Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 settembre 2015, n. 17521

Opposizione - Indagini officiose del giudice per acquisire informazioni urgenti - Legittimità

 

Svolgimento del processo

 

Con separati ricorsi - poi riuniti - le società "G.P.I. - S.p.a.", "G. - S.r.l.", "F S.r.l." e "M. - S.r.l." chiedevano il fallimento dello "S.A. di C. S.n.c.", esercente attività di fabbricazione di carta e cartone.

Quest’ultima e le socie illimitatamente responsabili C.F., L.M. e D.G. venivano convocate alla udienza del 19/7/12.

Tre giorni prima dell’udienza e, precisamente, in data 16/7/12, la società "S.A." depositava ricorso per la ammissione a concordato preventivo, informandone le precitate socie L. e C., e contestualmente chiedeva rinvio della trattazione del procedimento fallimentare in corso. Alla udienza del 19/7/12 comparivano i difensori delle succitate L. e C. e si associavano alla richiesta di rinvio.

Il Tribunale non rinviava la trattazione del procedimento fallimentare e lo tratteneva in decisione. Indi pronunciava separatamente la inammissibilità della proposta di concordato preventivo (decreto del 24/7/12) nonché sentenza dichiarativa di fallimento della società S.A." e delle tre socie illimitatamente responsabili C.F., L.M. e D.G., con le statuizioni consequenziali di rito.

Avverso tale duplice decisione proponevano impugnazione tutte le parti dichiarate fallite, con due atti di reclamo poi riuniti, nei quali prospettavano: 1) nullità del decreto emesso il 24/17/12 con il quale e stata dichiarata la inammissibilità della proposta di concordato preventivo; 2) nullità consequenziale della sentenza dichiarativa di fallimento; 3) nullità delle notifiche dei decreti di convocazione delle parti alla udienza del 19/7/12, e consequenziale nullità della sentenza di fallimento; 4) insussistenza di stato di insolvenza della società dichiarata fallita.

Inoltre, la reclamante D.G., oltre ad aderire a tutti i rilievi sopra detti, eccepiva anche la sua personale non fallibilità, per essere stato sciolto il rapporto sociale con la società "S.A." oltre un anno prima della dichiarazione di fallimento.

Si costituivano la Curatela della società fallita, nonché le società istanti M. & C., "G. - S.p.a " e " P.I. S.p.a.", che chiedevano il rigetto delle avverse impugnazioni.

La Corte d’appello di Bari, con sentenza 978/13, rigettava il gravame.

Avverso la detta sentenza ricorrono per cassazione sulla base di sei motivi illustrati con memoria C.F. in proprio e quale amministratrice dello S.A. nonché L.M.

Resiste con controricorso la curatela fallimentare.

Le ricorrenti hanno presentato istanza di rimessione della causa alle Sezioni Unite e depositato altresì note d’udienza.

 

Motivi della decisione

 

Con i primi due motivi di ricorso le ricorrenti lamentano, sotto diversi profili, la violazione e falsa applicazione degli articoli 145, 138, 139 e 141 cod. proc. civ. e dell'art. 15 L.F. in relazione alla irrituale notifica delle istanze di fallimento e dei pedissequi decreti di comparizione dinnanzi al Giudice Delegato all'istruttoria prefallimentare allo S.A. s.n.c. ed alle socie con conseguente nullità del successivo procedimento e della sentenza dichiarativa di fallimento. Si dolgono, inoltre, dell’omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti costituito dalla mancanza della qualifica di dipendente, incaricato di ricevere le notifiche o addetto alla sede, della persona che rifiutò di riceversi la notificazione degli atti presso l’azienda dello S.A. s.n.c.

Con il terzo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 162 L.F. in relazione alla conferma del decreto del 24/7/2012, con il quale il Tribunale di Trani aveva dichiarato l'inammissibilità della proposta di concordato preventivo presentata dallo S.A. s.n.c. il 16/07/2012, senza preventivamente disporre la comparizione delle parti e della contestuale sentenza n. 58/2012, con la quale il Tribunale di Trani aveva dichiarato il fallimento dello S.A. s.n.c. e delle socie illimitatamente responsabili. Si dolgono, inoltre, dell’omesso esame sul fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla mancata fissazione dell'udienza di comparizione delle parti a seguito della proposta di concordato.

Con il quarto motivo prospettano la violazione e falsa applicazione degli articoli 160, 161, 162 e 182 bis L.F. in relazione alla mancata concessione di un termine allo S.A. s.n.c. per integrare la documentazione o per presentare domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti.

Con il quinto motivo deducono la violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e 15 L.F. nonché dell’insussistenza del presupposto soggettivo in capo allo S.A. s.n.c. dello stato di perdurante ed irreversibile insolvenza. Lamentano "poi l’omesso esame della mancanza agli atti di una relazione della Guardia di Finanza riguardante i tre esercizi precedenti alla data di dichiarazione del fallimento.

Con il sesto motivo prospettano la violazione e falsa applicazione dell'art. 18 L.F. in relazione alla mancata ammissione delle prove testimoniali richieste su circostanze rilevanti per la decisione dei motivi di reclamo afferenti la nullità delle notifiche del decreto di comparizione dinnanzi al G.D. all’istruttoria prefallimentare nonché del procedimento e della sentenza successivi e la insussistenza dello stato di insolvenza della società. Ribadiscono poi la nullità della sentenza della Corte di Appello di Bari per violazione del principio del contraddittorio.

I primi due motivi, tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente e gli stessi si rivelano inammissibili prima ancora che infondati.

I motivi ripropongono le medesime censure già avanzate e respinte dal giudice di seconde cure con ineccepibile motivazione.

Per quanto concerne la notifica presso la sede sociale, osserva la Corte che la stessa risulta avvenuta a mani di tale D., che l’Ufficiale giudiziario ha qualificato dipendente della società, il quale rifiutò di ricevere l'atto per cui questo venne depositato presso la casa comunale con invio dell’avviso al destinatario.

La notifica è stata quindi ritenuta regolare poiché l'articolo 145 cpc richiede che la notifica avvenga a mani di "persona addetta alla sede" qualità ricorrente in capo ai dipendenti.

E’ appena il caso di rilevare poi che per giurisprudenza consolidata il rifiuto di ricevere la copia dell'atto è legalmente equiparabile alla notificazione effettuata in mani proprie soltanto se proveniente, con certezza, dal destinatario della notificazione medesima, ex art. 138, secondo comma, cod. proc. civ., o, giusta la previsione dell'art. 141, terzo comma, del medesimo codice, dal suo domiciliatario, e non anche quando analogo rifiuto sia stato opposto da persona che, non essendo stato reperito il destinatario in uno dei luoghi di cui al primo comma dell'art. 139 cod. proc. civ., sia tuttavia abilitata, ai sensi del secondo comma di quest'ultimo alla ricezione dell’atto, dovendosi, in tal caso, eseguire, a pena di inesistenza della notificazione, le formalità prescritte dall'art. 140 cod. proc. civ. (Cass 12489/14).

Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie in cui il notificatore ha inviato alla amministratrice l’avviso della avvenuta notifica e, come rilevato dalla Corte d'appello, l'amministratrice della società, tramite la figlia, ritirò l'atto in data 15.6.12, nel rispetto del termine di comparizione, onde nessun dubbio può sorgere sulla effettiva ricezione e conoscenza dell'atto così come nessuna violazione del diritto di difesa si è verificata.

Si osserva che la ricezione dell’avviso di avvenuta notifica da parte della amministratrice, costituisce una ulteriore decisiva ratio decidendi della sentenza impugnata sulla quale non si rinviene nel ricorso specifica censura, essendo questa stata proposta solo tardivamente con la memoria per cui il motivo risulta sotto tale profilo inammissibile

A ciò deve ulteriormente aggiungersi che, come ancora una volta correttamente rilevato dalla Corte d'appello, la società si è regolarmente presentata all'udienza di comparizione, onde l’eventuale ipotetica nullità deve ritenersi comunque sanata.

Anche su tale aspetto non si rinviene censura specifica nel ricorso.

A medesime conclusioni deve pervenirsi per quanto concerne le notifiche alle socie illimitatamente responsabili.

La notifica avvenne presso il domicilio di queste ultime e l'ufficiale giudiziario, non avendole rinvenute procedette all'affissione dell'avviso sulla porta ed al deposito presso la casa comunale dove entrambe si recarono a ritirare l’atto, rispettivamente in data 26 e 27 giugno 2012 nel rispetto dei termini di comparizione.

Nessun dubbio quindi che anche in questo caso la notifica avvenne regolarmente tanto è vero che entrambe le parti si presentarono all’udienza di comparizione.

In sostanza la Corte d'appello, a prescindere dal ritenuto rispetto delle norme in materia di notifica, ha fatto applicazione con autonoma ratio decidendi del principio in virtù del quale la notificazione, anche se nulla, non impedisce la valida instaurazione del rapporto processuale, qualora il destinatario della notifica si costituisca, verificandosi in tale ultima ipotesi la sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo cui l’atto era diretto, ai sensi dell'art. 156, terzo comma, cod. proc. civ., anche quando la costituzione avvenga al solo scopo di far valere tale vizio. (Cass 1676/15; Cass 23213/14; Cass 4456/99).

Il giudice di seconde cure ha infatti espressamente affermato che "all’udienza del 19.7.12 comparvero i difensori di tutte le parti convocate a significazione del fatto che gli atti erano stati sicuramente ritirati dai destinatari, sicché le doglianza assumono valore puramente strumentale".

Tale ratio decidendi non è in alcun modo censurata dalle ricorrenti nel motivo in esame che, per quanto concerne le socie illimitatamente responsabili, si limitano a contestare che l'Ufficiale giudiziario le ha erratamente considerate irreperibili e non ha rispettato le previsioni degli artt. 138, 139 e 140 cpc mentre, per quanto concerne la società, questa contesta la natura di dipendente del soggetto che ha rifiutato la ricezione dell'atto presso la sede e di cui sostengono di avere provato e chiesto di provare l’estraneità alla società.

I motivi sono quindi da dichiarare inammissibili.

Per quanto concerne il terzo motivo di ricorso, lo stesso si rivela inammissibile prima ancora che infondato.

In ordine alla mancata audizione dei proponenti il concordato, la Corte d'appello - come già ricordato - ha dato atto che gli stessi hanno presentato la proposta il 16.7.12. e che il 19.7.12 sono stati sentiti i loro difensori in ordine alle istanze di fallimento e di concordato preventivo, tanto è vero che in ordine a quest’ultima avevano formulato una istanza di rinvio.

Le ricorrenti contestano, a fronte di tale motivazione, che in realtà nel corso dell’udienza in questione la proposta di concordato preventivo non era stata presa in alcun modo in esame e riportano a tal fine il verbale dell’udienza da cui non risulta alcuna richiesta di rinvio e dove si dà atto della assenza della società e del socio amministratore.

Si osserva che con la censura in esame si deduce un vizio revocatorio, conseguente alla erronea percezione da parte della Corte d’appello del contenuto di un atto processuale, che avrebbe dovuto essere fatto valere con ricorso per revocazione ex art. 395 n. 4 cpc e non con ricorso ordinario.

Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che la denuncia di travisamento di fatto quando attiene non alla motivazione della sentenza impugnata, ma ad un fatto che sarebbe stato affermato in contrasto con la prova acquisita, costituisce motivo non di ricorso per cassazione ma di revocazione ai sensi dell'art. 395 cod. proc. civ., importando essa un accertamento di merito non consentito al giudice di legittimità. (Cass 5149/03; Cass 17057/07; Cass 4056/09).

E’ quanto avvenuto nel caso di specie, non essendo conferente il precedente giurisprudenziale citato dalle ricorrenti nelle note d’udienza riferentesi alla diversa ipotesi "in cui, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l’incongruità, l'insufficienza o contraddittorietà della sentenza impugnata per l'asserita mancata valutazione di risultanze processuali" (così la massima di Cass, 12362/06) che si riferisce, come è evidente, ad una inadeguata valutazione delle prove e non ad un errore di percezione circa il contenuto di un documento in conseguenza del quale venga affermata una circostanza inesistente o negata una esistente.

Il motivo è dunque inammissibile.

Ciò rende superflua la richiesta delle ricorrenti di una rimessione della causa alle Sezioni Unite di questa Corte ove già sarebbe stata rimessa la questione del principio di prevalenza del concordato preventivo rispetto alla dichiarazione di fallimento.

Si osserva comunque, sia pure del tutto superfluamente, che la presenza dei debitori all’udienza prefallimentare è sufficiente a garantire il diritto di difesa delle parti alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente affermato che l'audizione del debitore, prevista dall'art. 162, secondo comma, della legge fall. - nella formulazione introdotta con il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 - non è necessaria quando l'istanza di ammissione al concordato preventivo si inserisca nell'ambito di un procedimento prefallimentare in cui il debitore sia già stato sentito in relazione alla sua proposta con possibilità di svolgere le proprie difese, in quanto il suddetto obbligo è funzionale a consentire al medesimo, in ispecie ove la proposta di concordato costituisca un autonomo procedimento, senza previe pendenze, di illustrarla e di svolgere le proprie difese. Ne consegue che, al fine del rispetto del suddetto obbligo, non è necessaria neppure la preventiva contestazione delle eventuali ragioni di inammissibilità del concordato, restando nella discrezionalità del tribunale indicare le eventuali insufficienze del piano o della documentazione,( v. da ultimo Cass 13083/13 - Cass 11423/14).

Infondata è anche l'ulteriore doglianza contenuta nel motivo secondo cui i ricorrenti si dolgono della mancata concessione di un termine per integrare il piano e produrre nuovi documenti.

Questa Corte ha già ripetutamente affermato che il tribunale, quando concede il termine previsto dall’art. 162, primo comma, legge fall, per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti, esercita un potere discrezionale relativamente al quale il debitore non è titolare di alcun diritto, avendo piuttosto l'obbligo di corredare la domanda di concordato di tutta la documentazione prescritta dall'art. 161 legge fall. (Cass 12549/14).

In ogni caso, trattandosi di un potere discrezionale, l’omesso esercizio di esso da parte del giudice non necessita di motivazione, né è censurabile in sede di legittimità. (Cass 21901/13).

Venendo all'esame del quarto motivo di ricorso, se ne rileva l'inammissibilità, prima ancora che l’infondatezza.

E' agevole osservare che circa la doglianza dì mancato rinvio per la produzione di documenti inerenti alla domanda di concordato preventivo non si rinviene specifica motivazione nella sentenza impugnata che dà atto di esclusivamente di due doglianze: una attinente alla istanza di fissazione di apposita udienza per trattare della domanda in questione e l'altra concernente la mancata assegnazione di una priorità nell'esaminare l'istanza di concordato rispetto alle istanze di fallimento.

Era pertanto onere delle ricorrenti, in osservanza del principio di autosufficienza, riportare nel ricorso il brano del reclamo ove veniva specificatamente posta la questione del mancato rinvio, in assenza di ciò la questione della omessa motivazione sull'implicito rigetto del rinvio da parte del tribunale (essendosi il motivo limitato a far riferimento alle articolate doglianze contenute nel reclamo) appare nuova e, come tale non scrutinabile in questa sede.

Si aggiunge inoltre che il motivo, con cui in sostanza si deduce un difetto di motivazione, è inammissibile anche per un ulteriore aspetto.

Il ricorso è stato infatti proposto avverso una sentenza depositata il 23.8.13 per cui alla fattispecie risulta applicabile ratione temporis l’art. 360 n. 5 cpc, come modificato dall’art. 54 comma 1 del d.l. n. 83 del 2012 convertito con legge 134 del 2012, che prevede la possibilità di proporre ricorso per cassazione solo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti prospettazione questa che non si rinviene nel ricorso ove si fa un generico riferimento ad una omessa motivazione.

Il quinto motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che l'art. 1, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nel testo modificato dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, aderendo al principio di "prossimità della prova", pone a carico del debitore l'onere di provare di essere esente dal fallimento gravandolo della dimostrazione del non superamento congiunto dei parametri dimensionali ivi prescritti, (Cass 13086/10, 23052/10).

In tale contesto un potere di indagine officiosa è residuato in capo al tribunale, potendo il giudice tuttora assumere informazioni urgenti, ex art. 15, quarto comma, legge fall., utilizzare i dati dei ricavi lordi in qualunque modo essi risultino e dunque a prescindere dalle allegazioni del debitore, ex art. 1, secondo comma, lettera b), legge fall., assumere mezzi di prova officiosi ritenuti necessari nel giudizio di impugnazione ex art. 18 legge fall.. Tale ruolo di supplenza, volgendo a colmare le lacune delle parti, è però necessariamente limitato ai fatti da esse dedotti quali allegazioni difensive ma non è rimesso a presupposti vincolanti, richiedendo una valutazione del giudice di merito competente circa l'incompletezza del materiale probatorio, l'individuazione di quello utile alla definizione del procedimento, nonché la sua concreta acquisibilità e rilevanza decisoria. (Cass 17281/10).

Nel caso di specie le ricorrenti non deducono in alcun modo di avere fornito la prova della sussistenza congiunta delle tre condizioni di non fallibilità previste dall’art. 1 l.f.

Si limitano ad una generica contestazione circa la mancata acquisizione di una relazione della Guardia di finanza, ma non censurano in alcun modo la specifica ratio decidendi sul punto della Corte d'appello che rilevava il mancato adempimento da parte delle ricorrenti dell'onere probatorio su di esse gravanti in ordine alla sussistenza delle condizioni di non fallibilità di cui all'art. 1 l.f., in tal modo chiaramente escludendo che, in assenza di qualunque principio di prova da parte delle reclamanti, potesse farsi ricorso ad un potere supplente del giudice.

Il motivo non merita quindi accoglimento.

Per quanto concerne il sesto motivo, con cui si lamenta la mancata ammissione della prova testimoniale tendente a dimostrare la irregolare notifica della convocazione alle socie illimitatamente responsabili ed alla società, lo stesso è assorbito a seguito della inammissibilità dei primi due motivi di ricorso.

Per quanto concerne invece gli ultimi due capitoli di prova la censura circa la loro mancata ammissione è inammissibile non avendo le ricorrenti dedotto il carattere decisivo dei capitoli in questione che appaiono invero estranei al contesto delle complessive censure contenute nel ricorso.

Il ricorso va conclusivamente respinto. Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidato come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 7000,00 oltre euro 200,00 per esborsi,oltre spese forfettarie ed accessori di legge. Sussistono le condizioni per l’applicazione del doppio del contributo ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115/02.