Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 settembre 2015, n. 17439

Lavoro - Avviamento al lavoro - Mancata assunzione - Risarcimento del danno

 

Svolgimento del processo

 

1. — Con ricorso al Tribunale di Roma D.M. convenne l'Amministrazione Provinciale di Roma per sentir dichiarare che la sua "mancata assunzione presso la P. Spa era stata causata dall'illegittimità dell'atto di avviamento emesso dalla Direzione Provinciale di Roma per colpa di quest'ultima" ed in conseguenza per sentirla condannare al risarcimento del danno pari alle retribuzioni non percepite dalla data di avviamento al lavoro sino alla pronuncia della sentenza e nella misura da determinarsi in separato giudizio per il danno dalla sentenza sino alla successiva occupazione.

Con sentenza depositata il 1° luglio 2008 la Corte di Appello di Roma ha respinto l'appello della M. avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso.

2. —Per la cassazione di tale sentenza la soccombente ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo.

Ha resistito con controricorso l'Amministrazione intimata.

II Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.

 

Motivi della decisione

 

3. — Con il mezzo di impugnazione si denuncia, in rubrica, violazione e falsa applicazione dell'art. 360, co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c., in relazione agli artt. 2043, 1226 e 2697 c.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia "ex art. 360, n. 4, c.p.c." (così nel testo).

In conclusione dell'illustrazione del motivo si articolano le seguenti proposizioni: "risulta evidente, pertanto, la violazione e/o la falsa applicazione di norme di diritto e sia l'erronea ed illogica motivazione sul punto, avendo la Corte di Appello: 1) aver ritenuto mancante la prova del risarcimento richiesto dalla Sig.ra M. sulla base dell'avviamento illegittimamente emesso, interpretando erroneamente la fattispecie di cui all'art. 2043 c.c., nel senso sopra chiarito dalla Cassazione e richiedendo alla ricorrente una probatio diabolica-, 2) avendo omesso di motivare su un punto decisivo della controversia, relativamente ai fatto che l'Amministrazione, una volta preso atto dell'errore nell'avviamento, avrebbe dovuto provvedere immediatamente a reinserire la Sig.ra M. negli elenchi del collocamento obbligatorio; 3) la contraddittoria e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, riguardo alla correlazione tra il concetto della perdita di guadagno ai sensi dell'art. 1223 c.c. e la disciplina probatoria di cui all'art. 2043 c.c.".

4. — Il ricorso così formulato è radicalmente inammissibile per manifesta violazione dell'art. 366 bis c.p.c., nel testo pro-tempore vigente ed applicabile all'impugnazione avverso sentenza d'appello depositata il 1° luglio 2008.

La funzione propria del quesito di diritto è di far comprendere alla Corte di legittimità, dall'immediata lettura di esso, l'errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. n. 8463 del 2009).

Per tale ragione esso deve compendiare (ex multis: Cass. SS.UU. n. 2658 del 2008; Cass. n. 19769 del 2008; n. 7197 del 2009; n. 22704 del 2010): a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuto applicare al caso di specie (in termini, da ultimo, Cass. n. 12248 del 2013). La carenza anche di uno solo di tali elementi comporta l'inammissibilità del ricorso (Cass. n. 24339 del 2008).

Dal punto di vista della formulazione il quesito deve essere strutturato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (Cass. n. 1416 del 2014; sulla funzione propositiva concreta del quesito per l'ammissibile formulazione delle censure di violazione di legge v. SS.UU. n. 21672 del 2013; conforme, Cass. n. 3546 del 2015). Esso poi non può essere desunto dal contenuto del motivo (Cass. n. 20409 del 2008). Una volta che sia correttamente formulato comunque occorrerà verificare che il quesito sia congruo e pertinente in relazione al caso di specie, altrimenti difettando di decisività (Cass. SS.UU. n. 28536 e n. 27347 del 2008), risultando inammissibile un motivo di ricorso sorretto da quesito del tutto inidoneo ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo (Cass. n. 7197 del 2009; n. 19792 del 2011; n. 27901 del 2011).

Nell'ipotesi di motivo ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. esso deve essere concluso da un momento di sintesi o di riepilogo, a pena di inammissibilità. Si è infatti affermato che, per le doglianze di vizio di motivazione, occorre la formulazione - con articolazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso - di un momento di sintesi o di riepilogo (v. Cass. n. 16002 del 2007; SS.UU. n. 20603 del 2007; Cass. n. 27680 del 2009), il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure - se non soprattutto - le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione; tale requisito non può ritenersi rispettato quando solo la completa lettura dell'illustrazione del motivo - all'esito di una interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione della parte ricorrente - consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (da ultimo, Cass. n. 12248 del 2013).

Nei casi, infine, di motivo promiscuo, in cui si prospettano sia violazioni di legge che difetti di motivazione, nei limiti in cui tale formulazione può dirsi ammissibile allorquando la parte argomentativa renda possibile l'operazione di interpretazione e sussunzione delle censure, è comunque necessario articolare distinti quesiti e momenti di sintesi (cfr. Cass. SS.UU. n. 7770 del 2009 e Cass. n. 976 del 2008).

Ciò posto, nella specie il motivo di ricorso, nell'ambito di una unica rubrica, denuncia promiscuamente ed indistintamente plurime violazioni di legge nonché vizi di motivazione, senza che ciascun vizio denunciato sia separatamente concluso da un quesito o da un motivo di sintesi o di riepilogo; inoltre le preposizioni finali sono largamente inadeguate a configurare quesiti idonei ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. secondo la giurisprudenza di legittimità innanzi richiamata. Pertanto il ricorso è inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in euro 4.100,00, di cui euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.