Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 settembre 2015, n. 17371

Lavoro - Licenziamento - Periodo di prova - Mancato superamento - Limiti in caso di subappalto

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 6 marzo 2014 la Corte d'appello di Torino, in riforma della decisione emessa dal Tribunale, dichiarava illegittimo il patto di prova contenuto nel contratto di lavoro concluso il 3 dicembre 2012 dalla s.p.a. E.R. e da R.P. e di conseguenza annullava il licenziamento intimato dalla prima alla seconda per mancato superamento, con condanna alla reintegrazione ed all’indennizzo ai sensi dell'art. 18 l. 20 maggio 1970 n. 300.

La Corte osservava che la P., dipendente della s.r.l. O. con qualifica di operaia addetta alla mensa-sesto livello super (poi D.I.), era stata licenziata il 17 dicembre 2012 per cessazione dell’appalto presso l’Istituto sociale di Torino. La s.p.a. E.R., subentrata nell’appalto e obbligata per contratto a riassumere i lavoratori della O., l’aveva riassunta il 3 dicembre successivo, con inquadramento nel quinto livello e con patto di prova.

La Corte riteneva nullo questo patto poiché, malgrado il diverso formale inquadramento nel livello superiore, le mansioni effettivamente svolte dalla lavoratrice erano le medesime già svolte per la O., ossia quelle di operaia presso il servizio ristorazione, comprendenti quelle di aiuto-cuoca, come risultava dalle numerose testimonianze acquisite. E poiché il contratto collettivo nazionale di categoria permetteva di inserire il patto di prova nel contratto, concluso dall'impresa cessionaria dell'appalto, solo in caso di riassunzione per mansioni nuove, il patto doveva considerarsi invalido.

L'insussistenza del fatto posto a base del licenziamento giustificava l’ordine di reintegrazione ai sensi dell’art. 18, quinto comma, l. n. 300 del 1970, come modif. dall'art. 1, comma 42, l. 28 giugno 2012 n. 92, nonché l'indennità risarcitoria.

Contro questa sentenza ricorre per cassazione la s.p.a. E.R. mentre la P. resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2697, 2096 cod. civ., 115 cod. proc. civ., 335, 339 c.c.n.l. turismo-pubblici esercizi, e vizi di motivazione, per errata interpretazione delle deposizioni testimoniali in ordine all'eguaglianza delle mansioni di fatto svolte dalla lavoratrice sia a favore dell'impresa originariamente appaltatrice del servizio mensa sia dell’impresa subentrata nell'appalto.

La stessa censura viene sostanzialmente ripetuta nel secondo motivo sotto il profilo del vizio di motivazione.

Col terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2096 cod. civ., 335 e 339 citt., sostenendo la validità del patto di prova sulla sola base del contratto individuale di lavoro, in cui le parti abbiano considerato come nuove, ossia mai svolte in precedenza, le mansioni affidate.

I tre connessi motivi non sono fondati.

Nel lavoro subordinato il patto di prova tutela entrambe le parti del rapporto, che hanno interesse a verificare la convenienza del rapporto stesso, dovendo ritenersi l'invalidità del patto ove la verifica sia già avvenuta con esito positivo per le mansioni svolte dal lavoratore, per un congruo periodo, a favore dello stesso datore di lavoro (Cass. 22 giugno 2012 n. 10440, 29 luglio 2005 n. 15960, 5 maggio 2004 n. 8579), o anche a favore di datore di lavoro-appaltatore, precedente titolare dello stesso contratto d’appalto, se così stabilisca il contratto collettivo. Né rileva che, nel contratto individuale di lavoro stipulato col datore subentrato nell'appalto le stesse mansioni vengano diversamente denominate.

Nel caso di specie il contratto collettivo di settore poneva l'obbligo, gravante sull'impresa subentrante, di assumere il personale dell’impresa cessata nelle stesse mansioni e senza patto di prova.

L'accertamento di eguaglianza effettiva delle mansioni è riservata al sovrano apprezzamento del giudice di merito, senza che una nuova valutazione delle prove possa essere sollecitata - come fa l'attuale ricorrente -, anche sotto il profilo del vizio di motivazione, da questa Corte di legittimità.

Il quarto motivo di ricorso, con cui la ricorrente prospetta la violazione dell'art. 18, quarto comma, l. n. 300 del 1970, è infondato poiché la sottrazione dell'aliunde perceptum dall’indennità risarcitoria dovuta al lavoratore presuppone la relativa prova da parte del datore di lavoro, che nel presente processo non è stata fornita.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in euro cento/00, oltre ad euro tremila/00 per compenso professionale più accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.