non univoco, desunti da deposizioni testimoniali i cui esiti la stessa Corte distrettuale ha definito "non del tutto coerenti".

La sentenza impugnata, inoltre, risulterebbe illogica e contraddittoria nella parte in cui, pur dando atto che non erano state allegate situazioni ostative al conferimento di procure separate, da parte dell'Ente e dei dipendenti, ai due legali, ha poi ritenuto non "del tutto inequivoco" il significato da attribuire al conferimento dell'unica procura, utilizzando argomenti privi di consistenza.

In ogni caso, sarebbe evidente la carenza di motivazione sul fatto decisivo che la sottoscrizione del mandato ad litem determinava la presunzione dell'esistenza del sottostante rapporto d'opera professionale, che doveva essere superata dall'Ente.

4.1. - La doglianza è infondata.

La Corte d'appello ha evidenziato i numerosi elementi che l'hanno indotta a ritenere superata la presunzione del rapporto sottostante tra le parti.

4.2. - Dopo aver escluso che l'Ente avesse riconosciuto il debito, la Corte d'appello ha evidenziato che costituiva circostanza pacifica, comunque confermata dai testi, che l'avv. C. era stato in passato il legale di fiducia dell'ENAIP, e che l'avv. F., a sua volta, aveva difeso i dipendenti dell'Ente in precedenti giudizi. Di qui la plausibile difficoltà, per ciascuno dei due legali, di assumere contemporaneamente la difesa sia dell'Ente sia dei dipendenti, soggetti di regola portatori di interessi contrapposti, che nel caso specifico erano invece cointeressati (il riconoscimento della spettanza di contributi regionali a favore dell'Ente, avrebbe comportato la corresponsione di una voce retributiva).

La Corte distrettuale ha inoltre sottolineato quanto emerso dalle dichiarazioni dei testimoni, e cioè che sia l'Ente sia i dipendenti si erano rivolti ciascuno al proprio legale di fiducia e che i dipendenti dell'Ente erano stati invitati a versare un acconto all'avv. F..

4.3. - Il ragionamento decisorio seguito dal giudice d'appello per ritenere che, a fronte di un'unica procura alle liti, esistevano due contratti distinti ed autonomi di patrocinio, risultano sufficienti e immuni da vizi logici e giuridici, e pertanto incensurabili in questa sede.

Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, spetta al giudice del merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità. La censura per vizio di motivazione in ordine all'utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso nella sentenza di merito impugnata ma deve fare emergere la illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (ex plurimis, Cass, sez. 3A, sentenza n. 8023 del 2008).

5. - Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 1.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.