Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 agosto 2015, n. 17167

Tributi - IVA - Avviso di rettifica

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza n. 13588/10, depositata il 4 giugno 2010 e non notificata (hinc: "CS"), la Corte suprema di cassazione, rigettava il ricorso proposto dal contribuente L. C. nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze (hinc: "Ministero"), dell’Agenzia delle entrate (hinc: "Agenzia") e dell’agente della riscossione s.p.a. Equitalia Ravenna (ora s.p.a. Equitalia Romagna, hinc: "Equitalia") avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna (hinc: "CTR") n. 89/12/06, la quale aveva a sua volta rigettato l’appello proposto dal contribuente avverso la pronuncia di primo grado della Commissione tributaria provinciale di Ravenna (hinc: "CTP") n. 62/02/04, che aveva respinto il ricorso proposto dal medesimo contribuente contro un avviso di rettifica dell’IVA, con interessi e sanzioni, per l’anno d’imposta 1994 e contro le conseguenti cartella ed intimazione di pagamento. La medesima sentenza della Corte di cassazione condannava il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione per "ciascuna delle controparti", nella misura di € 5.100,00, di cui € 5.000,00 per onorari, oltre al contributo unico e agli accessori di legge.

I sette motivi di ricorso per cassazione proposti dal contribuente erano rigettati: a. il primo motivo (articolato in due quesiti), perché privo di autosufficienza (primo quesito) e irrilevante (secondo quesito): § 6.2.; b. il secondo motivo (articolato in quattro quesiti), perché irrilevante (primo, secondo e terzo quesito: § 7.2.1. e § 7.2.2.) e manifestamente infondato (quarto quesito: § 7.2.3.); c. il terzo motivo (articolato in 6 quesiti), perché inammissibile (primo quesito: § 8.2.1.), assorbito dall’inammissibilità del primo quesito (secondo quesito: § 8.2.2.), inammissibile (terzo quesito: § 8.2.3.), privo di autosufficienza (quarto quesito: § 8.2.4.), assorbito dall’inammissibilità del terzo quesito (quinto quesito: § 8.2.5.), manifestamente infondato (sesto quesito: § 8.2.6.); d. il quarto motivo, perché inammissibile, mancando il quesito motivazionale (§ 9.2.); e. il quinto motivo, perché privo di autosufficienza (§ 10.2.); f. il sesto motivo, perché privo di autosufficienza (§ 11.2.); g. il settimo motivo, perché privo di autosufficienza (§ 12.2.).

2. Avverso la citata sentenza di questa Corte, il contribuente propone ricorso per revocazione, notificato all’Agenzia ed al Ministero il 19 luglio 2011 ed il 19 - 20 luglio dello stesso anno ad Equitalia, affidato a otto motivi ed illustrato da successiva memoria.

3. L’Agenzia ed il Ministero resistono con un unico controricorso, notificato il 14 ottobre 2011. Anche Equitalia resiste con controricorso notificato il 7 settembre all’Agenzia ed al Ministero ed il 7 - 8 ottobre al ricorrente.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il ricorrente impugna per revocazione la sentenza della Corte di cassazione n. 13588/10 (come sopra avvertito, indicata qui di séguito come "CS") deducendo la sussistenza di svariati errori di fatto.

Al riguardo è opportuno premettere che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la pronuncia della Corte di cassazione è affetta da errore di fatto revocatorio, cioè rilevante ai sensi degli artt. 39 -bis, primo comma, e 395, numero 4, cod. proc. civ., quando esso: a) consista in un mero errore di percezione od in una svista materiale concernenti un "fatto" (processuale o sostanziale) e, perciò, non riguardi né la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche né l’attività interpretativa o valutativa (come l’apprezzamento delle risultanze processuali) compiuta dal giudice [ex plurimis, n. 3180 del 2015; n. 1731 del 2014; n. 22569 del 2013; n. 1381 del 2012; n. 16003 del 2011; n. 22171 del 2010; n. 8180 del 2009 e sez. un. n. 7217 del 2009; n. 14267 del 2007; n. 6198 del 2005; n. 5150 del 2003]; b) emerga dal contrasto tra una dichiarazione espressa (basata, come rilevato, su una mera "supposizione", che non integra un "giudizio" e che, quindi, non si risolve in una valutazione) contenuta nella pronuncia e quanto invece risulta dagli atti interni del giudizio ("atti o documenti della causa") [ex plurimis, n. 22171 del 2010]; c) appaia oggettivamente ed immediatamente rilevabile (supposizione dì un fatto la cui verità è "incontrastabilmente" esclusa; oppure ritenuta inesistenza di un fatto la cui verità è "positivamente" stabilita), tanto da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche [ex plurimis, n. 3180 del 2015; n.7127 del 2006; n. 6511 e n. 4295 del 2005]; d) riguardi un fatto decisivo (nel senso che "la decisione è fondata" sul fatto erroneamente ritenuto esistente o inesistente, tanto che, se non vi fosse stato errore, la decisione sarebbe stata diversa) [ex plurimis, n. 12962 e n. 3379 del 2012; n. 4295 del 2005]; e) attenga a fatto che non abbia costituito, in giudizio, un punto controverso sul quale si sia pronunciato il giudice.

In particolare, l’omessa pronuncia da parte della Corte di cassazione può essere impugnata per revocazione quando si risolva in una omessa lettura (con la consequenziale assenza di qualsivoglia scrutinio) di alcuni motivi del ricorso per cassazione, per essere il giudice di legittimità incorso in un errore di fatto nell’esame degli atti interni al suo stesso giudizio ed avere perciò ignorato tali motivi nella sua pronuncia (explurimis, n. 1654 del 2015; n. 22569 e n. 4605 del 2013; n. 362 del 2010).

Ne segue che è inammissibile l’argomentazione del ricorrente per revocazione (argomentazione che, nella specie, ritorna quasi costantemente in tutti i motivi di ricorso) diretta a prospettare come "svista" della CS una valutazione complessiva degli elementi processuali e una interpretazione delle norme e degli atti contrastanti con le aspettative del contribuente.

Va ricordato, infine, che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente per revocazione, la deduzione di un vizio rientrante nel n. 4 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ. e la possibilità per la Corte di cassazione di esaminare direttamente gli atti processuali non esimono il

ricorrente dall’onere (previsto a pena di inammissibilità dall’art. 366, primo comma, alinea e numero 6 cod. proc. civ.) di rispettare il principio di autosufficienza, indicando ove siano rinvenibili gli atti processuali posti a fondamento del ricorso e riportando in modo chiaro (per trascrizione o riassunto) i passi salienti di detti atti (ex plurimis, Cass. n. 978 del 2007; n. 9108 del 2012; n. 5344 del 2013; n. 25482 del 2014).

Alla stregua di tali riassuntive indicazioni vanno esaminate le censure del ricorrente.

2. Con il primo motivo di revocazione, il ricorrente espone che la CS (nel § 6.2.) ha rigettato il primo motivo di ricorso per cassazione sia nella parte in cui veniva dedotta la violazione dell’art. 36, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (in quanto, secondo il ricorso, la CTR non aveva rilevato che: l’avviso di rettifica era stato notificato, contrariamente al disposto dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ.; era stata depositata in atti solo la copia dell’avviso postale di ricevimento e non anche di spedizione; detto avviso era indirizzato all’ultimo indirizzo in Italia del Capirossi e non era firmato né dal messo comunale né dal destinatario; v’era stata richiesta di produzione dell’originale dei documenti allegati dall’ufficio in primo grado; era stato eccepito l’intervenuto annullamento dell’avviso IRPEF del 1994 da parte della Commissione tributaria provinciale di Ravenna; era stato richiesto il rinvio dell’udienza per una memoria integrativa, data la tardiva costituzione dell’ufficio; non v’era prova della notificazione della pretesa erariale), sia nella parte in cui veniva dedotto (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ.) che nella sentenza della CTR non erano state riprodotte le richieste delle parti ed i motivi di impugnazione.

Il ricorrente per revocazione rileva, sotto il primo profilo, che la pronuncia di difetto di autosufficienza della parte del primo motivo di ricorso per cassazione corrispondente al primo quesito si basa sull’erroneo presupposto che nel ricorso per cassazione non fossero stati indicate e riprodotte le parti rilevanti degli atti richiamati: nella specie, invece, erano stati indicati nel ricorso i documenti ed il loro contenuto essenziale, con la precisazione del numero di allegato.

Sotto il secondo profilo, il medesimo ricorrente osserva che la pronuncia di irrilevanza emessa dalla CS (sull’assunto che il motivo di ricorso per cassazione si risolvesse, sul punto, in una ininfluente critica della tecnica redazionale della sentenza della CTR) è viziata dalla mancata considerazione della lesione del diritto di difesa del contribuente, impedito a contraddire; lesione che rendeva rilevante la denunciata omissione.

Entrambi i profili del motivo di revocazione sono inammissibili

2.1. - Il primo profilo è inammissibile. Il ricorrente assume che; a) era sufficiente l’indicazione dei documenti e del loro contenuto essenziale e non era necessaria anche la riproduzione richiesta dalla CS (la quale ha sottolineato, invece, la necessità della "riproduzione testuale [...] delle parti di quegli atti [...] ritenute rilevanti"); b) non tutto era riproducibile (spazi bianchi, forma grafica etc.). L’assunto della ricorrente, dunque, si basa soprattutto sulla negazione della fondatezza della valutazione giuridica e processuale effettuata dalla CS, che ha richiesto la riproduzione testuale dei documenti posti a base dell’impugnazione. In particolare, da tale impostazione della CS segue la necessità (ad esempio) della trascrizione letterale del contenuto del richiamato avviso postale, riportando ciò che in esso si legge (ovviamente non gli "spazi bianchi" né la forma grafica menzionati dal ricorrente per revocazione). Anche l’affermazione della parte ricorrente che la notificazione era avvenuta ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ. esigeva che venisse trascritta integralmente (o con te precisazione che la trascrizione era integrale) la relata di notifica in modo che potessero emergere tutte le modalità della notificazione eventualmente risultanti dalla medesima relata e non la sola affermazione del notificante ("Io sottoscritto F. O. messo di Riolo Terme ho notificato il presente a Capirossi Loris mediante deposito Casa Comunale per pubblicazione Albo pretorio ai sensi dell’art. 143 c.p.c.") costituente una mera qualificazione (e non un fatto, a parte il deposito) della procedura notificatoria. La trascrizione dei documenti di cui era stato richiesto l’originale, poi, è stata evidentemente ritenuta necessaria (con valutazione qui insindacabile) per scrutinare la rilevanza della richiesta. Dagli stessi passi del ricorso per cassazione trascritti nel ricorso per revocazione emerge che non vi era stata la riproduzione (là dove era possibile) dei documenti menzionati dal ricorrente. Va precisato che l’autosufficienza del ricorso non è soddisfatta dalla mera menzione dell’esistenza in atti dei documenti, anche se esaminabili direttamente (come chiaramente affermato dalla stessa CS nella pag. 19, citando anche Cass. n. 978 del 2007). Ne deriva che, nella specie, si è in presenza non nella deduzione di un errore revocatorio, ma nella contestazione di una valutazione del giudice. A ciò si aggiunga che la decisività dei documenti in questione non risulta ictu oculi ed è meramente affermata dal ricorrente per revocazione.

2.2. - Anche il secondo profilo è inammissibile. Il ricorrente, infatti, nel negare che l’omessa riproduzione, nella sentenza della CTR, delle difese ed istanze delle parti sia irrilevante, si oppone ad una specifica valutazione della CS e, quindi, si pone su un piano estraneo alla denuncia di un errore revocatorio.

3. - Con il secondo motivo di revocazione, il ricorrente censura la parte della sentenza in cui si affronta il secondo motivo di ricorso per cassazione, articolato in quattro quesiti, dichiarato dalla CS: a) con riguardo al primo, secondo e terzo quesito, irrilevante (§ 7.2.1. e § 7.2.2.); b) con riguardo al quarto quesito, manifestamente infondato (§ 7.2.3.).

Il motivo di revocazione è inammissibile.

3.1. - Con riferimento al primo quesito del secondo motivo del ricorso per cassazione (con il quale veniva dedotta la nullità della sentenza della CTR che aveva ritenuto legittima la notificazione dell’avviso di rettifica dell’IVA a cittadino residente all’estero, iscritto all’AIRE ed elettivamente domiciliato presso un consulente fiscale in Italia, effettuata ai sensi degli artt. 140 cod. proc. civ. e 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, con pubblicazione all’albo pretorio ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ. e senza l’indicazione dei tentativi posti in essere per superare l’irreperibilità del destinatario), il ricorrente per revocazione impugna la parte della decisione con cui la CS ha affermato l’irrilevanza del suddetto motivo di ricorso per cassazione perché la fattispecie prospettata alla CTR (residenza all’estero del contribuente; dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà in merito a tale residenza all’estero; dichiarazione IVA relativa al 1994 con indicazione dell’indirizzo del contribuente in Riolo Terme, via Ronchi n. 9, dove era stato notificato l’avviso di rettifica) era diversa da quella prospettata davanti alla Corte di cassazione (omesso riferimento alla dichiarazione Iva per il 1994; nuovo riferimento all’iscrizione all’AIRE).

Per il ricorrente per revocazione, la CS era incorsa in errore revocatorio, perché la fattispecie prospettata in appello ed nel giudizio di cassazione era identica, in quanto: 1. il contribuente non aveva mai sottoposto alla CTR, con l’appello, una fattispecie incentrata sulla sua volontaria elezione di domicilio con la dichiarazione IVA per il 1994; 2. l’indicazione dell’indirizzo del contribuente in Riolo Terme non costituiva elezione di domicilio, ma obbligatoria dichiarazione della residenza del 1994; 3. il contribuente aveva tempestivamente comunicato all’ufficio fiscale il 7 dicembre 1994 la propria effettiva residenza all’estero, ribadita il 14 dicembre 1994 con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà rilasciata al Comune di Riolo Terme; 4. sin dal primo grado aveva dedotto la propria iscrizione all’AIRE, ribadita anche in appello.

Il motivo di revocazione è inammissibile, in parte qua, perché la CS, oltre a motivare in base alla ritenuta difformità delle fattispecie prospettate in appello e nel giudizio per cassazione, ha affermato che era "immune da censure" la decisione della CTR di considerare valida la notificazione dell’avviso di rettifica a Riolo Terme, perché l’ufficio tributario si era attenuto "alla volontà del contribuente, manifestata nella dichiarazione IVA presentata nel 1995, di avere il domicilio fiscale nel Comune di Riolo Terme". Tale punto della motivazione della CS (idoneo da solo a sorreggere la decisione), da un lato, integra una valutazione non suscettibile di impugnazione per errore revocatorio e, dall’altro, rende privo di decisività ogni eventuale errore circa l’esistenza di una difformità della fattispecie sottoposta al giudice d’appello rispetto a quella sottoposta al giudice di cassazione. Al riguardo, va ulteriormente sottolineato che, comunque, il nucleo essenziale della fattispecie esaminata in appello consisteva nella dichiarazione IVA per il 1994 (i cui effetti ai fini della notificazione degli atti impositivi erano negati dal contribuente ed affermati dall’ufficio), mentre nel ricorso per cassazione il quesito di diritto è incompleto perché privo di ogni richiamo alla dichiarazione IVA e, quindi, postulando una fattispecie concreta diversa da quella esaminata, tanto da giustificare, sotto tale profilo, il giudizio di inammissibilità formulato dalla CS.

3.2. - Con riferimento al secondo e terzo quesito del secondo motivo del ricorso per cassazione (con i quali si chiedeva che, una volta accertati il difetto o l’invalidità della notificazione dell’avviso di rettifica, venisse dichiarata l’illegittimità di tutti gli atti derivati, escludendo ogni sanatoria derivante dalla proposizione di un ricorso giurisdizionale), il ricorrente per revocazione censura la CS, la quale - nell’affermarne l’inammissibilità derivata - avrebbe omesso di esaminare il motivo relativo ai suddetti quesiti.

Il motivo di revocazione è inammissibile, in parte qua, in quanto, incomprensibilmente, presuppone l’omesso (per una mera "svista") esame di motivi per cassazione (espressi dai quesiti secondo e terzo) dichiaratamente ed effettivamente esaminati dalla CS, come implicitamente e contraddittoriamente riconosciuto nelle stesse censure per revocazione. In particolare, appare evidente che la dichiarazione di inammissibilità del motivo (primo quesito) diretto alla declaratoria di invalidità o di inesistenza della notificazione dell’avviso di rettifica comporta necessariamente l’inammissibilità degli altri motivi (secondo e terzo quesito) che presuppongono quella invalidità o inesistenza.

3.3. - Con riferimento al quarto quesito del secondo motivo del ricorso per cassazione (con il quale si deduceva la fondatezza della eccepita questione di legittimità costituzionale degli artt. 58, primo e secondo comma, 60, primo comma, lettere c, d, e,f, del d.P.R. n. 600 del 1973 in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 97 e 111 Cost. con riguardo alla fattispecie di causa), il ricorrente per revocazione censura la CS, nella parte in cui dichiara il motivo manifestamente infondato, perché la questione è stata già risolta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 366 del 2007. Secondo il ricorrente per revocazione, la CS sarebbe incorsa nella svista di considerare la questione già risolta dalla Corte costituzionale e di non prendere atto dell’analogia tra la fattispecie di causa e quella scrutinata dalla Corte costituzionale.

11 motivo di revocazione è inammissibile, in parte qua, in quanto la valutazione della rilevanza e della fondatezza della questione di legittimità costituzionale ai fini della rimessione alla Corte costituzionale è un tipico ed insindacabile atto di giudizio del giudice, non censurabile in sede di impugnazione per revocazione. Oltre a ciò, il motivo di revocazione (nonostante la trascrizione di lunghi passi degli atti di causa) è generico, perché non individua né tenta di argomentare l’esistenza di un vero e proprio errore revocatorio, e non è chiaro, perché non precisa adeguatamente se l’intento del motivo fosse solo quello di denunciare la violazione di legge commessa dalla CTR con la sua decisione (nel qual caso vi sarebbe, se mai un errore interpretativo, ma non revocatorio). Va notato che la CS, nell’affermare che la questione era stata già risolta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 366 del 2007, implicitamente, ma chiaramente valuta (insindacabilmente in questa sede) come non rilevanti o non fondati profili di incostituzionalità diversi da quelli esaminati dalla Corte costituzionale.

4. - Con il terzo motivo di revocazione, il ricorrente censura la parte della sentenza in cui si affronta il terzo motivo di ricorso per cassazione, articolato in sei quesiti, dichiarato dalla CS: a) con riguardo al primo quesito, inammissibile (§ 8.2.1.); b) con riguardo al secondo quesito, assorbito dall’inammissibilità del primo quesito (§ 8.2.2.); c) con riguardo al terzo quesito, inammissibile (§ 8.2.3.); d) con riguardo al quarto quesito, privo di autosufficienza (§ 8.2.4.); e) con riguardo al quinto quesito, assorbito dall’inammissibilità del terzo quesito (§ 8.2.5.); f) con riguardo al sesto motivo, manifestamente infondato (§ 8.2.6.).

Il motivo di revocazione è inammissibile.

4.1. - Con riferimento al primo quesito del terzo motivo del ricorso per cassazione (con il quale veniva dedotta la nullità - anche in considerazione della decisione della Corte costituzionale n. 366 del 2007 - della sentenza della CTR che aveva ritenuto legittima la notificazione dell’avviso di rettifica dell’IVA e delle correlative cartella ed intimazione di pagamento nell’ultima residenza italiana ad un cittadino che, come noto all’amministrazione finanziaria, era già residente all’estero, iscritto all’AIRE ed elettivamente domiciliato presso un consulente fiscale in Italia, effettuata ai sensi degli artt. 140 cod. proc. civ. e 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, con pubblicazione all’albo pretorio ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ., con comunicazione della notificazione della cartella mediante raccomandata spedita ad un indirizzo errato per raccomandata e, in tutti i casi, senza l’indicazione nella relata dei motivi dell’irreperibilità del destinatario e dei tentativi posti in essere per superarla), il ricorrente per revocazione denuncia la pronuncia della CS secondo cui il quesito è identico al primo quesito del secondo motivo del ricorso per cassazione ed è inammissibile per le stesse ragioni di quel motivo (differente fattispecie proposta al giudice di appello ed al giudice di cassazione: vedi supra al punto 3.1.). Il ricorrente per revocazione assume che la CS, per una "inquietante" "svista", ha erroneamente ritenuto identici i quesiti da essa menzionati (senza considerare che, invece, nel terzo motivo si fa riferimento anche alla cartella ed all’intimazione di pagamento) e ritenuto diversa la fattispecie prospettata in appello da quella prospettata nel giudizio di cassazione (per le stesse ragioni indicate al punto 3.1.).

Il motivo di revocazione è inammissibile, in parte qua, perché (come rilevato al punto 3.1.) la CS, oltre a motivare in base alla ritenuta difformità delle fattispecie prospettate in appello e nel giudizio per cassazione, ha affermato che era "immune da censure" la decisione della CTR di considerare valida la notificazione dell’avviso di rettifica a Riolo Terme, perché l’ufficio tributario si era attenuto "alla volontà del contribuente, manifestata nella dichiarazione IVA presentata nel

1995, di avere il domicilio fiscale nel Comune di Riolo Terme". Tale punto della motivazione della CS, da un lato, integra una valutazione non suscettibile di impugnazione per errore revocatorio e, dall’altro, rende privo di decisività ogni eventuale errore circa l’esistenza di una difformità della fattispecie sottoposta al giudice d’appello rispetto a quella sottoposta al giudice di cassazione. Va sottolineato che una simile valutazione della natura e dell’efficacia del contenuto della dichiarazione IVA viene ritenuta dalla CS e dalla CTR incidente anche sulla notificazione degli atti conseguenti: ciò si risolve in una valutazione che esclude la sussistenza di un errore revocatorio. Anche per la difformità delle fattispecie si rinvia comunque alle considerazioni svolte al punto 3.1. e all’ulteriore ragione di inammissibilità.

4.2. - Con riferimento al secondo quesito del terzo motivo del ricorso per cassazione (con il quale si deduceva che, una volta accertato il difetto della notificazione della cartella di pagamento, si sarebbe dovuta dichiarare l’illegittimità, non sanata, di tutti gli atti derivati), il ricorrente per revocazione censura la CS, la quale - dichiarando assorbita la censura in conseguenza della dichiarata inammissibilità delle censure relative al primo quesito - avrebbe errato nel dichiarare l’inammissibilità delle censure relative al primo quesito e nella omettere di esaminare il secondo quesito.

Il motivo di revocazione è palesemente inammissibile, in parte qua, perché con esso viene impugnata sia la dichiarazione di inammissibilità delle censure relative al primo quesito del terzo motivo del ricorso per cassazione (già impugnata e già dichiarata a sua volta inammissibile: vedi il punto 4.1.), cioè una valutazione, sia la dichiarazione di assorbimento, cioè un’altra valutazione. Il ricorrente non è stato in grado di indicare alcun errore revocatorio, ma si è limitato a dedurre (incongruamente, data la sede) l’ingiustizia della pronuncia.

4.3. - Con riferimento al terzo quesito del terzo motivo del ricorso per cassazione (con il quale si deduceva che, una volta accertata l’inesistenza o la nullità assoluta della notificazione del ruolo e della cartella di pagamento, questa non doveva considerarsi sanata dal ricorso giurisdizionale, data l’intervenuta decadenza dei poteri impositivi e data l’inapplicabilità degli artt. 156 e 160 cod. proc. civ. ad atti di natura sostanziale), il ricorrente per revocazione afferma che la CS - nel rilevare l’equivoca formulazione della censura con riguardo all’individuazione della fattispecie e l’inidoneità del quesito di diritto (in quanto contenente solo la richiesta di accertamento della violazione di una serie di disposizioni meramente elencate) - sarebbe incorsa in errore revocatorio perché non era vero né che la fattispecie non era formulata in modo chiaro né che il quesito era inidoneo.

Anche in questo caso il motivo di revocazione è palesemente inammissibile, in parte qua, perché con esso vengono impugnate valutazioni della CS, senza alcuna deduzione di errori revocatori. In particolare, l’asserzione di aver riportato testualmente quanto affermato dal giudice di appello appare non conferente rispetto alla motivazione della pronuncia impugnata.

4.4. - Con riferimento al quarto quesito del terzo motivo del ricorso per cassazione (con il quale si deduceva la mancata considerazione del giudicato su questione "analoga", regolarmente eccepito, formatosi sulla sentenza della CTP di Ravenna n. 63/02/05, concernente l’illegittima notificazione di intimazioni di pagamento in tema di IRPEF per gli anni dal 1995 al 1998), il ricorrente per revocazione impugna (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.) la parte della sentenza in cui la CS, da un lato, rileva il difetto di autosufficienza del motivo non corredato da adeguata indicazione ed illustrazione degli atti su cui si fonda e, dall’altro, afferma che l’onere dell’autosufficienza non viene meno nei casi di denuncia di error in procedendo nei quali la Corte ha il potere di esaminare direttamente i documenti processuali. Il ricorrente per revocazione oppone che la suddetta sentenza era stata trascritta nei passi essenziali nel ricorso per cassazione, oltre ad essere stata prodotta in appello con l’attestazione del passaggio in giudicato.

Il motivo di revocazione è inammissibile, in parte qua, perché la ritenuta insufficienza dei passi di atti processuali effettivamente riportati dal ricorrente per cassazione integra un giudizio non censurabile per revocazione. Inoltre, anche ove si potesse trascurare il precedente rilievo, il denunciato errore non sarebbe decisivo. Infatti, come dichiarato dallo stesso ricorrente, il dedotto giudicato attiene ad una ipotesi solo "analoga" alla presente e riguarda altre imposte (IRPEF) nonché, in parte, altre annualità d’imposta. Ne segue che, in ragione dell’autonomia sia delle pretese tributarie, sia dei giudizi (nei quali diverse possono essere state le argomentazioni, le linee difensive e le prove acquisite), il suddetto invocato giudicato non ha efficacia nel presente giudizio: ciò a maggior ragione in tema di imposte armonizzate (come nella specie) in cui, per la nota giurisprudenza della CGUE, le pronunce rese su imposte non armonizzate non hanno, in generale, forza di giudicato sulle controversie in materia di imposte armonizzate; forza di giudicato che, comunque, deve essere interpretata restrittivamente.

4.5. - Con riferimento al quinto quesito del terzo motivo del ricorso per cassazione (con il quale si deduceva l’intervenuta decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere di notificare il ruolo e la cartella di pagamento, in quanto la comunicazione del deposito presso la casa comunale, come primo atto ricevuto dal contribuente, era avvenuta a soggetto non residente all’effettivo suo indirizzo estero a Montecarlo solo l’11 agosto 2003), il ricorrente per revocazione impugna la parte della sentenza in cui la CS dichiara assorbita la censura per effetto della dichiarazione di inammissibilità del terzo quesito del terzo motivo del ricorso per cassazione (vedi punto 4.3.). Secondo il ricorrente la CS avrebbe omesso, per una svista, di considerare il quinto quesito.

Il motivo di revocazione è palesemente inammissibile, in parte qua, perché il ricorrente muove dall’erroneo assunto che la dichiarazione di assorbimento si risolva nell’omessa lettura della censura. Al contrario, la dichiarazione di assorbimento implica la valutazione sia della suddetta censura, sia della sua relazione con altri motivi di ricorso. Nella specie, la CS ha anche motivato la decisione osservando che l’eccezione di decadenza va esaminata con riguardo alla notificazione della cartella e non ad ulteriori comunicazioni. Inoltre, attraverso il richiamo della propria decisione riportata al punto 4.3., la CS ha implicitamente osservato che il quinto quesito del terzo motivo del ricorso per cassazione, nella sua formulazione, presuppone l’invalidità della notificazione dell’atto di rettifica (la comunicazione sarebbe il "primo atto" ricevuto); invalidità esclusa, invece, nell’esame del terzo quesito del terzo motivo del ricorso per cassazione. Si è in presenza, dunque, di valutazioni in relazione alle quali non è configurabile un errore revocatorio (che, come più volte avvertito, non attiene alla correttezza della valutazione). Anche qui il ricorrente non è stato in grado di indicare alcun errore revocatorio, ma si è limitato a dedurre (incongruamente, data la sede) l’ingiustizia della pronuncia.

4.6. - Con riferimento al sesto quesito del terzo motivo del ricorso per cassazione (con il quale si deduceva la fondatezza della eccepita questione di legittimità costituzionale degli artt. 58, primo e secondo comma, 60, primo comma, lettere c, d, e, l, del d.P.R. n. 600 del 1973, anche in relazione all’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 97 e 111 Cost. con riguardo alla fattispecie di causa), il ricorrente per revocazione impugna la parte della sentenza in cui la CS dichiara il motivo manifestamente infondato, perché la questione è stata già affrontata e risolta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 366 del 2007 (vedi anche supra, al punto 3.3.).

Secondo il ricorrente per revocazione, la CS sarebbe incorsa nella "svista" di considerare che la questione eccepita sia identica a quella già risolta dalla Corte costituzionale (la quale, invece, non avrebbe preso in considerazione la notificazione degli atti di riscossione) e di non prendere atto dell’analogia tra la fattispecie di causa e quella scrutinata dalla Corte costituzionale.

Il motivo di revocazione è inammissibile, in parte qua, in quanto la valutazione della rilevanza e della fondatezza della questione di legittimità costituzionale ai fini della rimessione alla Corte costituzionale è un tipico ed insindacabile atto di giudizio del giudice, non censurabile in sede di impugnazione per revocazione. Oltre a ciò, il motivo di revocazione è generico, perché non individua né riesce ad argomentare l’esistenza di un vero e proprio errore revocatorio. Si rinvia, in proposito, alle considerazioni svolte al punto 3.3.Va infine osservato, per completezza, che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la sentenza della Corte costituzionale n. 366 del 2007 ha inciso anche sull’ultimo comma dell’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973 e, quindi, riguarda anche la notificazione degli atti di riscossione.

5. - Con il quarto motivo di revocazione, il ricorrente censura la parte della sentenza in cui si affronta il quarto motivo di ricorso per cassazione (sulla insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione di appello su fatti controversi e decisivi; omessa motivazione su altri fatti controversi e decisivi; violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992), dichiarato dalla CS inammissibile perché privo del quesito motivazionale (§ 9.2.).

Secondo il ricorrente per revocazione, invece, l’elencazione delle pronunce contraddittorie della CTR e dei fatti decisivi controversi sui quali lo stesso giudice di appello avrebbe omesso di motivare ("da pag. 59 terzo capoverso a pag. 63" del ricorso per cassazione) integrerebbe il momento di sintesi ulteriore rispetto all’illustrazione del motivo richiesto dal legislatore (prima dell’abrogazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ.).

Il motivo di revocazione è inammissibile, perché la CS ha ritenuto, con una valutazione insindacabile in sede di giudizio di revocazione, che le pagine da 54 a 63 del ricorso per cassazione integrassero solo "una motivazione relativamente diffusa", cioè l’illustrazione del motivo (pag. 20 della sentenza, § 9.1.2.), e non il quid pluris costituito dal momento di sintesi; momento che, secondo la stessa CS, doveva essere formulato "a conclusione" del motivo (ibidem, § 9.2.). La natura valutativa (interpretativa del ricorso e delle norme processuali sul quesito) escludono, cioè, la configurabilità di un errore revocatorio.

6. - Con il quinto motivo di revocazione, il ricorrente censura la parte della sentenza in cui si affronta il quinto motivo di ricorso per cassazione (sostanzialmente riguardante l’omessa pronuncia della CTR in merito all’eccepito difetto di motivazione dell’intimazione di pagamento, mancante dell’indicazione dell’aliquota relativa al compenso di riscossione ed al tasso di interessi di mora, rendendo impossibile la verifica della correttezza dei calcoli e mancante dell’allegazione o riproduzione del contenuto essenziale della prodromica cartella di pagamento, la cui corretta notificazione non era stata provata), dichiarato dalla CS inammissibile perché privo di autosufficienza (§ 10.2.). Secondo il ricorrente per revocazione, invece, l’elencazione nel ricorso per cassazione delle censure sollevate in primo grado ed in appello circa la mancata indicazione dell’aliquota relativa al compenso di riscossione ed al tasso di interessi di mora esclude il difetto di autosufficienza.

Il motivo di revocazione è inammissibile, perché il giudizio di difetto di autosufficienza è, appunto, un giudizio che riguarda la congruità sia dei brani di atti riportati nel ricorso per cassazione, sia della scelta degli atti riportati (l’autosufficienza deve riguardare tutti gli atti rilevanti menzionati nel motivo di ricorso, ivi compresa l’intimazione di pagamento, il cui contenuto, tra l’altro, non risulta trascritto in modo completo nel ricorso per cassazione). Non ricorre, pertanto, un errore revocatorio.

7. - Con il sesto motivo di revocazione, il ricorrente censura la parte della sentenza in cui si affronta il sesto motivo di ricorso per cassazione (sostanzialmente riguardante l’omessa pronuncia della CTR in merito all’eccezione di mancata sottoscrizione della cartella e dell’intimazione di pagamento impugnate e di mancata indicazione del responsabile del procedimento, "che, con la sottoscrizione, formalmente compie un atto di assunzione di responsabilità"), dichiarato dalla CS inammissibile perché privo di autosufficienza (§ 11.2.). Secondo il ricorrente per revocazione, invece, il ricorso per cassazione conteneva l’indicazione ed il contenuto dell’eccezione svolta sia in primo grado ed in appello circa l’omessa individuazione, negli atti impugnati, del responsabile del procedimento (con la precisazione che l’intimazione di pagamento "recava solo una sigla indecifrabile, inidonea ad individuare" detto responsabile).

Il motivo di revocazione è inammissibile.

In primo luogo va notato (come rilevato al punto 6.1.) che il giudizio di difetto di autosufficienza è, appunto, un giudizio che riguarda la congruità sia dei brani di atti riportati nel ricorso per cassazione, sia della scelta degli atti riportati. Occorre, poi, ricordare che l’autosufficienza deve riguardare tutti gli atti rilevanti menzionati nel motivo di ricorso, ivi comprese la cartella e l’intimazione di pagamento, il cui contenuto, tra l’altro, non risulta trascritto in modo completo nel ricorso per cassazione. Non sussiste, pertanto, alcun errore revocatorio.

In secondo luogo, il denunciato errore revocatorio non sarebbe decisivo, posto che per costante giurisprudenza di questa Corte: a) la sottoscrizione di un atto dell’amministrazione finanziaria è necessaria solo se prevista espressamente dalla legge (ipotesi che non ricorre per la cartella e l’intimazione di pagamento: argumenta, ex plurimis, da Cass. n. 13461 del 2012 e n. 25773 del 2014); b) l’art. 7 della legge n. 212 del 2000 richiede solo l’indicazione e non anche la sottoscrizione del responsabile del procedimento; c) il medesimo art. 7 non prevede che la suddetta indicazione sia a pena di nullità (ex plurimis, Cass. n. 3754 del 2013); c) la cartella di pagamento che ometta di indicare il responsabile del procedimento, se riferita a ruoli consegnati agli agenti della riscossione in data anteriore al Io giugno 2008 (come per la cartella impugnata), non è affetta da nullità, atteso che l’art. 36, comma 4-ter, del decreto-legge n. 248 del 2007 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 31 del 2008) ha previsto tale conseguenza solo in relazione alle cartelle di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973 con riguardo ai ruoli consegnati a decorrere dalla predetta data: norma ritenuta legittima dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 58 del 2009 (ex plurimis, Cass. n. 4516 del 2012; n. 3754 e n. 13747 del 2013); d) non risultano norme che, per l’intimazione di pagamento, prevedano a pena di nullità l’indicazione del responsabile del procedimento.

8 - Con il settimo motivo di revocazione, il ricorrente censura la parte della sentenza in cui si affronta il settimo motivo di ricorso per cassazione (sostanzialmente riguardante, a tenore del quesito formulato, l’omessa pronuncia della CTR, che non aveva preso in esame né, in generale, le deduzioni sull'infondatezza nel merito della rettifica IVA né, in particolare, l’eccezione di giudicato favorevole al contribuente basata sulla sentenza n. 93/01/01 della CTP di Ravenna, confermata "nella sostanza" dalla sentenza n. 3/11/05 della CTR dell’Emilia - Romagna, con la quale era stato annullato un avviso di accertamento relativo all’IRPEF del 1994 motivato in forza degli stessi presupposti di fatto della pretesa relativa all’IVA del 1994), dichiarato dalla CS inammissibile perché privo di autosufficienza; autosufficienza da rispettarsi anche nei casi di denuncia di error in procedendo nei quali la Corte ha il potere di esaminare direttamente i documenti processuali (§ 2.2.). Secondo il ricorrente per revocazione, invece, il ricorso per cassazione conteneva l’indicazione ed il contenuto dell’eccezione di giudicato svolta in appello (preceduta, in primo grado, dal richiamo della sentenza della CTP n. 93/01/01).

Il motivo di revocazione è inammissibile.

Come già rilevato al punto 6.1. ed al punto 7. (cui si rinvia) il giudizio di difetto di autosufficienza è, appunto, un giudizio che riguarda la congruità sia dei brani di atti riportati nel ricorso per cassazione, sia della scelta degli atti riportati. Occorre, poi, ricordare che l’autosufficienza (da soddisfarsi eventualmente con la trascrizione) deve riguardare tutti gli atti rilevanti menzionati nel motivo di ricorso, ivi compresi i passi salienti e pertinenti delle sentenze n. 93/01/01 della CTP di Ravenna e n. 3/11/05 della CTR dell’Emilia - Romagna. Non sussiste, pertanto, alcun errore revocatorio.

Inoltre (come osservato al punto 4.4.), anche ove si potesse trascurare il precedente rilievo, il denunciato errore non sarebbe decisivo. Infatti, come dichiarato dallo stesso ricorrente, il dedotto giudicato riguarda un’altra imposta (IRPEF). Ne segue che, in ragione dell’autonomia sia delle pretese tributarie, sia dei giudizi (nei quali diverse possono essere state le argomentazioni, le linee difensive e le prove acquisite), il suddetto invocato giudicato non ha efficacia nel presente giudizio: ciò a maggior ragione in tema di imposte armonizzate (come nella specie) in cui, per la nota giurisprudenza della CGUE, le pronunce rese su imposte non armonizzate non hanno, in generale, forza di giudicato sulle controversie in materia di imposte armonizzate; forza di giudicato che, comunque, deve essere interpretata restrittivamente.

9.- Con l’ottavo motiVo di revocazione, viene censurata la parte della sentenza con cui si dichiara che le spese di lite del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate in € 5.100,00, di cui € 5.000,00 per onorari, oltre al contributo unificato e agli accessori di legge. Secondo il ricorrente per revocazione la decisione si fonderebbe sull’erroneo presupposto che il contribuente non ha pagato il contributo unificato.

Il motivo è inammissibile, perché si basa su una erronea interpretazione della sentenza impugnata. Questa, infatti (a parte ogni altra considerazione), non ha affatto dato per presupposto (erroneo) il mancato pagamento del contributo unificato, ma si è limitata a liquidare l’importo delle spese di lite al netto del contributo.

10 - Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente e tengono conto della proposizione di complessivi 17 motivi di ricorso per revocazione (variamente numerati) esposti in 202 pagine di ricorso ed illustrati con una memoria del ricorrente di 25 pagine, a fronte di due controricorsi, rispettivamente, di 12 e 13 pagine. Il valore dichiarato della lite è di € 211.666,37.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i motivi di ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare le spese del presente giudizio di legittimità al Ministero dell’economia e delle finanze ed all’Agenzia delle entrate le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida (per entrambe) in € 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito, nonché alla s.p.a. Equitalia Romagna in € 5.100,00 (di cui € 5.000,00 per compensi), oltre accessori di legge.