Prassi - CONSIGLIO NAZIONALE DOTT COMM E ESP CON - Nota 06 agosto 2015, n. 66

Linee guida sulla crisi da sovraindebitamento

 

Caro Presidente,

ho il piacere di informarli che il Consiglio Nazionale nella seduta del 22-23 luglio 2015 ha approvato le "Linee guida sulla crisi da sovraindebitamento".

Il documento, elaborato dalla Commissione di studio istituita in seno al Consiglio, esamina la normativa vigente e fornisce utili indicazioni per gli Organismi di composizione della crisi e per i professionisti chiamati a ricoprire i ruoli e le funzioni disciplinate, sia dalla legge n. 3/2012, sia dal decreto n. 202/2014 che ne reca il regolamento di attuazione.

Le Linee guida si soffermano su tutta la normativa, effettuando i necessari coordinamenti tra le disposizioni della legge n. 3/2012 e, in particolar modo, sulle procedure in essa descritte. Ne emerge un documento completo che ha il pregio di mettere in luce come quella del sovraindebitamento sia materia del tutto peculiare rispetto alle tradizionali procedure concorsuali o agli, oramai noti, istituti di composizione negoziale previsti nella legge fallimentare.

Nonostante il quadro normativo di riferimento non si distingua per chiarezza e più che altro per omogeneità di previsioni e semplificazione degli adempimenti, le Linee guida effettuano una "riorganizzazione sistematica" delle differenti disposizioni e procedure, soffermandosi anche e soprattutto sui requisiti di professionalità e indipendenza e sulle rilevanti funzioni attribuite a Referenti, Gestori e Liquidatori.

 

Allegato

Linee Guida sulla crisi da sovraindebitamento

 

SOMMARIO

Premessa

1. Quadro normativo di riferimento

2. Il sovraindebitamento: definizione

3. I soggetti che possono accedere alla procedura

3.1. Il consumatore

3.2. L' imprenditore commerciale sotto-soglia

3.3. L'Imprenditore commerciale sopra-soglia ma con debiti inferiori ad euro 30.000,00

3.4. L'Imprenditore cessato da oltre un anno

3.5. L'Imprenditore agricolo

3.6. L'erede dell'imprenditore defunto

3.7. Il socio illimitatamente responsabile

3.8. I Professionisti, gli artisti e gli altri lavoratori autonomi

3.9. Le società tra professionisti

3.10. Le associazioni professionali

3.11. Gli enti privati non commerciali

3.12. Gli enti pubblici

4. L'Organismo di composizione della crisi

4.1. Definizione

4.2. Funzioni dell'O.C.C

4.3. I requisiti

4.4. Il Referente (compiti e funzioni)

4.5. Il Gestore della crisi (compiti e funzioni)

5. Le procedure

5.1. L'accordo

5.1.2. Il piano di liquidazione o di continuità

5.1.3. Il raggiungimento dell'accordo. Convenienza dell'accordo rispetto alla liquidazione del patrimonio

5.1.4. La modifica della proposta e dell'accordo

5.1.5. Gli effetti

5.1.6. L'accordo di composizione della crisi. Profili proceduraIi

5.1.7. La risoluzione dell'accordo

5.1.8. La revoca o la cessazione degli effetti dell'accordo omologato

5.1.9. La conversione delle procedure di composizione della crisi in liquidazione del patrimonio

5.2. Il piano del consumatore

5.2.1. Il contenuto

5.2.2. La procedura

5.3. La liquidazione del patrimonio

5.3.1. Apertura della procedura

5.3.2. Accertamento del passivo

5.3.3. Liquidazione dell'attivo

6. Esdebitazione

7. Profili Fiscali

7.2. Effetti fiscali suI debitore

7.3. Debitore titolare del reddito d'impresa

7.4. Debitore-consumatore

7.5. Effetti fiscaIi suI creditore

7.6. L'imposizione indiretta negli accordi

8. Compensi

9. Sanzioni

9.1. La lettera a) dell'art. 16, comma 1, legge n. 3/2012

9.2. La lettera b) dell'art. 16, comma 1, legge n. 3/2012

9.3. La lettera c) dell'art. 16, comma 1, legge n. 3/2012

9.4. Le fattispecie inerenti alla fase esecutiva dell'accordo

9.5. La lettera d) dell'art. 16, comma 1, legge n. 3/2012

9.6. La lettera e) dell'art. 16, comma 1, legge n. 3/2012

9.7. La lettera f) dell'art. 16, comma 1, legge n. 3/2012

9.8. I delitti commessi dal componente dell'organismo di composizione della crisi

 

Premessa

Con la disciplina introdotta dalla legge n. 3 del 27 gennaio 2012 il legislatore ha affrontato la tematica delle situazioni di sovra indebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali già vigenti.

In tal modo, il legislatore ha inteso garantire tutele ai soggetti che, secondo quanto disposto dall'art. 1 l.f., non sono assoggettabili alle procedure concorsuali, regolamentandone lo stato di crisi e favorendo, nell'ottica della composizione di contrapposti interessi (quello del debitore e quello dei creditori).

Con intento meramente ricognitivo, va detto che la riforma della disciplina delle procedure concorsuali iniziata nel 2005 ha attenuato gli aspetti sanzionatori nei confronti del fallito previsti dalla legge fallimentare del 1942 introducendo, al contempo, l'istituto dell'esdebitazione (art. 142 e ss. I. f.) mediante il quale il fallito, persona fisica, ha la possibilità di ottenere, in presenza di particolari requisiti oggettivi e soggettivi, la liberazione dei debiti non soddisfatti dalla liquidazione dell'attivo della procedura fallimentare.

Successivamente è stato introdotto e regolamentato l'istituto dell'accordo di ristrutturazione (art. 182 - bis) e, nel 2006, l'istituto della transazione fiscale (art. 182 - ter). È solo il caso di menzionare che, più recentemente, l'istituto della ristrutturazione del debito di cui all'art. 182 - bis l.f. è stato esteso anche all'imprenditore agricolo (cfr. art. 23, d.l. n. 98/2011, convertito dalla legge n. 111/2011).

Di fatto il legislatore, di fronte all'avanzare della crisi economico - finanziaria, si è preoccupato di consentire al fallito che fosse anche "imprenditore meritevole", di liberarsi definitivamente dei debiti residui e di iniziare una nuova attività imprenditoriale (fresh start).

La citata riforma non si è tuttavia occupata di tutta quell'ampia platea di soggetti "non fallibili" che pur trovandosi in situazione di grave inadempienza delle obbligazioni assunte non risultavano assoggettabili, secondo i parametri di cui all'art. 1 l.f., alle procedure concorsuali esistenti.

Al riguardo, la casistica è apparsa subito di non poco conto poiché, accanto ai consumatori in difficoltà finanziaria, vi sono gli imprenditori commerciali "sotto soglia" ai sensi del citato art. 1 l.f. e, indipendentemente dalle dimensioni, gli imprenditori commerciali cessati da oltre un anno, gli imprenditori agricoli, i lavoratori autonomi, professionisti, società tra professionisti ed artisti, gli enti non profit, le start up innovative: soggetti ai quali, in generale, è precluso accedere a strumenti quali l'esdebitazione, la transazione fiscale e l'accordo di ristrutturazione.

Peraltro, dando uno sguardo oltre i nostri confini, era evidente come l'Italia fosse svantaggiata rispetto agli altri Paesi, dal momento che nel nostro ordinamento non veniva consentita la esdebitazione e non trovava regolamentazione la composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore e degli altri soggetti non fallibili.

Già da tempo gli ordinamenti americano, inglese e tedesco regolamentano il sovraindebitamento; l'ordinamento francese può contare su una legge ad hoc dal 1989.

Il presente documento intende fornire alcune utili indicazioni per lo svolgimento delle funzioni che gli Organismi di composizione della crisi sono ex lege chiamati a svolgere, con la consapevolezza che, oltre alle differenze registrate nell'ambito delle prime prassi dei Tribunali, la normativa sulla crisi da sovrandebitamento non è sempre cristallina.

 

1. Quadro normativo di riferimento

Al fine di offrire uno strumento per la ristrutturazione dei debiti e la gestione negoziale della crisi anche ai soggetti "non fallibili" il legislatore è intervenuto, in rapida successione, dapprima con il d.l. 22 dicembre 2011, n. 212, convertito dalla legge n. 10 del 17 febbraio 2012 e, in un secondo momento, con la legge 27 gennaio 2012, n. 3 (NOTA 1).

Poiché i predetti provvedimenti contenevano una disciplina in gran parte sovrapponibile, in sede di conversione del d.l. 212/2011 sono stati stralciati tutti gli articoli relativi all'argomento in esame. Tale prima formulazione della disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento non si occupava del consumatore, prevedeva una soglia di accordo con i debitori molto elevata (70%), non aveva carattere vincolante nei confronti dei creditori estranei all'accordo e non disciplinava la liquidazione e la conseguente esdebitazione.

Con il d. I. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in legge 17 dicembre 2012, n. 221, in vigore dal 18 gennaio 2013, vi è stato il completo restyling della procedura che ha in parte ripristinato la disciplina proposta dall'emendamento governativo, confermandone, peraltro, i tratti generali.

Gli aspetti più rilevanti della modifica intervenuta possono essere sintetizzati come di seguito:

la definizione della figura del consumatore quale beneficiario di una apposita procedura (piano del consumatore);

l'introduzione, oltre alla previsione dell'accordo nell'ambito della procedura di composizione della crisi, di una terza procedura, quella di liquidazione del patrimonio;

l'introduzione, al termine della liquidazione e a determinate condizioni, della procedura di esdebitazione, sia pure soltanto per le persone fisiche;

la possibilità di falcidia dei creditori privilegiati, ancorché al ricorrere di determinate condizioni;

la riduzione della soglia della maggioranza qualificata dei consensi necessari al raggiungimento dell'accordo di composizione della crisi dal 70% al 60% con l'introduzione della regola in base alla quale la mancanza del voto vale quale voto favorevole (c.d. silenzio assenso);

il carattere vincolante della proposta (approvata a maggioranza ed) omologata per tutti i creditori, inclusi i dissenzienti.

In particolare l'art. 18 del d.l. n. 179/2012 è intervenuto sulla struttura del testo normativo della legge n. 3/2012 con la relativa suddivisione in Capi, Sezioni e Paragrafi, dando al Capo II la seguente nuova fisionomia:

Capo II - Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio

Sezione I Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (artt. 6 - 14-bis)

- Paragrafo 1 Disposizioni generali (artt. 6-9)

- Paragrafo 2 Accordo di composizione della crisi (artt. 10 - 12)

- Paragrafo 3 Piano del consumatore (artt. 12-bis - 12-ter)

- Paragrafo 4 Esecuzione e cessazione degli effetti dell'accordo di composizione della crisi e del piano del consumatore (artt. 13 - 14-bis)

- Sezione II, Liquidazione del patrimonio (artt. 14-ter - 14-terdecies)

- Sezione III, Disposizioni comuni (artt. 15 - 16).

 

2. Il sovraindebitamento: definizione

Ai sensi del l'art. 6, comma 2, lett. a), legge n. 3/2012 per sovraindebitamento si intende "la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà ad adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente.

Si può osservare sin da subito come il concetto di "stato di sovraindebitamento" appaia diverso da quello di "stato di insolvenza", dal momento che il primo sottolinea una situazione di squilibrio finanziario attuale o prospettico tra attività correnti prontamente (dunque in un breve lasso di tempo) liquidabili e passività correnti da soddisfare (scadute odi imminente scadenza) (cd. squilibrio finanziario-patrimoniale o stato di illiquidità), che causa (i) una difficoltà, anche temporanea, di adempiere regolarmente alle obbligazioni assunte (cd. insolvenza temporanea o reversibile) oppure (ii) la definitiva incapacità ad adempierle regolarmente (cd. insolvenza irreversibile), laddove il secondo indica, secondo il parametro interpretativo discendente dall'art. 5 I. f., come l'incapacità di far fronte alle obbligazioni assunte sia già divenuta definitiva dall'essersi manifestati gli inadempimenti o gli altri fatti esteriori.

La prima parte della definizione descrive, dunque, uno stato di illiquidità, in cui il debitore non è in grado di far fronte ai debiti scaduti o di imminente scadenza, nonostante che il patrimonio possa avere un valore superiore all'esposizione debitoria ma non sia liquidabile in tempi brevi, né appaia possibile fare ricorso al credito di terzi, concedendo garanzie sul patrimonio non liquido.

Si evidenzia che lo squilibrio non deve essere tempora neo ma "perdurante" ed il raffronto dei debiti va fatto non con il patrimonio nella sua interezza ma con il "patrimonio prontamente liquidabile", ovvero quella parte del patrimonio che può prontamente tradursi in liquidità tale da consentire l'adempimento con regolarità delle obbligazioni assunte.

Si tratta, dunque, di un concetto di natura economica, che assume rilevanza giuridica, allorché determina i fatti in cui si esteriorizza lo stato di insolvenza.

Lo squilibrio finanziario di per sé non è sufficiente a qualificarsi come stato di sovraindebitamento, in quanto occorre che lo squilibrio determini o sia idoneo a determinare lo stato di insolvenza, reversibile o irreversibile. Dunque, tra squilibrio finanziario e insolvenza, anche temporanea, vi deve essere un rapporto di causa ad effetto, un nesso di causalità tra il primo e la seconda.

Tale nozione del sovraindebitamento appalesa l'intento del legislatore di abbracciare anche situazioni prodromiche dello stato di insolvenza, anticipando e concedendo una tutela giuridica non solo al debitore insolvente strido sensu, ma anche al debitore che si trova in una fase premonitrice dell'insolvenza, ovvero in uno stato di tensione finanziaria grave, seppur non necessariamente irreversibile.

La definizione adottata dal legislatore resta comunque ancorata ad una visione statica e non dinamica delle condizioni economiche del debitore, che ben meglio si adatta alla percezione del sovraindebitamento anche dell'insolvente civile.

Si appalesa, dunque, come allo stato di sovraindebitamento possano ricondursi non solo lo stato di insolvenza, ma anche lo stato di crisi e comunque tutte le situazioni, rientranti o meno nello stato di crisi, in cui il debitore, civile o commerciale, si trovi nella difficoltà, anche prospettica, di soddisfare i creditori alle scadenze pattuite.

Nel valutare il verificarsi del presupposto oggettivo delle procedure di sovraindebitamento il Giudice dovrà procedere all'accertamento della mera difficoltà ad adempiere e non, come nel caso dell'insolvenza, dell'impossibilità, anche futura, di soddisfare i creditori, per cui è da prevedere un accesso "a maglie larghe" alle procedure concorsuali di cui alla legge n. 3/2012, realizzando così lo spirito della legge.

Sui concetti di perdurante squilibrio, di patrimonio prontamente liquidabile e di rilevante difficoltà molto interverrà la giurisprudenza.

Tuttavia la circostanza che il debitore all'atto della presentazione della domanda assume di essere sovraindebitato, preclude di ritenere necessaria una stretta valutazione dello "squilibrio perdurante" e del patrimonio "prontamente liquidabile", con riferimento al caso di specie.

 

3. I soggetti che possono accedere alla procedura

Nell'individuare il presupposto soggettivo, vale a dire i soggetti che possono accedere alle procedure di sovra indebita mento, oltre agli imprenditori agricoli e alle cc.dd. start up, l'unico di essi che è positivamente individuato dalla legge è il "consumatore" il quale, ai sensi dell'art.6, comma 2, lett. b), della legge n. 3/2012 è qualificato come il (...) debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale professionale eventualmente svolta.

Sussiste, poi, una vasta platea di soggetti, titolari di (...) situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo (...) (NOTA 2), che possono fruire dei procedimenti previsti dalla legge. In tal caso, e in via di prima approssimazione, si può anticipare che essi saranno coloro che, sia per motivi dimensionali, sia per la forma dell'ente collettivo eventualmente interessato, non saranno attratti nell'alveo delle procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare.

La corretta qualificazione dei soggetti interessati non è un puro esercizio di stile, ma attività prodromica alla corretta applicazione della normativa in funzione di chi intende avvalersene. A tal proposito, qualche problematica potrebbe sorgere allorquando le masse debitorie sussumibili in capo a persone fisiche, si presentino in maniera composita e, cioè, formate anche da debiti di natura diversa da quella personale. In tal caso, nel silenzio della norma, soccorre la relazione illustrativa al d.l. n. 179/2012 che espressamente esclude l'applicabilità del piano del consumatore allorquando le passività esposte siano di natura, appunto, composita.

Come accennato, altri possibili fruitori individuati dalle norme sono le cc.dd. start up innovative di cui all'art. 31 d. I. n. 179/2012 (convertito con modificazioni dalla legge n. 221/2012), limitatamente al periodo di quattro anni dalla loro costituzione, e l'imprenditore agricolo.

 

3.1. Il consumatore

Come già precisato il consumatore è colui che, in quanto persona fisica, ha contratto debiti esclusivamente per finalità diverse dall'esercizio di un'attività imprenditoriale o professionale qualsivoglia.

La norma in questione riproduce l'art.3, comma 1, lett. a), del codice del consumo che assimila il "consumatore" all' "utente", con la conseguenza che la differenza fra le due figure deve rilevarsi dalle specificità dei contratti effettivamente conclusi; mentre tale differenza pare irrilevante ai fini dell'accesso alla procedura.

La norma consente, pertanto, di connotare la figura del "consumatore" in senso "positivo", perché potrà essere solo una persona fisica, ed in "negativo" perché le obbligazioni assunte devono essere estranee e non riferibili ad attività di impresa o professionali.

Al riguardo, va messo in evidenza come il sovra indebita mento del consumatore possa comportare evidenti ricadute sugli assetti patrimoniali della famiglia, dove, a causa di eventi "esterni", quali la repentina perdita del posto di lavoro, o "interni", quali situazioni di personale disagio o malattia, con conseguente diminuita capacità lavorativa o reddituale, potranno crearsi rilevanti squilibri tra entrate ed uscite. L'introduzione di questo concetto offre lo spunto per sottolineare, seppure brevemente che, in tema di composizione dell'indebitamento del debitore civile coniugato, bisognerà prestare particolare attenzione alle problematiche attinenti in primis al regime patrimoniale prescelto e, secondariamente, all'esistenza di eventuali negozi di destinazione posti in essere dai coniugi congiuntamente o separatamente che possano comportare la segregazione di parte del patrimonio.

 

3.2. L'imprenditore commerciale sotto-soglia

Ai sensi dell'art. 1, comma 2, l.f., sono esclusi dal fallimento e dal concordato preventivo gli imprenditori commerciali che dimostrino il possesso congiunto dei seguenti parametri:

- avere avuto in ciascuno dei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore un:

attivo patrimoniale complessivo annuo non superiore ad €. 300.000,00; ricavi lordi complessivi annui non superiori ad €. 200.000,00;

- avere alla data di deposito dell'istanza di fallimento o all'udienza prefallimentare debiti di ammontare non superiore ad €. 500.000,00, compresi i debiti non scaduti e quelli non definitivamente accertati con efficacia di giudicato. L'orientamento maggioritario della giurisprudenza afferma che, in virtù del principio della "prossimità della prova", spetti all'imprenditore dimostrare il mancato superamento congiunto dei parametri dimensionali previsti dalla legge (NOTA 3).

 

3.3. L'Imprenditore commerciale sopra-soglia ma con debiti inferiori ad euro 30.000,00

Secondo l'art. 15, comma 9, l.f., l'imprenditore che superi i paramenti di cui all'art. 1, comma 2, l.f.., non può essere dichiarato fallito se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria prefallimentare è inferiore ad €. 30.000,00.

Detto limite deve essere interpretato come condizione di "procedibilità" e non quale esimente dall'applicazione delle norme fallimentari.

Si dubita chetale soggetto possa essere ammesso alla procedura di sovra indebitamento, risultando, comunque, assoggettabile al fallimento nel corso del procedimento, o anche dopo l'omologazione dell'accordo di composizione della crisi, qualora in un nuovo procedimento risultino debiti scaduti superiori ad €. 30.000,00. In favore dell'ammissione alla procedura potrebbe militare però la previsione di cui all'art. 12, comma 5, legge n. 3/2012, secondo cui la sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore risolve l'accordo di composizione della crisi.

 

3.4. L'Imprenditore cessato da oltre un anno

Gli imprenditori commerciali individuali che hanno cessato l'attività ed hanno proceduto alla cancellazione dal registro delle Imprese, non possono essere dichiarati falliti, ex art. 10 l.f., decorso un anno da tale cancellazione. Tuttavia, non si può escludere che tali debitori vengano successivamente dichiarati falliti in quanto, ai sensi dell’art. 10, comma 2, l.f., il creditore o il P.M. possono dimostrare che il momento di effettiva cessazione sia successivo a quello della formale cancellazione, facendo quindi ricadere nell'anno l'istanza di fallimento. In tal caso, sempre secondo l'art. 12, comma 5, legge n. 3/2012, la dichiarazione di fallimento risolve l'accordo con i creditori anche se omologato.

L'imprenditore individuale, che si è cancellato dal registro delle imprese da oltre un anno e che ha le dimensioni (parametri) di un soggetto fallibile, può ricorrere alle procedure di sovraindebitamento.

Viceversa, le società di persone o quelle di capitali, cancellate da oltre un anno dal registro delle imprese, siccome la cancellazione implica l'estinzione del soggetto, non possono accedere alle procedure di sovraindebitamento, in quanto non è possibile che un soggetto estinto possa chiedere di accedere ad una procedura concorsuale.

 

3.5. L' Imprenditore agricolo

L'imprenditore agricolo, in quanto soggetto non fallibile, può accedere alla procedura di sovraindebitamento ma può anche beneficiare, ai sensi della legge n. 111/2011, degli accordi di ristrutturazione ex art. 182 - bis l.f. e della transazione fiscale ex art. 182 - ter l.f..

Occorre mettere in luce al riguardo che, la progressiva dilatazione della nozione di imprenditore agricolo con la modifica dell'art. 2135 c.c. (ad opera del d.lgs. n. 228/2001 e, si veda anche il d.lgs. n. 226/2001 relativo all'imprenditore ittico) (NOTA 4), ha finito per attenuare fortemente, il confine tra le categorie dell'imprenditore agricolo e dell'imprenditore commerciale, tanto che per l'orientamento maggioritario della giurisprudenza la distinzione tra i due poggia più su elementi di natura qualitativa che quantitativa (NOTA 5).

 

3.6. L'erede dell'imprenditore defunto

L'imprenditore defunto può essere dichiarato fallito fino ad un anno dalla sua morte. Nel caso in cui l'erede abbia accettato l'eredità con beneficio d'inventario, continuando l'attività imprenditoriale del de cuius, non verificandosi la confusione tra i patrimoni del primo e del secondo, l'erede potrà proporre ai creditori dell'eredità una procedura di sovraindebitamento dopo che sia trascorso un anno dalla morte del suo dante causa.

Viceversa, nel caso in cui l'erede abbia accettato puramente e semplicemente l'eredità e intenda continuare l'attività del defunto, verificandosi la confusione dei patrimoni, sarà possibile per l'erede accedere ad una procedura di sovraindebitamento solo se la sua impresa non sarà fallibile (perché sotto-soglia o agricola, ecc.).

 

3.7. Il socio illimitatamente responsabile

Il socio illimitatamente responsabile che sia fuoriuscito dalla compagine societaria da oltre un anno per morte, recesso, esclusione o cessione della quota sociale o che abbia perduto da oltre un anno la responsabilità illimitata a causa di operazioni di trasformazione, di fusione o di scissione trasformative non può essere dichiarato fallito ex art. 147, comma 2, l.f., se sono state osservate le formalità prescritte dalla legge in occasione dell'operazione e se l'insolvenza della società non sia riferibile, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata. Come già detto, il socio illimitatamente responsabile di una società cessata da oltre un anno non è fallibile ex art. 10 l.f.. Tale soggetto, pertanto, sembrerebbe legittimato ad accedere ai procedimenti in questione dal momento che non può fallire in via autonoma (ma solo in estensione per effetto del fallimento della società) così come non può essere ammesso in proprio al concordato preventivo.

Come è noto, il socio illimitatamente responsabile non può proporre ai suoi creditori, sociali e particolari, un concordato preventivo. Egli può fallire per estensione, in dipendenza del fallimento della società che esercita l'impresa commerciale collettiva. Si dibatte, inoltre, se il socio illimitatamente responsabile sia o meno imprenditore commerciale. La tesi più accreditata configura il fallimento del socio in estensione ex art. 147 I. f. come una deroga alla regola generale secondo cui falliscono solo gli imprenditori commerciali cc.dd. diretti, individuali o collettivi. Trattandosi di norma eccezionale, l'art. 147 I. f. non si può applicare per analogia al di fuori dei casi per cui è prevista. Ne consegue che la fallibilità per estensione non integra la preclusione di accesso alla procedura di composizione recata dall'art. 7, comma 2, lett. a) della legge n. 3/2012: tale previsione, infatti, riguarda soltanto le fattispecie di fallibilità cd. diretta o primaria e non quelle di fallibilità dipendente o secondaria o indiretta.

Alla luce del ragionamento fin qui condotto, sembra possibile sostenere che il socio illimitatamente responsabile può accedere alle procedure di sovraindebitamento, anche se la società è un imprenditore commerciale cd. sopra-soglia e dunque fallibile.

 

3.8. I Professionisti, gli artisti e gli altri lavoratori autonomi

Sono professionisti coloro i quali possono esercitare la propria attività professionale solo dopo aver superato l'esame di Stato previsto nell'art. 33, comma 5, Cost. e subordinatamente all'iscrizione in un albo tenuto da un ente pubblico e disciplinato da leggi speciali.

In altri termini, si ritiene che sono liberi professionisti solamente quanti decidono di limitare la propria attività in virtù della tutela di un interesse pubblico (quello della collettività ad una prestazione di qualità da parte di chi effettivamente possiede competenze specifiche) e acconsentono ad essere assoggettati alla vigilanza dell'ente pubblico di appartenenza e al regime giuspubblicistico che lo caratterizza. Sono liberi professionisti solo coloro che decidono di subordinare la propria attività professionale, intesa come complesso di atti e regole, alla vigilanza di un ente pubblico preposto per legge alla tutela del decoro e della dignità della professione Tutti gli altri possono, a ragione, ritenersi prestatori d'opera intellettuale e dunque lavoratori autonomi.

Tali soggetti, ontologicamente sottratti all'area della fallibilità, potranno accedere alle procedure di sovraindebitamento.

 

3.9. Le società tra professionisti

La legge n. 183 del 12 novembre 2011, che consente la costituzione di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate facendo ricorso a tutti i tipi societari descritti nel codice (utilizzando sia i tipi societari su base personalistica che quelli di capitali, sia ricorrendo al tipo societario delle cooperative) (NOTA 6) nulla dispone circa l'assoggettamento alle procedure concorsuali. Considerato che le società tra professionisti esercitano solo ed esclusivamente un'attività strettamente professionale, si dovrebbe concludere per la non assoggettabilità alle procedure concorsuali e, per converso, andrebbe positivamente valutata la possibilità che le società tra professionisti accedano agli istituti declinati nella legge n. 3/2012.

Tale importante assunto troverebbe conferma nelle previsioni della legge n. 247/2012 (recante la "Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense") dal momento che, in relazione all'esercizio della professione forense in forma societaria, l'art. 5 annovera tra i criteri di delega al Governo per la (futura) disciplina dell'esercizio della professione forense in forma societaria, quello di "stabilire che l'esercizio della professione forense in forma societaria non costituisce attività di impresa e che, conseguentemente, la società tra avvocati non è soggetto al fallimento e alla procedure concorsuali diverse da quelle di composizione della crisi da sovraindebitamento" (art. 5, comma 2, lettera m).

 

3.10. Le associazioni professionali

L'orientamento prevalente di dottrina e di giurisprudenza riconosce alle associazioni professionali una parziale soggettività giuridica.

Conseguentemente, si ritiene che queste ultime possano accedere alla procedure di sovraindebitamento, ancorché si renda necessaria la sottoscrizione congiunta di tutti gli associati professionisti: in merito, si mette in luce come la giurisprudenza, anche se non in modo univoco, ritenga che gli associati che abbiano agito in nome e per conto dell'associazione siano responsabili in solido.

 

3.11. Gli enti privati non commerciali

Con la definizione di enti privati non commerciali si intendono quegli enti, forniti o meno di personalità giuridica, che esercitano attività senza scopo di lucro e che hanno una rilevanza sociale potendosi occupare, a titolo esemplificativo, di assistenza sociale, cooperazione e solidarietà anche internazionale, promozione del volontariato, tutela dei diritti.

Tali enti, quando svolgono parzialmente attività commerciale, sono da ritenersi assoggettabili alle procedure concorsuali - e per espressa previsione di legge alla liquidazione coatta amministrativa in particolare - a condizione che ricorrano le condizioni di cui di cui all'art. 2, comma 2, l.f.. Rientrano nella categoria in questione, a titolo esemplificativo e non esaustivo i seguenti enti: Associazioni riconosciute ex art. 14 e ss. c.c.;

- Fondazioni riconosciute ex art. 14 e ss. c.c.;

- Associazioni non riconosciute ex art. 36 e ss.c.c.;

- Comitati ex art. 39 e ss.c.c.;

- Organizzazioni di volontariato ex legge n. 226/1991;

- Associazioni di promozione sociale ex legge n. 383/2000;

- Organizzazioni non governative ex art. 28 legge n. 287/1991 e ex legge n. 383/2000; Associazioni sportive dilettantistiche ex legge n. 398/1991;

- Enti lirici ex d.lgs. 367/1996;

- ONLUS ex d.lgs. n. 460/1997;

- Centri di formazione professionali ex legge n. 845/1978;

- Istituti di patronato ex legge n. 152/2001 e d.p.r. n. 1017/1986;

- Imprese sociali di cui al d.lgs. n. 155 del 24 marzo 2006.

In considerazione di quanto esposto in precedenza, quando gli enti non - profit non sono assoggettabili alle procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare, essi possono accedere alle procedure di sovraindebitamento.

 

3.12. Gli enti pubblici

Per espressa disposizione di legge, gli enti pubblici sono esclusi dal fallimento. Non sembrerebbe applicabile la procedura di sovraindebitamento, essendo questi enti semmai soggetti a procedure concorsuali alternative previste dalla legge in considerazione delle loro specificità.

 

4. L'ORGANISMO DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI

4.1. Definizione

La normativa relativa alla materia del sovraindebitamento ha individuato come protagonista delle procedure, gli "Organismi di Composizione delle Crisi" (di seguito, O.C.C.).

L'O.C.C. è definito dall'articolo 2, comma 1, lettera d), del decreto n. 202 del 2014 (NOTA 7) come: "articolazione interna di uno degli enti pubblici individuati dalla Legge e dal presente regolamento che, anche in via non esclusiva, è stabilmente destinata all'erogazione del servizio di gestione della crisi da sovraindebitamento".

Il legislatore evidenzia la natura esclusivamente pubblicistica dell'O.C.C. e, in riferimento a quanto previsto dall'articolo 15 della legge n. 3/2012, le indispensabili condizioni di indipendenza e professionalità, non potendo certamente l'organismo fare preferenze tra classi di creditori, sia nella redazione del piano che nella certificazione della sua fattibilità, fungendo nella successiva fase esecutiva anche da compositore di conflitti.

Si è voluto, inoltre, precisare come la costituzione ed il funzionamento degli O.C.C. non debbano rappresentare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che tutte le attività degli stessi devono essere svolte nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente (NOTA 8).

 

4.2. Funzioni dell'O.C.C.

L'art. 15 della legge n. 3/2012 delinea le funzioni dell'O.C.C. , cardine della procedura da sovraindebitamento che, per espressa previsione di legge, assume ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione e all'esecuzione dello stesso (NOTA 9).

Tale Organismo, di natura pubblicistica, svolge diversi compiti e funzioni dall'inizio alla conclusione della procedura, trovandosi a compiere contemporaneamente attività di consulente legale e finanziario del debitore, ausiliario del Giudice e di garanzia nei confronti dei terzi in generale e dei creditori in particolare.

Sulla base di quanto detto, potrebbero emergere dubbi relativamente ai possibili conflitti di interesse insiti nel ruolo assegnato dalla norma all'Organismo visto che lo stesso, in sintesi, è chiamato ad ottemperare a diverse funzioni. Esso infatti:

- è di ausilio al debitore nella elaborazione del piano sottostante alla proposta e nell'esecuzione della stessa;

- è liquidatore giudiziale nell'accordo o nei piani del consumatore omologati;

- è di ausilio al Giudice nella redazione della relazione particolareggiata, nella verifica della veridicità dei dati contenuti nella proposta e negli allegati, nel rilascio dell'attestazione di fattibilità del piano;

- cura le comunicazioni con i creditori;

- svolge le formalità pubblicitarie;

- predispone e invia la relazione ai creditori sui consensi espressi e, successivamente, al Giudice, con le contestazioni ricevute;

- è liquidatore nella procedura di liquidazione del patrimonio o Gestore della liquidazione. Gli O.C.C., ai fini dello svolgimento dei compiti e delle attività previsti dalla legge e previa autorizzazione del Giudice, possono accedere ai dati contenuti nell'anagrafe tributaria, nei sistemi di informazioni creditizie, nelle centrali rischi e nelle altre banche dati pubbliche (es. PRA, Carichi pendenti, Equitalia, Enti locali, ecc.).

V'è da dire, in ogni caso, che l'art. 15, comma 9, della legge n. 3/2012 prevede altresì che i compiti e le funzioni attribuiti agli Organismi di composizione della crisi possono essere svolti - in via definitiva dopo le modifiche introdotte dal d.l. n. 179/2012 - anche da un professionista (o società tra professionisti) in possesso dei requisiti di cui all'articolo 28 l.f., e successive modificazioni (nota 10), ovvero da un notaio. In tal caso il professionista è nominato dal Presidente del Tribunale o dal Giudice da lui delegato, su istanza del debitore. La costituzione degli O.C.C. all'interno degli ordini territoriali potrebbe, pertanto, far cadere in desuetudine la nomina del professionista da parte del Tribunale.

L'attribuzione all'O.C.C. di tante ed eterogenee funzioni nelle varie fasi delle procedure (consulente legale e finanziario del debitore, ausiliario del Giudice, attestatore nell'interesse dei creditori), oltre a richiedere il possesso di numerose competenze tecniche specifiche, come già accennato, potrebbe ingenerare situazioni di potenziale conflitto di interesse.

Tale criticità sembra essere stata affrontata nel decreto n. 202/2014, e più precisamente nell’art. 4, comma 5, ove per un verso si è prevista un'adeguata formazione da parte dei professionisti che intendono aderire all'O.C.C. (Gestori della crisi) e, per altro verso, si è prevista l'ipotesi dell'affidamento dell'incarico congiunto ad un Collegio di Gestori, così come previsto dall'articolo 2 del suddetto decreto.

Ogni Organismo ha poi l'obbligo di istituire un elenco dei Gestori della crisi, da comunicare al Ministero competente e un registro informatico degli affari con le annotazioni relative al numero d'ordine progressivo della procedura, ai dati identificativi del debitore, al Gestore della crisi designato, all'esito del procedimento. Non manca l'obbligo, altresì, del trattamento dei dati raccolti nel rispetto del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. 196/2003).

 

4.3. I requisiti

Il decreto n. 202/2014 disciplina i requisiti e le modalità di iscrizione nel registro tenuto presso il Ministero, la formazione dell'elenco degli iscritti e la sua revisione periodica, la sospensione e la cancellazione dal registro dei singoli organismi, nonché la determinazione dei compensi e dei rimborsi spese spettanti agli organismi a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura.

Il registro è suddiviso in due sezioni: sezione A e sezione B.

c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento.

Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti egli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto dell'impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento.

In base alle previsioni dell'art. 15, comma 9, della legge n. 3/2012 in forza delle quali solo i professionisti, le STP ei notai possono svolgere le funzioni degli O.CC, sembrerebbero esclusi dalla nomina i soggetti menzionati nella lettera c) dell'art. 28 l.f..

Nella Sezione A sono iscritti di diritto, su semplice domanda, gli organismi di composizione costituiti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura ai sensi dell'articolo 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, il segretariato sociale costituito ai sensi dell’articolo 22, comma 4, lettera a), della legge 8 novembre 2000, n. 328 e gli ordini professionali degli Avvocati, dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e dei Notai sono iscritti anche quando associati tra loro. Nella sezione B sono iscritti a domanda, gli organismi costituiti dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dalle istituzioni universitarie pubbliche.

Il responsabile del registro, tenuto presso il Ministero della Giustizia, verifica, ai fini dell'accesso, che in capo agli organismi, sia quelli che richiedono l'iscrizione nella sezione A, sia quelli che richiedono l'iscrizione nella sezione B, esistano i seguenti requisiti:

la presenza di un Referente dell'organismo al quale sia garantito un adeguato grado di indipendenza;

il rilascio di polizza assicurativa con massimale non inferiore a un milione di euro per le conseguenze patrimoniali comunque derivanti dallo svolgimento del servizio di gestione della crisi;

la conformità del regolamento dell'organismo alle disposizioni del decreto n. 202/2014.

Per gli organismi da iscriversi nella sezione B, ossia quelli non ¡scrivibili di diritto, sono previste le seguenti ulteriori condizioni:

che l'organismo sia costituito quale articolazione interna di uno degli enti pubblici di cui all'art. 4, comma 1, del summenzionato decreto n. 202/2014, vale a dire dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dalle istituzioni universitarie pubbliche;

il numero dei Gestori della crisi, non inferiore a cinque, che abbiano dichiarato la disponibilità a svolgere le funzioni di gestione della crisi in via esclusiva per l'organismo; - la sede dell'organismo.

Per poter praticamente operare l'Organismo ha necessità di professionisti che siano in grado di gestire al meglio le procedure da sovraindebitamento ed in tal senso il decreto n. 202/2014 individua all'art. 4, comma 5, i requisiti professionali dei Gestori della crisi iscritti negli elenchi di cui alle sezioni A e B. Tali requisiti consistono:

a) nel possesso di laurea magistrale, o di titolo di studio equipollente, in materie economiche o giuridiche;

b) nel possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a corsi di perfezionamento istituiti a norma dell'articolo 16 del d.p.r. 10 marzo 1982, n. 162, di durata non inferiore a duecento ore nell'ambito disciplinare della crisi dell'impresa e di sovraindebitamento, anche del consumatore. I corsi di perfezionamento devono prevedere gli insegnamenti concernenti almeno i seguenti settori disciplinari: diritto civile e commerciale, diritto fallimentare e dell'esecuzione civile, economia aziendale, diritto tributario e previdenziale. La specifica formazione di cui alla presente lettera può essere acquisita anche mediante la partecipazione ad analoghi corsi organizzati dai soggetti ¡scrivibili di diritto nel registro in convenzione con università pubbliche o private;

c) nello svolgimento presso uno o più organismi, curatori fallimentari, commissari giudiziali, professionisti indipendenti ai sensi del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, professionisti delegati per le operazioni di vendita nelle procedure esecutive immobiliari ovvero nominati per svolgere i compiti e le funzioni dell'organismo o del liquidatore a norma dell’articolo 15 della legge, di un periodo di tirocinio, anche in concomitanza con la partecipazione ai corsi di cui alla lettera b), di durata non inferiore a mesi sei che abbia consentito l'acquisizione di competenze mediante la partecipazione alle fasi di elaborazione ed attestazione di accordi e piani omologati di composizione della crisi da sovraindebitamento, di accordi omologati di ristrutturazione dei debiti, di piani di concordato preventivo e di proposte di concordato fallimentare omologati, di verifica dei crediti e di accertamento del passivo, di amministrazione e di liquidazione dei beni;

d) nell'acquisizione di uno specifico aggiornamento biennale, di durata complessiva non inferiore a quaranta ore, nell'ambito disciplinare della crisi dell'impresa e di sovraindebitamento, anche del consumatore, acquisito presso uno degli ordini professionali di cui al comma 2 ovvero presso un'università pubblica o privata.

Si stabilisce, inoltre, all'art. 4, comma 6, che per i professionisti appartenenti agli ordini professionali (avvocati, commercialisti e notai) la durata dei corsi indicati al precedente lettera b), è di quaranta ore; si lascia agli ordinamenti professionali la possibilità di individuare specifici casi di esenzione dall'applicazione delle disposizioni previste alle lettere precedenti b) e c), ovvero di fissare criteri di equipollenza tra i corsi di formazione e di aggiornamento biennale di cui al presente articolo, e i corsi di formazione professionale.

Ai medesimi professionisti - quindi per commercialisti, notai ed avvocati - non si applicano le disposizioni indicate nella precedente lettera c).

La norma più rilevante, per poter, da subito far partire l'operatività dei predetti organismi, è rinvenibile nell'art. 19 rubricato " Disciplina transitoria" che prevede, per i tre anni successivi all'entrata in vigore del decreto, che gli appartenenti agli ordini professionali (commercialisti, avvocati e notai) siano esentati dall'applicazione delle disposizioni per l'aggiornamento biennale sopraindicato alla lettera d), nonché dalla formazione prevista dal l'articolo 4, comma 6, del medesimo decreto. Tale esenzione è subordinata alla condizione che gli stessi professionisti documentino di essere stati nominati, in almeno quattro procedure, curatori fallimentari, commissari giudiziali, delegati alle operazioni di vendita nelle procedure esecutive immobiliari ovvero per svolgere i compiti e le funzioni dell'organismo o del liquidatore a norma dell'articolo 15 della legge. Ai fini del periodo precedente le nomine relative a differenti tipologie di procedure sono cumulabili e rilevano anche quelle precedenti all'entrata in vigore del decreto.

Stando ad una prima lettura della disposizione, sembrerebbe che coloro che risultano già aver svolto un numero minimo di 4 procedure sopra indicate, antecedentemente all'entrata in vigore del decreto, possiedano, sin da subito, i requisiti per l'iscrizione nell'elenco dei gestori della crisi; mentre coloro che hanno ricevuto incarichi per le predette tipologie di procedure in numero inferiore a 4 avranno la possibilità di raggiungere il suddetto numero minimo da qui a 3 anni.

A completamento dei requisiti, inoltre, il responsabile della tenuta del registro presso il Ministero della Giustizia verificherà, altresì, il possesso da parte dei gestori dei requisiti di onorabilità dettagliatamente indicati all'art. 4, comma 8, del predetto decreto.

 

4.4. Il Referente (compiti e funzioni)

All'interno di ogni O.C.C. dovrà essere individuato un Referente che il decreto n. 202/2014 identifica come «/a persona fisica che, agendo in modo indipendente, indirizza e coordina l'attività dell'organismo e conferisce gli incarichi ai gestori della crisi" (nota 11).

L'indipendenza è requisito indispensabile per l'individuazione e per lo svolgimento della funzione riconosciuta al Referente. Al riguardo, va messo in evidenza come l'art. 4, comma 3, lett. b), del decreto n. 202/2014 precisi come all'atto dell'iscrizione sia il responsabile del Registro a dover verificare che al Referente "sia garantito un adeguato grado di indipendenza". Tale previsione comporta che la scelta ricada su un soggetto che sia, rispetto all'organismo e ai Gestori, in posizione di assoluta autonomia. Il pensiero corre ad un soggetto "laico" rispetto all'Ordine in cui risulta incardinato l'O.C.C. ovvero, più che altro, rispetto alla funzione di composizione della crisi da sovraindebitamento da quest'ultimo esercitata e dunque ai Gestori.

La durata in carica del Referente non è stabilita dalla legge ma dovrà essere disciplinata dai vari regolamenti che i singoli O.C.C. vorranno adottare.

L'articolazione prevista nel regolamento emanato dal Ministero fa quindi ritenere che l'Organismo debba strutturarsi con una specifica organizzazione interna e una distribuzione dei ruoli ben codificata che implementi procedure e regolamenti specifici. L'articolo 7 del decreto 202/2014 prevede in capo al Referente l'obbligo di comunicare, al responsabile del registro tenuto presso il Ministero, tutte le vicende modificative dei requisiti dell'organismo iscritto, dei dati e degli elenchi comunicati ai fini dell'iscrizione, nonché le misure di sospensione e di decadenza dei gestori dall'attività adottate a norma dell’articolo 10, comma 5, del suddetto decreto.

Allo stesso soggetto spetterà, secondo quanto previsto dal l'art. 10, comma 2, del decreto n. 202/2015, il compito di distribuire equamente gli incarichi tra i gestori della crisi tenuto conto in ogni caso della natura e dell'importanza dell'affare da comporre.

Il ruolo del Referente è destinato quindi ad avere una funzione centrale all'interno dell'organismo stesso e, più che altro, una funzione di alta responsabilità nei confronti della pubblica amministrazione.

Ai fini della gestione degli incarichi e della loro distribuzione è previsto dall'art. 9 del regolamento che l'O.C.C. debba istituire un elenco dei "gestori della crisi" e un registro informatico degli affari/procedure trattate, contenente le annotazioni relative al numero progressivo della procedura, ai dati identificativi del debitori, al Gestore designato e all'esito del procedimento.

Le funzioni del Referente, pertanto, possono sintetizzarsi:

- nella nomina e nella sostituzione del Gestore della crisi;

- nello svolgimento degli altri compiti attribuitigli dai singoli regolamenti degli O.C.C..

Per quanto attiene alla scelta del Gestore in funzione dell'attribuzione dell'incarico, il Referente, come detto, deve tener conto della natura e dell'importanza dell'incarico e, prima di conferirlo, deve sottoscrivere una dichiarazione in cui attesta che l'O.C.C. non si trova in conflitto d'interessi riguardo a tale procedura. La dichiarazione è portata a conoscenza del Tribunale competente contestualmente al deposito della proposta di accordo di composizione o di piano del consumatore o della domanda di liquidazione.

Al momento del conferimento dell'incarico al Gestore della crisi, l'organismo deve comunicare al debitore il grado di complessità dell'opera, fornendogli tutte le informazioni circa gli oneri cioè i costi ipotizzabili fino alla conclusione dell'incarico e deve, altresì, indicare i dati della polizza assicurativa obbligatoria che ha stipulato per risarcire gli eventuali danni. (nota 12)

 

4.5. Il Gestore della crisi (compiti e funzioni)

Il decreto n. 202/2014 definisce come Gestore della crisi "la persona fisica che, individualmente o collegialmente, svolge la prestazione inerente alla gestione dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio del debitore" (nota 13).

Il Gestore della crisi sarà pertanto il professionista iscritto nell'apposito elenco e designato, come più volte accennato, dal Referente.

Al momento della designazione il Gestore della crisi sarà tenuto a comunicare la propria accettazione dell'incarico all'Organismo che lo ha designato. Nell'accettazione sarà contenuta anche la dichiarazione di indipendenza necessaria per poter gestire la procedura.

La dichiarazione di indipendenza, sottoscritta dal Gestore della crisi, dovrà essere comunicata al Tribunale competente contestualmente al deposito della proposta di accordo o di piano del consumatore ovvero della domanda di liquidazione e dovrà attestare che il Gestore (nota 14):

- non è legato al debitore e a coloro che hanno interesse all'operazione di composizione o di liquidazione, da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza;

- non è in una delle situazioni previste dall'art. 2399 c.c., vale a dire:

- non è interdetto, inabilitato, fallito o è stato condannato ad una pena che comporta l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità di esercitare uffici direttivi (condizioni previste dall'art. 2382 C.C.);

- non è coniuge, parente o affine entro il quarto grado del debitore persona fisica o se questi è una società od un ente, non è amministratore, coniuge, parente o affine entro il quarto grado degli amministratori della società o dell'ente oppure della società che la/lo controlla, di una società controllata o sottoposta a comune controllo;

- non è legato al debitore o alle società controllate dal debitore o alle società che lo controllano o a quelle sottoposte al comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza;

- non ha, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, prestato negli ultimi 5 anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo.

Le funzioni del Gestore della crisi sono assai diverse e, come accennato, a volte in potenziale conflitto fra loro. Il Gestore della crisi ha la funzione di aiutare il debitore nell'elaborazione del piano sottostante alla proposta e di coadiuvarlo nell'esecuzione della stessa. Egli, inoltre, può essere chiamato a svolgere la funzione di liquidatore nella procedura di liquidazione del patrimonio o di Gestore della liquidazione.

Tutti i suoi compiti devono essere svolti quale ausiliario del Giudice delegato alla procedura, ad esempio in occasione della redazione della relazione particolareggiata (trattandosi del piano del consumatore o della liquidazione del patrimonio), della verifica della veridicità dei dati contenuti nella proposta e negli allegati, e del rilascio dell'attestazione di fattibilità del piano (nota 15).

Nell'ambito di tali funzioni i compiti richiesti al Gestore della crisi sono previsti dalla normativa di riferimento e vengono scanditi nei momenti principali della procedura:

- in sede di presentazione della proposta;

- prima e durante l'approvazione della proposta da parte dei creditori (fase non prevista per la proposta di piano del consumatore);

- in sede di omologa della proposta;

- nella fase di esecuzione della proposta o nella liquidazione.

Nel momento in cui viene depositata la proposta di accordo, il Gestore della crisi deve redigere una attestazione sulla fattibilità del piano sottostante alla proposta che va allegata alla proposta (ex art. 9 legge n. 3/2012).

Qualora la proposta preveda che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca non vengano soddisfatti integralmente, il Gestore della crisi è tenuto a redigere una relazione nella quale sia previsto il pagamento in misura non inferiore a quello realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione.

Tale relazione può essere prodotta autonomamente ovvero può rappresentare una parte della attestazione di fattibilità del piano da allegare alla proposta. La relazione, in ogni caso, non deve essere giurata dinanzi al cancelliere del Tribunale.

Se il proponente è un consumatore richiedente l'omologa di un piano, l'O.C.C., e dunque per suo conto il Gestore, è tenuto anche depositare una relazione particolareggiata contenente:

a) l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal consumatore nell'assumere volontariamente le obbligazioni;

b) l'esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte;

c) il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni;

d) l'indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori;

e) il giudizio sulla completezza e sull'attendibilità della documentazione depositata dal consumatore a corredo della proposta, nonché sulla probabile convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.

Dal momento del deposito della proposta è cura del Gestore della crisi provvedere entro tre giorni a presentare la stessa all'agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli enti locali, competenti sulla base dell'ultimo domicilio fiscale del proponente. La proposta dovrà contenere la ricostruzione della sua posizione fiscale e l'indicazione di eventuali contenziosi pendenti. Una volta ammessa la proposta il Giudice delegato, nello stesso decreto, fisserà i compiti del Gestore della crisi nell'ambito delle indicazioni di cui all'art. 10 legge n. 3/2012.

Il Gestore sarà tenuto a comunicare a tutti i creditori presso la residenza o la sede legale, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata la proposta e il decreto di ammissione.

Il termine per la comunicazione è fissato in almeno trenta giorni prima del termine di cui all'art. 11, comma 1, (termine fissato per far pervenire all'O.C.C. i consensi e pari a 10 giorni prima dell'udienza fissata) e dunque complessivamente in quaranta giorni prima dell'udienza fissata.

Il Gestore dovrà provvedere a redigere il testo per l'idonea forma di pubblicità disposta dal Giudice delegato, verificando che questa venga eseguita nei termini.

L'O.C.C. deve provvedere alla trascrizione del decreto di ammissione alla procedura presso i registri immobiliari in caso di immobili e presso gli uffici competenti in caso di beni mobili registrati. L'O.C.C. è tenuto ad effettuare la pubblicità presso il Registro delle imprese competente.

Dal momento dell'ammissione della procedura e fino al decreto di omologazione dell'accordo, gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione devono essere autorizzati dal Giudice delegato;

L'O.C.C. è destinatario dei consensi alla proposta di accordo da parte dei creditori espressi a mezzo telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata. I consensi dovranno pervenirgli entro 10 giorni dalla data fissata per l'adunanza dei creditori. L'O.C.C., e per esso verosimilmente il Gestore, è tenuto a redigere una breve relazione da depositarsi prima dell'udienza dei creditori sull'esito delle votazioni, allegando alla stessa i consensi e i dissensi ricevuti.

Nella relazione il Gestore dà atto dei creditori ammessi al voto, dei votanti, dei non votanti e dei voti contrari pervenuti, indicando, in particolare, se è stato raggiunto il quorum qualificato del 60% previsto dall’art. 11, comma 2, della legge n. 3/2012.

Se l'accordo è raggiunto, l'O.C.C. trasmette a tutti i creditori la relazione allegando il testo dell'accordo stesso.

Nei dieci giorni successivi al ricevimento della relazione, i creditori potranno sollevare le eventuali contestazioni.

Decorso tale ultimo termine, l'O.C.C., per tramite del Gestore, trasmette al Giudice una relazione, allegando le contestazioni ricevute, nonché un'attestazione definitiva sulla fattibilità del piano.

In quest'ultima attestazione il Gestore esprime il proprio parere in merito alla capacità del debitore di far fronte all'accordo e al pagamento dei creditori titolari di crediti impignorabili.

È questa la fase dove emerge la differenza più evidente tra l'accordo di composizione della crisi ed il piano del consumatore, in quanto per quest'ultimo non è necessario il consenso dei creditori per l'omologazione da parte del Tribunale.

Il Giudice omologa l'accordo e l'O.C.C. è tenuto alla pubblicazione del decreto analogamente a quanto stabilito per l'ammissione.

Quest'ultimo, inoltre, deve provvedere alla trascrizione del decreto di omologa presso i registri immobiliari in caso di immobili e presso gli uffici competenti in caso di beni mobili registrati. Il Gestore è tenuto ad effettuare la pubblicità presso il registro imprese (nota 16).

In sede esecuzione dell'accordo o del piano del consumatore il Gestore della crisi dovrà risolvere eventuali difficoltà che insorgono e vigilare sull'esatto adempimento dello stesso, comunicando ai creditori ogni eventuale irregolarità dell'adempimento.

Quando l'esecuzione dell'accordo o del piano del consumatore diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, il Gestore della crisi dovrà coadiuvare il debitore o il consumatore nella modifica della proposta.

 

5. LE PROCEDURE

5.1. L'accordo

Il debitore formula ai creditori (di regola) chirografari una proposta di accordo che può prevedere:

- la dilazione del pagamento dei debiti (c.d. accordo dilatorio o moratoria);

- la remissione (o esdebitazione) parziale dei debiti (c.d. accordo remissorio o esdebitativo); -la dilazione del debito ridotto per effetto della remissione parziale (moratoria con esdebitazione parziale).

Dunque, i possibili contenuti della proposta del debitore nei procedimenti di composizione della crisi da sovra indebita mento sono i più vari, passando da una mera moratoria dei pagamenti ad una generalizzata remissione parziale dei debiti.

Sembrerebbe, pertanto, che come è consentito nel concordato preventivo, anche nell'ipotesi da noi considerata si possa proporre l'intervento di un assuntore, la cessione dei beni ai creditori oppure l'impegno del debitore, conservando il possesso dei beni, a pagare una determinata percentuale ai creditori chirografari, assicurando l'adempimento con la costituzione di garanzie (fideiussioni, pegni, ipoteche) da parte di terzi.

I terzi, in generale, possono sottoscrivere la proposta di accordo, per mettere a disposizione dei creditori sia redditi che beni di cui siano titolari, al fine di assicurare l'attuabilità della proposta e la fattibilità del piano.

I creditori prelatizi non sono destinatari della proposta di accordo, a meno che non rinuncino alla prelazione, per cui vanno pagati in misura integrale.

È prevista una deroga nel caso di un accordo in continuità dell'impresa, nel qual caso la proposta può prevedere la moratoria fino ad un anno dall'omologazione. Se il piano di continuità prevede la liquidazione dei beni su cui sussiste la causa di prelazione (beni non strategici), la moratoria non opera per quei creditori la cui garanzia si esercita su beni destinati ad essere liquidati.

Ciò non significa che in concreto i creditori prelatizi debbono essere pagati subito dopo l'omologazione, in quanto, in analogia al concordato preventivo, occorre che il ritardo nel pagamento contenuto nella proposta non sia superiore ai tempi prevedibili di pagamento in caso di liquidazione del patrimonio.

Nel caso di accordo liquidatorio, la dilazione dei creditori prelatizi, eccedente i tempi della liquidazione del patrimonio o dell'esecuzione individuale, deve essere approvata dai medesimi, in quanto trattasi di trattamento del credito diverso dal pagamento ottenibile dalle alternative liquidatone concretamente praticabili. Analogamente avviene, nel caso di moratoria oltre l'anno dall'omologazione, proposta ai creditori prelatizi in un accordo in continuità: occorre che i creditori prelatizi esprimano il loro consenso o dissenso rispetto alla proposta.

La proposta può prevedere la suddivisione dei creditori in classi, la cui formazione non è soggetta ai vincoli posti nelle procedure di concordato preventivo e fallimentare dalla omogeneità dei relativi interessi economici e posizione giuridica. Infatti, nelle procedure di composizione della crisi non è previsto che il Giudice verifichi la legittimità dei criteri di formazione delle classi, come invece è previsto nel concordato preventivo, oltre al fatto che non è prevista l'approvazione da parte della maggioranza delle classi. Per cui non pare precluso che i creditori siano liberamente suddivisibili in classi, anche disomogenee tra loro.

Nella proposta di accordo sono indicate eventuali limitazioni all'accesso al mercato del credito al consumo, all'utilizzo degli strumenti di pagamento elettronico e alla sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari.

Vi sono, tuttavia, alcuni limiti alla libertà di contenuto della proposta che si riassumono nel modo che segue:

1. ai creditori titolari di crediti impignorabili non può essere proposta né la moratoria, né la parziale esdebitazione, in quanto essi vanno pagati alle scadenze pattuite e nella misura integrale;

2. ai creditori titolari di tributi costituenti risorse proprie dell'UE, allo Stato per l'IVA e le ritenute alla fonte non può essere proposta la remissione parziale del debito, ma solo la dilazione.

3. deve essere rispettato l'ordine delle cause legittime di prelazione, vale a dire il vincolo della graduazione dei crediti, per cui i creditori di grado inferiore possono essere pagati solo se quelli di grado superiore sono stati integralmente pagati. Da ciò consegue che i creditori chirografari possono essere pagati solo se i prelatizi sono stati integralmente soddisfatti, tenendo conto delle masse mobiliari e immobiliari e della collocazione sussidiaria, tranne il caso della degradazione a chirografo dei prelatizi incapienti sulla base di apposita attestazione da parte dell'O.C.C. In caso di risorse esterne (cd. surplus o nuova finanza), cioè quando le somme destinate al pagamento dei creditori non provengono dal patrimonio del debitore, bensì da quello di un soggetto terzo, non vi è alcun vincolo circa la destinazione ai creditori del debitore delle risorse esterne: in tali ipotesi, il vincolo di graduazione viene rispettato in relazione alla destinazione ai creditori delle risorse provenienti dal patrimonio del debitore (risorse interne), mentre non vi è alcun vincolo circa la destinazione ai creditori del debitore delle risorse esterne.

 

5.1.2. Il piano di liquidazione o di continuità

Insieme alla proposta, il debitore predispone comunque un piano, tramite cui si estrinsecano i contenuti della proposta. In altri termini emerge dal piano:

- la liquidazione dei beni e dunque la cessazione dell'attività (c.d. accordo liquidatorio);

- la continuazione dell'attività d'impresa o di lavoro autonomo professionale (c.d. accordo in continuità).

in caso di accordo liquidatorio, il piano può prevedere la cessione dei beni ad un liquidatore giudiziale, la datio in solutum, l'incasso dei crediti o il mandato a terzi ad incassare i crediti.

In caso di accordo in continuità, il piano può prevedere la liquidazione degli assets non strategici per la continuazione dell'attività, la destinazione degli utili futuri derivanti dalla continuazione dell'attività al pagamento dei debiti pregressi, ridotti, in caso di proposta remissoria, o integrali, in caso di moratoria.

Sia nel caso di accordo liquidatorio, che nel caso di accordo in continuità, può essere prevista anche l'offerta di risorse esterne, come la prestazione di garanzie per assicurare il pagamento di determinate percentuali ai creditori, rafforzando la proposta (garanzia per il passivo), o per evitare che la liquidazione dell'attivo del debitore scenda sotto determinate soglie (garanzia per l'attivo), il piano può anche prevedere l'affidamento del patrimonio del debitore ad un liquidatore, , in possesso dei requisiti di cui all'art. 28 I. f., è nominato dal giudice ai sensi dell'art. 13 della legge n. 3/2012. Si tratta, in altri termini, della facoltà, già ammessa anche nelle proposte di concordato, del debitore di proporre ai creditori nel piano la nomina di un liquidatore di sua fiducia in possesso dei requisiti di cui all'art. 28 della I. f.

infine, il piano deve prevedere il termine entro il quale prevedibilmente la proposta dovrà essere adempiuta, con la conseguenza quindi che deve essere indicata la ragionevole durata della procedura fino all'adempimento.

Al riguardo, mentre nella procedura di liquidazione del patrimonio è prevista dalla legge una durata minima di quattro anni, nelle procedure di composizione della crisi non è prevista dalla legge una durata minima e neppure una massima.

 

5.1.3. Il raggiungimento dell'accordo. Convenienza dell'accordo rispetto alla liquidazione del patrimonio

La proposta di accordo è approvata con il consenso dei creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti. Vale la regola del silenzio assenso.

Anche se non esplicitamente indicato dalla legge (come per il piano del consumatore), l'accordo deve essere conveniente rispetto alla liquidazione del patrimonio.

La valutazione della convenienza spetta ai creditori, i quali sono chiamati ad esprimere il loro consenso o dissenso rispetto alla proposta del debitore.

Non tutti i creditori hanno diritto di esprimersi sulla proposta.

I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca dei quali la proposta prevede l'integrale pagamento non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta. Gli stessi possono rinunciare in tutto o in parte al diritto di prelazione, ed in questo caso hanno diritto di esprimersi.

Sono, in ogni caso, esclusi dal diritto di esprimersi sulla proposta:

- il coniuge del debitore;

- i suoi parenti e affini fino al quarto grado;

- i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta.

 

5.1.4. La modifica della proposta e dell'accordo

La proposta di accordo può essere modificata fino alla data in cui i creditori possono far pervenire il

loro consenso o dissenso alla stessa. La legge, infatti, prevede la possibilità di apportare modifiche alla proposta di accordo senza però disporne le modalità. È specificato solo che l'adesione dei creditori deve riguardare la proposta come eventualmente modificata (così espressamente l'art. 11, comma 1): il che, ovviamente, implica una preventiva comunicazione a tutti i creditori della eventuale modifica ed una reiterazione dell'adesione da parte dei creditori che dovessero aver già espresso il loro consenso (o, anche, il dissenso).

Se l'esecuzione dell'accordo non è possibile per cause non imputabili al debitore, l'accordo può essere modificato. In tal caso, non opera la preclusione di cui all'art. 7, comma 2, lett. b), legge n. 3/2012.

È da sottolineare che se l'esecuzione dell'accordo diviene impossibile per cause imputabili al debitore, l'accordo può essere risolto per inadempimento o annullato, con conseguente conversione in liquidazione su istanza di un creditore o del debitore stesso.

 

5.1.5. Gli effetti

Quanto agli effetti occorre differenziare tra quelli che discendono dal deposito della domanda ed effetti che conseguono al decreto di apertura ovvero all'omologazione.

in considerazione di ciò, v'è da dire che il deposito della proposta di accordo sospende il corso degli interessi convenzionali o legali, salvo quelli sui crediti prelatizi che decorrono secondo quanto previsto dagli artt. 2749, 2788 e 2855 del c.c..

Il decreto di apertura della procedura, invece, produce gli effetti del pignoramento, il decreto di apertura della procedura determina il blocco delle azioni esecutive individuali (ma non quelle concorsuali) e dei sequestri conservativi, impedisce l'iscrizione di ipoteche giudiziali e volontarie ed in genere l'acquisizione da parte di creditori di diritti di prelazione sul patrimonio del debitore.

La sospensione non opera per i titolari di crediti impignorabili.

Dalla data del decreto di apertura della procedura, gli atti di amministrazione straordinaria sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al momento in cui sono effettuate le pubblicità del decreto di apertura, se non autorizzati dal Giudice (spossessamento attenuato).

A seguito dell'omologazione, l'accordo non ha effetto sui coobbligati del debitore, i suoi fideiussori e sugli obbligati in via di regresso.

L'accordo non ha effetto novativo, se non espressamente disposto.

L'accordo è obbligatorio per tutti i creditori che siano anteriori rispetto al momento in cui è effettuata le pubblicità del decreto di apertura. Dunque, vincola anche i dissenzienti.

E' importante notare che, a differenza che per il concordato preventivo (nota 18), i creditori con titolo o causa posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano relativo all'accordo omologato.

Sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori ai momento in cui è stata eseguita la pubblicità dei decreto di apertura della procedura, i pagamenti e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell'accordo omologato.

I crediti sorti prima ed in funzione della procedura concorsuale di accordo di composizione della crisi, nonché quelli sorti durante ed in occasione della stessa procedura, sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, salvo che nei confronti dei creditori ipotecari o pignoratizi che continuano ad avere la preferenza nel realizzo dei beni posti a loro garanzia rispetto a suddetti crediti.

 

5.1.6. L'accordo di composizione della crisi. Profili procedurali

Come accennato, la legge precisa che il debitore deve essere assistito da un O.C.C. e più precisamente da un Gestore della crisi che, eventualmente insieme al consulente del debitore, predispone la domanda, la proposta, il piano e la relazione attestativa sulla fattibilità del piano. Entrando nello specifico e soffermandosi sugli aspetti procedurali descritti nell'art. 10 della legge n. 3/2012, va detto che la proposta di accordo va depositata al Tribunale nel cui circondario è posta la residenza o la sede del debitore.

La domanda concerne l'ammissione alla procedura e la successiva omologazione dell'accordo, in presenza dei requisiti stabiliti dalla legge.

È da sottolineare che non è previsto il deposito per le spese della procedura come nel caso del concordato preventivo.

Occorre allegare alla proposta:

- l'elenco di tutti i creditori, con l'indicazione delle somme dovute;

- l'elenco di tutti i beni;

- l'elenco degli atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni;

- le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni (nota 19);

- la prima attestazione di fattibilità del piano da parte dell'O.C.C.;

- le scritture contabili degli ultimi tre anni, se il debitore svolge attività d'impresa, con la dichiarazione di conformità all'originale.

In caso di insufficienza della documentazione prodotta o nel caso che siano necessarie integrazioni alla proposta, il Giudice può concedere un termine non superiore a quindici giorni Dal momento del deposito all'udienza non possono passare più di sessanta giorni.

Il Giudice, valutata l'ammissibilità della proposta, dichiara aperta la procedura (la prassi giudiziaria ha rilevato la fissazione di un'udienza prima di quella di omologazione nella quale il Giudice prende atto delle maggioranze) e fissa l'udienza di omologazione, disponendo le comunicazioni ai creditori e le pubblicità previste dalla legge e dal decreto stesso.

Dal decreto decorrono gli effetti protettivi tipici dell'automatic stay.

I creditori esprimono il consenso, anche con silenzio assenso, o il dissenso alla proposta di accordo del debitore almeno dieci giorni prima dell'udienza.

Se l'accordo è raggiunto, l'O.C.C. redige una relazione sui consensi espressi e la invia ai creditori, allegando il testo dell'accordo.

Nei dieci giorni successivi, i creditori possono contestare l'accordo.

Trascorso tale ultimo termine, l'O.C.C. trasmette al Giudice la relazione, le contestazioni ricevute, il testo dell'accordo e l'attestazione definitiva di fattibilità del piano, anche in relazione al pagamento dei crediti impignorabili, a quelli relativi a risorse proprie dell'UE, a M'IVA e alle ritenute alla fonte. Risolte le contestazioni, il Giudice omologa l'accordo, dispone le pubblicità, anche quando la convenienza dell'accordo è contestata da un creditore dissenziente o da uno escluso o da un altro interessato, purché egli ritenga che la soddisfazione del creditore in parola avvenga dalla esecuzione dell'accordo in misura non inferiore a quella che si avrebbe nella liquidazione del patrimonio (cram down).

L'omologazione deve avvenire nei sei mesi dalla presentazione della domanda.

Se dopo l'omologazione viene dichiarato il fallimento, l'accordo si risolve e gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell'accordo omologato non sono soggetti all'azione revocatoria fallimentare, mentre i crediti derivanti dai finanziamenti effettuati in esecuzione o in funzione dell'accordo omologato sono prededucibili nel fallimento.

 

5.1.7. La risoluzione dell'accordo

La risoluzione dell'accordo può essere richiesta da qualsiasi creditore, ai sensi dell'art. 14 della legge n. 3/2012 qualora:

- il proponente non adempia agli obblighi derivanti dall'accordo;

- le garanzie promesse non vengano costituite;

- l'esecuzione dell'accordo divenga impossibile per ragioni non imputabili al debitore, inoltre, qualora il debitore abbia nel frattempo acquisito le condizioni per essere assoggettato al fallimento, la sentenza pronunciata a suo carico risolve l'accordo.

Il ricorso per la risoluzione deve essere presentato entro 6 mesi dalla scoperta o entro il termine perentorio di 1 anno dalla data dell'ultimo adempimento previsto dall'accordo.

 

5.1.8. La revoca o la cessazione degli effetti dell'accordo omologato

Oltre ad una revoca di diritto, espressamente contemplata nell'art. 11, comma 5, della legge n. 3/2012, che sanziona il debitore gravemente inadempiente rispetto agli obblighi assunti con l'accordo, il legislatore prevede anche ipotesi in cui l'accordo cessa di produrre effetti su istanza di qualsiasi creditore, sentito in contraddittorio con il debitore.

Si tratta delle ipotesi declinate nell'art. 14 - bis della legge n. 3/2012 relative alle situazioni in cui:

- sia stato dolosamente o con colpa grave, aumentato o diminuito il passivo;

- sia stata sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo;

- siano state simulate dolosamente attività inesistenti.

Il termine per proporre ricorso è di sei mesi dalla scoperta della causa e, in ogni caso, entro un anno dalla scadenza fissata per l'ultimo adempimento previsto.

 

5.1.9. La conversione delle procedure di composizione della crisi in liquidazione del patrimonio

La conversione della procedure di composizione in liquidazione ha luogo, su istanza del debitore o di un creditore, (i) in caso di annullamento dell'accordo omologato o di cessazione degli effetti dell'omologazione del piano del consumatore ai sensi dell'art. 14-bis, comma 2, lett. a); (ii) in caso di risoluzione per inadempimento dell'accordo quando ciò dipenda da cause imputabili al debitore. Altre fattispecie di conversione sono quelle previste nell'art. 11, comma 5, della legge n. 3/2012, vale a dire quando si realizzi: (i) la cessazione di diritto degli effetti dell'accordo omologato (o del piano omologato di cui all'art. 14-bis, comma 1, della legge n. 3/2012), che ricorre quando il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie; (ii) la revoca dell'accordo omologato (o del piano omologato di cui all'art. 14-bis, comma 1, della legge n. 3/2012) qualora risulti che il debitore durante la procedura ha compiuto atti diretti a frodare le ragioni dei creditori, in tali ultime ipotesi, stante il tenore letterale della seconda parte dell'art. 14 - quater, la conversione si ha anche d'ufficio da parte del Giudice, anziché solo su iniziativa del debitore o dei creditori.

 

5.2. Il piano del consumatore

L'art. 6, comma 2, lett. b), della legge n. 3/2012 definisce il consumatore come debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.

Pertanto se il debitore ha assunto debiti di natura mista e quindi per attività d'impresa o professionale e per debiti diversi da quelli di natura personale, l'unica procedura a cui sarà ammesso è l'accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento mentre gli sarà precluso il piano del consumatore (nota 20).

Da quanto sopra consegue, allora, che:

a) il consumatore può accedere alternativamente:

- al piano del consumatore (ex art. 6 legge n. 3/2012);

- all'accordo da sovraindebitamento (ex art. 7, comma 1-bis, legge n. 3/2012);

- alla liquidazione del patrimonio con possibile "esdebitazione" (ex art 14-ter, legge n. 3/2012);

b) tutti gli altri soggetti diversi dal consumatore possono accedere alternativamente:

- all'accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento;

- alla liquidazione del patrimonio.

 

5.2.1. Il contenuto

Il piano del consumatore presenta alcune significative differenze rispetto all'accordo di composizione; quella che appare più rilevante è che la proposta del consumatore non è sottoposta all' approvazione dei creditori.

Alla volontà di questi ultimi è sostituita la valutazione discrezionale del Giudice che scrutina la fattibilità, l'assenza degli atti in frode ai creditori e la meritevolezza del consumatore nonché la convenienza della proposta in ipotesi di contestazioni al riguardo.

La valutazione del Giudice è supportata da una relazione particolareggiata dell’O.C.C., o del Gestore per quanto sopra detto, redatta ai sensi dell'art. 9, comma 3 - bis, legge n. 3/2012, che deve contenere:

a) l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal consumatore nell’assumere volontariamente le obbligazioni;

b) l'esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte;

c) il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni;

d) l'indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori;

e) giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata dal consumatore a corredo della proposta, nonché sulla probabile convenienza del piano rispetto all'alternativa liquidatoria.

L'O.C.C. verifica, come nell'accordo, la veridicità dei dati contenuti nella proposta e nei documenti allegati, nonché attesta la fattibilità del piano (nota 21) nonché la probabile convenienza rispetto all' alternativa liquidatoria.

È opportuno, pertanto, che già il piano contenga tutti i dati utili per consentire la valutazione da parte del Giudice sulla "meritevolezza e l'assenza di colpa del debitore consumatorè'. Determinanti saranno, in questo caso, tutte le informazioni raccolte e relative alle scelte fatte dal consumatore (ad es. l'oggetto dei suoi acquisti, l'entità dei propri guadagni al momento di effettuazione degli acquisti, se il debitore poteva "permettersi" tale spesa o l'ha effettuata in modo del tutto irresponsabile etc.).

È evidente come questo punto rappresenti lo snodo cruciale dell'intera procedura poiché la possibilità di ottenere o meno l'omologa ai sensi dell'art. 12 - bis, legge n. 3/2012, dipenderà, in prevalente misura, da come saranno interpretati dall'organo giudiziario i dati forniti.

 

5.2.2. La procedura

Passando ad esaminare le fasi in cui si articola la fase relativa alla procedimento di omologazione del piano, occorre soffermarsi su quelle iniziali, relative al deposito del fascicolo e all'apertura.

Il Giudice provvede immediatamente a verificare l'assenza di atti in frode ai creditori.

Per atti in frode ai creditori devono intendersi, tutti ma non solo, i comportamenti individuati nell'art. 14-bis (ovvero aver dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo ovvero dolosamente simulate attività inesistenti).

Solo a seguito di tale verifica il Giudice fissa l'udienza di omologazione del piano nel termine di sessanta giorni dalla data di deposito della proposta o eventualmente delle integrazioni richieste.

Il decreto di fissazione dell'udienza di omologazione può qualificarsi come provvedimento di ammissione alla procedura, considerando superati i profili di ammissibilità, in quanto, a differenza della proposta di accordo, alcuni rilevanti effetti sono differiti al decreto di omologazione, equiparato al pignoramento.

La comunicazione della proposta del debitore a tutti i creditori è a carico dell'O.C.C., così come nell'accordo e con i medesimi termini.

Differentemente da quanto avviene in caso di accordo, non viene specificato il mezzo di comunicazione: sembrerebbe, pertanto, che i mezzi di comunicazione siano quelli usuali (telegramma, raccomandata a.r., fax, PEC).

A differenza che nell' accordo il decreto di ammissione non è pubblicizzato.

Un' ulteriore e importante distinzione tra i due istituti si ravvisa nella circostanza che nell'art. 12 - bis, comma 2, legge n. 3/2012 non è prevista la sospensione generalizzata delle azioni esecutive di cui all'art. 10, comma 2, legge n. 3/2012.

Fino al momento in cui il provvedimento di omologazione diviene definitivo, il Giudice può disporre la sospensione dei procedimenti di esecuzione forzata (mobiliari, immobiliari e presso terzi) qualora ritenga che dalla prosecuzione possa essere pregiudicata la fattibilità del piano.

Non è specificato come nell'accordo che la sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili.

Tale eventuale provvedimento di sospensione da parte del Giudice dovrebbe venire disposto con il decreto che fissa l'udienza dei creditori.

Per quanto attiene all'omologazione, ai sensi dell'art. 12-bis, comma 7, legge n. 3/2012 il decreto deve intendersi equiparato all'atto di pignoramento (sui singoli beni oggetto del piano) con conseguente applicazione della relativa disciplina in quanto compatibile e produce, innanzitutto, un effetto sulle procedure esecutive individuali.

Nella procedura di accordo, invece, l'equiparazione avviene già con il decreto di ammissione (ex art. 10, comma 2, punto c).

L'art. 12-ter, co. 2, legge n. 3/2012 prevede che il piano omologato sia obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto di omologazione, restando peraltro impregiudicati i diritti di tali creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso.

Inoltre, la normativa prevede:

- il divieto, per i creditori con causa o titolo anteriore come sopra individuati, di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari e di acquistare diritti di prelazione (art. 12-ter, co. I) (nota 22); il blocco delle azioni esecutive da parte dei creditori per causa o titolo posteriore all'omologa sui beni oggetto del piano (e quindi, dovrebbe ritenersi estesa anche sui beni eventualmente messi a disposizione da terzi, ai sensi dell'art. 8, comma 2, legge n. 3/2012) (nota 23).

La procedura, pertanto, s'incentra sull'omologazione e l'oggetto proprio di tale giudizio va individuato nell'accertamento: della fattibilità del piano;

della sua idoneità ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili e dei crediti di cui all'art. 7, comma 1;

della meritevolezza del debitore.

È il caso di precisare, con riferimento alla verifica della meritevolezza, che la legge (art. 12-bis, comma 3, legge n. 3/2012) ne fissa la ricorrenza quando è escluso che il consumatore:

a) abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere;

b) abbia colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali.

Alla luce di quanto sopra e per inciso, sembrerebbe che lo screening di meritevolezza che il Gestore della crisi, o, se del caso, il professionista facente funzioni di O.C.C., è tenuto ad effettuare nella relazione particolareggiata di cui all'art. 9, comma 3, legge n. 3/2012 (nota 24) sia condotto su due livelli, vale a dire tenendo in considerazione sia la genesi dell'obbligazione contratta, sia la fase funzionale del rapporto e quindi le modalità con cui il credito è stato impiegato.

Tornando agli aspetti più strettamente procedurali, nell'udienza di omologazione i creditori possono formulare contestazione per esplicito riferimento di legge in ordine all'effettivo ammontare dei crediti.

Si discute se i creditori possano formulare qualsiasi altro tipo di contestazione.

Sembrerebbe logico ritenere che esse possano riguardare tutti i profili, procedimentali e sostanziali, della vicenda, dalla sussistenza dei presupposti per l'accesso al procedimento alla non fattibilità del piano.

Anche nell'ambito della procedura del piano del consumatore, la legge consente espressamente al singolo creditore (e addirittura ad ogni altro interessato) di contestare il piano sotto il profilo della convenienza, stabilendo che l'omologazione del piano è concessa se il Giudice ritenga che il creditore possa essere soddisfatto dall'esecuzione dello stesso in misura non inferiore a quanto realizzabile in ipotesi dell'alternativa liquidatoria (di tutti i beni) disciplinata dalla medesima legge n. 3/2012 (art. 12-bis, comma 4).

Proseguendo nell'analisi, si mette in luce che, allo stesso modo del concordato preventivo, è previsto il meccanismo del cram down poiché, anche in presenza di contestazioni da parte di creditori o altri interessati circa la convenienza del piano, il Giudice può comunque omologarlo se ritiene che il credito possa essere soddisfatto in misura non inferiore all'alternativa liquidatoria di cui sopra.

È prevista la moratoria fino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione (ex art. 8, comma 4, legge n. 3/2012).

Il procedimento di omologazione - che si svolge in camera di consiglio ed è disciplinato dagli artt. 737 ss. c.p.c.- si conclude con un provvedimento con cui il Giudice omologa oppure nega l'omologazione e contro il quale è possibile proporre reclamo al Tribunale in composizione collegiale.

Con l'ordinanza di diniego di omologazione il Giudice dichiara anche l'inefficacia dell'eventuale provvedimento di sospensione di procedimenti esecutivi in corso, di cui all'art. 12-bis comma 2, legge n. 3/2012.

Il decreto di omologazione deve intervenire entro sei mesi dalla presentazione della proposta. Il Giudice deve disporre idonee forme di pubblicità per tale decreto, che deve comunque essere trascritto a cura dell'O.C.C. quando il piano prevede la cessione o l'affidamento a terzi di beni immobili o di beni mobili registrati.

Occorre, infine, spendere qualche cenno con riferimento alla fase dell'esecuzione del piano del consumatore. La norma di riferimento è l'art. 13 della legge n. 3/2012 e la disciplina è comune sia per quanto attiene all'esecuzione dell'accordo, sia per quanto attiene all'esecuzione del piano. Un'unica differenza si potrebbe rinvenire nella parte in cui la legge prevede che il Giudice, ricorrendo gravi e giustificati motivi, può sospendere gli atti di esecuzione: tale previsione è espressamente riferita solo all'accordo e non anche al piano del consumatore. E' dubbio, pertanto, se nel silenzio della legge, l'ipotesi considerata si estenda anche alla sospensione degli atti posti in essere in esecuzione del piano.

 

5.3. La liquidazione del patrimonio

La procedura di liquidazione del patrimonio è regolamentata nella sezione seconda della legge n. 3/2012, e più precisamente dagli articoli da 14 - ter a 14 - duodecies.

Possono accedere alla procedura di liquidazione del patrimonio i soggetti non fallibili (imprenditori commerciali sotto soglia, professionisti, enti non commerciali, imprenditori agricoli, consumatori), previa apposita domanda.

La liquidazione del patrimonio può altresì essere attivata, su istanza del debitore o dei creditori, a seguito di cessazione degli effetti dell'accordo ai sensi dell'art. 11, comma 5, legge n.3/2012, annullamento e/o risoluzione dell'accordo, revoca e cessazione degli effetti dell'omologazione del piano del consumatore ai sensi dell'art. 14 - bis legge n. 3/2012.

Requisito oggettivo necessario ai fini dell'ammissione alla procedura è io stato di sovraindebitamento, come sopra individuato (nota 25).

La procedura è disciplinata da un insieme di disposizioni che, anche nella formulazione letterale, sembrano ispirate a quelle vigenti in materia di fallimento, essendo essa fondata sulla liquidazione del patrimonio, condotta da un organo della procedura che amministra i beni e su una fase di accertamento delle passività. Esistono differenze sostanziali rispetto al fallimento sia in considerazione di pervasività dell'attività dell'organo giudiziario sia per quanto attiene allo inquadramento giuridico della figura del liquidatore che non è assimilabile a quella del curatore. Manca altresì un rinvio espresso alla normativa fallimentare per quanto non disciplinato nella legge n. 3/2012, il che impone al giudice, di volta in volta, un approfondito esame circa l'applicabilità o meno in via analogica dei corrispondenti istituti della legge fallimentare. Non è tutto.

A differenza del fallimento lo stato passivo e il programma di liquidazione non sono oggetto di approvazione né da parte dei creditori, né da parte del Giudice, la cui approvazione, limitatamente allo stato passivo, interviene solo in caso di osservazioni ritenute non superabili dal liquidatore. Non sono esplicitate modalità di chiusura della procedura.

in termini di qualificazione giuridica della figura del liquidatore del patrimonio e dell'esatta individuazione della funzione da questi svolta, parrebbe peraltro dirimente, l'inquadramento normativo che la legge fa del decreto di apertura della liquidazione, che ai sensi dell'art. 14 - quinquies, comma 3, legge n. 3/2012, viene equiparato all'atto di pignoramento.

Tale scelta del legislatore parrebbe incidere anche rispetto alla definizione del ruolo del liquidatore. In assenza di espressi rinvii all'art. 42 l.f. e avendo a riferimento le conseguenze dell'equiparazione all'atto di pignoramento, parrebbe esorbitante parlare di spossessa mento dei beni del debitore e di assunzione da parte del liquidatore degli incombenti conseguenti. Nell'ottica di un'interpretazione sistematica della normativa vigente, gli effetti prodotti dal concetto di "amministrazione dei beni", come previsto all'art. 14 - novies, comma 2, legge n. 3/2012, in considerazione della qualificazione giuridica del decreto di apertura della procedura di liquidazione del patrimonio, dovrebbero probabilmente consentire di non ricondurre la fattispecie nell'ambito dell'art. 42 l.f..

In considerazione che, per espressa previsione del decreto n. 202/2014 (nota 26), il Gestore della crisi svolge la prestazione inerente (anche) alla liquidazione del patrimonio del debitore, nello svolgimento di tale funzione egli potrebbe qualificarsi come un soggetto incaricato di gestire un patrimonio destinato alla soddisfazione dei creditori.

il liquidatore, pertanto, non è un rappresentante legale generale, né esercita un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale sui beni facenti parte del patrimonio da liquidare, di cui, pertanto, non può essere considerato possessore, ma al limite mero detentore. In particolare non può essergli attribuita la titolarità di obblighi derivanti dalla normativa fiscale, che in quanto legislazione speciale, difficilmente può peraltro trovare riscontro in un'applicazione analogica. (nota 27)

La liquidazione del patrimonio del debitore può essere essenzialmente ripartita nelle seguenti fasi:

1. apertura della procedura;

2. accertamento del passivo;

3. liquidazione dell'attivo.

 

5.3.1. Apertura della procedura

La procedura di liquidazione del patrimonio si apre con il deposito, presso il Tribunale competente

(art. 28 c.p.c.), da parte del debitore sovraindebitato, di un'istanza in cui chiede la liquidazione di tutti i suoi beni, o come detto mediante un'istanza di conversione delle procedure di accordo o piano del consumatore.

All'istanza occorre allegare la documentazione di cui all'art. 9, commi 2 e 3, legge n.3/2012 (elenco: dei creditori e delle somme dovute, dei beni del debitore, degli atti dispositivi compiuti negli ultimi cinque anni e delle spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e della di lui famiglia; stato di famiglia del debitore; dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni; qualora il debitore svolga attività d'impresa, copia conforme delle scritture contabili degli ultimi tre esercizi), oltre che una relazione particolareggiata dell'Organismo di composizione della crisi, che contenga necessariamente:

l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell'assumere le obbligazioni,

l'esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore persona fisica di adempiere le proprie obbligazioni,

il resoconto sulla solvibilità del debitore persona fisica negli ultimi cinque anni, l'indicazione dell'eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori, il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda.

Con il deposito della domanda di ammissione alla procedura di liquidazione del patrimonio, è sospeso il decorso degli interessi convenzionali o legali, fino alla chiusura della procedura, a meno che ¡crediti non siano garantiti da ipoteca, pegno o privilegio e fatto salvo quanto disposto dagli artt. 2749, 2788 e 2855, commi 2 e 3, c.c..

in presenza di tutti i presupposti fissati dalla legge, il Giudice emette un decreto di apertura della liquidazione con il quale nomina un liquidatore (anche lo stesso O.C.C.), se non già nominato su proposta dell'O.C.C. e dispone che sino al momento della chiusura della procedura (seppur in presenza di un dato letterale normativo che fa riferimento alla definitiva omologazione), a pena di nullità, non possano essere iniziate o proseguite azioni cautelari o esecutive né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di liquidazione, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore.

E' prevista l'inammissibilità della domanda, se la documentazione prodotta non consenta la puntuale ricostruzione della situazione economica e patrimoniale del debitore.

Sono esclusi dalla liquidazione: i crediti impignorabili ex art. 545 c.p.c.; i crediti aventi natura alimentare e di mantenimento, stipendi, salari, pensioni e ciò che il debitore guadagna con la propria attività, nei limiti, definiti dal Giudice, di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia; i frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i loro frutti, salvo quanto disposto dall'art. 170 c.c.; le cose impignorabili per disposizione di legge, il decreto di apertura della procedura di liquidazione deve intendersi equiparato all'atto di pignoramento.

 

5.3.2. Accertamento del passivo

il liquidatore verifica l'elenco dei creditori e l'attendibilità della documentazione allegata, formando l'inventario dei beni da liquidare.

Egli comunica, quindi, a tutti i creditori le modalità di presentazione della domanda di partecipazione alla liquidazione, in particolare: la possibilità di trasmissione della stessa a mezzo p.e.c., o con altro mezzo di cui vi sia prova del l'avvenuta ricezione; la data entro cui depositare la domanda di partecipazione; la data entro cui verrà trasmesso lo stato passivo.

La domanda che può essere di partecipazione alla liquidazione, ma anche di restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili, deve essere proposta con ricorso, con l'indicazione: delle generalità del creditore;

della determinazione della somma che si intende far valere nella liquidazione o la descrizione del bene che si rivendica o di cui si chiede la restituzione;

della sintetica esposizione degli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda; dell'indicazione dell'eventuale titolo di prelazione di cui si chiede il riconoscimento; dell'indicazione dell'indirizzo p.e.c. o del numero di fax o l'elezione di domicilio presso un comune del circondario presso cui ha sede il Tribunale; in assenza di quest'ultima indicazione, tutte le successive comunicazioni verranno effettuate mediante deposito presso la cancelleria del Tribunale.

Al ricorso va allegata la documentazione comprovante le richieste di cui si chiede il riconoscimento. Una volta pervenute le domande di partecipazione alla liquidazione presentate dai creditori, il liquidatore predispone un progetto di stato passivo, che comprende un elenco dei titolari dei diritti sui beni mobili e immobili in proprietà o in possesso del debitore, comunicandolo agli interessati e assegnando loro un termine di quindici giorni per le osservazioni.

In presenza di osservazioni, se ritenute fondate, il liquidatore, scaduto il termine per la loro proposizione, predispone un nuovo progetto di stato passivo, da trasmettere nuovamente ai creditori e fissando un nuovo e ulteriore termine di quindici giorni per le ulteriori repliche. Qualora le contestazioni non risultino componibili, il liquidatore rimette gli atti al Giudice, che provvede alla definitiva formazione dello stato passivo. Il provvedimento del Giudice è impugnabile con reclamo e lo stesso non potrà far parte del Collegio giudicante.

In caso di assenza di osservazioni, il liquidatore approva lo stato passivo dandone comunicazione agli interessati.

I creditori, con causa o titolo posteriore al momento dell'esecuzione della pubblicità disposta dal Giudice con il decreto di apertura della procedura di liquidazione, non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto di liquidazione.

Si dibatte sulla sorte dei procedimenti civili ordinari in corso all'atto della formazione dello stato passivo, anche se appare plausibile ritenere che la cristallizzazione dello stato passivo non operi diversamente da quella che si verifica in sede fallimentare, rendendo inopponibili gli accertamenti verificatisi al di fuori della procedura di liquidazione.

 

5.3.3. Liquidazione detrattivo

il liquidatore, entro trenta giorni dalla formazione del l'inventario, elabora un programma di liquidazione che garantisca la ragionevole durata del procedimento, il programma di liquidazione viene comunicato ai creditori e al debitore e depositato presso la Cancelleria del Tribunale; la legge non ne prevede l'approvazione.

il liquidatore amministra il patrimonio da liquidare, che può essere composto da: crediti, beni mobili e immobili, ivi compresi gli accessori, le pertinenze e i frutti.

il liquidatore esercita ogni azione prevista dalla legge che consenta di conseguire la disponibilità dei beni e di recuperare i crediti compresi nel patrimonio del debitore, il liquidatore può subentrare nelle procedure esecutive pendenti.

Qualora nel patrimonio da liquidare siano compresi crediti, dei quali non è probabile l'incasso nei quattro anni successivi al deposito della domanda, gli stessi saranno oggetto di cessione.

Tutti i beni facenti parte del patrimonio da liquidare, salvo quelli di modesto valore, sono oggetto di stima da parte di operatori esperti.

Nella liquidazione del patrimonio deve essere assicurata la massima informazione e partecipazione degli interessati tramite opportune forme di pubblicità. Gli atti di liquidazione devono avvenire in conformità al programma di liquidazione tramite procedure competitive e avvalendosi di operatori specializzati.

Le operazioni di vendita non possono essere completate senza che siano stati informati il debitore, i creditori e il Giudice, in merito all'esito delle stesse. In presenza di gravi e giustificati motivi, il Giudice può sospendere gli atti di esecuzione del programma di liquidazione.

il Giudice, sentito il liquidatore e verificata la conformità degli atti dispositivi al programma di liquidazione, autorizza con decreto: lo svincolo delle somme; ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento e delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro vincolo, ivi compresa la trascrizione del decreto di apertura della liquidazione e dichiara la cessazione di ogni altra forma di pubblicità disposta.

I crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, fatta eccezione per il ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno o ipoteca, per la parte destinata ai creditori garantiti.

I beni e i crediti sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda costituiscono oggetto della procedura di liquidazione, dedotte le spese sostenute dal debitore per l'acquisto e la conservazione dei beni e dei crediti medesimi fino al momento dell'apprensione all'attivo da liquidare. E' onere del debitore integrare l'inventario dei beni da liquidare.

La procedura rimane aperta sino alla completa esecuzione del programma di liquidazione e, in ogni caso (e in deroga all'art. 2, legge 24 marzo 2001, n. 89), per i quattro anni successivi al deposito della domanda.

Non essendo esplicitato, come già precisato, un chiaro iter procedimentale in relazione alla fase di chiusura, si potrebbe mutuare lo schema operativo dettato dall'accertamento del passivo, con la presentazione di un rendiconto da trasmettere ai creditori e in caso di osservazioni non conciliabili, il ricorso all'approvazione del Giudice.

 

6. ESDEBITAZIONE

L'art. 14-terdecies della legge n. 3/2012 prevede l'ammissione al beneficio della liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali e non soddisfatti (principio analogo a quanto anche già previsto dalla legge fallimentare agli artt. 142-143 l.f.).

II beneficio dell'esdebitazione è previsto:

- per il debitore persona fisica (art. 14-terdecies, comma 1, della legge n. 3/2012);

- dopo la chiusura della procedura di liquidazione del patrimonio (art. 14-terdecies, comma 4, della legge n. 3/2012).

in caso di accordo del debitore o di piano del consumatore, l'effetto esdebitatorio è automatico, ad eccezione delle procedure in cui la proposta omologata preveda soltanto una moratoria o una dilazione.

Il Giudice concede il beneficio dell'esdebitazione (o fresh start), al debitore persona fisica, previa istanza da depositarsi entro l'anno successivo alla chiusura della liquidazione, in presenza di precise condizioni sostanzialmente legate alla meritevolezza dei comportamenti posti in essere.

Tali condizioni di meritevolezza ricorrono quando il debitore:

a) abbia cooperato al regolare ed efficace svolgimento della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utili, nonché adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni;

b) non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;

c) non abbia beneficiato di altra esdebitazione negli otto anni precedenti la domanda;

d) non sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per uno degli specifici reati previsti dall'art. 16 della legge n. 3/2012;

e) abbia svolto, nei quattro anni di durata della liquidazione, un'attività produttiva di reddito adeguata rispetto alle proprie competenze e alla situazione di mercato o, in ogni caso, abbia cercato un'occupazione e non abbia rifiutato, senza giustificato motivo, proposte di impiego;

f) siano stati soddisfatti, almeno in parte, i creditori per titolo e causa anteriore al decreto di apertura della liquidazione.

Per converso, l'esdebitazione del debitore è esclusa:

a) quando il sovraindebitamento del debitore è imputabile ad un ricorso al credito colposo e sproporzionato rispetto alle sue capacità patrimoniali e reddituali;

b) quando il debitore, nei cinque anni precedenti l'apertura della liquidazione o nel corso della stessa, ha posto in essere atti in frode ai creditori, pagamenti od altri atti dispositivi del proprio patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo di favorire alcuni creditori a danno di altri.

Il legislatore ha previsto anche ipotesi in cui l'esdebitazione non opera. Si tratta, più specificatamente, di:

a) debiti derivanti da obblighi di mantenimento e alimentari;

b) debiti da risarcimento dei danni derivanti da fatto illecito extracontrattuale, nonché per le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti;

c) debiti fiscali che, pur avendo causa anteriore al decreto di apertura delle procedure di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento e di piano del debitore, sono stati successivamente accertati in ragione della sopravvenuta conoscenza, da parte dell'Amministrazione Fiscale, di nuovi elementi.

I creditori non soddisfatti integralmente possono proporre reclamo ai sensi dell'art. 739 c.p.c. di fronte al Tribunale e del collegio non può fare parte il Giudice che ha emesso il decreto.

Il provvedimento di esdebitazione è revocabile in ogni momento, su istanza dei creditori, anche se soddisfatti integralmente, se risulta:

- che esso è stato concesso avendo il debitore, nei cinque anni precedenti l'apertura della liquidazione o nel corso della stessa, posto in essere atti in frode ai creditori, pagamenti od altri atti dispositivi del proprio patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo di favorire alcuni creditori a danno di altri;

- che è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo ovvero simulate attività inesistenti.

 

7. PROFILI FISCALI

La legge n. 3/2012, così come successivamente modificata, non prevede disposizioni di carattere tributario, se non quelle che verranno commentate nel prosieguo.

In mancanza di una disciplina tributaria del sovraindebitamento, sia sotto un profilo formale o procedimentale, che sotto il profilo sostanziale, in attesa di chiarimenti da parte dell'Agenzia delle Entrate, non si può che prendere atto che il debitore sovraindebitato, sia esso un consumatore, un imprenditore, un professionista, una società o un ente non commerciale, continua ad essere soggetto agli obblighi e alle obbligazioni tributarie comuni a tutti i contribuenti.

Del pari, il liquidatore del patrimonio, il liquidatore dell'accordo omologato o del piano del consumatore omologato, il Gestore per la liquidazione, il professionista facente funzioni di O.C.C.. o il Gestore della crisi non sono soggetti a specifici obblighi di natura tributaria, tranne quelli di seguito indicati.

Venendo all'analisi delle norme di carattere tributario, l'art. 9, comma 1, terzo periodo, stabilisce che la proposta di accordo o la proposta di piano, oltre ad essere depositata in Tribunale, va presentata, entro itre giorni successivi, all'agente della riscossione e agli uffici tributari, anche degli enti locali, con adempimento posto a carico dell'O.C.C. o comunque del gestore della crisi.

La proposta deve contenere un apposito capitolo volto alla ricostruzione della posizione fiscale del debitore, con espressa indicazione degli eventuali contenziosi tributari pendenti.

La proposta, poi, non può prevedere la riduzione dei debiti verso lo Stato per IVA e tributi alla fonte, né di quelli costituenti risorse proprie dell'UE, essendo ammissibile soltanto la dilazione.

La legge nulla prescrive circa gli adempimenti a carico dell'agente della riscossione o degli uffici tributari, in conseguenza dell'avvenuta presentazione della proposta, a differenza di quanto dispone

- per le imprese fallibili - l'art. 182-ter l.f. in tema di transazione fiscale.

Tale lacuna è stata, tuttavia, colmata in via interpretativa dall'Agenzia delle Entrate, che, in occasione della circ. n. 19/E del 6 maggio 2015, ha chiarito che l'Ufficio tributario competente in relazione all'ultimo domicilio fiscale del sovraindebitato è tenuto - nel più breve tempo possibile -, alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni, alla notifica degli avvisi di irregolarità e degli avvisi di accertamento, nonché a predisporre e a trasmettere al debitore una certificazione attestante il complessivo debito tributario, avendo cura di distinguere il debito per IVA e per ritenute alla fonte, solo oggetto di dilazione e non di stralcio.

Tale certificazione concerne i debiti che, alla data di presentazione della proposta, non sono stati iscritti a ruolo o comunque non sono stati ancora affidati all'Agente della riscossione.

Infatti, per i debiti in carico all'agente della riscossione provvede quest'ultimo a trasmettere al contribuente sovraindebitato una certificazione attestante l'entità del debito iscritto a ruolo e del debito derivante dagli avvisi di accertamento esecutivi, la cui riscossione è stata affidata all'Agente medesimo, indicando i tributi, gli interessi e le sanzioni, nonché gli interessi di mora.

Circa il soggetto competente ad esprimere il consenso o il dissenso alla proposta di accordo, è stato chiarito che (i) per i tributi non iscritti a ruolo ovvero non ancora consegnati all'agente della riscossione alla data di presentazione della proposta spetta al direttore dell'ufficio con proprio atto esprimere l'assenso o il dissenso, mentre (ii) per i tributi iscritti a ruolo o accertati ai sensi dell'art. 29, comma 1, del d. legge, n. 78/2010 spetta all'agente della riscossione, ma su indicazione dell'Ufficio competente.

Nella liquidazione del patrimonio l'art. 14-ter, comma 4, stabilisce che l'O.C.C. o il Gestore della crisi entro tre giorni dalla richiesta di relazione ne dà notizia all'agente della riscossione e agli uffici tributari, competenti sulla base dell'ultimo domicilio fiscale dell'istante.

Assai incerto è il dies a quo, individuato dalla norma nella "richiesta di relazione". Sotto il profilo letterale, sembrerebbe che si trattasse della relazione particolareggiata che l'O.C.C. o il Gestore della crisi deve redigere prima di depositare in Tribunale la domanda di liquidazione della quale la relazione costituisce un allegato.

La circolare citata nulla dice in proposito agli adempimenti degli uffici tributari conseguenti alla comunicazione della "notizia" che verrà presentata una domanda di liquidazione del patrimonio da parte del sovra indebitato. E' da ritenere che, comunque, gli uffici vengano successivamente raggiunti dalla comunicazione del liquidatore del patrimonio relativa al l'accerta mento del passivo, in base alla quale procederanno alla presentazione della domanda di partecipazione alla liquidazione.

Per quanto concerne l'esegesi della normativa in tema di tributi diretti sul reddito, di IRAP, di IVA e di altri tributi indiretti, con riferimento al debitore, ai creditori e agli O.C.C., la disamina delle problematiche tributarie sarà oggetto di apposito documento interpretativo, in considerazione di quanto sopra, in assenza di espresse previsioni di legge e di chiarimenti da parte dell'Agenzia, è sempre preferibile assumere atteggiamenti prudenziali nel fornire interpretazioni ritenendo, pertanto, esclusa qualsiasi applicazione estensiva - e vieppiù analogica - di disposizioni dettate con riferimento ad altre procedure concorsuali. Ad ogni buon conto, e solo in una prospettiva meramente ricognitiva di istituti e connesse problematiche relative alla disciplina fiscale, si effettuano di seguito alcune generali considerazioni.

 

7.2. Effetti fiscali sul debitore

Con riguardo alla posizione fiscale del debitore, due sembrerebbero gli aspetti principali da analizzare, vale a dire l'eventuale rilevanza reddituale:

- della riduzione dei debiti;

- delle cessioni dei beni funzionali alla soddisfazione dei creditori.

Tali problematiche vanno affrontate distinguendo l'ipotesi in cui il debitore sovraindebitato sia un imprenditore commerciale (come tale soggetto all'applicazione del regime dei redditi di impresa) dalle quella del consumatore.

 

7.3. Debitore titolare del reddito d'impresa

in mancanza di espressa previsione normativa, non è mancato chi ritenga che sia applicabile, come avviene nei concordati fallimentari preventivi nonché negli accordi di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182 - bis l.f.., l'art. 88, comma 4, del Tuir (d.p.r. n. 917/86). Tale disposizione specifica che la riduzione dei debiti dell'impresa non rappresenta sopravvenienza attiva e quindi non è tassabile. Del pari, sembra applicabile l'art. 86, comma 5 del TUIR, che prevede come in caso di cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non vi sia realizzo di plusvalenze e minusvalenze dei beni.

 

7.4. Debitore-consumatore

In proposito, un'eventuale riduzione dei debiti conseguente all'attuazione del procedimento di composizione della crisi potrebbe essere priva di rilevanza reddituale non essendo riconducibile ad alcuna delle ipotesi testualmente disciplinate dal TUIR con riferimento alle singole categorie reddituali.

Al contrario, parrebbero mantenere una rilevanza reddituale le operazioni di vendita di beni funzionali a sostenere il programma di composizione della crisi da sovraindebitamento, ad esempio le cessioni di immobili infraquinquennali o di partecipazioni generatrici di capital gain.

 

7.5. Effetti fiscali sul creditore

Anche per quanto riguarda la componente reddituale costituita dalle perdite su crediti, non vi è certezza sulla deducibilità o meno di tale componente di reddito. L'art. 101 del TUIR, infatti, fa espressamente riferimento alle perdite su crediti nei confronti di un debitore assoggettato a procedure concorsuali e potrebbero sorgere dubbi sul fatto che ne sia consentita l'applicazione alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.

inoltre, non va trascurato che quando il legislatore ha voluto estendere l'applicazione della deducibilità delle perdite su crediti derivanti da istituti idonei a risolvere la crisi d'impresa, lo ha fatto espressamente. Si pensi, infatti, agli accordi di ristrutturazione dei debiti ex 182-bis della l.f., che, tramite il comma 5 del l'art. 33 del d.l. n. 83/2012, sono stati inclusi fra gli eventi che, al pari delle procedure concorsuali, consentono la deduzione immediata delle perdite su crediti a far data dal decreto di omologazione del Tribunale.

Resta inteso che potrebbe risultare applicabile l'art. 101, comma 5, laddove prevede che le perdite su crediti sono deducibili "se risultano da elementi certi e precisi" ed in questo caso, il momento temporale cui ricondurre tale deducibilità sembrerebbe poter essere quello dell'omologazione dell'accordo.

Per quanto riguarda l'IVA, valgono le medesime considerazioni sopra espresse, permanendo dubbi ed incertezze sull'applicabilità della previsione dell'art. 26, comma 2 del d.p.r. n. 633/1972 che, come noto, permette l'emissione di una nota di accredito volta al recupero dell'imposta a suo tempo assolta in conseguenza del venir meno dell'operazione per mancato pagamento in tutto o in parte di quanto dovuto a causa di procedure concorsuali o esecutive rimaste infruttuose. La criticità può riguardare anche l'individuazione del momento in cui la nota di credito può essere emessa. Tale aspetto potrebbe essere risolto, sulla base dell'orientamento formatosi con riferimento allo stesso art. 26 del d.p.r. n. 633/1972 rispetto alle fattispecie tradizionali. Alla luce delle posizioni dell'Amministrazione Finanziaria, la nota di credito può essere emessa solo quando risulti acclarata la infruttuosità e, quindi, si consegua la certezza del mancato incasso.

Pertanto, volendo assimilare le procedure in commento con quelle tradizionali del concordato e del fallimento si può concludere che la nota potrebbe essere emessa:

a) in caso di accordo, a seguito del decreto di omologa dell'accordo stesso da parte del Tribunale;

b) in caso di liquidazione, a seguito del decreto di chiusura di cui all'art. 14-novies, comma 5, della legge n. 3/2012.

 

7.6. L'imposizione indiretta negli accordi

Per quanto attiene all'applicabilità dell'imposta di registro sui provvedimenti dell'autorità giudiziaria adottati nel contesto dei procedimenti di composizione della crisi di cui alla legge n. 3/2012, sempre in assenza di specifiche disposizioni normative, si potrebbe ritenere applicabile quanto previsto con Risoluzione n. 27/E del 26 marzo 2012, nella quale l'Amministrazione Finanziaria, prendendo atto di un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha ritenuto i decreti di omologa dei concordati sottoposti alle previsioni dell'art. 8, lettera g) della Tariffa allegata al d.p.r. n. 131/1986. In tali casi, l'applicazione dell'imposta in misura fissa è giustificata dal fatto che con il decreto di omologa il Tribunale svolge soltanto una attività di controllo giudiziale su atti ed attività che sono frutto dell'autonomia negoziale delle parti che hanno raggiunto l'accordo senza che si determini alcun trasferimento di beni o diritti né l'assunzione di obbligazioni.

 

8. COMPENSI

Gli articoli da 14 a 18 del decreto n. 202/2014 disciplinano la determinazione dei compensi e dei rimborsi spese dell'organismo di composizione della crisi da sovra indebita mento per l'opera prestata nello svolgimento di una delle tre procedure di cui al Capo II della Legge 3/2012.

L'art. 14, comma 1, del summenzionato decreto n. 202/2014, stabilisce che questa disciplina si applica " in difetto di accordo col debitore ", il che significa che l'organismo e il debitore di comune accordo possano derogarvi.

In materia di determinazione del compenso dell'O.C.C. si prevede che:

in base all'art. 14 che l'onorario sia calcolato secondo le disposizioni contenute negli articoli successivi (artt. da 15 a 18 del decreto n. 202/2014) stabilendo, altresì, la condizione che allo stesso organismo di composizione della crisi spetti un rimborso spese forfettario nella misura ricompresa tra il 10% ed il 15% calcolato sul compenso ed il rimborso integrale per le spese effettivamente sostenute e puntualmente documentate. Le limitazioni previste dai commi precedenti non sono vincolanti nella determinazione del compenso.

I criteri di determinazione dei compensi, sono regolamentati tenuto conto dell'opera prestata, dei risultati ottenuti, dei tempi di svolgimento, della complessità dell'incarico e dell'utilizzo di eventuali ausiliari (art. 15);

I parametri con i quali si determina il compenso dell'Organismo, in ipotesi di procedure di accordo da sovraindebitamento e di piano del consumatore in cui sono previste forme di liquidazione dei beni vengano definiti ex art. 16 in base ai seguenti criteri di calcolo:

 

A. Per l'accordo da sovraindebitamento ed il piano del consumatore per i quali è prevista una forma di liquidazione dei beni (art. 16, comma 1, decreto n. 202/2014).

- Art. 1, comma 1, d.m. n. 30/2012

 

SUL TOTALE ATTIVO REALIZZATO

PARAMETRI

%

Da - a 16.227,08 min 12,00 max 14,00
Da 16.227,08 a 24.340,62 min 10,00 max 12,00
Da 24.340,62 a 40.567,68 min 8,50 max 9,50
Da 40.567,68 a 81.135,38 min 7,00 max 8,00
Da 81.135,38 a 405.676,89 min 5,50 max 6,50
Da 405.676,89 a 811.353,79 min 4,00 max 5,00
Da 811.353,79 a 2.434.061,37 min 0,90 max 1,80
Da 2.434.061,37 a € 22.000.000,00 min 0,45 max 0,90

- Art. 1, comma 2, d.m. n. 30/2012

Sul totale passivo accertato

PARAMETRI

%

Da - a 81.131,38 min 0,19 max 0,94
Da 81.131,38 a € 68.000.000,00 min 0,06 max 0,46

 

B. Per l'accordo da sovraindebitamento ed il piano del consumatore per i quali non è prevista una forma di liquidazione dei beni (art.16, comma 2, decreto n. 202/2014).

È previsto che all'O.C.C. spetti, oltre al compenso per la gestione della procedura fino alla fase di omologa, anche un compenso per l'opera prestata successivamente all'omologazione del piano.

C. Nell'ipotesi di gruppi di imprese (art. 16, comma 3, decreto n. 202/2014)

Le modalità di determinazione del compenso sono le stesse di cui al punto a); tuttavia, in questo caso, la norma esclude dal calcolo dell'attivo e del passivo, le poste contabili rappresentative dei cd. "movimenti infragruppo" (es. finanziamenti e reciproci ribaltamenti di attivo e di passivo attraverso ripartizioni o compensazioni), le quali, ai fini del calcolo, verranno di fatto reciprocamente "elise", non costituendo poste attive e passive effettive.

Infine, ai commi 4 e 5, il menzionato art. 16 prevede che:

i compensi relativi ai punti a. - b. - c., sono ridotti nella misura compresa tra il 15% ed il 40%, in funzione della comprovata minore complessità dell'opera;

l'ammontare complessivo dei compensi e delle spese generali non può essere comunque superiore al 5% dell'attivo destinato ai creditori, per le procedure che presentano un passivo di ammontare superiore ad € 1.000.000,00 e del 10%, nell'ipotesi in cui la procedura presenti un passivo inferiore all'importo di € 1.000.000,00.

La limitazione è esclusa in presenza di procedure con un attivo inferiore ad € 20.000,00:

viene fissato un principio di suddivisione dell'onorario tra gli Organismi che si sono eventualmente avvicendati nella gestione della procedura, improntato ad un criterio di proporzionalità, in funzione del lavoro effettivamente svolto da ciascuno di essi (art. 17); viene precisata la determinazione del compenso nei casi di procedimento di liquidazione del patrimonio (art. 18). il compenso spettante al liquidatore si calcola applicando una percentuale sul totale dell'attivo liquidato e sul totale del passivo accertato, richiamando altresì le medesime condizioni di cui all'art. 16 decreto n. 202/2014 (ovvero l'art. 1, comma 1 e comma 2).

 

9. SANZIONI

L'art. 16 della legge n. 3/2012 prevede particolari e incisive sanzioni penali a carico del debitore e dei componenti dell'O.C.C. (o del professionista che operi in sua sostituzione) in caso, rispettivamente, di dolose alterazioni della proposta, dei valori e dei documenti, e di false attestazioni in ordine alla veridicità dei dati ed alla fattibilità del piano, nonché in caso di danni cagionati ai creditori per omissione o rifiuto di un atto del proprio ufficio.

In particolare, la disposizione si compone di tre commi: il primo sanziona il debitore, sia nella fase antecedente all'ammissione, sia nella fase esecutiva della procedura medesima, mentre il secondo e il terzo comma ineriscono alla responsabilità penale del componente dell'organismo di composizione della crisi.

 

9.1. La lettera a) dell'art. 16, comma 1, legge n. 3/2012

La previsione recata dalla lettera a) dell'art. 16, comma 1, legge n. 3/2012 sanziona il debitore che al fine di ottenere l'accesso alla procedura di composizione della crisi "aumenta o diminuisce il passivo ovvero sottrae o dissimula una parte rilevante dell'attivo ovvero dolosamente simula attività inesistenti".

Si tratta di fattispecie caratterizzate, quanto all'elemento soggettivo, dal dolo specifico.

La prima delle tre condotte considerate consiste nell'aumentare o diminuire il passivo per accedere alla procedura di composizione della crisi (attività non meramente contabile o simulata, altrimenti si verserà nella fattispecie di esposizione fittizia di passività inesistenti).

A ben vedere, nel primo caso, si tratterà di un debitore che contrae nuovi debiti, mentre, nel secondo, di un debitore che provvede all'estinzione di debiti preesistenti.

Poiché i comportamenti riguardano l'aumento o la diminuzione del passivo, è da ritenere che la condotta sia sanzionata in quanto il passivo ne risulti effettivamente aumentato o diminuito.

La condotta di dissimulazione di una parte rilevante dell'attivo è correlata ad una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale posta in essere dal debitore al fine di persuadere i creditori ad accettare la proposta formulata. Normalmente essa si realizza mediante operazioni di tipo documentale poste in essere dal debitore.

E' da precisare che, in virtù della clausola di sussidiarietà ("salvo che il fatto costituisca più grave reato"), ricorrerà la fattispecie della truffa qualora, con applicazione della relativa disciplina, qualora, a seguito della condotta oggetto di questa analisi, si realizzi tutta la serie causale imposta dall'articolo 640 c.p..

 

9.2. La lettera b) dell'art. 16, comma 1, legge n. 3/2012

La seconda ipotesi sanzionata penalmente in capo al debitore è ricalcata sullo schema della bancarotta documentale e punisce il debitore che, sempre al fine di ottenere l'accesso alla procedura, produce documentazione contraffatta o alterata, ovvero sottrae, occulta o distrugge, in tutto o in parte, la documentazione relativa alla propria situazione debitoria ovvero la propria documentazione contabile.

Occorre ricordare che, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 3/2012, il debitore, unitamente alla proposta, deve depositare l'elenco di tutti i creditori, con l'indicazione delle somme dovute, dei beni e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, corredati delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni e dell'attestazione sulla fattibilità del piano, nonché l'elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia, previa indicazione della composizione del nucleo familiare corredata del certificato dello stato di famiglia, il debitore che svolge attività d'impresa deposita altresì le scritture contabili degli ultimi tre esercizi, unitamente a dichiarazione che ne attesta la conformità all'originale.

Si tratta di reato di falso, ricorrendo condotte perpetrate ai fini della contraffazione o della alterazione della documentazione contabile ovvero ai fini della soppressione di quella esistente. Dette condotte devono essere tali da alterare le percezioni dei creditori circa la "fattibilità" del piano proposto.

Tale norma si applica anche qualora il debitore intenda ottenere l'accesso alla procedura di liquidazione dei beni.

 

9.3. La lettera c) dell'art. 16, comma 1, legge n. 3/2012

L'articolo 16, comma 1, lettera c) incrimina l'omessa indicazione di beni nell'inventario presentato dal debitore a corredo della domanda di liquidazione.

Va sin da subito messo in luce il collegamento con la lettera a) dello stesso articolo, nella parte in cui prevede l'incriminazione di chi "sottrae una parte rilevante del suo attivo".

È importante rilevare come la condotta qui considerata presuppone sempre il dolo e non anche la colpa.

 

9.4. Le fattispecie inerenti alla fase esecutiva dell'accordo

Dopo aver esaminato le fattispecie inerenti alla fase che precede l'accordo, è ora il momento di analizzare meglio le successive lettere d), e) ed f), dell'art. 16, comma 1, Legge n. 3/2012 le quali fanno invece riferimento ai comportamenti posti in essere dal debitore nella fase esecutiva dell'accordo.

 

9.5. La lettera d) dell'art. 16, comma 1, legge n. 3/2012

La disposizione punisce il comportamento del debitore che, nel corso della procedura, effettua pagamenti in violazione dell'accordo o del piano del consumatore.

Poiché è fatto salvo il regolare pagamento dei creditori estranei, si ritiene che la norma intenda punire la condotta di chi effettua pagamenti ulteriori ai creditori aderenti al piano.

Il comportamento incriminato è potenzialmente lesivo della par condicio creditorum ed inoltre potrebbe minare il buon esito della procedura di composizione della crisi, tutta incentrata sul corretto adempimento degli obblighi assunti dal debitore.

Come accennato, il comportamento incriminato deve essere posto nel "corso della procedura".

 

9.6. La lettera e) dell'art. 16, comma 1, legge n. 3/2012

La disposizione sanziona il debitore che "dopo il deposito della proposta di accordo o di piano del consumatore, e per tutta la durata della procedura, aggrava la sua posizione debitoria". La norma presenta un chiaro collegamento con l'articolo 217, n. 4, l.f. e colpisce le condotte successive all'inizio della procedura che siano tali da provocare un peggioramento, in concreto, dell'esposizione debitoria.

Parrebbe non rientrare nella fattispecie la contrazione di debiti e/o le spese correnti necessarie per il mantenimento del debitore e della propria famiglia.

Nel caso di specie, poi, si potrebbe altresì configurare una responsabilità a titolo di dolo eventuale quando il soggetto ponga in essere un determinato comportamento che appaia di dubbia utilità per la procedura pur nella consapevolezza che ne possa derivare l'aggravamento del dissesto.

Quanto all'elemento soggettivo occorre rilevare come il delitto in esame è esclusivamente doloso, ai sensi dell'articolo 42, comma secondo, c.p..

 

9.7. La lettera f) dell'art. 16, comma 1, legge n. 3/2012

Viene sanzionata, infine, la condotta del debitore che intenzionalmente non rispetta i contenuti dell'accordo. Anche in questo caso s'intende punire la condotta di chi, non per circostanze oggettive imputabili a terzi o alle mutate condizioni del mercato, non adempie l'accordo, in tale ipotesi, si prevede la perseguibilità del debitore che "intenzionalmente non rispetta i contenuti dell'accordo o del piano del consumatore".

L'inadempimento dell'accordo porterà alla risoluzione del contratto e all'impossibilità di esecuzione del piano ai sensi dell'articolo 14, comma 2, legge n. 3/2012 ed il debitore decadrà da tutti i benefici della nuova procedura di composizione.

I casi di inadempimento possono essere i più vari: si va da comportamenti omissivi (es. mancata esecuzione delle prestazioni o omessa costituzione di garanzie), a comportamenti attivi (es. pagamento di crediti contrari all'assetto negoziale o assunzione di nuove obbligazioni estranee all'accordo).

 

9.8. I delitti commessi dal componente dell'organismo di composizione della crisi

II legislatore ha previsto anche ipotesi delittuose che colpiscono i Gestori della crisi al secondo e terzo comma dell'articolo 16 della legge n. 3/2012. Sono ipotesi di false attestazioni o di omissione o rifiuto ingiustificato di compiere un atto del proprio ufficio.

Le false attestazioni attengono ai dati indicati nella proposta dell'accordo del debitore, nonché ai documenti ad essa allegati, la fattibilità del piano, il contenuto della relazione di accompagnamento o la domanda di liquidazione e l'esito della votazione dei creditori.

La fattispecie considerata richiede una condotta di falso e riguarda i momenti salienti della procedura dell'accordo che debbono essere certificati dall'organismo di composizione della crisi con riferimento alla veridicità dei dati contenuti nella proposta di accordo o nei documenti ad essa allegati e, più che altro, alla fattibilità del piano, e all'esito della votazione dei creditori.

Si ritiene, peraltro, che la responsabilità espressamente declinata in capo al Gestore dell'organismo, si estenderà a chi, pur non rivestendo la qualifica di componente dell'organismo, concorra con questi nella condotta penalmente rilevante.

Infine, come già detto, l'impianto normativo prevede una responsabilità a carico del componente dell'organismo di composizione della crisi che arrechi un danno ai creditori omettendo o rifiutando in maniera ingiustificata un atto del proprio ufficio.

Va peraltro sottolineato che, se la norma penale prevede che la condotta attiva debba cagionare danno ai creditori, il rifiuto o il ritardo può riguardare anche atti che non sono direttamente diretti ai creditori, riferendosi invece al debitore, purché da essi derivi danno ai creditori.

Sotto tale profilo, ogni condotta dolosa che pregiudichi il raggiungimento dell'accordo o ne impedisca l'omologazione potrà venire in esame ove ad essa sia seguito danno per i creditori, perché essi hanno visto pregiudicato il proprio diritto al soddisfacimento del credito sia con riferimento al corrispettivo percepito sia con riguardo ai tempi del pagamento.

 

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NOTE:

(1) Si tratta della legge recante "Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento", pubblicata in G.U. del 30 gennaio 2012, n. 24.

(2) Cfr. art. 6, comma 1, legge n. 3/2012.

(3) Ex pluribus, cfr. SS.UU. n. 5685/2015.

(4) Secondo quanto disposto dall’art. 2135 c.c. "È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge".

(5) Cass. Civ. n. 24995/2010; a cui adde Corte Cost. n. 104 del 26 aprile 2012.

(6) Quanto alle società tra professionisti già costituite ricorrendo allo schema della società semplice, occorre osservare che tali società sono dotate di soggettività giuridica e, pertanto, i creditori sociali si soddisfano in via diretta sul patrimonio della società, ed in via sussidiaria, solidale e illimitata sul patrimonio dei soci, in concorso con i creditori particolari di questi ultimi. Pertanto, la proposta ai creditori o la domanda di liquidazione del patrimonio può essere sottoscritta dagli amministratori nel rispetto delle norme sulla rappresentanza e amministrazione delle società semplici.

(7) Si tratta del Decreto del Ministero della Giustizia n. 202 del 24 settembre 2014 (Regolamento recante i requisiti di iscrizione nel registro degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento, ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 gennaio 2012, n. 3, come modificata dal decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 21 del 27 gennaio 2015, tramite il quale si è stata data attuazione a quanto previsto a norma dell'articolo 15 della legge 27 gennaio 2012, n. 3.

(8) E' il caso di precisare che ai sensi dell'art. 15, comma 9, legge n. 3/2012 i compiti e le funzioni attribuiti agli O.C.C. possono essere svolti anche da un professionista o da una società tra professionisti, in possesso de requisiti fissati dall'art. 28 l.f., ovvero da un notaio nominati dal Presidente del Tribunale o di Giudice delegato.

(9) E' il caso di mettere in luce che l'art. 13 del recente d.l. 27 giugno 2015 n. 83, in fase di conversione al momento di chiusura del presente documento, prevede nella riformulazione dell’art. 480 c.p.c. che il precetto contenga l'avvertimento che il debitore può con l'ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal Giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore.

(10) Ai sensi dell'art. 28 l.f. possono essere nominati curatori:

a) avvocati dottori e ragionieri commercialisti;

b) studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali di cui alla lettera a). In tale caso, all'atto dell'accettazione dell'incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura;

c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento.

Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti egli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto dell'impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento.

In base alle previsioni dell'art. 15, comma 9, della legge n. 3/2012 in forza delle quali solo i professionisti, le STP e i notai possono svolgere le funzioni degli O.C.C, sembrerebbero esclusi dalla nomina i soggetti menzionati nella lettera c) dell'art. 28 l.f..

(11) Art. 2, comma 1, lett. 1), decreto n. 202/2014.

(12) Ex art. 10, comma 3, decreto n. 202/2014. La previsione ricalca quanto previsto dall'art. 9 del d.l. n. 1 del 24 gennaio 2012, convertito dalla legge n. 27 del 24 marzo 2012 e già stabilito per tramite dell'art. 3, comma 5, lett. d) e lett. e) del d.l. n. 138 del 13 agosto 2011, convertito dalla legge n. 148 del 14 settembre 2011.

(13) Art. 2, comma 1, lettera f), decreto n. 202/2014.

(14) Ex art. 11, comma 3 decreto n. 202/2014.

(15) Ex artt. 9, comma 2, e 15, comma 6, legge n. 3/2012.

(16) Ex art. 12, comma 2, legge 3/2012.

(17) Come dispone l’art. 11 della legge n. 3/2012.

(18) Cfr. art. 184 l.f.

(19) Ex art. 9, comma 2, legge n. 3/2012.

(20) Sul punto, si veda la relazione illustrativa al d.I. n. 179/2012.

(21) Ex art. 15, comma 6, legge n. 3/2012.

(22) Con riguardo a tale effetto del decreto, va rilevata la differenza (di non immediata comprensione) con la disciplina dell'accordo, in base alla quale, a seguito dell'omologazione, il blocco delle azioni esecutive dei creditori anteriori - disposto dal Giudice ex art. 10, comma 2, legge n. 3/2012 cessa.

(23) La disposizione non precisa la durata del blocco: questo potrebbe far concludere che esso, in principio, sarebbe destinato a permanere fino alla completa esecuzione del piano.

(24) Cfr supra, 5.3.1..

(25) Vedi supra, 3.

(26) Ai sensi dell'art. 2, lett. f), "Definizioni

(27) Argomentando per relationem dalla figura del custode giudiziario cfr. Cassazione Civ., sez. V, n. 27056/2014.