Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 agosto 2015, n. 16662

Licenziamenti - Rito di cui all’art. 1, commi 48 e segg., legge n. 92 del 2012 - Proposizione di domanda subordinata ai sensi dell’art. 8 legge n. 604 del 1966 - Inammissibilità

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 23 ottobre 2013 la Corte d’appello di Catanzaro ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto da R.F. in data 22 agosto 2013 avverso l’ordinanza del 20 febbraio 2013 del Tribunale di Cosenza che aveva rigettato la domanda del medesimo R. avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimatogli da Poste Italiane in data 20 luglio 2011. La Corte territoriale ha qualificato il provvedimento impugnato quale ordinanza resa ex lege 92 del 2012 normativa applicabile a tutte le impugnazioni giudiziali di licenziamento a decorrere dal 18 luglio 2012, con richiesta di tutela reale, ed essendo irrilevante che nella domanda del lavoratore fosse prevista anche la tutela obbligatoria. La stessa Corte territoriale ha considerato che, al giudizio a cognizione sommaria previsto dalla normativa di cui alla legge 92 del 2012 può seguire un giudizio a cognizione piena innanzi al medesimo Tribunale, e solo all’esito di tale successivo giudizio a cognizione piena è possibile adire, in sede di gravame, la Corte d’appello che, nel caso in esame, è stata adita per saltum in modo inammissibile senza un precedente giudizio a cognizione piena innanzi al Tribunale.

Il R. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su tre motivi.

Resiste Poste Italiane s.p.a. con controricorso eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso assumendone la tardività.

Poste Italiane ha presentato memoria.

 

Motivi della decisione

 

L’eccezione di inammissibilità del ricorso per essere stato proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza, non può trovare accoglimento in mancanza della prova della data in cui la controricorrente ha ricevuto la comunicazione della sentenza, data valida ai fini della decorrenza del termine di impugnazione ai sensi dell’art. 1, comma 62 della legge 92 del 2012.

A tale riguardo va rilevato che, al di là della avvenuta costituzione, la società - in violazione del principio della autosufficienza - non ha fornito alcun elemento idoneo ad attestare la fondatezza della sollevata eccezione.

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ. in relazione all’erronea applicazione della normativa di cui alla legge n. 92 del 2012. In particolare si assume che il giudicante avrebbe dovuto disporre il mutamento del rito ritenendo applicabile la normativa di cui alla legge 92 del 2012, o mantenere il rito adottato per la domanda relativa alla tutela obbligatoria pur compresa nell’originaria domanda, e non dichiarare in toto inammissibile il reclamo. Con secondo motivo si assume omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si sostiene che la Corte territoriale non avrebbe considerato che il licenziamento impugnato, seguito alla mancata riassunzione del giudizio avente ad oggetto l’impugnativo di un precedente licenziamento dichiarato illegittimo dai giudici di merito con sentenza successivamente cassata con rinvio da parte della Corte di Cassazione, costituirebbe nuovo licenziamento e non reviviscenza del precedente, anche a seguito della parziale riforma della sentenza penale a carico del lavoratore e che aveva dato luogo al primo licenziamento. Con il terzo motivo si deduce violazione ed errata applicazione delle norme di diritto. In particolare si sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto rinviare la causa al giudice di primo grado per disporre il mutamento del rito avendo il ricorrente inteso proporre un ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. per ottenere una pronuncia di merito a cognizione piena su domande diverse da quelle dell’impugnazione del licenziamento con richiesta di tutela reale.

I tre motivi del ricorso, da esaminarsi congiuntamente per chiari motivi di connessione logico-giuridica, non possono trovare ingresso in questa sede e, pertanto, il ricorso va rigettato.

Come è pacifico tra le parti - e non risultando per di più nel ricorso una specifica censura sul punto - alla fattispecie della reintegra nel posto in esame va applicato ratione temporis la legge 28 giugno 2012 n. 92 (c.d. legge Fornero), che al comma 67 dell’art. 1 statuisce che i precedenti commi dal 47 al 66 si applicano alle controversie instaurate successivamente alla data in vigore della legge stessa, che hanno ad oggetto la domanda di tutela reale ex art. 18 stat. lav.

Alla stregua di quanto ora detto, non merita pertanto alcuna censura la sentenza della Corte territoriale che, nel condividere la decisione di primo grado, ha ritenuto - sulla base della lettura del ricorso del R. e delle conclusioni di cui al ricorso stesso - che la richiesta avanzata in giudizio fosse rivolta unicamente ad ottenere la tutela reale. Interpretazione questa che per non essere stata oggetto di rituale e tempestiva censura in questa sede di legittimità, ha reso obbligatoria - come ha ritenuto il giudice dì appello - l’applicazione del rito di cui alla suddetta legge n. 92 del 2012 per essere stata la domanda del R. correttamente qualificata impugnativa di licenziamento con richiesta di tutela reale. Ma, a prescindere da tale assunto, nel caso di specie risulta assorbente e di per sé decisiva l’affermazione di un principio di diritto che ai sensi dell’art. 384, comma 1, cod. proc. civ. può così sinteticamente enunciarsi "Ai sensi del disposto del comma 48 dell’art. 1 della legge 29 giugno 2012 n. 92 , per l’applicazione del c.d. rito Fornero, le domande diverse da quella avente ad oggetto la reintegra del posto di lavoro, devono basarsi su "fatti costitutivi" identici a quelli fondanti la richiesta nel giudizio di tutela reale. Ne consegue che la lettura della suddetta disposizione e la sua ratio rendono improponibile la domanda di riassunzione del prestatore di lavoro ex art. 8 L. 15 luglio 1966 n 604, spiegata in via subordinata all’applicazione dell’art. 18 L. 20 maggio 1970 n. 300, in ragione della diversità dei rispettivi fatti costitutivi, così come in tutti i restanti casi di domande connesse a quella di reintegra nel posto di lavoro."

Soluzione questa supportata dal dato letterale del citato comma 48 non potendosi dubitare che la domanda di riassunzione ex art. 8 della legge 604/1966 sia basata su "fatti costitutivi" diversi da quelli fondanti la domanda di reintegra ex art. 18 stat. lav. (specificatamente per quanto attiene al numero dei dipendenti del datore di lavoro nonché alla natura delle imprese datrici di lavoro). Per di più non può sottacersi che la finalità sottesa alla legge del 2012 va ravvisata nel garantire un processo la cui celerità non può che risultare graduata in ragione del contenuto degli interessi coinvolti in giudizio, il che giustifica una risposta più sollecita per le domande dei lavoratori titolari del diritto alla reintegra nel posto di lavoro. Inoltre sul piano generale una interpretazione logico-sistematica della disposizione scrutinata induce a limitare il campo applicativo del rito Fornero, perché un suo non giustificato ampliamento avrebbe ricadute negative non solo in termini di qualità della risposta giudiziaria, ma anche di una dilatazione dei tempi del processo non coerente — è opportuno rimarcarlo ancora un volta — con le finalità primarie della normativa scrutinata. Esigenze di completezza motivazionale portano, per concludere, a dichiarare assorbito il motivo con il quale si è chiesto il rinvio al primo giudice della domanda ex art. 8 della legge n. 604 del 1966 evocandosi il mutamento del rito ex art. 414 cod. proc. civ. per domande diverse da quelle volte alla reintegra nel posto di lavoro. Ed invero, il motivo di doglianza va, come detto, dichiarato assorbito sulle base dei principi sopra enunciati nonché per le ragioni riguardanti la interpretazione data dalla Corte territoriale al contenuto del ricorso spiegato dal R. davanti al giudice di primo grado.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso;

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in € 100,00 per esborsi ed € 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.