Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 agosto 2015, n. 17180

Tributi - IVA - Regime del margine - Cessione auto usate

 

Ritenuto in fatto

 

A seguito di p.v.c. del 13.7.2005, veniva notificato in data 5.4.2006 alla società "F. s.p.a." avviso di accertamento per cessione di autoveicoli con indebito utilizzo del c.d. regime del margine ex art. 36, D.L. n. 41/95 (conv. dalla L. n. 85/95) ed omessa regolarizzazione di acquisti di auto usate, nonché cessione all'esportazione di un autoveicolo, nell'anno di imposta 2003, con conseguente ripresa a tassazione di Iva per € 3.000,00 ed applicazione di sanzioni per € 4.500,00.

In particolare, secondo l'Ufficio la concessionaria, disponendo dei libretti di immatricolazione, dai quali risultava l'intestazione dell'autovettura ad un'azienda di autonoleggio, avrebbe potuto verificare la corretta applicazione del regime di Iva. La contribuente replicava che vi erano vari casi nel quali anche una società di autonoleggio avrebbe potuto non detrarre l'iva sugli acquisti, mentre ulteriori elementi avrebbe potuto acquisirli solo l'amministrazione finanziaria, attraverso una verifica presso il venditore.

La C.T.P. di Udine con sentenza del 19.2.2007 accoglieva il ricorso della contribuente, ma la C.T.R. del Friuli Venezia Giulia accoglieva l'appello interposto dall'amministrazione finanziaria.

Per la cassazione della sentenza d'appello n. 38/10/09, depositata il 2.4.2009, la società contribuente ha proposto ricorso affidato a due motivi, chiedendo la condanna dell'ufficio alle spese processuali dei tre gradi di giudizio.

L'Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

 

Motivi di diritto

 

1. Con il primo motivo di ricorso, la società "F. s.p.a." lamenta la «Errata applicazione e/o interpretazione degli articoli 36 e ss. del Decreto Legge 23/02/1995 n. 41 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 22/03/1995 n. 85», in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., sulla scorta del seguente quesito di diritto: «Dica Codesta Ecc.ma Corte Suprema: 1) se gli artt 36 e ss, del D.L. 41/95 prevedano a carico del cessionario la verifica dei presupposti di applicazione del regime del margine nei confronti del (solo) proprio diretto fornitore? ovvero 2) se gli artt. 36 e ss. del D.L. 41/95 prevedano a carico del cessionario l'estensione della verifica dei presupposti di applicazione del regime del margine a tutti gli intestatari del bene e quindi risalendo sino al primo intestatario? ovvero 3) se, ai sensi degli artt. 36 e ss. del D.L. 41/95, compete al cessionario l'indagine in merito ai corretto utilizzo del regime del margine da parte del proprio diretto fornitore oppure se all'acquirente spetti esclusivamente l'onere di regolarizzare la fattura di acquisto per errori, incompletezze o lacune di contenuto del documento stesso».

2. Con il secondo mezzo la ricorrente deduce altresì la «Errata applicazione dell'onere della prova a carico del contribuente a seguito della falsa e/o errata attribuzione al regime del margine della natura di "regime agevolativo"», sempre in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., sulla base del seguente quesito di diritto: «Dica Codesta Ecc.ma Corte Suprema: 1) se gli artt. 36 e ss. del D.L. 41/95 prevedano a carico del cessionario l'onere di verificare e provare la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge per l'applicazione dei regime del margine ovvero 2) se, come qui sostenuto, il regime del margine previsto dall'art. 36 e ss. del D.L. 41/95 non ha natura di regime speciale agevolativi) e, di conseguenza, ricada sull'Ufficio accertatore l'onere di provare la mancata sussistenza dei requisiti previsti dalla Legge per l'inapplicabilità del regime particolare».

3. Entrambi i motivi presentano profili di inammissibilità, prima ancora che di infondatezza.

4. A tal fine occorre premettere che la sentenza impugnata, in quanto pubblicata in data 2.4.2009, rientra pacificamente, ratione temporis, nella disciplina transitoria di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5, e quindi nel regime dell'art. 366-bis, cod. proc. civ.

5. Tale disposizione, nella consolidata lettura datane dalla giurisprudenza di legittimità, richiede in particolare che i vizi riconducibili ai numeri 3) e 4) dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. siano corredati da un "quesito di diritto" contenente, a pena di inammissibilità: a) la sintesi degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) l'indicazione della regola di diritto da questi applicata; c) la diversa regola di diritto ritenuta da applicare; il tutto in modo tale che il giudice di legittimità, nei rispondere al quesito, possa formulare una regula iuris suscettibile di applicazione anche in diversi casi (Cass. s.u., nn. 2658 e 28536 del 2008, n. 18759 del 2009; Cass. n. 22704 del 2010, n. 21164 del 2013, nn. 11177 e 17958 del 2014).

6. Nel caso di specie, i motivi formulati non sono conformi al paradigma sopra indicato, in quanto non contengono alcun riferimento alla regola applicata dal giudice d'appello, all'errore di diritto che si assume da questi commesso ed alla corretta regula iuris invocata, ma si limitano a prospettare genericamente, in via alternativa, le possibili soluzioni teoriche da dare alle due questioni della diligenza pretendibile dal cessionario e dell'onere della prova circa la sussistenza dei presupposti per l'applicazione del c.d. regime del margine.

7. Volendo poi integrare la lettura dei quesiti con lo svolgimento del motivo che li precede, nel merito occorre rilevare quanto segue.

8. L'art. 26-bis della Sesta direttiva Iva stabilisce un regime particolare dell'Iva applicabile al beni d'occasione ed agli oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione, stabilendo che le cessioni di questi beni, compiute da un soggetto passivo-rivenditore, sono assoggettate ad imposta limitatamente all’utile realizzato, ossia alla differenza tra il prezzo di vendita chiesto dal soggetto passivo rivenditore per il bene ceduto ed il prezzo d'acquisto. Siffatto regime mira ad evitare le doppie imposizioni e le distorsioni di concorrenza fra i soggetti passivi, poiché tassare per l'intero prezzo la cessione di un bene d'occasione compiuta da un soggetto passivo rivenditore, allorché il prezzo cui questi ha acquistato il bene incorpori un importo di Iva assolto a monte da un soggetto passivo, che né il cedente né il rivenditore sono stati in grado di detrarre, comporterebbe una doppia imposizione (v. Corte giustizia 3 marzo 2011, C- 203/10, Auto Nikoiovi, punto 48; 8 dicembre 2005, C-280/04, Jyske Finans, punto 38). Si tratta dunque di un regime senz'altro particolare, giacché deroga al principio generale in base al quale l'Iva è riscossa per ogni cessione di beni compiuta a titolo oneroso da un soggetto passivo (Corte giustizia 19 luglio 2012, C-160/11, Bawaria Motors, punti 28 e 34, con riguardo alla omologa disposizione della direttiva 2006/112/CE; sent. Auto Nikoiovi cit., punto 46; sent. Jyske Finans cit., punto 35).

8.1. Anche nell'ordinamento interno le caratteristiche di specialità, facoltatività ed alternatività di questo regime rispetto a quello ordinario emergono con chiarezza dal D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 36 convertito con modificazioni dalla L. 22 marzo 1995, n. 85, che ha dato attuazione alla direttiva sopra richiamata e che consente al cessionario di beni d’occasione di applicare - per ciascuna cessione - l’imposta nei modi ordinari a norma dei titoli 1 e 2 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dandone comunicazione al competente ufficio dell'imposta sul valore aggiunto nella relativa dichiarazione annuale (comma 3).

8.2. Sulla base di tali premesse normative si comprende l'orientamento di questa Corte che, facendo leva sulla specialità dei regime rispetto all'ordinario regime impositivo IVA riguardante gli acquisti intracomunitari, fa ricadere sul contribuente l'onere di provare, a fronte di una contestazione dell'amministrazione, la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga invocata (Cass. n. 3427 del 2010, n. 2227 del 2011, nn. 8636 e 15219 del 2012, nn. 6916, 6399 e 4525 del 2013, nn. 26852, 25755 e 24604 del 2014, n. 13263 del 2015), con la conseguenza che, in mancanza, resta inapplicabile il regime invocato, indipendentemente dalla consapevolezza del cessionario sulla inesistenza dei relativi presupposti, che può semmai rilevare solo sotto il profilo sanzionatorio. Ciò significa che il rischio fiscale di inapplicabilità dell'operazione intracomunitaria ricade sul cessionario che, nei limiti imposti dall'onere di diligenza richiesto in base alle concrete circostanze, non abbia verificato preventivamente la regolarità sostanziale dell’operazione, anche con riferimento alla condizione soggettiva del cedente, confidando solo sulla regolarità formale della fattura; ed ovviamente, secondo la regola generale stabilita dall’art. 1176, secondo comma, cod.civ., il grado di impegno esigibile in tale verifica è direttamente proporzionale alla specifica qualità professionale del cessionario.

8.3. Ove dunque il cessionario sia un operatore commerciale del settore, l'onere di verifica alla stregua dei documenti negoziali in suo possesso appare coerente sia col principio di vicinanza al fatto oggetto di prova - trovandosi egli in posizione privilegiata per effettuare ex ante un controllo dei presupposti di legge, rispetto al controllo effettuabile ex post dall'amministrazione finanziaria - sia con le regole generali fissate dalla Corte di giustizia in tema di rilevanza della buona fede ai fini dell'esercizio del diritto di detrazione dell’Iva, configurabile ove il committente/cessionario, pur avendo adottato tutte le ragionevoli precauzioni, non abbia avuto e non potesse avere la consapevolezza di partecipare, col proprio acquisto, ad un illecito fiscale dell'emittente delle fatture contestate (cfr. Corte giust. 31 gennaio 2013, C-643/11,LVK 56-EOOD, punto 52).

9. In conclusione, va dato seguito al consolidato orientamento di questa Corte, anche di recente ribadito (Cass. n. 13039 del 2015) per cui: a) il regime del margine è stato introdotto per escludere fenomeni di reiterata imposizione in occasione di cessioni successive alla prima uscita di beni dal circuito commerciale (Cass. 17232/13); b) detto regime, previsto dal decreto legge n. 41 del 1995, presuppone la mancata detrazione dell'IVA all'acquisto da parte del cedente, condizione la cui assenza (o il difetto della prova da parte del cessionario della sua sussistenza) comporta l'inapplicabilità del regime de quo (Cass. 2227/11; conf. 20089/14); c) Il regime del margine non è applicabile alle vendite di autoveicoli usati, provenienti da società di leasing o ditte di autonoleggio ovvero autoconcessionarie e simili, dovendosi presumere, secondo normali criteri di economicità, che in tali casi l'IVA sia stata detratta, trattandosi di beni utilizzati per l'esercizio dell'impresa, per cui non ricorre la condizione dì applicabilità del predetto regime, consistente nella mancata detrazione dell'IVA sull'acquisto da parte del cedente (Cass. 3427/10 e 2659/12; conf. 20089/14); d) nelle operazioni di vendita di autoveicoli, soggette al regime del margine, la responsabilità del cessionario per l'omessa verifica della regolarità sostanziale della fattura deve essere valutata alla stregua del particolare onere di diligenza a suo carico, avendo tale regime quale presupposto, oltre a requisiti oggettivi (attinenti alla natura del bene compravenduto), anche taluni requisiti soggettivi riguardanti l'originario cedente e agevolmente desumibili, di regola, dai libretti di circolazione (Cass. 3427/10 e 5309/12; conf. 20089/14).

10. Al rigetto del ricorso segue, secondo il principio della soccombenza, la condanna di parte ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali del presente giudizio, liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €. 10.000,00 oltre spese prenotate a debito.