Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE CAMPOBASSO - Ordinanza 07 maggio 2015

Contributo unificato nel processo tributario - Ricorso cumulativo o collettivo - Determinazione in base alla somma dei contributi previsti per i singoli atti impugnati, anziché in base alla somma totale dei tributi richiesti - Violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza sotto più profili - Ingiustificata diversità di disciplina rispetto ai ricorsi cumulativi riguardanti esclusivamente l'irrogazione di sanzioni (per i quali si fa riferimento al valore della lite costituito dalla somma di queste) - Disparità di trattamento impositivo fra contribuenti - Irragionevole diversità di disciplina - Violazione del principio di capacità contributiva - Compressione del diritto di difesa, del diritto alla tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione nonché del diritto a un processo equo e ad un ricorso effettivo - Inosservanza degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU (Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo) - Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 14, comma 3-bis, come modificato dall'art. 1, comma 598, lett. a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 - Costituzione, artt. 3, 24, 53, 113 e 117, primo comma, in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

 

La Ges.A.C., s.r.l. premesso che: 1) in relazione ad un ricorso cumulativo, proposto innanzi a questa Commissione Tributaria, avente ad oggetto n. 3 intimazioni di pagamento di tributi per un importo totale di € 1.524,67, aveva versato il contributo unificato pari ad € 30,00 calcolato sulla somma totale predetta; 2) in relazione ad altro ricorso cumulativo, proposto innanzi alla stessa predetta Commissione Tributaria, avente ad oggetto n. 19 intimazioni di pagamento di tributi per un importo complessivo di € 74.563,21 aveva versato il contributo unificato pari a ad € 250,00, calcolato sull'importo totale predetto; 3) la Direttrice della Segreteria di questa Commissione Tributaria le aveva notificato due inviti bonari al pagamento con cui, rilevato l'insufficiente versamento dei contributi unificati predetti e ricalcolati gli importi dovuti in base ai singoli atti impugnati in relazione a ciascuno dei ricorsi cumulativi, come disposto dall'art. 14, comma 3-bis del decreto del Presidente della Repubblica 115/2002 (introdotto dalla legge 147/2013 art. 1 comma 598), aveva rideterminato la misura dei contributi unificati in € 90,00 per il primo ricorso ed in 1.280,00 per il secondo;

Tanto premesso, la predetta società ha proposto ricorso innanzi a questa Commissione avverso i due inviti al pagamento per i seguenti motivi: 1) violazione dell'art. 12, comma 5, del d.lgs 546/92 e dell'art. 10 c.p.c., dovendosi ritenere emesso l'opposto invito al pagamento sulla base di una illegittima Direttiva (la n. 2/DGT del 2012) del MEF con la quale si è affermato che il contributo unificato, in caso di ricorso avverso più atti di accertamento, deve essere calcolato "con riferimento ai valori dei singoli atti e non sulla somma dei detti valori", interpretazione questa da ritenere in contrasto con la legge poiché, ai sensi dell'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica 115/2002, il contributo unificato è dovuto per il processo e deve essere calcolato sul valore della lite che, ai sensi dell'art. 10 c.p.c., applicabile al processo tributario nella carenza di specifiche disposizioni sul ricorso tributario, si ottiene, ex art. 12, comma 5, d.lgs 546/92, sommando i tributi, al netto di sanzioni ed interessi o le sole sanzioni - in caso di atti per sole sanzioni - dei vari provvedimenti oggetto di impugnazione; 2) che il criterio della somma dei tributi, oggetto dei vari atti impugnati con i due ricorsi cumulativi, è stato ritenuto corretto anche dalla sentenza n. 120/1/13 del 19 luglio 2013 di questa Commissione, sentenza nella quale veniva anche rilevato che la diversa interpretazione del metodo di calcolo del contributo unificato contenuta nella predetta Direttiva del MEF presentava vari profili di incostituzionalità; 3) che la modifica dell'art. 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 115/2002, operata con la legge n. 147/2013 (legge di stabilità del 2014 a decorrere dal gennaio 2014), con la quale si è disposto che il contributo unificato deve essere "determinato, per ciascun atto impugnato anche in appello" deve ritenersi confliggente con gli artt. 3, 53, 24, 113 e 117, comma 1, della Costituzione.

Rileva in proposito che, essendo pacifica la natura di tributo del contributo unificato e la sua funzione volta a sostenere il costo del processo, imporre ad un soggetto che, proponendo un solo ricorso per più atti, attiva un solo processo, lo stesso sacrificio nell'esborso del contributo che si impone a quel contribuente che, proponendo un ricorso per ciascun atto impugnato, attiva più processi, significa violare il principio di uguaglianza dei contribuenti e della capacità contributiva degli stessi. La violazione del principio di uguaglianza si verifica anche ove si consideri l'ingiustificato diverso trattamento che il legislatore effettua discriminando il processo tributario, nel quale il contributo unificato è commisurato al valore dei singoli atti, dal processo amministrativo e da quello civile (al quale si conforma di massima quello tributario) nei quali il contributo predetto è rapportato al valore della lite.

Quanto invece alla violazione dell'art. 24 Cost. fa rilevare che sia la nostra Costituzione che i Trattati istitutivi dell'Unione Europea vietano di imporre filtri gravosi al diritto di difesa che, con l'imposizione di un pagamento rapportato ai singoli atti impugnati e non al valore del processo, pregiudica l'iniziativa di chi, proponendo un solo ricorso per più atti, agevola le esigenze di semplificazione e snellezza del processo.

Relativamente poi alla violazione dell'art. 113 Cost. fa rilevare che con l'onerare il ricorrente di un peso tributario eccessivo, e comunque non rapportato al costo del processo, si pregiudica la pienezza della tutela contro gli atti della Pubblica Amministrazione.

Quanto, infine, alla violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione ed ai vincoli risultanti dalla CEDU, osserva che, rapportando la misura del contributo unificato al valore di ogni singolo atto impugnato nel processo cumulativo o collettivo, il legislatore non ha affatto perseguito l'interesse pubblico, come richiesto dalle predette disposizioni che sanciscono il diritto ad un processo giusto, ad un ricorso effettivo e al divieto di restrizioni dei diritti non strettamente connesse con lo scopo previsto, ma unicamente la soddisfazione della attuale emergenza finanziaria.

Il ricorrente ha conclusivamente chiesto che, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 598, legge n. 147/2013, in relazione agli artt. 3, 53, 24, 113 e 117, comma 1, della Costituzione, siano trasmessi gli atti alla Corte Costituzionale, previa sospensione del giudizio e, all'esito, siano annullati gli opposti inviti di pagamento, con vittoria di spese.

Instauratosi il contraddittorio si è costituita la Segreteria di questa Commissione Tributaria, in persona della Direttrice p.t., che ha contestato ogni avverso assunto deducendo: 1) in via pregiudiziale la inammissibilità dell'impugnazione dell'opposto invito al pagamento, precisando che trattasi di provvedimento non indicato tra quelli previsti come impugnabili dall'art. 19 d.lgs 546/92, come ritenuto anche dalla CTP di Pisa (sent. n. 225 del 2013), trattandosi di atto che non contiene una pretesa tributaria e non produce effetti immediati nella sfera patrimoniale del contribuente; 2) relativamente alla eccepita incostituzionalità dell'art. 1, comma 598 lett. a) della legge n. 147/2013, che con detta disposizione il legislatore, disponendo che nel processo tributario il contributo unificato per il ricorso collettivo o cumulativo deve essere rapportato alla somma dei contributi previsti per ciascuno degli atti imputati, ha posto fine ad una questione dibattuta in giurisprudenza.

Precisa che il processo tributario differisce da quello civile poiché mentre nel secondo è la parte che con la sua domanda determina il valore della controversia, nel primo ogni atto costituisce l'esito di un separato accertamento. La facoltà del ricorrente di trattare congiuntamente diverse questioni tra di loro connesse, pur se corrispondente all'esigenza di economia processuale, non può giammai tradursi in un risparmio del contributo unificato.

Nella specie essa resistente Segreteria si è limitata ad applicare la legge vigente.

Ha pertanto concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso per non impugnabilità degli atti opposti e, in subordine, dichiararsi irrilevante ed infondata la sollevata eccezione di legittimità costituzionale e rigettarsi il ricorso con vittoria di spese del giudizio.

Nella odierna pubblica udienza questa Commissione, sentite le conclusioni delle parti, si è riservata la decisione. Quindi ha emesso la presente ordinanza come appresso motivata.

Deve pregiudizialmente essere esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla resistente Segreteria di questa Commissione.

L'eccezione è infondata e deve essere rigettata. Nella concreta fattispecie la predetta Segreteria, in esecuzione del disposto di cui all'art. 248 decreto del Presidente della Repubblica 115/2002 (Testo Unico Spese di Giustizia- d'ora innanzi TUSG), notificò alla contribuente n. 2 inviti bonari al pagamento, ovvero due provvedimenti nei quali erano indicati, in via preventiva e nelle vie brevi, i maggiori importi ritenuti dovuti, in luogo di quelli inferiori versati, per i due contributi unificati tributari (d'ora innanzi CUT) al fine di consentirle il pagamento ed evitare un contenzioso, avvertendola che in caso di mancato pagamento sarebbe stata promossa la riscossione coattiva con addebito degli interessi e della sanzione.

Orbene i predetti provvedimenti sono da ritenere impugnabili anche se non inclusi tra quelli previsti dall'art. 19 d.lgs 546/92. E' pur vero, infatti, che la elencazione degli atti impugnabili indicati nell'art. 19 del d.lgs n. 546/92 ha natura tassativa, sì che la loro omessa impugnazione comporta la cristallizzazione della pretesa tributaria in essi contenuta, ma ciò non significa affatto che l'impugnazione di atti, come quelli de quibus, diversi da quelli indicati dal predetto art. 19, sia in ogni caso da ritenere inammissibile.

Invero da tempo si è consolidato autorevole insegnamento giurisprudenziale, dal quale questo Collegio non ravvisa validi motivi per discostarsi, secondo il quale l'indicazione tassativa degli atti impugnabili, di cui al citato art. 19, è suscettibile di interpretazione estensiva in ossequio ai principi del diritto di difesa e della capacità contributiva del contribuente (artt. 24 e 23 Cost.) nonché di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, infine, anche per effetto dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge n. 448 del 2001. Più precisamente è stata riconosciuta la facoltà, per il contribuente, di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall'ente impositore che, con l'esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che li sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento, cui è naturalmente preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19 cit. Tanto perché già al momento della ricezione della notizia il contribuente ha interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva.

E' stato altresì chiarito che l'esercizio della facoltà di impugnazione, da parte del contribuente, di un atto non espressamente indicato dall'art. 19 cit. non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (e cioè la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19 (Cass. 21045/2007 - S.U. 10672/2009 - Cass. 27385/2008 - 4513/2009 - 285 e 14373/2010 - 8033, 109878 e 16100 del 2011 - 17010/2012).

Nel caso di cui si discute i provvedimenti opposti presentano tutti i requisiti, in precedenza indicati, per ritenere sussistente l'interesse del ricorrente a ricorrere innanzi al Giudice tributario.

Affermata la piena ammissibilità del ricorso, devesi ora esaminare se è da ritenere ammissibile e non manifestamente infondata l'eccezione proposta dal ricorrente che ha contestato che sia conforme ai principi costituzionali la vigente formulazione del comma 3-bis dell'art. 14 del TUSG, con riferimento alla parte modificata dal comma 598, lett. a) della legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità 2014).

La questione è da ritenere certamente rilevante poiché di essa si deve necessariamente fare applicazione nel presente processo il cui oggetto controverso è proprio il criterio di determinazione del CUT. che, secondo il ricorrente, dovrebbe essere rapportato alla somma totale dei tributi oggetto dei vari provvedimenti impugnati con i due ricorsi cumulativi proposti mentre, secondo la resistente Segreteria di questa Commissione, dovrebbe essere rapportato alla somma dei CUT previsti per ciascuno dei provvedimenti indicati in ognuno dei due ricorsi cumulativi, così come disposto dal vigente comma 3-bis dell'art. 14 TUSG, con conseguente maggiore esborso, come richiesto negli avvisi bonari oggi opposti, rispetto a quello versato dal ricorrente e già indicato.

La questione è da ritenere altresì non manifestamente infondata per i motivi che appresso saranno esposti.

L'art. 14 comma 3-bis cit. prima della vigente formulazione disponeva che il CUT doveva essere "determinato ai sensi del comma 5 dell'art. 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546, e successive modificazioni".

Il comma 5 dell'art. 12 d.lgs 546/92 a sua volta disponeva e dispone che "Per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste".

A decorrere dal primo gennaio 2014, con l'art. 1, comma 598 lett. a) della legge 147/2013, è stato modificato il comma 3-bis dell'art. 14 cit, nel senso che dopo la parola determinato sono state aggiunte le parole "per ciascun atto impugnato anche in appello".

Tali essendo le disposizioni vigenti prima del gennaio 2014, questa stessa Commissione Tributaria ebbe modo di occuparsi del criterio di determinazione del CUT, dovuto per il ricorso cumulativo, in tre processi definiti con le sentenze n. 120/1/13 del 18 luglio 2013, n. 698/2/14 del 18 novembre 2014 e n. 100/1/2015 concernenti CUT versati prima del gennaio 2014.

Con le tre predette sentenze la questione fu risolta affermandosi che per il ricorso cumulativo il CUT doveva essere determinato sulla base del valore costituito dalla somma dei vari tributi (al netto di sanzioni ed interessi) oggetto dei provvedimenti impugnati, oppure dalla somma delle sole sanzioni in caso di provvedimenti contenenti solo sanzioni.

A detta decisione questa Commissione pervenne osservando che nella disciplina del processo tributario (d.lgs 546/92) non è neppure contemplato il ricorso cumulativo (ritenuto però ammissibile da costante giurisprudenza di legittimità) onde, per il generico rinvio al codice di procedura civile, disposto dall'art. 1 d.lgs cit., doveva trovare applicazione l'art. 104 c.p.c. che, disciplinando il cumulo di domande contro la stessa parte nel processo civile, impone il rinvio all'art. 10 c.p.c. il quale a sua volta dispone che "le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro".

Veniva altresì precisato che, ai sensi dell'art. 9 TUSG, il CUT, come tutti i contributi unificati, è dovuto per il processo e non per gli atti impugnati.

Nell'occasione veniva confutata l'affermazione della resistente A.F. (in persona della Direttrice della Segreteria di questa CTP) che, conformandosi a quanto ritenuto nella Direttiva n. 2/DGT del 2012 del MEF, aveva sostenuto la tesi dell'applicabilità del criterio della somma dell'oggetto dei provvedimenti opposti solo in caso di provvedimenti contenenti unicamente sanzioni, assumendo che invece, in caso di provvedimenti contenenti tributi, doveva aversi riguardo ai singoli atti (ovvero dovevano sommarsi i CUT previsti per i singoli atti).

La tesi veniva confutata nelle sentenze di questa CTP con la testuale affermazione che essa "comporterebbe l'irrazionale conclusione che per la determinazione dell'entità del CU, dovuto per il ricorso cumulativo nel processo tributario, dovrebbe farsi ricorso a criteri differenti variabili secondo l'oggetto dell'atto impugnato (ovvero il criterio della somma delle sanzioni nel caso di provvedimenti contenenti solo sanzioni e il criterio della somma dei CUT previsti per ciascuno dei provvedimenti in caso di provvedimenti contenenti solo tributi) operando così una differenziazione che non è ravvisabile né nella lettera né nella ratio della legge".

Nella stessa sentenza veniva altresì precisato che la ritenuta illegittima interpretazione proposta dal Ministero, e seguita all'epoca dalla Direttrice della Segreteria di questa CTP, si esponeva a seri dubbi di violazione dei principi di uguaglianza e della capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 Cost.

Orbene con la modifica del comma 3-bis dell'art. 14 cit.il Legislatore ha dimostrato da un lato di ritenere legittima la interpretazione effettuata da questa Commissione, tanto da operare una modifica del vecchio comma 3-bis cit., e dall'altro di condividere la esigenza (evidentemente per ragioni di cassa) di introdurre un criterio di determinazione del CUT corrispondente a quello manifestato dal MEF a mezzo della illegittima interpretazione della norma.

E' opportuno precisare, in proposito, che la riformulazione del comma 3-bis cit. costituisce una disposizione innovativa e non già interpretativa poiché, come è ben noto, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 212/2000 "L'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica", mentre nel caso de quo né sussiste il caso eccezionale né si rinviene, nel testo della legge, alcuna qualificazione di norma interpretativa.

Quanto, poi, alla finalità della nuova disposizione, non sembra possano sussistere dubbi nel senso che con essa si sia voluto condividere l'esigenza di maggiori entrate tributarie insita nella interpretazione da parte del MEF della vecchia formulazione della norma.

Infine, per quanto concerne la effettiva portata della novella legislativa, non sembra che possa correttamente dubitarsi che il legislatore abbia proprio voluto disporre che nel ricorso cumulativo il CUT sia calcolato separatamente per ogni atto impugnato assumendo come valore i tributi contenuti nei singoli atti (escluse sanzioni ed interessi), anche perché tanto risulta dai lavori parlamentari in cui si dà atto che il legislatore ha chiaramento aderito alla tesi del MEF.

Nel Dossier del servizio studi del Senato (n. 74 ottobre 2013) si afferma infatti che "con specifico riferimento all'ambito del processo tributario... il calcolo del contributo per scaglioni viene effettuato con riguardo a ciascun atto impugnato anche con riguardo ai contenziosi in appello".

Conclusivamente deve ritenersi che nel caso che ne occupa, che concerne la determinazione del CUT per due ricorsi cumulativi, contributi versati nell'anno 2014, in base alla legge vigente, ovvero al novellato comma.3-bis dell'art. 14 TUSG, la determinazione del CUT dovrebbe essere effettuata (per entrambi i casi) sommando i CUT previsti per ciascuno dei provvedimenti impugnati con il ricorso cumulativo - come ritenuto dalla resistente Segreteria di questa CTP - e non già assumendo l'unico CUT determinato sulla base della somma dei tributi oggetto dei vari provvedimenti - come ritenuto dalla ricorrente..

L'adesione del legislatore alla indicata esigenza manifestata dal MEF e la stessa specifica formulazione della norma, che non ha apportato alcuna modifica alla preesistente e vigente formulazione dell'art. 12 d.lgs 546/92 il quale, nell'indicare il valore della lite per le controversie aventi ad oggetto unicamente sanzioni ("in caso di controversie relative esclusivamente alla irrogazione di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste"), comporta che comunque resta invariato il criterio della somma solo delle sanzioni nel caso di pluralità di atti contenenti solo sanzioni.

Non sembra superfluo ricordare che nella Direttiva del MEF n. 2/DGT del 14 dicembre 2012 nel rispondere al quesito 18, con cui veniva richiesto come calcolare il valore della lite in base al quale determinare la misura del CUT nel ricorso cumulativo, ovvero se con riguardo alla somma dei valori degli atti o se per ogni singolo atto, veniva testualmente data la seguente risposta. "Soltanto nel caso in cui siano impugnati gli atti di irrogazione delle sanzioni il valore della lite è dato dalla loro somma".

Tanto premesso e precisato, ritenuto che, come già chiarito, la questione di legittimità costituzionale del comma 3-bis dell'art. 14 TUSG è rilevante poiché di detta norma deve farsi necessariamente applicazione nel presente processo per la determinazione dell'entità del CUT dovuto per ciascuno dei proposti ricorsi cumulativi, si osserva che la detta questione è da ritenersi altresì non manifestamente infondata perché contrastante con i principi costituzionali dell'uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), della capacità contributiva (art. 53 Cost.), del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e della tutela giurisdizionale (art. 113 Cost.), nonché del diritto ad un processo equo e ad un ricorso effettivo (art. 117, comma 1 Cost. e artt. 6 e 13 CEDU).

Va innanzitutto rilevata la irragionevolezza della discriminazione che, in base alla nuova disposizione, consegue nella determinazione dell'entità del sacrificio imposto al contribuente valutando, in caso di ricorso cumulativo, a seconda dei casi la somma dei CUT dovuti per ciascun provvedimento contenente tributi, oppure la somma delle sanzioni per i provvedimenti contenenti solo sanzioni.

Già questa sola differenziazione tra tributi e sanzioni appare lesiva del principio di uguaglianza e, nel contempo, anche del principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost., risultando ingiustificato il trattamento differenziato, a parità di debito verso l'erario, tra chi debba corrispondere solo tributi rispetto a chi debba corrispondere solo sanzioni ed inoltre maggiormente incisa la capacità contributiva del primo rispetto al secondo.

Si tratta, come si esemplificherà nei casi pratici che saranno indicati successivamente, di criteri che comportano esborsi differenti penalizzando maggiormente, e senza un valido e logico motivo, il contribuente che proponga un ricorso cumulativo avverso più provvedimenti contenenti solo tributi rispetto a quello che proponga del pari un solo ricorso ma avverso più provvedimenti contenenti solo sanzioni, e questo anche se il debito tributario sia uguale per entrambi i contribuenti.

Si palesa in tal modo evidente il contrasto del cit. comma 3-bis dell'art. 14 con i principi di cui all'art. 3 ed all'art. 53 Cost., principi che devono ritenersi violati anche sotto altri profili. Come è ben noto il Contributo Unificato ha la natura giuridica di tributo. In proposito si ricorda che la Corte costituzionale con la sentenza n. 73/2005 affermò testualmente che: "La natura di entrata tributaria erariale del predetto contributo unificato si desume infatti, indipendentemente dal nomee iuris utilizzato, dalla normativa che lo disciplina: a) dalla circostanza che esso è stato istituito in forza di legge a fini di semplificazione e in sostituzione di tributi erariali gravanti anch'essi su procedimenti giurisdizionali, quali l'imposta di bollo e la tassa di iscrizione a ruolo, oltre che dei diritti di cancelleria e di chiamata di causa dell'ufficiale giudiziario (art. 9, commi 1 e 2, della legge n. 488 del 1999); b) dalla conseguente applicazione al contributo unificato delle stesse esenzioni previste dalla precedente legislazione per i tributi sostituiti e per l'imposta di registro sui medesimi procedimenti giurisdizionali (comma 8 dello stesso art. 9); c) dalla sua espressa configurazione quale prelievo coattivo volto al finanziamento delle "spese degli atti giudiziari" (rubrica del citato art. 9); d) dal fatto infine che esso, ancorché commesso alla fruizione del servizio giudiziario, è commisurato forfetariamente al valore dei processi (comma 2 dell'art. 9 e tabella 1 allegata alla legge) e non al costo del servizio reso od al valore della prestazione erogata. Il contributo ha, pertanto, le caratteristiche essenziali del tributo e cioè la doverosità della prestazione e il collegamento di questa ad una pubblica spesa, quale è quella per il servizio giudiziario (analogamente si sono espresse, quanto alle caratteristiche dei tributi, le sentenze n. 26 del 1982, n. 63 del 1990, n. 2 del 1995, n. 11 del 1995, e n. 37 del 1997) con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante".

Giova ricordare che l'art. 9 TUSG disponendo che "E' dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo per ciascun grado di giudizio nel processo civile e di volontaria giurisdizione, nel processo amministrativo e nel processo tributario" indica chiaramente che il presupposto del tributo CUT è l'iscrizione a ruolo di un giudizio.

Trattasi quindi di un prelievo coattivo volto al finanziamento delle spese giudiziarie e commisurato al valore del processo, onde la base imponibile è rappresentata dal valore della controversia.

Anche a costo di sembrare ripetitivi si ricorda che la Corte costituzionale nella sopra indicata sentenza chiarì che il CUT "ancorché connesso alla fruizione del servizio giudiziario, è commisurato forfettariamente al valore del processo... e non di certo del servizio reso o della prestazione erogata".

Orbene la disposizione di cui al novellato comma 3-bis dell'art. 14 cit., secondo la quale in caso di ricorso avverso più atti (ricorso cumulativo o collettivo) il valore della lite deve essere calcolato con riferimento ai singoli atti impugnati, comporta assoluta incoerenza ed irrazionalità poiché al presupposto impositivo unitario (iscrizione a ruolo di un solo ricorso per un solo processo) fa corrispondere una molteplicità di basi imponibili (i valori dei singoli atti impositivi e non il valore del processo).

Secondo autorevole dottrina la discrezionalità del legislatore nella determinazione della base imponibile incontra il limite della necessaria coerenza tra il profilo assunto come rilevante e il presupposto impositivo, poiché l'incoerenza tra il parametro prescelto e il presupposto del tributo introduce un grave elemento di irrazionalità della disciplina dell'istituto tributario che dovrebbe necessariamente condurre alla dichiarazione di incostituzionalità. Trattasi di incoerenza che sussiste solo nel processo tributario

poiché in quello civile - sul quale è modellato il primo -, in caso di cumulo oggettivo delle domande, il contributo unificato è quantificato su una base imponibile unitaria (somma delle domande) in tal modo rispettandosi pienamente il canone della coerenza tra presupposto e base imponibile del tributo. Il principio di uguaglianza e ragionevolezza è altresì da ritenersi violato considerando le diverse modalità di accertamento che per legge o per volontà dell'ente impositore siano adottate per recuperare tributi di pari valore (es.: un solo o più Avvisi per recuperare più tributi ICI o più tasse automobilistiche). E' del tutto evidente, infatti, che diversa sarà la determinazione del CUT nel caso di un unico atto contenente più tributi (unico CUT determinato in base alla somma dei tributi) o di più atti contenenti gli stessi tributi relativi ad annualità diverse (somma dei CUT dovuti per ciascuno degli atti), come si è verificato nelle fattispecie de quibus.

Trattasi di ipotesi del tutto avulse dalla volontà del contribuente e dal presupposto del tributo, onde palesemente irragionevoli e comportanti evidente disparità di trattamento impositivo.

E' sufficiente, esemplificativamente, valutare il caso di due distinti processi azionati da due contribuenti aventi identico debito tributario di € 150.000,00, debito contestato al primo con un solo provvedimento e al secondo con tre distinti provvedimenti, ciascuno di € 50.000,00. Con l'applicazione del novellato comma 3-bis dell'art. 14 TUSG si verifica che, in presenza di debito tributario di ammontare complessivamente identico, il primo contribuente dovrà corrispondere un CUT (€ 500,00) di ammontare inferiore a quello (€ 750,00) che dovrà corrispondere il secondo, pur avendo costui agevolato il corso della giustizia, consentendo, con la presentazione di un unico ricorso cumulativo, la celebrazione di un unico processo, agevolando le esigenze di snellezza e celerità della giustizia, eliminando altresì il pericolo di contrasto di giudicati.

Che dire poi della ipotesi in cui sia appellata una sola sentenza emessa in esito ad un processo in cui sia stata disposta la riunione di due ricorsi ciascuno di importo superiore ad € 200.000,00? In tal caso l'applicazione del novellato comma 3-bis comporta l'applicazione di un CUT pari ad € 3.000,00 (€ 1.500,00 + € 1.500,00) mentre, applicando il criterio del valore del processo, secondo la previdente formulazione legislativa, il CUT sarebbe stato pari al valore massimo, ovvero ad € 1.500,00.

Il principio di uguaglianza e ragionevolezza è da ritenere altresì violato in considerazione della diversa disciplina dettata per le domande azionate cumulativamente nel processo civile, ex artt. 104 e 10 c.p.c., non essendo ravvisabile alcuna valida ragione per la differenziazione, essendo identico il presupposto della imposizione ("iscrizione a ruolo di un processo civile... amministrativo o tributario") ed essendo identico l'indice di capacità contributiva (potere di adire gli organi della giustizia). Tanto, inoltre, non senza rilevare che nel processo tributario innanzi alla Corte di Cassazione è tuttora applicabile il criterio dettato per il processo civile, poiché il comma 6-quater dell'art. 13 TUSG disciplina solo il CUT innanzi alle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali.

Si rivela pertanto del tutto evidente la illogicità di una normativa che, solo per esigenze di cassa, impone un diverso e molto più oneroso sistema di calcolo degli obblighi tributari, oltretutto solo per i due gradi di merito, per il processo tributario rispetto al processo civile, al quale ultimo si conforma prevalentemente il primo, dovendosi peraltro escludere la ravvisabilità di un particolare interesse fiscale nel processo tributario (come si argomenta da Corte costituzionale sent. n. 73/2005).

Né potrebbe, in contrario, rilevarsi, come pure è stato rilevato, che il processo tributario ha natura impugnatoria a differenza del processo civile, poiché la predetta natura impugnatoria può sussistere anche nel processo civile, sia in primo grado (es.: opposizione a decreto ingiuntivo) che in secondo grado, dove è connaturata la natura impugnatoria.

Ulteriore contrasto si ritiene di ravvisare tra la novellata disposizione del comma 3-bis dell'art. 14 cit. e l'art. 53 della Costituzione che disciplina la capacità contributiva.

Come si è innanzi precisato il CUT costituisce un prelievo coattivo, ovvero un tributo, volto al finanziamento delle spese giudiziarie e commisurato al valore del processo, la cui base imponibile è costituita dal valore della controversia.

Più semplicemente può affermarsi che il CUT è richiesto per un solo processo, anche se esso abbia per oggetto più atti tributari, poiché è finalizzato a sostenere il costo forfettario di quel processo e non degli atti che ne sono oggetto.

E' fin troppo evidente, allora, che costringere il contribuente che proponga un ricorso cumulativo a pagare per il CUT una somma maggiore di quella corrispondente al valore del processo determinato sulla somma dei soli tributi (oggetto degli atti impugnati) e pari a quella che avrebbe dovuto corrispondere se avesse attivato un numero di processi corrispondente a quello degli atti impugnati, costituisce palese violazione della capacità contributiva. Tanto non senza rilevare che in talune ipotesi, come nel caso in precedenza esemplificato (un primo contribuente che impugni un solo atto recante un tributo di € 150.000,00 con CUT di € 500,00 - un secondo contribuente che impugni cumulativamente tre atti ciascuno con tributo di € 50.000,00 con CUT di € 750), è addirittura maggiormente incisa, pur in presenza di pari debito tributario, la capacità contributiva del contribuente che ha ritenuto, proponendo un unico ricorso cumulativo, di contribuire alla generale e meritevole esigenza di semplificazione processuale e di certezza delle decisioni giurisdizionali con l'eliminazione della eventualità di un contrasto di giudicati.

La predetta ultima ipotesi rileva anche per evidenziare il contrasto della predetta disposizione, di cui al comma 3-bis dell'art. 14, con il diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione.

Infatti subordinando l'utilizzo del ricorso cumulativo o collettivo, che è evidente strumento essenziale di difesa, al pagamento di un CUT che, in quanto rapportato a ciascuno degli atti impugnati, è pari a quello che si sarebbe dovuto corrispondere se fossero stati proposti distinti ricorsi, si scoraggia l'iniziativa di coloro che vogliano avvalersi del ricorso cumulativo o collettivo per la difesa delle proprie ragioni.

Inoltre l'imposizione, per il ricorso cumulativo, di un CUT non rapportato al costo del processo, ma ai singoli atti impugnati, si rivela come un eccessivo peso tributario e, in quanto tale, appare confliggere anche con l'art. 113 della Costituzione che assicura che contro gli atti della P.A. è sempre ammessa la tutela giurisdizionale, tutela che comunque viene limitata notevolmente.

Infine non può ignorarsi che l'imposizione di un contributo gravoso per il ricorso cumulativo o collettivo compromette seriamente il diritto ad un processo equo e ad un ricorso effettivo, diritto garantito dall'art. 117, comma 1, Cost. e dagli artt. 6 e 13 della CEDU.

Conclusivamente si osserva che il CUT, così come concepito dal vigente comma 3-bis dell'art. 14 TUSG, presenta vari profili di incostituzionalità, oltre a contrastare con le esigenze di deflazione e semplificazione della giustizia tributaria, e sembra dettato unicamente da esigenze di finanza pubblica.

Non può non rilevarsi che la indubbia sussistenza per lo Stato italiano dell'esigenza di contenere la spesa pubblica e di incrementare le entrate al fine di rispettare gli impegni internazionali non può in alcun modo giustificare la violazione di fondamentali principi costituzionali.

Giova in proposito ricordare che "L'eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è, infatti, suscettibile senza dubbio di consentire al legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti i cittadini necessitano. Tuttavia è compito dello Stato garantire, anche in queste condizioni, il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, il quale, certo, non è indifferente alla realtà economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non può consentire deroghe al principio di uguaglianza, sul quale è fondato l'ordinamento costituzionale" (Corte Cost. sent. n. 223/2012).

E' ben noto, del resto, che "La Costituzione... esige un indefettibile raccordo con la capacità contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di uguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed uguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale - artt. 2 e 3 Cost."(sent. Corte Cost. n. 341/2000), onde il controllo della Corte costituzionale, in ordine alla lesione del principio di cui all'art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., consiste in un "...giudizio sull'uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell'imposizione" (Corte Cost. sent. n. 111/97).

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87;

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale del comma 3-bis dell'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 215/2002 (ndr: del comma 3-bis dell'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 115/2002) , nella parte modificata dell'art. 1 comma 598, lett. a), della legge 27 dicembre 2013 n. 147, per violazione degli artt. 3, 53, 24, 113 e 117, comma 1 della Costituzione (in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU).

Sospende il presente giudizio e dispone che gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale.

Dispone altresì che, a cura della Segreteria, la presente Ordinanza sia notificata alle parti del processo ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 02 settembre 2015, n. 35