Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 agosto 2015, n. 16945

Misure cautelari chieste dall’Erario e istanza di condono - Lite pendente

 

Ritenuto in fatto

 

(...) (società resasi cessionaria, con atto del 9/04/1999, di un complesso aziendale appartenuto alla (...) e, prima, sino al marzo 1998, alla (...) propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti dell'Agenzia delle Entrate e del Ministero dell'Economia e delle Finanze, nonché delle società (...) e di Equitalia spa (già SO.RI.T. spa), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell'Umbria n. 147/03/2007, depositata in data 21/02/2008.

La controversia concerne, da un l’impugnazione, da parte della  (...) di una cartella di pagamento, emessa in relazione alle spese giudiziali liquidate nei La sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell'Umbria n. 712/06/2002, passata in giudicato, e del diniego di condono opposto dall'Ufficio erariale ad una domanda della suddetta contribuente del 21/05/2003 di condono, ex art.16 l. 289/2002 della lite pendente, con riguardo all'anno 1999 ed ai due precedenti anni, 1998 e 1997, nonché, dall'altro lato, la richiesta, avanzata dall'Agenzia delle Entrate, di emissione di misure cautelari, ex art.22 comma 3 d.lgs. 472/1997, su beni della quale cessionaria dell'azienda e coobbligata, ai sensi degli artt.14 d.lgs. 472/1997 e 2504 decies c.c., in solido con la originaria titolare, in relazione ad un debito tributario di quest'ultima, per mancato versamento di IRPEG ed ILOR, dal 1989 al 1997.

Con la sentenza in questa sede impugnata è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente avverso il diniego di condono e respinto la richiesta di misure cautelari dell'Ufficio, nonché respinto il ricorso della contribuente avverso la cartella esattoriale relativa alle spese giudiziali.

In particolare, i. giudici d'appello hanno sostenuto, in parziale accoglimento dell'appello dell'Agenzia delle Entrate, che doveva ritenersi legittimo il diniego sulla domanda di definizione automatica ex art.16 l. 289/2002, non potendo configurarsi una "Zite pendente" in relazione ad un procedimento introdotto dall'Ufficio ai sensi dell'art.22 d.lgs. 472/1997, con la richiesta di adozione di misure cautelari per il timore di perdere la garanzia del proprio credito tributario. Peraltro i giudici della C.T.R. hanno ritenuto di non dovere riformare la decisione di primo grado, in punto di diniego dell'autorizzazione all'attuazione di misure cautelari, non avendo l'Amministrazione finanziaria "offerto elementi di prova sufficienti circa .l'attualità del periculum in mora", risultando ormai "superati" gli elementi prospettati al momento dell'originaria istanza. L'intimata Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso e ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo, in riferimento al capo che ha respinto la richiesta di misure cautelari.

La Umbria Olii ha depositato controricorso in replica.

L'Agenzia delle Entrate ha depositato memoria ex art.378 c.p.c..

 

Considerato in diritto.

 

1. La ricorrente Umbria Olii lamenta, con il primo motivo, la nullità della sentenza e del procedimento d'appello, ex art.360 nn. 3 e 4 c.p.c., per violazione degli artt.16, 20, 22 e 53 d.lgs. 546/1992, nonché degli artt.101 e 331 c.p.c., non avendo i giudici della C.T.R. verificato la ritualità dell'appello, non notificato dall'Agenzia delle Entrate, in conformità all'art.53 d.lgs. 546/1992, a tutte le parti del giudizio di primo grado, tra cui la (...).

Con il secondo motivo, la stessa ricorrente lamenta poi la violazione, ex art.360 nn. 3,4 e 5 c.p.c., dell'art.112 c.p.c., nonché degli artt.16 l. 289/2002 e 22 d.lgs. 472/1997, avendo i giudici d'appello ritenuto insussistente una lite pendente condonabile, pur rappresentando sempre anche le misure cautelari richieste dall'Ufficio un'azione giudiziaria e non un mero procedimento amministrativo, ed avendo poi omesso di provvedere sulla domanda della contribuente di restituzione della somma versata a titolo di condono.

2. La prima censura è infondata.

Invero, riguardo alle controparti (...) e  (...) anzitutto, l'Ufficio deduce di avere allegato all'atto di appello la distinta, con il relativo numero, del le raccomandate spedite ai suddetti soggetti, in adempimento degli artt.53, comma 2°, 20, commi 1° e 2°, e 22, commi 1°, 2° e 3°, d.lgs. 546/1992.

Riguardo alla SO.RI.T., concessionario per la riscossione, cui pacificamente, come la stessa controricorrente Agenzia delle Entrate ammette, non è stato notificato l'atto d'appello, deve osservarsi che detto soggetto era mero litisconsorte facoltativo, nel giudizio, riunito, concernente l'impugnazione della cartella esattoriale relativa alle scese giudiziali.

Pure le società e quali coobbligati solidali (secondo l'assunto dell'Agenzia delle Entrate, ricorrente in sede cautelare, sia ai sensi dell'art.14 d.lgs. 472/1997, sia ai sensi dell'art.2504 decies c.c., 2° comma, nel testo vigente ratione temporis), con (...) per i debiti tributari a seguito di scissione societaria e trasferimento di azienda, devono definirsi litisconsorti facoltativi (Cass. 13800/2000).

Per costante giurisprudenza di questa Corte, in presenza di cause scindibili, in applicazione dell'art.332 c.p.c., pur essendo la sentenza di primo grado unica, essa in realtà ha deciso su distinti rapporti giuridici, cosicché, laddove l'impugnazione sia stata proposta soltanto da alcuna delle parti o nei confronti di alcuna di esse, il giudice deve limitarsi ad ordinare (non l'integrazione del contraddittorio, come previsto, in presenza di cause inscindibili, dall'art.331 c.p.c.) la notificazione dell'impugnazione anche ai soggetti nei cui confronti l'impugnazione stessa non sia preclusa, ai fini di una litis denuntiatio, per consentire loro di. proporre eventualmente appello incidentale.

L'omessa osservanza dell'ordine del giudice determina soltanto la sospensione del processo fino 

a che non siano scaduti i termini di impugnazione, ex art. 325 e 327 c.p.c., per i soggetti che non abbiano ricevuto la notificazione.

Se il giudice omette invece di disporre detta notificazione dell'impugnazione, per costante giurisprudenza di questa Corte, la sentenza di appello potrà essere cassata in sede di legittimità, soltanto se, al momento in cui questa Corte è chiamata a decidere, non siano trascorsi i termini per l'appello, mentre, in caso contrario, la violazione dell'art.332 c.p.c-, è improduttiva di effetti (Cass. 6404/1998).

Questa Corte, con spec.i fico riguardo al processo tributario ed alla compatibilità tra il disposto dell'art.53 d.lgs. 546/1992 e quello dell'art.332 c.p.c., ha già chiarito che "in tema di contenzioso tributario, la disposizione di cui all'art. 53, comma secondo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo cui l’appello deve essere proposto nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili e cause scindibili: pertanto, ove la controversia abbia ad oggetto l'esistenza dell’obbligazione tributaria, la mancata proposizione dell'appello anche nei confronti del concessionario del servizio di riscossione, convenuto in primo grado unitamente all'Amministrazione finanziaria, non comporta l'obbligo di disporre la notificazione del ricorso in suo favore, quando sia ormai decorso il termine per l’impugnazione, essendo egli estraneo al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, con la conseguente scindibilità della causa nei suoi confronti, anche ne.! caso in cui non sia stato eccepito o rilevato il suo difetto di legittimazione" (Cass. 10580/2007).

Ancora questa Corte ha affermato che "in tema di contenzioso tributario ed in ipotesi di litisconsorzio, per l'esistenza di una situazione che comporti l’obbligo di chiamare in causa anche in appello, ai sensi dell'art. 331 cod. proc. civ., tutte le parti presenti nella prima fase del processo, è necessario che i rapporti dedotti in causa siano inscindibili, non suscettibili di soluzioni differenti nei confronti delle varie parti del giudizio, o che due (o più) rapporti dipendano logicamente l'uno dall'altro, o da un presupposto di fatto comune, in modo tale da non consentire razionalmente l'adozione nei confronti delle diverse parti di soluzioni non conformi perché comporterebbero capi di decisione logicamente in contraddizione tra loro. Ne consegue che, quando il giudice di primo grado adotti, senza contraddizioni insanabili, soluzioni diverse nei confronti di più parti (nella specie: nei confronti dell'Ufficio del Registro e dell'Ufficio Tecnico Erariale), se ne deve dedurre l’insussistenza di alcuna ipotesi di litisconsorzio necessario, nemmeno di carattere processuale, e l'applicabilità dell'art. 332 cod. proc. civ., sulla impugnazione relativa alle cause scindibili. Né rileva in senso contrario il disposto del secondo comma dell’art. 53 del D.Lgs 31 ottobre 1992, n. 546 - secondo il quale "il ricorso in appello è proposto ... nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado ..." - sia perché l'inosservanza di questa prescrizione non è sanzionata con la nullità, sia perché comunque, ai sensi dell'art. 157 cod. proc. civ., nessuna nullità può essere opposta dalla parte che vi ha rinunziato anche tacitamente" (Cass. 17698/2004). Nella specie, il giudice d'appello non aveva alcun obbligo di integrazione del contraddittorio, ex art.331 c.p.c., trattandosi di cause scindibili, e l'inosservanza del disposto di cui all'art.332 c.p.c. è improduttiva di effetti, essendo ampiamente decorso il termine per proporre appello.

3. Anche il secondo motivo è infondato.

Ai fini della ammissibilità dell'istanza di definizione delle "liti fiscali pendentì', "a domanda del soggetto che ha proposto l'atto introduttivo del giudizio", ai sensi dell'art.16 l. 289/2002, occorre fare richiamo alla nozione di "lite pendente", quale individuata dal legislatore, nell'art.16 l.289/2002: "quella in cui è parte l’Amministrazione finanziaria dello Stato avente ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione, per i quali alla data di entrata in vigore della presente legge, è stato proposto l'atto introduttivo del giudizio, nonché quella per la quale l’atto introduttivo sia stato dichiarato inammissibile con pronuncia non passata in giudicato".

Ora, nella specie, da un lato, difetta un atto impositivo, tale non potendosi definire la sola istanza dell'Amministrazione finanziaria al giudice tributario (o, in mancanza della sua giurisdizione, al tribunale civile), competente in ragione della sede dell'ufficio o ente che ne domanda l'adozione, di autorizzazione all'attuazione di misure cautelari (ipoteca, sequestro conservativo).

Dall'altro lato, difetta un giudizio di tipo impugnatorio incardinato dal contribuente ovvero un processo giurisdizionale di opposizione ad atto di natura tributaria emesso dall'ente impositore, essendo il procedimento in questione, ex art.22 d.lgs. 472/1997, diversamente strutturato, con sua attivazione da parte dello stesso Ufficio procedente e non necessariamente sulla base di un provvedimento impositivo, tanto che l'istanza cautelare è proponibile anche sulla base di processi verbali di constatazione, che possono contenere potenziali pretese a titolo di imposta. Così recita il comma Io dell'art.22 citato, nel testo vigente "ratione temporis": "In base all'atto di contestazione, al provvedimento di irrogazione della sanzione o al processo verbale di constatazione e dopo la ¡oro notifica, l'ufficio o l'ente, quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere, con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria provinciale l'iscrizione di ipoteca sui beni dei trasgressore e dei soggetti obbligati in solido, e l'autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l'azienda".

II procedimento tributario cautelare, di cui all'art.22 d.lgs. 472/1997, è strutturato in maniera del tutto autonoma rispetto al merito della pretesa impositiva.

Come anche evidenziato dall'Agenzia delle Entrate, senza essere chiaramente smentita, anche ai fini della necessaria autosufficienza del ricorso, la Umbria Olii, con la domanda di definizione delle liti fiscali pendenti, presentata nel maggio 2003 ("con il pagamento della somma di € 18.734,00", pag. 17 del ricorso principale), ha inteso  espressamente definire .La sola lite instaurata avverso l'atto del 23/01/2003, con il quale l'Agenzia delle Entrate ha avanzato richiesta di adozione del sequestro conservativo su tutti i beni di cui la Umbria Olii spa risultava conferitaria. Anche nei quesiti di diritto, articolati ex art.366 bis c.p.c., la ricorrente (...) fa esclusivo  riferimento alla asserita lite pendente derivante dalla richiesta dell'Amministrazione finanziaria di adozione di misure cautelari ("Concludendo, onde assolvere all'art.366 bis c.p.c., la fattispecie propone i seguenti quesiti : a)quale sia la nozione di lite pendente e se, ai sensi dell'art. 16 L.n. 289/2002, per lite pendente debba intendersi ogni azione giudiziaria anche per misure cautelari, ai sensi dell'art.22 del d.lgs. n. 472/1997 in cui, sia direttamente che indirettamente, la parte che chieda il condono risulti coinvolta, come è avvenuto, nella specie, per (...) la quale, ancorché terzo rispetto a (...) e non legata a questa da alcun vincolo di solidarietà, era stata fatta oggetto della richiesta di misure cautelari di tipo reale da parte dell'amministrazione finanziaria, che ha inteso far gravare il carico fiscale di (...) per asserita solidarietà, su (...) richiedendo, all'uopo, la concessione di misure cautelari ex art.22 del d.lgs. 472/1997; b) se le misure cautelari previste dall'art.22 del d.lgs. 472/1997 integrino l'ipotesi dell'azione giurisdizionale, ovvero siano da reputare provvedimenti di carattere amministrativo sì da potersi escludere per esse la sussistenza della lite pendente idonea ad ammettere la ricorrente al condono di cui alla l. 289/2002; c) se dovesse la Commissione Tributaria Regionale, pena, in difetto, il vizio di omessa pronuncia, rigettata la domanda di condono (viceversa ritenuta praticabile ed ammissibile dalla Commissione Tributaria Provinciale) , disporre, in favore della Umbria Olii, la restituzione della somma di € 18.734,00 pagata a detto titolo, essendovi sul punto specifica domanda").

4. Venendo quindi all'esame del ricorso incidentale promosso dall’Amministrazione finanziaria, ne va, preliminarmente, affermata l'ammissibilità.

La misura cautelare del sequestro conservativo in materia tributaria ed il relativo procedimento sono disciplinati, come sopra esposto, dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 22.

Questa Corte ha già puntualizzato (cfr. Cass. 24527/07 e Cass. 7342/2008) che la disposizione, qualificando espressamente "sentenza" il provvedimento con cui la Commissione Provinciale decide sull'istanza di sequestro dell'Amministrazione, dimostra di aver inteso sottoporre il provvedimento medesimo agli ordinari mezzi d'impugnazione previsti per le sentenze e, dunque, all'appello e, successivamente, al ricorso per cassazione, ancorché si tratti di provvedimento che non assume la stabilità propria del giudicato, in quanto destinato a perdere efficacia "a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso o la domanda" di merito (cfr. il comma 7 del citato art. 22).

Tanto premesso, la ricorrente incidentale lamenta, in riferimento alla statuizione della C.T.R. sulla richiesta di misure cautelari, l'insufficiente motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., essendosi i giudici d'appello sottratti all'esame degli elementi di fatto posti a fondamento della richiesta dell'Ufficio.

Il motivo è fondato, in quanto la sentenza impugnata ha respinto la richiesta di adozione delle misure cautelari, rilevando che non era stata dimostrata "l'attualità del periculum in mora", invocato nella originaria istanza, respinta dalla C.T.P. di Perugia con la sentenza n. 48/01/2005, non essendo stati offerti elementi sufficienti dall'Agenzia dato il tempo trascorso.

La motivazione si rivela generica ed insufficiente, in relazione agli specifici elementi offerti dall'appellante con riguardo al periculum, quali l'entità del credito erariale, le plurime cessioni del compendio aziendale, la condotta tenuta dalle coobbligate solidali.

Il Giudice di merito, nel valutare se sussista o meno quel "fondato timore, per la Amministrazione, di perdere la garanzia del proprio credito", che costituisce presupposto necessario per l'emanazione dei provvedimenti cautelari di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 22, deve infatti prendere in considerazione tutti gli elementi indicati dalla Amministrazione stessa.

Sussiste dunque il vizio motivazionale denunciato.

5. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso principale deve essere respinto.

Il ricorso incidentale va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell'Umbria.

Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto, con rinvio, anche in punto di liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell'Umbria.