Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 settembre 2015, n. 17437

Lavoro - Rapporto di sub agenzia - Premi non versati - Prova dell’esistenza del credito

 

Svolgimento del processo

 

La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza del 21.3-17.7.2013, accogliendo il gravame proposto dalla B. Assicurazioni sas di B. N. (qui di seguito, per brevità, indicata anche come B.), rigettò l’opposizione proposta da D’A. S. avverso il decreto ingiuntivo n. 1357/2001, emesso in data 23 maggio 2001, relativo a premi non versati, nei mesi di settembre- ottobre 1996, nel contesto del rapporto di sub agenzia che aveva legato le parti fino al mese di dicembre 1999.

Rilevò la Corte territoriale che il primo Giudice aveva desunto il fallimento della prova dell’esistenza del credito, gravante sulla B., attore in senso sostanziale, desumendolo da presunzioni logiche (divario temporale apprezzabile e non giustificabile tra l’epoca della maturazione del credito e l’attivazione del procedimento monitorio; non essere stata avanzata alcuna pretesa creditoria da parte della B. in occasione del passaggio delle consegne dal D’A. al nuovo titolare della sub agenzia, né in seno alla lettera di recesso dal rapporto con lo stesso D’A.; non emergenza, dai cosiddetti fogli di incasso prodotti dalla B., dell’obbligatorio rilascio della quietanza quale prova esclusiva del versamento dei premi incassati); osservò quindi, a sostegno del decisum, che:

- nell’ambito di un rapporto obbligatorio, la cosiddetta presunzione di persistenza del diritto richiede al creditore la sola dimostrazione del fatto generatore del diritto stesso, assegnando al debitore l’onere di provare l’estinzione del credito;

- non andava inoltre dimenticato che, controvertendosi della prova del pagamento di un credito, il divieto della prova testimoniale sancito dall'art. 2726 cc si estende, per effetto del rimando operato dall'art. 2729, comma 2, cc, anche alla prova per presunzioni, cosicché non poteva ancorarsi ad un complesso di argomenti logici, peraltro non univoci, la prova di un fatto (il pagamento del debito) per il quale l'ordinamento richiede più formali e persuasivi mezzi istruttori;

- per contro, l’elemento dirimente era costituito dalle risultanze contabili dei registri in uso tra le due parti in causa, alle quali, in linea di principio, la legge riserva una peculiare efficacia probatoria nei rapporti tra imprenditori;

- in tale ottica, pertanto, la pendenza debitoria evidenziata dai fogli di cassa in corrispondenza dei mesi di settembre-ottobre 1996, avrebbe necessitato, al di là delle convenzioni invalse nel tempo tra le parti, della prova scritta del pagamento, che il D'A. aveva omesso di offrire;

- in tale direzione non poteva tributarsi efficacia agli assegni tratti sul conto di altro soggetto (il padre del D’A.), tanto più che, da una sentenza del Tribunale di Palermo prodotta in causa, risultava che tra il padre del D'A. e la B. era intercorsa altra controversia collegata al precedente rapporto di sub agenzia intrattenuto fra dette parti ed in relazione al quale sarebbero stati emessi dei titoli ad estinzione di debiti contratti da) sub agente nell’esercizio del relativo mandato;

- dalla disamina degli assegni prodotti e dal connotato dì astrattezza che li contraddistingue non era in alcun modo possibile inferire l’imputazione dei pagamenti effettuati alla diversa esposizione debitoria maturata in capo al figlio sulla scorta di un rapporto negoziale del tutto distinto.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, D’A. S. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi. L’intimata B. Assicurazioni sas di B. N. ha depositato procura speciale con autentica notarile della sottoscrizione, partecipando alla discussione.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2697 e 2726 cc (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), deduce che, con la sentenza di primo grado, era stata ritenuta l’omessa prova, da parte della Società creditrice, del "titolo stesso da cui trarre l’esistenza dell’obbligazione e l'esigibilità del credito", e si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto la prova del fatto costitutivo sulla base dei "fogli cassa", che, come le fatture, essendo atti a formazione unilaterale, non possono provare l’esistenza del credito, tanto più se, come nella fattispecie, "in ogni foglio cassa v’è apposto il timbro della Milano Ass.ni Agenzia generale 812 - Palermo - con la dicitura "CASSA" (...) da cui non si evince l’esistenza di una pendenza debitoria bensì l’incasso delle somme rendicontate"', la Corte territoriale, pertanto, partendo dall’erroneo presupposto che i fogli cassa costituiscono prova presuntiva dell’esistenza del credito, era incorsa nella violazione delle norme in materia di onere della prova, non avendo la Società, peraltro tardivamente costituitasi, assolto all’onere probatorio sulla medesima incombente, nel mentre le argomentazioni svolte dal primo Giudice costituivano valutazioni ad adiuvandum di tutti gli altri indizi emersi dall’esame della documentazione offerta dalle parti e confermativi dell’inesistenza del credito.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 2726 cc e degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), si duole che la Corte territoriale, incorrendo così anche in vizio di motivazione, abbia omesso di esaminare, nell’ambito della valutazione presuntiva svolta, altri "fatti decisivi", quali:

- la comunicazione ad esso ricorrente, in data 7.10.1999, dell’Agente Generale della Milano Ass.ni, B. N., relativa alla risoluzione consensuale e alla liberalizzazione del portafoglio della sub agenzia cod. 36 - Palermo, motivata "con l’alta sinistrosità e con il mix del suo portafoglio

- la nota in data 11.10.1999 dell’Agente Generale, che informava il responsabile commerciale Sicilia Occidentale della decisione di liberalizzare la sub agenzia di esso ricorrente "in quanto avrebbe continuato a produrre per il 99% RCA";

viene quindi dedotto che, in tali atti, non era stata sollevata la questione afferente al mancato versamento dei premi incassati da esso ricorrente nel periodo settembre-ottobre 1996, benché, secondo quanto previsto dall’allegato 1 della lettera di nomina, il mancato versamento dei premi sia passibile di revoca del mandato al sub agente;

- il verbale di consegna della sub agenzia, in data 14.12.1999, sottoscritto anche dal titolare della B., ove non era stato fatto alcun riferimento ad eventuali sofferenze nei pagamenti da parte della precedente gestione;

ciò, viene ancora dedotto, era significativo alla luce della previsione della lettera di nomina circa l’obbligo, alla scioglimento del rapporto, di versare immediatamente i saldi di chiusura di cassa e che le eventuali contestazioni avrebbero dovuto risultare dal verbale; infine la Corte territoriale non aveva considerato che la Società non aveva prodotto i propri registri contabili, limitandosi a dimettere i fogli cassa.

Con il terzo motivo, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), si duole che la Corte territoriale, al fine di non attribuire efficacia, quale prova dell’avvenuto pagamento del credito, agli assegni prodotti in primo grado da esso ricorrente, abbia preso in considerazione una sentenza tardivamente prodotta ex adverso e contestata, perché estranea ai fatti di causa, così da presumere che detti assegni fossero da attribuire al pregresso rapporto tra la Società medesima e il padre di esso ricorrente.

2. Osserva preliminarmente la Corte che, secondo la giurisprudenza di legittimità, a seguito della riforma ad opera del dl.vo n. 40/06, l’art. 366, comma 6, c.p.c., oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso per cassazione, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto; tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., anche che esso sia prodotto in sede di legittimità; inoltre, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, tale onere può essere assolto, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti, e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell'art. 369, comma 3, c.p.c., ferma, in ogni caso, l'esigenza di ‘specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, c.p.c., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (efr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 28547/2008; 22726/2011; Cass., n. 20535/2009).

Più in particolare, per quanto qui particolarmente rileva, come affermato dalla ricordata pronuncia della Sezioni Unite n. 28547/2008, "se il documento risulti prodotto nelle fasi di merito dalla controparte, è necessario che il ricorrente indichi che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito della controparte e che - cautelativamente e comunque stante l'autonoma previsione dell'art. 369, n. 4 citato, che riferisce l'onere di produzione direttamente al ricorrente, per il caso che quella controparte possa non costituirsi in sede di legittimità o possa costituirsi senza produrre il fascicolo o possa produrlo senza il documento - produca in copia il documento stesso (appunto ai sensi dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ed indichi tale modalità di produzione nel ricorso), cosa che è agevolmente possibile se la copia sia stata a suo tempo estratta nelle fasi di merito".

Nel caso all’esame, quanto ai cosiddetti fogli cassa, sulla cui asserita inidoneità probatoria si fonda il primo motivo di ricorso, il ricorrente si limita all’indicazione "cfr. doc. agli atti di causa del fascicolo monitorio della B. s.a.s."; quanto alle note del 7.10.1999 e dell’11.10.1999, sulla cui mancata considerazione da parte della Corte territoriale si fonda il secondo motivo di ricorso, il ricorrente si limita all’indicazione "cfr. documento agli atti del fascicolo di primo grado della società resistente analogamente, quanto all’allegato 1 della lettera di nomina, si limita all’indicazione "cfr. documento agli atti del fascicolo di primo grado della società resistente"; tuttavia i suddetti fascicoli di parte dell’odierna intimata, sia della fase monitoria, che di quella di primo grado, non sono stati prodotti, né il ricorrente ha assolto l’onere di depositare, in una con il ricorso per cassazione la copia di detti richiamati documenti.

Quanto poi al verbale di consegna, sulla cui mancata considerazione da parte della Corte territoriale pure si fonda il secondo motivo di ricorso, il ricorrente si limita all’indicazione "cfr. doc. agli atti fascicolo di parte dei primo grado del sig. D’A.", senza fornire le necessarie indicazioni per il suo reperimento nel dimesso fascicolo di parte, ove nello stesso sia effettivamente contenuto.

Dal che discende l’inammissibilità dei primi due motivi di ricorso.

3. Per completezza di motivazione deve comunque osservarsi che i suddetti mezzi sono anche infondati.

Infatti va considerato che la Corte territoriale, nel valorizzare l’efficacia probatoria dei cosiddetti fogli cassa, ha fatto espresso riferimento alle "risultanze contabili dei registri in uso tra le due parti in causa", ritenendone con ciò la pertinenza, appunto, a tali registri. Ne consegue, da un lato, l’inconferenza, ai fini probatori, della dedotta assimilazione di tali risultanze alle fatture, e, dall'altro, che la ritenuta valenza probatoria della documentazione in parola è stata frutto di un giudizio di carattere presuntivo, soggetto pertanto al libero apprezzamento del giudice (cfr, ex plurimis, anche con riferimento, alla qualificazione imprenditoriale dell’agente, Cass., nn. 3815/1982; 3499/1987; 1715/2001; 16513/2004; 26216/2011), come tale insindacabile in cassazione.

Ed invero, secondo la giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, di questa Corte, in tema di prova per presunzioni, non occorrendo che i fatti su cui si fonda la presunzione siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati in giudizio, è sufficiente che il fatto ignoto sia desunto alla stregua di un canone di probabilità, con riferimento ad una connessione di avvenimenti possibile e verosimile secondo un criterio di normalità; a tal riguardo, l'apprezzamento del giudice di merito circa l'esistenza degli elementi assunti a fonte della presunzione e circa la rispondenza di questi ai requisiti di idoneità, gravità e concordanza richiesti dalla legge, non è sindacabile in sede di legittimità, salvo che risulti viziato da illogicità o da errori nei criteri giuridici (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 9961/1996; Cass., nn. 2700/1997; 26081/2005).

Nessun vizio logico od errore nei criteri giuridici essendo ravvisabile nella valutazione resa dalla Corte territoriale, ne resta quindi escluso anche il prospettato vizio di motivazione, dovendo al riguardo ricordarsi che, in riferimento alla censura inerente a tale vizio (in relazione alla disciplina processuale, applicabile ratione temporis al presente giudizio, precedente alla sostituzione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. disposta con l’art. 54 dl n. 83/12, convertito, con modificazioni, nella legge n. 134/12), la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all'ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l'autonoma disamina delle emergenze probatorie (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 824/2011; 13783/2006; 11034/2006; 4842/2006; 8718/2005; 15693/2004; 2357/2004; 16063/2003; 12467/2003; 3163/2002) e che il mancato esame da parte del giudice del merito di elementi contrastanti con quelli posti a fondamento della decisione adottata non integra, di per sé, il vizio di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, occorrendo, a tal fine, che le risultanze processuali non esaminate attengano a circostanze che, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, avrebbero potuto indurre ad una decisione diversa da quella adottata; il che non si verifica per ogni singolo indizio, segnale od indice critico, il quale per la sua gravità o per la sinergica convergenza con altri elementi indiziari consentirebbe, in ipotesi, al giudice di risalire alla individuazione di un fatto ignoto (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 7000/1993; 914/1996; 2601/1998; 1203/2000; 13981/2004; 3075/2006; 11457/2007; 25756/2014); laddove le circostanze fattuali di cui con il ricorso si lamenta la mancata considerazione sono prive, sia singolarmente che nel loro complesso, del suddetto carattere di decisività, non costituendo segnali univoci dell’insussistenza del credito azionato (il che, peraltro, è stato sostanzialmente riconosciuto anche dalla Corte territoriale, laddove ha affermato che il primo Giudice aveva ancorato il proprio giudizio ad un complesso di argomenti logici "non univoci").

4. In relazione al terzo motivo, va osservato che la Corte territoriale, nell’escludere la valenza probatoria degli assegni prodotti dallo stesso odierno ricorrente, altro non ha fatto che esaminare l’eccezione, di avvenuto pagamento, che, sulla base di tali assegni, era stata sollevata, mantenendosi quindi pienamente nell’ambito del thema decidendum quale delineato dalle parti, cosicché deve essere senz’altro esclusa la sussistenza della denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c..

Inoltre il nucleo fondante della pronuncia resa sul punto è dato dal rilievo che dalla disamina degli assegni prodotti e dal connotato di astrattezza che li contraddistingue non era possibile inferirne l’imputazione a pagamenti effettuati in relazione all’ésposizione debitoria dell’odierno ricorrente, nel mentre la presa in esame della sentenza resa fra il padre di quest’ultimo e la Società costituisce soltanto una considerazione aggiuntiva e non decisiva, come anche testualmente evidenziato dall’essere stata preceduta dalla locuzione "tanto più che risulta".

5. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo tenendo conto dell’attività defensionale effettivamente svolta, seguono la soccombenza.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, dprn. 115/02.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in euro 3.100,00 (tremilacento), di cui euro 3.000,00 (tremila) per compenso, oltre spese generali 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.