Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 agosto 2015, n. 16364

Professionisti - Avvocato - Responsabilità professionale - Errori grossolani sulla competenza - Rilevanza

 

Svolgimento del processo

 

1. L’avv. A.A. impugna la sentenza della Corte di Appello di Napoli, depositata il 05.05.08, non notificata, che ha accolto l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Benevento, che aveva sostanzialmente accolto la sua domanda nei confronti di V.C. e V.C..

2. Il ricorrente precisa di aver convenuto in giudizio, l’11.07.2002, innanzi al Tribunale di Benevento, Sezione Distaccata di Guardia Sanframondi, i signori V.C. e V.C. per ottenerne il pagamento della somma di €. 6.961,71, oltre accessori, dovuta per competenze per l’attività professionale svolta con i giudizi promossi contro l'Agenzia per la Promozione e lo Sviluppo del Mezzogiorno innanzi alla Corte di Appello di Napoli e al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Napoli.

2.1- I convenuti contestavano la pretesa, non essendo dovuto il compenso in ragione della carenza di diligenza dimostrata nell’espletamento dell’attività.

Deceduto V.C., il processo veniva proseguito nei confronti dei suoi eredi, D.M.C., V.S., V.A..

2.2 - Con sentenza n. 22/05 emessa in data 08.03.05 il Giudice Unico del Tribunale di Benevento, Sezione Distaccata di Guardia Sanframondi, accoglieva in parte la domanda e condannava i convenuti al pagamento della somma di €. 5.085,36 oltre accessori, compensando per la metà le spese del giudizio.

3. La Corte territoriale, adita dai signori D. - V. per lamentare il mancato riconoscimento della colpa professionale dell'Avv. A.A., accoglieva in parte l’impugnazione, riducendo l’importo dovuto a € 1.427,51, riconoscendo l’assenza di diligenza del professionista per tutta l’attività svolta dalla proposizione della domanda (2 dicembre 1989) sino alla pronuncia di incompetenza resa dalla Corte di cassazione nel giugno-agosto 1992, posto che «al momento della propostone, da parte del difensore in parola, della domanda dinanzi alla Corte di appello quale giudice di primo grado sia con riguardo all'opposizione alla stima, che alla pretesa risarcitoria per appropriamone acquisitiva in dipendenza dell'esecuzione dell’opera pubblica dianzi indicata, era assolutamente pacifico il principio secondo cui la competenza del Tribunale regionale delle acque pubbliche, prevista dalla lett. d) del r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775 copre tutta la gamma delle spettanze indennitarie derivanti da occupazione totale o parziale, permanente o temporanea, di un fondo, effettuata per la costruzione o la manutenzione di un'opera idraulica, senza che sia possibile distinguere tra occupazioni formalmente e sostanzialmente legittime ed occupazioni prive dei requisiti di legittimità, rientrando nella previsione normativa le controversie concernenti sia la determinazione dell'indennità di espropriazione, sia il risarcimento dei danni per occupazione sine titulo ovvero illegittimamente protrattasi oltre i termini di legge senza l’adozione di un provvedimento espropriativo. Peraltro, nel caso di specie si versava con tutta evidenza nel caso di opera idraulica, inerendo l’espropriazione e l'occupazione alla costruzione dell’invaso di Campolattaro sul fiume Tammaro».

4. Il ricorrente formula due motivi. Resistono con controricorso gli intimati.

 

Motivi della decisione

 

1. I motivi del ricorso.

1.1 - Col primo motivo di ricorso si deduce: «violatone e falsa applicatone art. 1176 c.c.. in relazione all'art. 360 c.p.c. n. 3 — applicabilità alla fattispecie art. 2236 c.c.».

Sostiene il ricorrente che «la questione della competenza non era così pacifica nel 1989 quando è stata proposta la causa perché in generale la materia delle espropriazioni è stata notoriamente oggetto di molti interventi legislativi e giurisprudenziali che hanno inciso anche sulla competenza». Si trattava di materia complessa, caratterizzata da "incertezza" sia del normativo, anche per effetto delle "numerosissime leggi ... intervenute", che di quello giurisprudenziale, stante "il ripetuto intervento delle Sezioni Unite della Cassazione", anche quanto all’individuazione della competenza. La fattispecie in esame, quindi, sempre secondo parte ricorrente, «non era affatto di semplice soluzione, specialmente nel 1989 anche perché la natura dell'opera è emersa solo nel corso del giudizio con il deposito degli atti da parte della convenuta Agenzia per la Promozione dello Sviluppo nel Mezzogiorno». Di conseguenza, doveva essere applicato l’art. 2236 cod. civ.. La stessa Agenzia della Promozione dello Sviluppo nel Mezzogiorno, convenuta, non aveva sollevato alcuna eccezione al riguardo.

Rileva ancora il ricorrente che «in ben due altre sentenze emesse dalla stessa Corte di Appello di Napoli relative a identici giudizi sempre patrocinati dall'avv. A., che hanno avuto lo stesso iter, la decisione è stata completamente opposta ... (sentenze nn. 3120/07 e 2599/08)».

Il ricorrente conclude il motivo, ribadendo che «la questione trattata era di particolare complessità con la conseguenza che doveva applicarsi il più restrittivo criterio del dolo o colpa grave di cui all’art. 2236 c.c. ai fini della valutazione della responsabilità professionale» e formula i seguenti quesiti: «dica la Corte se nella fattispecie in esame l'attività professionale posta in essere dall'avv. A., con riferimento alla fase del giudizio espletata innanzi alla Corte di Appello di Napoli, comportasse la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e, quindi, se alla fattispecie de quo si doveva applicare l’art. 2236 c.c. in luogo della norma di cui all’art. 1175 comma II c.c., applicata dalla Corte di Appello; 2) in caso di risposta affermativa dica la Corte se nella fattispecie in esame possa ritenersi sussistente il dolo o la colpa grave previsti dall'art. 2236 c.c. ai fini della responsabilità professionale».

1.2 — Col secondo motivo di ricorso si deduce: «errata e falsa applicazione art. 1176 c.c. comma II in relazione all'art. 360 c.c.».

Rileva il ricorrente che, anche a voler applicare l’art. 1176 cod. civ., «non si può assolutamente ravvisare tale colpa lieve poiché non vi è stata alcuna negligenza da parte dell'Avv. A.». Infatti, «la materia oggetto della controversia sottoposta all'attenzione dell’Avv. A. all'epoca del 1989, era sicuramente complessa anche sotto il profilo, della competenza ed è quindi in relazione a tale complessità che doveva essere valutata la diligenza da implicarsi alla fattispecie». Inoltre, «in ben due altre sentenze per giudizi promossi da V.C. e M.B., emesse dalla stessa Corte di Appello di Napoli relative a identici giudizi sempre patrocinati dall'avv. A., la decisione è stata completamente opposta ...(sentenze nn. 3120/07 e 2599/08)». In ogni caso, «la Corte di Appello nella sua valutatone ha omesso di considerare un fatto fondamentale e cioè che la natura idraulica dell'opera pubblica è emersa solo nel corso del giudizio dì opposizione alla stima proposta innanzi alla Corte di Appello».

Secondo parte ricorrente, la Corte di Appello ha errato nel ritenere «assodata la circostanza che la natura idraulica dell'opera idraulica fosse conosciuta prima della presentazione della citazione innanzi alla Corte di Appello, ma ciò non è affatto vero, come risulta chiaramente dalla sentenza che ha pronunciato l'incompetenza».

Viene formulato il seguente quesito: «dica la Corte se, nel caso concreto, tenuto conto della complessità della materia espropriativa per i motivi esposti nonché della circostanza, risultante dagli atti che la natura idraulica dell'opera pubblica è emersa nel corso del giudizio di opposizione alla stima innanzi alla Corte di Appello, con il deposito della documentatone da parte dell'Agenzia convenuta, pur applicando l'art. 1176 secondo comma c.c. che prevede un dovere di diligenza professionale media esigibile, tale dovere possa ritenersi non violato o, invece, come sostiene la Corte di Appello nella sentenza impugnata, la questione della competenti per la controversia sottoposta all’attenzione dell'Avv. A., fosse pacifica e non comportava la soluzione di una questione difficile ma, al contrario, molto semplice con la conseguente violatone del dovere di diligenza».

2. Il ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato e va rigettato.

2.1 — Infatti, il ricorso presenta plurimi aspetti di inammissibilità, relativi alla mancata chiara e sintetica esposizione dei fatti (violazione del 366 n. 3 cod. proc. civ.), non essendo sufficiente a tal fine la mera riproduzione all’interno del ricorso degli atti e della  sentenza di appello (SU 5698 del 2012), e, quanto al primo motivo, per la novità della questione proposta e per un quesito inammissibile perché generico e sostanzialmente prospettante un inammissibile interpello alla Corte.

2.2 — Il ricorso è comunque infondato, come si è detto, anche quanto al secondo motivo, posto che, sulla questione giuridica da esaminarsi dal professionista, risultano plurimi precedenti di questa Corte, consolidati nel tempo, idonei ad indirizzare adeguatamente il professionista e tali da escludere la complessità della questione stessa (vedasi Cass. 1964 n. 1488, Cass. 1986 n. 620, Cass. 1985 n. 4114, Cass. 1993 n. 4704, Cass. 1999 nn. 7016 e 9277, Cass. 2008 n. 13358). Né può valorizzarsi, in senso favorevole al ricorrente, l’argomento, pure speso in questa sede, secondo cui gli elementi di fatto, necessari per risolvere la questione di competenza, sarebbero emersi per la prima volta in conseguenza delle difese dell’avvocatura, perché la questione, nei termini sufficienti alla sua soluzione, risultava già correttamente e sufficientemente esposta negli atti posti in essere dal professionista.

3. Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 1.500,00 (millecinquecento) euro per compensi e 200,00 (duecento) euro per spese, oltre accessori di legge.