Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 settembre 2015, n. 17397

Procedure concorsuali - Fallimento - Azienda agricola - Prestazione di garanzie - Affitto di terreni agricoli - Revoca della dichiarazione di fallimento - Sussiste

 

Svolgimento del processo

 

Il 18 luglio 2011 il Tribunale di Brescia dichiarò il fallimento della società agricola in liquidazione F. s.r.l., ritenendo che la società avesse mutato il proprio oggetto, in quanto aveva prestato garanzie in favore di imprese del gruppo M e aveva affittato tutti i terreni agricoli di sua proprietà.

In seguito a reclamo di taluni creditori, affittuari ed ex amministratori della società dichiarata fallita, la Corte d'appello di Brescia, con la sentenza ora impugnata, revocò la dichiarazione del fallimento, in ragione del fatto che la pur indiscussa cessazione dell'attività agricola, non aveva comportato l'inizio di un'altra attività imprenditoriale, tantomeno commerciale, da parte della F. s.r.l., tale non potendo essere considerate né la prestazione non professionale di garanzie né l'affitto dell'azienda.

Contro la sentenza d'appello ricorre ora per cassazione il Fallimento F. s.r.l. e propone due motivi d'impugnazione, cui resistono con controricorso A.L. s.r.l. e S.V. di P.G. e C. s.a.s., che ha poi rinunciato A. al controricorso, mentre non hanno spiegato difese gli altri intimati.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli art. 2135, 2221 c.c., 1 legge fall., lamentando che i giudici d'appello si siano fondati sulla qualifica formale della F. s.r.l., senza considerarne l'attività effettivamente esercitata. Si duole in particolare che i giudici del merito abbiano considerato persistente la qualifica di imprenditore agricolo anche per il soggetto che l'attività agricola l'abbia dismessa. Sostiene che per l'esenzione dal fallimento non è sufficiente essere imprenditore agricolo ma anche esercitare un'impresa agricola.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli art. 2135, 2195, 2221 c.c., 1 legge fall., vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che erroneamente i giudici del merito abbiano escluso la natura imprenditoriale dell'attività di prestazione di garanzie al gruppo M. e di affitto dei propri terreni. Sostiene che, mancandone una definizione positiva, deve considerarsi commerciale qualsiasi impresa che non possa essere considerata non commerciale. Sicché qualsiasi impresa, purché non agricola né piccola, è assoggettabile al fallimento. Tra impresa agricola e impresa commerciale tertium non datur.

2. Il ricorso è infondato.

La corte d'appello non ha infatti revocato il fallimento perché la F. s.r.l. è un'impresa agricola, ma perché la F. s.r.l. ha dimesso qualsiasi attività imprenditoriale.

E' vero, secondo i giudici del merito, che la F. s.r.l. ha dismesso l'attività agricola, ma è vero anche che non ha intrapreso altra attività imprenditoriale. E solo un imprenditore commerciale può essere dichiarato fallito.

Il ricorrente deduce con il secondo motivo che tra impresa commerciale e impresa agricola tertium non datur. Ma i giudici del merito non hanno affatto individuato un tertium genus tra attività agricola e attività commerciale; hanno semplicemente escluso che F. s.r.l. esercitasse una qualsiasi attività imprenditoriale.

Non v'è dubbio che "le società costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un'attività commerciale sono assoggettabili a fallimento, indipendentemente dall'effettivo esercizio di una siffatta attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall'inizio del concreto esercizio dell'attività d'impresa, al contrario di quanto avviene per l'imprenditore commerciale individuale. Sicché, mentre quest'ultimo è identificato dall'esercizio effettivo dell'attività, relativamente alle società commerciali è lo statuto a compiere tale identificazione, realizzandosi l'assunzione della qualità in un momento anteriore a quello in cui è possibile, per l'impresa non collettiva, stabilire che la persona fisica abbia scelto, tra i molteplici fini potenzialmente raggiungibili, quello connesso alla dimensione imprenditoriale" (Cass., sez. I, 16 dicembre 2013, n. 28015, m. 629320, Cass., sez. I, 6 dicembre 2012, n. 21991, m. 624544).

Tuttavia nel caso in esame la F. s.r.l. aveva per oggetto sociale l'esercizio di un'impresa agricola, non di un'impresa commerciale. E quindi la sua assoggettabilità al fallimento non può essere ricollegata al suo oggetto sociale.

Correttamente dunque i giudici del merito hanno affermato che non può essere dichiarata fallita una società avente a oggetto l'esercizio di attività agricola che, dismessa tale attività, non svolga in concreto alcuna attività imprenditoriale, tale non potendo essere considerate né la prestazione non professionale di garanzie né l'affitto dell'azienda.

Si deve pertanto concludere con il rigetto del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza. La rinuncia della S.V. di P.G. e C. s.a.s. al suo controricorso esclude tuttavia che il ricorrente debba rimborsarla delle spese.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi €. 7.200, di cui €. 7.000 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge, per ciascuno delle parti resistenti.