Giurisprudenza - TRIBUNALE DI TREVISO - Ordinanza 20 gennaio 2015

Reati tributari - Reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto - Delitti di cui al d.lgs. n. 74 del 2000 - Applicazione della pena, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., può essere chiesta dalle parti solo qualora ricorra la circostanza attenuante del pagamento dei debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi - Disparità di  trattamento tra imputati - Lesione del diritto di difesa - Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, art. 13, comma 2-bis,  aggiunto dall'art. 2, comma 36-vicies semel, lett. m), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 - Costituzione, artt. 3 e 24

 

Con decreto del 3 febbraio 2014 il P.M. ha disposto la citazione a giudizio dell'imputato per rispondere del reato di cui all'art. 10-ter del d.lgs 10 marzo 2000 n. 74, perché, nella sua veste di legale rappresentate della società C.F. s.r.l. in liquidazione, con sede in V.V., non versava nei termini previsti per la presentazione delle dichiarazioni annuali le imposte sul valore aggiunto risultanti dalle dichiarazioni relative agli anni 2010 e 2011 per l'ammontare complessivo, rispettivamente di euro 1.189.322,00 ed euro 510.904,00.

 All'udienza del 30 giugno 2014 il difensore, in virtù della procura speciale agli atti, ha chiesto l'ammissione dell'imputato al patteggiamento.

 In particolare ha chiesto che, ritenuta la continuazione con i fatti già giudicati con decreto penale n. 1583/10 del Gip di Treviso e con sentenza n. 142/2013 del Tribunale di Treviso (relativi al mancato versamento dell'Iva da parte dell'imputato, sempre quale legale rappresentante della C. F. s.r.l., per gli anni 2008 e 2009), venisse applicata la pena finale di mesi 4 di reclusione, con conversione ex art. 53 legge 689/81 in euro 30.000,00 di multa.

 Il P.M. ha negato il consenso, rilevando l'inammissibilità dell'istanza di patteggiamento ai sensi del comma 2-bis dell'art. 13 legge n. 74/2000 (non essendo intervenuto il pagamento del debito tributario).

 La difesa ha allora prospettato questione di illegittimità costituzionale della norma richiamata dal P.M., depositando memoria ex art. 121 c.p.p. nella quale l'incostituzionalità viene sostenuta con riferimento alla violazione degli artt. 3, 24, 102 e 104 della Costituzione.

 Sugli aspetti di incostituzionalità prospettati dalla difesa si rimanda alla lettura della memoria.

 La questione appare anzitutto rilevante ai fini della definizione del presente giudizio.

 Infatti l'art. 13 comma 2-bis del d.lgs n. 74/2000, il quale prevede che possa essere presentata istanza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. solo quando ricorra la circostanza attenuante di cui ai commi 1 e 2 (e cioè quando, prima dell'apertura del dibattimento, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi del delitto contestato siano stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie), è stato introdotto dall'art. 36-vicies semel, lett. m, della legge 148/2011, e si applica ai fatti commessi successivamente al 17 settembre 2011. 

Poiché il reato di cui all'art. 10-ter contestato si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, cioè il 27 dicembre dell'anno successivo al periodo d'imposta di riferimento (cfr. Cass. 38619/2010), e poiché l'omesso versamento dell'Iva nel procedimento penale in oggetto è stato contestato per gli anni 2010 e 2011 (con conseguente consumazione dei reati il 27 dicembre 2011 e il 27 dicembre 2012), deve ritenersi che ai fatti per cui si procede sia applicabile la norma della cui legittimità costituzionale si dubita.

Se pertanto la norma venisse dichiarata incostituzionale, l'imputato potrebbe essere ammesso al patteggiamento , mentre in caso diverso non potrebbe fruire di tale rito.

Di qui la palese rilevanza della questione.

Venendo ora alla non manifesta infondatezza della questione, si ritiene che profili di incostituzionalità siano ravvisabili con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

 Con riguardo all'art. 3 (che postula l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge senza distinzioni di condizioni personali e sociali) si ritiene che la norma sia violata:

 a) con riferimento alla diversa posizione degli imputati in relazione alla loro capacità economica, ed al loro ruolo all'interno della società rappresentata;

 b) con riferimento alla diversa posizione degli imputati di reati tributari rispetto agli imputati di altri reati di maggiore gravità ed allarme sociale, ed in specie di altri reati di maggiore gravità in danno dello Stato o di altri enti pubblici. 

Sub a): è evidente che la minore o maggiore disponibilità economica dell'imputato, e la conseguente materiale possibilità per lo stesso di provvedere al pagamento del debito tributario, appaiono suscettibili di incidere sulla misura della pena che allo stesso verrà applicata, e sul regime degli effetti penali del reato commesso, così creando una disparità di trattamento tra chi è abbiente e chi non lo è.

 Rileva altresì la posizione dell'imputato all'interno dell'ente che lo stesso rappresenta, essendo evidente che chi è stato legale rappresentante di una società, ma non lo è più, o lo è stato di una società fallita o ammessa alla procedura concordataria, non ha  alcuna possibilità di provvedere al pagamento del debito facendo ricorso alle risorse della società, per essere poi ammesso al patteggiamento, a differenza di chi, invece, abbia ancora il potere di rappresentanza, o comunque si avvantaggi indirettamente della disponibilità economica della società già rappresentata a sanare il debito tributario.

 Con la conseguenza che la fruizione del più favorevole trattamento connesso al patteggiamento appare, nel vigore dell'attuale norma, disancorata da qualsiasi valutazione circa la condotta dell'imputato (antecedente e successiva al reato) e legata invece ad un fatto oggettivo (il pagamento del debito) il più delle volte indipendente dalla volontà dell'imputato.

 Ben può così verificarsi che un imputato maggiormente meritevole (perché per esempio ha impiegato energie e risorse, anche personali, per cercare di far fronte alla crisi societaria, e per trovare soluzioni per il pagamento, almeno parziale, del debito tributario) venga trattato in modo deteriore rispetto a chi, senza alcuno sforzo personale si trovi ad essere semplice beneficiario del pagamento effettuato dalla società da lui in precedenza rappresentata.

 Sub b): la disparità di trattamento appare configurabile anche considerando il deteriore trattamento degli imputati dei reati tributari rispetto agli imputati di altri reati di maggior gravità.

Ai primi infatti è negata la possibilità di accedere al patteggiamento per il solo fatto che il loro creditore è l'erario mentre per gli altri, anche se imputati per reati di maggiore gravità, per il solo fatto di essere debitori di un soggetto diverso dal fisco, la scelta del rito alternativo non è inibita. 

Ancor di più la irragionevolezza del trattamento deteriore è apprezzabile se si considerano taluni reati, non tributari, ma pur sempre in danno dello Stato o di altri enti pubblici, come la truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis), la malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis) e l'indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter), reati per i quali, seppur più gravi e puniti con pene edittali più alte, l'integrale risarcimento del danno subito dallo Stato non è previsto come condizione per accedere al patteggiamento.   Quanto sin qui detto si riflette anche sulla possibile violazione dell'art. 24 della Costituzione, ritenendosi che il legislatore ben possa, in relazione alle proprie discrezionali valutazioni, incidere sull'entità della pena prevista per le singole fattispecie, ma non anche discriminare gli imputati di singoli reati che si trovino in situazioni di non abbienza economica impedendo agli stessi, in relazione a tale stato, di fruire di scelte processuali che porterebbero a risultati per loro più favorevoli.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 134 Cost., 23 e seg. legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 comma 2-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74. 

Dispone la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

Sospende il processo sino all'esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. 02 settembre 2015, n. 35.