Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 agosto 2015, n. 17170

IVA - IRAP - Accertamento - Redditi derivanti dagli utili societari imputati per trasparenza ai soci - Ripresa a tassazione anche ai fini previdenziali del maggior reddito accertato

 

Svolgimento del processo

 

I ricorsi proposti, il primo, da Ristorante T.M. di S.F. s.a.s., S.F. (n.q. di socio accomandatario e rapp.te legale della società) ed O.S.T. (n.q. socia accomandante), avverso l’avviso di accertamento con il quale venivano rideterminati i ricavi della società ai fini IVA ed IRAP per l’anno 2003 nonché i redditi derivanti dagli utili societari imputati per trasparenza ai soci, ed il secondo, dal solo socio accomandatario, avverso altro avviso di accertamento avente ad oggetto "la ripresa a tassazione anche ai fini previdenziali del maggior reddito accertato", erano entrambi ritenuti infondati dalla CTP di Firenze con sentenza n. 101/2006.

Anche gli appelli proposti dalla società e dai soci venivano rigettati con sentenza 29.10.2007 n. 66 della Commissione tributaria della regione Toscana.

I Giudici di appello rilevavano la correttezza del metodo analitico-induttivo seguito dai verbalizzanti per la determinazione del maggior reddito d’impresa, in quanto fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti, attese le palesi incongruenze evidenziate dalla non giustificata discrepanza tra le quantità degli approvvigionamenti e le quantità relative alle bevande ed agli alimenti somministrati ed al numero di tovaglioli utilizzati, incongruenza che non veniva riconciliata neppure tenendo conto degli abbattimenti, scarti e sfridi sui prodotti impiegati nella cucina e degli impieghi alternativi del tovagliame. Aggiungevano i Giudici di merito che doveva ritenersi altresì legittimo anche il recupero dei costi relativi al contratto di locazione di alcuni locali, non deducibili per difetto di inerenza, in quanto difettava la prova che i locali fossero stati utilizzati nell’attività d’impresa, avendo denunciato lo stesso S. all’Anagrafe tributaria che in tali locali vi era la propria residenza e che in essi pernottava anche la socia, dovendo concludersi quindi per la destinazione abitativa e non commerciale dei locali predetti.

Avverso tale sentenza, notificata il 16.1.2008, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione S.F., deducendo due motivi ai quali resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.

 

Motivi della decisione

 

La eccezione pregiudiziale, formulata dalla Agenzia fiscale resistente, di inammissibilità del ricorso per inesistenza della notifica, in quanto eseguita presso l’Ufficio locale di Roma anziché presso la sede legale dell’ente pubblico o presso l’Ufficio che aveva emesso l’atto impositivo impugnato, è infondata.

Questa Corte ha da tempo affermato che, in tema di contenzioso tributario, a seguito dell'istituzione dell'Agenzia delle entrate, divenuta operativa dal 1° gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all'adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione "ad causam" e "ad processum" nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all'Agenzia. Per i giudizi di cassazione, nei quali la legittimazione era riconosciuta esclusivamente al Ministero delle finanze, ai sensi dell'art. 11 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, la nuova realtà ordinamentale, caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici dell'Agenzia, in via concorrente ed alternativa rispetto al direttore, consente di ritenere che la notifica della sentenza di merito, ai fini della decorrenza del termine breve per l'impugnazione, e quella del ricorso possano essere effettuate, alternativamente, presso la sede centrale dell'Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando l'interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi d'inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all'organo che ha emesso l'atto o il provvedimento impugnato (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 3116 del 14/02/2006; id. Sez. U, Sentenza n. 3118 del 14/02/2006; id. Sez. 5, Sentenza n. 22889 del 25/10/2006). E’ ben vero che nella specie la notifica nei confronti della "Agenzia delle Entrate in persona del direttore generale pro-tempore''' (essendo dunque correttamente individuata la parte destinataria dell’atto notificando) è stata eseguita presso la sede di un Ufficio locale diverso da quello che ha emanato l’atto impositivo, ma occorre osservare che, se da un lato, l’errore nella individuazione del luogo della notifica, non è tale da impedire in modo assoluto qualsiasi riferimento con il soggetto destinatario, avuto riguardo all’inserimento dell’Ufficio locale nella organizzazione del medesimo ente pubblico, configurandosi pertanto un vizio di nullità, sanabile, e non una radicale inesistenza del procedimento notificatorio; dall’altro la costituzione in giudizio del soggetto legittimato a resistere ha sanato con effetto ex tunc (nel caso dei giudizi iniziati dopo il 30 aprile 1995, cui si applica l'art. 164, terzo comma, cod. proc. civ., come novellato dall'art. 9 della legge 26 novembre 1990, n. 353) il vizio di invalidità della notifica, privando di efficacia la relativa eccezione pregiudiziale (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 27452 del 19/11/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 8177 del 11/04/2011)

Alla udienza pubblica è stato depositato dalla difesa della parte ricorrente il certificato di morte in data 28.11.2011 di S.F. che, tuttavia, non produce effetto interrartivo atteso che, per consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte il giudizio di legittimità è dominato dall'impulso d'ufficio e non è perciò suscettibile di interruzione quando si verifichi uno degli eventi previsti dagli artt. 299, 300, 301 cod. proc. civ. (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 1082 del 03/02/1998; id. Sez. L, Sentenza n. 1257 del 23/01/2006; id. Sez. U, Sentenza n. 14385 del 21/06/2007; id. Sez. 1, Sentenza n. 22624 del 31/10/2011).

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 39 co l, lett. d) Dpr n. 600/73 , degli artt. 2727 e 2729 c.c., (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.) nonché il vizio di omessa, contraddittoria od insufficiente motivazione (art. 360 co l n. 5 c.p.c.).

Il motivo è inammissibile:

- per inadeguatezza del "quesito di diritto" ex art. 366 bis c.p.c. formulato in ordine al vizio di violazione di norme di diritto (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.), che presuppone la previa risoluzione di un accertamento in fatto -dica la Corte se "in presenza di elementi probatori di segno contrario..."- dando per scontato ciò che invece deve essere dimostrato

- per difetto di autosufficienza ex art. 366 co 1 n. 6) c.p.c.: non viene, infatti, trascritto il contenuto rilevante del PVC in data 31.3.2005 e non è dato, quindi, verificare se siano stati compiuti o meno errori di rilevazione dei dati impiegati dai verbalizzanti nel procedimento presuntivo. In proposito si osserva che la CTR afferma che la prova della somministrazione di pasti non contabilizzati è stata desunta anche dal numero di tovaglioli consumati nel periodo, mentre il ricorrente si limita ad allegare che tale "fatto (consumo di tovaglioli)" era da ritenersi "invero meramente presunto" senza fornire alcuna indicazione della prova determinante del proprio assunto tale da inficiare la base del ragionamento presuntivo del Giudice. Ad analoga conclusione si perviene anche per la contestazione della percentuale dello scarto della lavorazione del filetto di carne: il ricorrente si limita ad allegare che la perizia di parte, depositata in giudizio, perveniva ad un risultato diverso da quello dei verbalizzanti, ma non fornisce alcun elemento probatorio decisivo che, ove considerato e valutato correttamente dai Giudice di merito, avrebbe condotto con certezza ad una decisione diversa. Allo stesso modo la invocata applicazione della percentuale di abbattimento del 33% sulle somministrazioni non contabilizzate, calcolate in base al criterio cd. del "tovagliamento", si risolve in una prospettazione di parte, meramente contrapposta alla ricostruzione della fattispecie concreta effettuata dai Giudici di merito, inidonea pertanto a disvelare vizi del procedimento presuntivo e volta esclusivamente a richiedere alla Corte una inammissibile nuova valutazione dei fatti rispetto a quella posta a base del decisum dalla CTR.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione art. 39 co 1, lett. d) Dpr n. 600/73, dell’art. 2697 c.c., (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.) nonché il vizio di omessa, contraddittoria od insufficiente motivazione (art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.), impugnando la statuizione della sentenza di appello che aveva ritenuto indeducibili i canoni di locazione e le spese per utenze, di alcuni locali gestiti dalla società.

Il motivo è inammissibile:

- il "quesito di diritto" ex art. 366 bis c.p.c., concernente il vizio di violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 39 lett. d) Dpr n. 600/73, non individua alcuna violazione della regola del riparto dell’onere probatorio, ed è dunque inconferente rispetto alla ratio decidendi (avendo il Giudice deciso la controversia in base all’esame delle prove acquisite al giudizio) ; nè, quanto al dedotto vizio logico di motivazione, indica gli elementi di fatto omessi dalla CTR e tali da inficiare, in modo decisivo, i fatti certi (dichiarazione di residenza anagrafica ; dichiarazioni della socia accomodante, rese a verbale, dell’uso abitativo dei locali) utilizzati dalla CTR nel procedimento presuntivo per trarre la conseguenza della prova del fatto ignorato - ancora, quanto al vizio di motivazione, il ricorrente si limita a reiterare le medesime argomentazioni svolte nei gradi di merito (il locale foresteria, ad uso abitativo, con accesso dal civico 11, sarebbe stata oggetto di un successivo contratto di locazione del 2004, mentre i locali con accesso dal civico 14b ed "adiacenti" al locale ristorante sarebbero stati concessi in locazione con l’originario contratto del 1998) che tuttavia non hanno convinto il Giudice di merito, cui è riservato il potere di rilevazione, ponderazione e selezione dei fatti ritenuti determinanti a supportare la decisione : anche in questo caso la censura si risolve, pertanto, in una mera contrapposizione della soggettiva ricostruzione della fattispecie, prospettata dalla parte, a quella compiuta in base ai medesimi elementi di fatto dal Giudice di merito e che, in difetto di errori o di vizi logici, rimane estranea al sindacato di legittimità.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.