Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 31 agosto 2015, n. 17346

Compenso caduto in revocatoria - Copertura assicurativa - Non sussiste

 

Svolgimento del processo

 

Il prof. avv. A.B. convenuto in giudizio con azione revocatoria fallimentare dalla C.C. s.r.l. in amministrazione straordinaria, che aveva chiesto dichiararsi inefficaci pagamenti per €. 565.252,05 eseguiti in suo favore per prestazioni professionali, non si limitò a chiedere il rigetto della domanda, ma chiamò in garanzia sia la A. Assicurazioni s.p.a., chiedendone la condanna a tenerlo indenne dell'eventuale debito di restituzione in favore dell'attrice, sia il Ministero dell'economia e delle finanze e la Cassa Nazionale di previdenza e assistenza forense, chiedendo la restituzione di quanto versato a titolo di imposte e di contributi previdenziali sui compensi che fosse eventualmente tenuto a restituire.

La domanda dell'attrice, respinta in primo grado, fu accolta invece dalla Corte d’appello di Bari, che dichiarò inefficaci i pagamenti controversi, ma rigettò la domanda proposta dal convenuto nei confronti della A. Assicurazioni s.p.a., dichiarò il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della domanda proposta nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze e declinò la propria competenza per materia sulla domanda proposta nei confronti della Cassa Nazionale di previdenza e assistenza forense.

Per quanto qui ancora rileva i giudici del merito ritennero che fosse infondata la domanda di garanzia spiegata nei confronti della A. Assicurazioni s.p.a., perché il contratto di assicurazione dedotto a fondamento di tale domanda copriva solo i rischi da responsabilità civile del professionista, essendo del tutto estraneo all'attività professionale il titolo dell'obbligo di restituzione conseguente all'accoglimento dell'azione revocatoria fallimentare.

Contro la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione il prof. avv. A.B., che peraltro ha poi rinunciato all'impugnazione relativa alla controversia con la C.C. s.r.l. in amministrazione straordinaria; e insiste solo sull'impugnazione, affidata a cinque motivi di censura, proposta nei confronti della A. Assicurazioni s.p.a. e della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.

La C.C. s.r.l. in amministrazione straordinaria, che aveva resistito con controricorso, ha accettato la rinuncia al ricorso proposto nei suoi confronti. Resistono invece con controricorso non solo la A. Assicurazioni s.p.a. ma anche il Ministero dell'economia e delle finanze, cui il ricorso era stato notificato.

Non ha spiegato difese la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.

 

Motivi della decisione

 

1. Occorre preliminarmente rilevare che va dichiarata l'estinzione del processo relativo alla causa tra il prof. avv. A.B. e la C.C. s.r.l. in amministrazione straordinaria. La dichiarazione di estinzione non comporta pronuncia sulle spese, in quanto la rinuncia del ricorrente è stata accettata dalla resistente. Risultano invece aperte le controversie del prof. avv. A.B. con la A. Assicurazioni s.p.a., cui si riferiscono quattro motivi del ricorso, e con la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, cui si riferisce un motivo del ricorso.

La rinuncia al ricorso nei confronti della C.C. s.r.l. in amministrazione straordinaria determina infatti il passaggio in giudicato della sentenza impugnata nella parte in cui ha condannato il prof. B. al pagamento della somma di €. 565.252,05; sicché il prof. B. ha interesse a ottenere la cassazione della sentenza nella parte in cui si è pronunciata sulle domande da lui proposte nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense e della A. Assicurazioni s.p.a.

2. Con l'unico motivo del ricorso relativo alla causa con la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense il prof. B. deduce violazione dell'art. 444 c.p.c., lamentando che i giudici d'appello si siano erroneamente dichiarati incompetenti per materia rispetto a una causa di competenza di una sezione specializzata del medesimo ufficio giudiziario.

Il motivo è fondato.

Infatti, benché la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense avesse eccepito la competenza per territorio del Tribunale di Roma, sezione lavoro, è ragionevole ritenere che i giudici d'appello abbiano inteso riconoscere come competente il Tribunale di Bari, perché hanno ipotizzato la possibilità di una mera trasformazione del rito, escludendola solo in ragione della già intervenuta pronuncia del tribunale sul merito della domanda principale.

La decisione della corte d'appello è dunque certamente errata.

E' errata perché «la distinzione tra giudice ordinario e giudice del lavoro nell'ambito dello stesso ufficio giudiziario non involge una questione di competenza, ma di semplice diversità del rito, risolvibile a norma degli artt. 426 e 427 c.p.c.» (Cass., sez. L, 5 maggio 1999, n. 4508, n. 526049). E' errata perché «l'omesso mutamento del rito (da quello speciale del lavoro a quello ordinario e viceversa) non determina "ispso iure" l'inesistenza o la nullità della sentenza ma assume rilevanza invalidante soltanto se la parte che se ne dolga in sede di impugnazione indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte» (Cass., sez. IlI, 27 gennaio 2015, n. 1448, n. 633965).

Ne consegue che la corte d'appello avrebbe dovuto pronunciarsi nel merito della domanda proposta dal prof. B., posto che nessuna questione di validità della pronuncia di primo grado era stata prospettata con riferimento alla mancata applicazione del rito del lavoro.

Sul punto la sentenza d'appello deve dunque essere cassata con rinvio.

3. Sono quattro i motivi di ricorso con i quali il prof. B. censura la sentenza della corte barese nella parte in cui si è pronunciata sulla domanda da lui proposta nei confronti della A. Assicurazioni s.p.a.

3.1 - Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli art. 1709, 1719, 1720, 2230, 2233, 2237, 1917 c.c., lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente omesso di considerare come coperto dall'assicurazione il pregiudizio derivante dal sopravvenuto obbligo di restituzione del compenso percepito per prestazioni professionali.

Sostiene che la sua obbligazione di restituzione del compenso percepito consegue all'accertamento del danno arrecato ai creditori concorsuali; e la responsabilità per questo danno è coperta dall'assicurazione, perché la percezione del compenso è parte essenziale dell'attività professionale.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli art. 1917, 1916, 1203 n. 3 e n. 5 c.c., lamentando che i giudici del merito abbiano considerato solo potenziale il danno derivante dall'obbligo di restituzione prima dell'effettiva ripartizione dell'attivo fallimentare tra i creditori.

Sostiene che il rischio assicurato attiene alla diminuzione del suo patrimonio, non al danno che egli possa avere effettivamente arrecato ai terzi. Ove in sede di ripartizione finale dell'attivo fallimentare risultasse ridotta l'entità del danno patito dall'assicurato, ben potrebbe l'assicuratore surrogarsi nelle sue ragioni nei confronti della procedura.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano inspiegabilmente escluso l'applicabilità del contratto di assicurazione in ragione della consapevole accettazione del pagamento da parte di impresa in stato di insolvenza.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 112 c.p.c., lamentando che i giudici del merito abbiano rilevato d'ufficio, senza tempestiva eccezione di parte, la natura dolosa del comportamento di ricezione del pagamento per escluderne la copertura assicurativa.

3.2 - Il ricorso è infondato.

Tra le varie rationes decidendi esibite dai giudici del merito risulta infatti assorbente quella fondata sulla interpretazione del contratto di assicurazione, inteso nel senso che «il rischio assicurato consiste nel danno che il professionista possa aver cagionato a terzi, o al proprio cliente, per fatti colposi commessi nell'esercizio dell'attività forense, o con quella connessi».

Questa interpretazione del contratto risulta in realtà censurata dal ricorrente solo con il primo motivo del ricorso, nel presupposto che la percezione del compenso possa essere considerata quale attività professionale. Sennonché l'interpretazione proposta dai giudici del merito è del tutto plausibile, posto che nella clausola contrattuale, riprodotta in sentenza, la società assicuratrice «si obbliga a tenere indenne l'Assicurato di ogni somma che questi sia tenuto a pagare o a rimborsare a terzi, compresi i clienti, per danni patrimoniali involontariamente cagionati a ragione di negligenza, imprudenza o imperizia, lievi o gravi, dei quali sia civilmente responsabile nell'esercizio di attività previste dalla Tariffa Forense in vigore al momento del sinistro».

Del tutto ragionevolmente dunque i giudici del rito hanno ritenuto che l'assicurazione fosse limitata ai danni da responsabilità per colpa professionale. Né questa interpretazione risulta correttamente censurata dal ricorrente.

Infatti il comportamento di chi riceve un pagamento, a qualsiasi titolo, è del tutto generico; non può essere considerato prestazione d'opera intellettuale (art. 2230 c.c.); e non può dar luogo a una responsabilità professionale.

Del resto non è la natura della prestazione remunerata a rendere revocabile ex art. 67 legge fall, il pagamento ricevuto in periodo sospetto, bensì la consapevolezza dello stato di insolvenza del debitore. Il prof. B. è stato chiamato alla restituzione in quanto creditore, non in quanto professionista. Mentre il rischio assicurato dalla società A. è solo quello derivante dall'esercizio dall'attività professionale. E contrariamente a quanto il ricorrente sostiene, non costituisce esercizio dell'attività professionale riceverne il corrispettivo.

L'impugnazione proposta nei confronti della assicurazione è dunque infondata già nella parte in cui censura la principale ratio decidendi della sentenza impugnata. E l'incensurabilità di questa assorbente ratio decidendi rende del tutto irrilevanti le censure mosse dal ricorrente alle ulteriori rationes della decisione impugnata.

Il ricorso proposto nei confronti della A. Assicurazioni s.p.a. va dunque rigettato, con condanna del ricorrente alle spese.

Non c'è pronuncia sulle spese in favore del Ministero dell'economia, in quanto il ricorrente non ha impugnato la dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda proposta dal ricorrente nei confronti del ministero.

 

P.Q.M.

 

Dichiara l'estinzione del processo relativo alla causa intercorsa tra il prof. avv. A.B. e la C.C. s.r.l. in amministrazione straordinaria.

Rigetta il ricorso proposto dal prof. B. nei confronti della A. Assicurazioni s.p.a. e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della società resistente, liquidandole in complessivi €. 11.200, di cui €. 11.000 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

Accoglie il ricorso proposto dal prof. B. nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, cassa la decisione impugnata in relazione a tale ricorso e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Bari in diversa composizione.