Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 agosto 2015, n. 17169

Tributi - IVA - Rimborso - Imposta sugli acquisti di beni destinati ad attività esente - Art. 13 Direttiva VI 77/388/CEE - Legittimità all’azione restitutoria nei confronti dell’Amministrazione - Non sussiste

 

Svolgimento del processo

 

La Commissione tributaria della regione Lombardia con sentenza 11.1.2007 n. 111 in totale riforma della sentenza di prime cure ha ritenuto illegittimo il silenzio-rifiuto opposto dalla Amministrazione finanziaria alla istanza di rimborso dell’IVA che la Università Cattolica del Sacro Cuore - gestore del Policlinico "A.G." e produttore di servizi sanitari - aveva versato in rivalsa sugli acquisti di beni destinati alla attività esente (spese di ospedalizzazione e cure mediche), e non aveva potuto portare interamente in detrazione.

I Giudici di appello statuivano (almeno così è dato intendere dalla lettura della sentenza): a) che l’Amministrazione finanziaria doveva ritenersi legittimata passivamente rispetto alla pretesa di rimborso dell’IVA che l’Università non aveva potuto portare integralmente in detrazione; b) che le istanze di rimborso erano state tempestivamente presentate, nel termine di decadenza previsto dall’art. 21 co 2 Dlgs n. 546/1992, in quanto l’Ufficio finanziario aveva accettato il contraddittorio, sanando la decadenza e, comunque, non potendo decorrere detto termine anteriormente alla introduzione del n. 27 quinquies, dell’art. 10, comma 1, del Dpr n. 633/72 che aveva esentato dalla imposta "Le cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale della relativa imposta"; c) che il diniego di rimborso era illegittimo, essendo inconferenti i rilievi della P.A. in ordine alla disciplina IVA dell’ acquisto di beni, atteso che la esenzione era riservata alle "prestazioni mediche e di servizi"; d) che il rilievo dell’Ufficio finanziario secondo cui l’esenzione non riguardava l’acquisto dei beni dal fornitore, ma solo la successiva eventuale cessione di quei beni effettuata a terzi dall’Università, era inammissibile in quanto eccedeva dall’oggetto del "thema decidendum" avente ad oggetto la applicazione della norma di esenzione ed il diritto al rimborso della contribuente.

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione con sette mezzi dalla Agenzia delle Entrate.

Resiste con controricorso l’Università, depositando anche memoria illustrativa.

 

Motivi della decisione

 

1. La Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza di appello deducendo: la violazione e falsa applicazione degli artt. 17 co 1 e 18 co 1 Dpr n. 633/72 e dell’art. 2033 c.c. (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.), sostenendo che la Università non era legittimata ad agire nei confronti della Amministrazione finanziaria per chiedere il rimborso dell’importo versato in rivalsa pari all’IVA liquidata nelle fatture relative agli acquisti di beni e servizi forniti dal soggetto passivo d’imposta (primo motivo); in subordine la violazione dell’ art. 21 co 2 Dlgs n. 546/1992 (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.) per decadenza della Università dal termine perentorio biennale stabilito per la presentazione delle istanze di rimborso o di restituzione dell’indebito, decorrente dal pagamento della imposta, stante il carattere preciso ed incondizionato della direttiva comunitaria 77/388/CEE che prevedeva la esenzione IVA (secondo motivo), la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 36 co 2 n. 4 Dlgs n. 546/1992 (art. 360 co 1 n. 4 c.p.c.) avendo la CTR statuito in ordine al rimborso IVA di attività esente (prestazioni di cure sanitarie), mentre nella specie si verteva sul rimborso IVA degli acquisti effettuati "a monte" dalla Università regolati dall’art. 13, parte B, lett. c) della VI direttiva 77/388/CEE (terzo e quarto motivo); la violazione dell’art. 58 Dlgs n. 546/1992 ed ancora dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 co 1 n. 4 c.p.c.), avendo erroneamente la CTR ritenuto inammissibili gli argomenti difensivi svolti dall’Ufficio finanziaria in ordine alla interpretazione ed applicazione della predetta norma comunitaria (quinto e sesto motivo); la violazione e falsa applicazione dell’art. 13, parte B, lett. c) della VI direttiva 77/388/CEE, nonché dei principi enunciati da Corte giustizia CE sentenza 25.6.1977 causa C-45/95 (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.), non avendo la CTR correttamente interpretato la norma comunitaria, secondo cui la esenzione si applicava alla rivendita (da parte della Università) dei beni che erano stati acquistati (dalla Università) senza portare in detrazione l’IVA assolta in rivalsa in quanto beni destinati all’impiego esclusivo in attività esenti (prestazioni di servizi sanitari), ipotesi quindi diversa dal regime fiscale della precedente operazione di acquisto "a monte" (settimo motivo).

2. Tanto premesso il primo motivo deve ritenersi fondato, rimanendo conseguentemente assorbito l’esame di tutti gli altri motivi di ricorso.

3. Diversamente da quanto opinato dalla Università resistente, osserva il Collegio che la Agenzia fiscale ricorrente non ha eccepito la inesistenza della condizione di ammissibilità dell’azione (per quanto concerne la "legitimatio ad causami", infatti, vi è piena coincidenza tra il soggetto-Università che afferma di vantare il diritto al rimborso ed il soggetto - Università che propone l’azione di condanna. Deve ritenersi principio di diritto consolidato che la "legittimazione ad agire" costituisce una condizione dell'azione diretta all’ottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall'azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva "titolarità del rapporto" dedotto in causa che si riferisce al merito della causa investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza: cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 11284 del 10/05/2010; id. Sez. 2, Sentenza n. 14177 del 27/06/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 23568 del 11/11/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 15759 del 10/07/2014) ma, come emerge sia dal "quesito di diritto" ex art. 366 bis c.p.c. formulato in calce al primo motivo, che dalla esposizione in diritto del medesimo motivo ed ancora dalla lettura della sentenza di appello, ha inteso, invece, inequivocamente riferirsi alla effettiva "titolarità della situazione giuridica" controversa, chiedendo alla Corte di affermare che, in materia IVA, il cessionario che sopporta l’onere economico del tributo, in quanto obbligato a rivalere il cedente dell’IVA da questi versata all’Erario, non è titolare nei confronti dello Stato del credito restitutorio della somma indebitamente pagata in rivalsa al cedente, in quanto in ipotesi non dovuta realizzando tale acquisto una operazione dichiarata esente IVA dalle norme tributarie.

La questione controversa si incentra pertanto sulla configurabilità o meno in capo alla Università cessionaria, di un diritto, nei confronti della Amministrazione finanziaria, al rimborso della imposta assolta in rivalsa liquidata nella fattura emessa dal cedente sull’acquisto di beni e servizi impiegati dalla stessa Università nell’esercizio di attività esente da IVA (cfr. ricorso pag. 1-2; controricorso, pag. 4; sentenza CTR in motivazione, pag. 2, 21 e 26).

4. Occorre premettere che questa Corte ha affermato che in tema di IVA, una corretta lettura degli artt. 17 e 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, consente di identificare nel cedente del bene (o nel prestatore del servizio) il soggetto legittimato a pretendere il rimborso dall’amministrazione finanziaria ed eventualmente obbligato a restituire al cessionario (o al committente) la somma pagata a titolo di rivalsa. Infatti, i tre rapporti che discendono dal compimento dell'operazione imponibile (tra l'amministrazione finanziaria e il cedente, relativamente al pagamento dell'imposta; tra il cedente ed il cessionario, in ordine alla rivalsa; tra l'amministrazione ed il cessionario, per ciò che attiene alla detrazione dell'imposta assolta in via di rivalsa), pur essendo collegati, non interferiscono tra loro. Ne consegue che il cedente non può opporre al cessionario - il quale agisca in restituzione - l'avvenuto versamento dell'imposta, che il cessionario non può opporre all'amministrazione - che escluda la detrazione - che l'imposta è stata assolta in via di rivalsa e versata all'ammmistrazione medesima, e, infine, che solo il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell'amministrazione, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest'ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 6419 del 22/04/2003; id. Sez. U, Sentenza n. 6632 del 29/04/2003; id. Sez. 5, Sentenza n. 14933 del 06/07/2011; vedi, con riferimento alla triplice natura dei rapporti che derivano dalla medesima operazione economica: Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 24794 del 24/11/2005; Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 4020 del 14/03/2012).

Il principio enunciato riflette tuttavia una impostazione statica dei rapporti in questione, che debbono essere riguardati tenendo conto che il cessionario, di norma, è al tempo stesso anche soggetto passivo d’imposta (in relazione alle operazioni attive dallo stesso realizzate). Occorre, infatti, precisare, quanto alla pretesa di rimborso dell’IVA pagata in rivalsa dal cessionario del bene o servizio, che la stessa può essere diversamente diretta in considerazione della differente angolazione con la quale viene prospettata: al proposito è stato osservato che il rapporto di natura privatistica tra cedente e cessionario (che dà luogo alla giurisdizione dell’AGO, venendo meno la connotazione tributaria del rapporto controverso) si configura laddove il cessionario rivesta la posizione di "consumatore finale", e cioè a dire si identifichi nel soggetto definitivamente inciso dalla imposta (cfr. Corte cass. SU Sez. U, Sentenza n. 1147 del 07/11/2000; id, Sez. U, Sentenza n. 2686 del 07/02/2007), diversamente riemergendo il rapporto tributario - con conseguente legittimazione del soggetto cessionario ad agire nei confronti della Amministrazione finanziaria - tutte le volte in cui l’indebita IVA versata in rivalsa sull’acquisto di beni e servizi destinati all’esercizio della attività economica, venga a riflettersi sulla liquidazione della imposta nella dichiarazione annuale del contribuente, qualora il Fisco contesti, in tutto od in parte, la detrazione dell’IVA in rivalsa, in quanto relativa ad operazione esente od assoggettabile ad una aliquota inferiore di quella indicata erroneamente in fattura (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 20752 del 31/07/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 12433 del 08/06/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 18425 del 26/10/2012).

Occorre a tal fine ulteriormente precisare che un rapporto tributario tra "soggetto cessionario" ed Amministrazione finanziaria - in relazione al rimborso della imposta indebitamente versata in rivalsa al cedente - viene a ravvisarsi non -come sembra ipotizzare la difesa della Università - per il solo fatto che i beni e servizi acquistati "a monte" vengano impiegati nell’attività svolta dal soggetto cessionario, ma soltanto nel caso in cui detta attività dia luogo ad operazioni imponibili, atteso che solo in tale ipotesi può trovare applicazione il principio di neutralità dell’IVA volto a traslare l’onere economico della imposta sul consumatore finale. Diversamente, nel caso in cui l’operatore economico abbia acquistato beni e servizi che ha destinato in via esclusiva alla realizzazione di operazioni "esenti o non imponibili", tale soggetto assume la stessa posizione, ai fini fiscali, del consumatore finale, non insorgendo a suo favore un diritto alla detrazione (né al rimborso che costituisce una modalità alternativa di esercizio del diritto in questione) dell’IVA liquidata nella fattura passiva e versata in rivalsa al cedente/prestatore, venendo pertanto a gravare definitivamente a suo carico l’imposta.

5. Tanto premesso, appare evidente come la questione se l’ente universitario (ente non commerciale, ai sensi dell’art. 4, comma 2, n. 2) e comma 4, Dpr n. 633/72, nel testo vigente ratione temporis: enti "che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole,") possa vantare ed azionare un diritto al rimborso dell’IVA, indebitamente versata in rivalsa sugli acquisti "a monte", nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, venga ad essere condizionata, secondo le indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità richiamata, dalla configurabilità in concreto dell’esercizio, da parte del medesimo ente, di attività "a valle" che dia luogo alla realizzazione di operazioni imponibili, così da poter ravvisare l’oggetto della controversia con il Fisco, non nell’affermazione di un generico diritto alla ripetizione dell’indebito (relativo alla somma corrisposta al cedente), ma nell’affermazione del diritto alla detrazione (od al rimborso) della imposta, versata in rivalsa sulle fatture passive, e contestata dall’Ufficio finanziario, venendo in questione il rapporto tributario che intercorre tra il soggetto-contribuente e l’Amministrazione tributaria e che, per gli enti non commerciali, trova disciplina normativa nell’art. 19 ter, comma 1, del Dpr n. 633/72, nel testo vigente ratione temporis ("Per gli enti indicati nel quarto comma dell'art. 4 è ammessa in detrazione, a norma degli articoli precedenti e con le limitazioni, riduzioni e rettifiche ivi previste, soltanto l’imposta relativa agli acquisti e alle importazioni fatti nell'esercizio di attività commerciali o agricole. La detrazione spetta a condizione che l'attività commerciale o agricola sia gestita con contabilità separata da quella relativa alla attività principale e conforme alle disposizioni di cui agli articoli 20 e 20-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600").

6. Tale accertamento in fatto, che assume rilevanza ai fini della risoluzione del primo motivo di ricorso, non sembra avere occupato - nei precedenti gradi di merito-l’attenzione, né delle parti, né del giudicante, interamente rivolta invece alla questione della detraibilità/rimborso dell’IVA sulle operazioni di acquisto di beni e servizi destinati ad attività sanitaria esente, salvo un fugace - accenno nel "fatto" della motivazione della sentenza di appello in cui viene riportato un passo della sentenza di primo grado, nel quale è riferito che l’Università, nei ricorsi introduttivi, aveva rilevato di "essere produttrice di servizi sanitari, quale gestore del Policlinico Università "A.G." che effettua prestazioni di ricovero e cure esenti ai sensi dell’art. 10, comma 19, del Dpr n. 633/72, e di avere portato in detrazione per gli anni in esame per operazioni imponibili la sola percentuale dell’imposta assolta sugli acquisti corrispondenti al rapporto tra l’ammontare delle operazioni esenti ed il volume di affari di ciascun periodo".

Tale breve accenno, contenuto nella sentenza impugnata, appare del tutto inadeguato a fornire il necessario riscontro che, nel caso di specie, si faccia questione di un diritto alla detrazione/rimborso vantato dal contribuente nei confronti del Fisco, anziché di una pretesa di restituzione della somma indebitamente versata al cedente a titolo di rivalsa (da far valere nei confronti di quello, avanti l’AGO), tenuto conto, in particolare, che proprio il richiamato art. 19 ter, comma 1, del Dpr n. 633/1972, coerentemente al sistema dell’IVA fondato sul principio di neutralità della imposta, consente agli enti non commerciali (che non abbiano per oggetto esclusivo o principale lo svolgimento di attività commerciale od agricola) di detrarre l’IVA esclusivamente in relazione agli acquisti di beni e servizi che siano stati destinati all’esercizio (occasionale o comunque non prevalente) di attività imponibili IVA, con la conseguenza che, non essendo controverso in causa che i beni e servizi acquistati dalla Università siano stati impiegati in via esclusiva ai fini della erogazione di prestazioni sanitarie (cfr. controricorso, pag. 18), e dunque per lo svolgimento di attività esente, la pretesa restitutoria fatta valere dalla Università, non sembra affatto calarsi nell’ambito di un rapporto di natura tributaria, e quindi avrebbe dovuto essere azionata in altra sede giurisdizionale nei confronti dell’emittente la fattura.

7. Tale conclusione trova conferma anche nella normativa comunitaria e nazionale che, secondo la tesi della resistente, fatta propria dai Giudici di appello, legittimerebbe l’Università a portare in detrazione l’IVA versata in rivalsa nella operazione di acquisto di beni o servizi destinati all’attività esente.

Al riguardo occorre rilevare che l’Università, in quanto gestore del Policlinico "Gemelli" eroga "prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona"' nonché "prestazioni di ricovero e cura ....compresa la somministrazione di medicinali, presidi sanitarr espressamente dichiarate esenti da IVA dall’art. 13, parte A, n. 1, lett. b ) e c), della VI direttiva CEE del Consiglio in data 17.5.1977 n. 388 e dall’art. 10, comma 1, nn. 18) e 19) del Dpr n. 633/1972, e che l’art. 19, comma 2, del medesimo decreto presidenziale dispone che "Non è detraibile l'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all'imposta, salvo il disposto dell’articolo 19-bis 2", essendo appena il caso di osservare come un tale impedimento non derivi dalla previsione dell’art. 10 co 1 n. 19 Dpr n. 633/72, quanto piuttosto dalla inesistenza, in caso di operazioni esenti, del presupposto stabilito dall’art. 17 della VI direttiva n. 388/1977 per la detraibilità dell’Iva assolta sugli acquisti a monte, richiedendo la norma comunitaria che i beni e servizi acquistati siano stati reimpiegati in attività diretta a realizzare operazioni imponibili ai fini IVA.

8. Del tutto infondata, alla stregua delle disposizioni richiamate, è dunque la tesi secondo cui l’IVA assolta in rivalsa sugli acquisiti sarebbe comunque detraibile dal cessionario, in virtù del principio di neutralità della imposta, anche se i beni e servizi acquistati siano stati destinati in via esclusiva all’esercizio di attività "esente", atteso che, proprio quel principio impone la conclusione esattamente contraria. Né appare altrimenti conferente l’argomento speso dalla difesa della Università secondo cui impedire la detrazione dell’IVA sull’acquisito determinerebbe una lesione del diritto di proprietà: premesso che non è dato comprendere quale sia l’oggetto dell’asserito diritto di proprietà, ove si intenda riferirsi alla integrità del patrimonio dell’ente, è appena il caso di osservare come l’effetto impeditivo in questione trova fondamento normativo nella stessa disciplina comunitaria del tributo armonizzato che, per scelta eminentemente politico-sociale, ha consentito agli Stati membri di esentare dalla imposta le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, in materia di assistenza sanitaria, erogate da enti non commerciali a tutela della salute psicofisica delle persone, gravando il cedente/prestatore dell’onere economico della imposta (e dunque considerandolo alla stregua di consumatore-finale), ed attuando in tal modo, attraverso la generale imposizione fiscale dei singoli contribuenti, una politica di redistribuzione sulla intera collettività della spesa sanitaria (comprensiva degli oneri fiscali) sostenuta dagli enti non commerciali di assistenza.

9. Orbene come emerge anche dai fatti esposti nel controricorso, la Università lamenta la illegittimità del diniego, opposto dall’ufficio finanziario, alla detrazione d’imposta (e nella specie al rimborso del credito maturato) in relazione all’IVA versata in rivalsa sull’acquisto di beni destinati esclusivamente all’esercizio di attività esente, sostenendo che l’art. 13, parte B, lett. c), della VI direttiva 77/388/CEE ("Fatte salve altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni sottoelencate e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso: c) le forniture di beni destinati esclusivamente ad un'attività esentata a norma del presente articolo o a norma dell'articolo 28, paragrafo 3, lettera b), ove questi beni non abbiano formato oggetto d'un diritto a deduzione, e le forniture di beni il cui acquisto o la cui destinazione erano stati esclusi dal diritto alla deduzione conformemente alle disposizioni dell'articolo 17, paragrafo 6;"), attribuiva alla cessionaria tale diritto, che aveva trovato conferma - in seguito alla contestazione di infrazione mossa dalla Commissione europea allo Stato italiano - nella introduzione (ad opera dell’art. 1, comma 4, Dlgs n. 313/1997) al comma 1, dell’art. 10, Dpr n. 633/72, del n. 27 quinquies ("Sono esenti dalla imposta 27-quinquies) le cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale della relativa imposta ai sensi degli articoli 19, 19-bis, 1 e 19-bis 2"): secondo la resistente la norma del decreto presidenziale avrebbe carattere derogatorio dell’art. 19 comma 2 Dpr n. 633/72, consentendo la detrazione d’imposta anche nel caso in cui beni e servizi acquistati fossero impiegati in attività esenti.

La tesi che, sembra, sia stata accolta in linea teorica dalla CTR (motivazione , pag. 29 30) che, poi però, non avrebbe fatto applicazione della norma dell’art. 10 co 1 n. 27 quinquies Dpr n. 633/72, in quanto il "thema controversum" trattava "non di acquisto di beni, ma di forniture di prestazioni mediche e di servizi che, come tale, non doveva essere sottoposta a vincoli impositivi perché esente.

Da un lato si è sostenuto il diritto al rimborso sul presupposto dell’esenzione delle operazioni denunciate; dall’altro si è contestata questa tesi perché l’esenzione non sarebbe spettata" (ibidem, pag. 30-31), è palesemente contraria alla interpretazione che della norma comunitaria è stata fornita con efficacia vincolante per i Giudici degli Stati membri dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea ed alla successiva ormai consolidata giurisprudenza di legittimità.

10. La questione della detraibilità dell’IVA assolta in rivalsa dall’Università sulle fatture passive relative ad acquisti di beni e servizi, e la vicenda che ha visto lo Stato italiano inadempiente all’obbligo di corretta trasposizione dell’art. 13, parte B, lett. c) della VI direttiva (cfr. Corte Giustizia, sentenza 25.6.1997, in causa C-45/95, Commissione CE d Rep.italiana) non concerne, infatti, l’esercizio dell’attività sanitaria esente (che è regolata dall’art. 13, parte A, n. 1, lett. b) e c), della VI direttiva comunitaria), ma la differente fattispecie della eventuale successiva cessione a terzi, da parte della Università, dei beni "usati" - evidentemente dei beni "durevoli" come ad esempio gli strumenti ed apparecchi tecnici - che erano stati dalla stessa acquistati "nuovi" per essere destinati esclusivamente allo svolgimento dell’attività sanitaria esente. Il Legislatore comunitario, con la disposizione di cui all’art. 13, parte B, lett. c) della VI direttiva CEE, era intervenuto ad evitare il fenomeno della doppia imposizione che si sarebbe verificato laddove il soggetto che svolgeva attività esente - nella specie l’Università, oltre ad assolvere l’IVA in rivalsa sull’acquisto senza poterla portare in detrazione (art. 17 VI direttiva ed art. 19 co 2 Dpr n. 633/72), avrebbe dovuto altresì versare, in qualità di soggetto passivo, anche l’IVA sulla successiva cessione a titolo oneroso del medesimo bene a terzi (chiarissima in proposito la predetta sentenza 25.6.1997 della Corte di Giustizia, punti 14 e 15, nonché la successiva ordinanza della Corte di Giustizia in data 6.7.2006, in causa riunite C-18/05 e C- 155/05, Casa di cura Salus+1, punto 30 e 31).

In seguito alla pronuncia del Giudice di Lussemburgo, il Legislatore nazionale, introducendo il n. 27 quinquies, al comma 1 dell’art. 10 Dpr n. 633/72, ha attuato la corretta trasposizione della norma comunitaria, inserendo tra le operazioni "esenti" anche le eventuali successive "cessioni" dei beni acquistati per essere impiegati nelle attività esenti (così correggendo la qualifica di operazioni "escluse" in cui tali cessioni venivano a ricadere giusta l’art. 2, comma 3, lett. h), del Dpr n. 633/72, con effetti giuridici diversi da quelli della esenzione: le operazioni "esenti", a differenza di quelle sottratte alla sfera di applicazione IVA ovvero "escluse" vengono, infatti, a comporre la base imponibile del volume di affari ex art. 20 co 2 Dpr n. 633/72).

11. Risulta pertanto evidente come la invocazione della norma comunitaria di cui all’art. 13, parte B, lett. c) VI direttiva, e della norma statale con la quale è stata data attuazione nell’ordinamento interno (art. 10 co 1 n. 27 quinquies Dpr n. 633/72) è del tutto inconferente a fondare la deroga dell’art. 19 co 2 Dpr n. 633/72, e quindi ad affermare il diritto della Università alla detrazione rimborso della imposta versata in rivalsa sugli acquisti a monte di beni e servizi destinati all’attività sanitaria esente, dovendo ribadirsi il principio enunciato da questa Corte secondo cui "in tema di IVA, l'esenzione prevista dall'art. 13, parte B), lett. c), della VI direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, secondo l'interpretazione fornitane dalla Corte di Giustizia CE con ordinanza del 6 luglio 2006, in cause C-18/05 e C-155/05, si applica esclusivamente alla rivendita di beni acquistati per l’esercizio di un'attività esente, ove gli stessi non abbiano formato oggetto di un diritto a detrazione, e non giustifica pertanto il rimborso dell'imposta versata per l'acquisto di beni o servizi destinati in modo esclusivo all'esercizio di un'attività esentata, ancorché esclusi dal diritto a detrazione, non essendo il diritto al rimborso desumibile neppure dalla sentenza 25 giugno 1997, in causa C-45/95, con cui la Corte si è limitata ad accertare l'inadempimento della Repubblica Italiana agli obblighi derivanti dalla medesima disposizione, senza avallare un'interpretazione diversa da quella successivamente fornita con la predetta ordinanza" (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 20752 del 31/07/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 9107 del 17/04/2009; id. Sez, U, Sentenza n. 27207 del 23/12/2009; id. Sez. U, Sentenza n. 355 del 13/01/2010; id. Sez. 5, Sentenza n. 4629 del 25/02/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 21410 del 30/11/2012).

In conclusione il ricorso trova accoglimento, quanto al primo motivo, assorbiti tutti gli altri motivi; la sentenza impugnata deve essere cassata e, non occorrendo procedere ad ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito da questa Corte, ex art. 384 co 2 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo, con la condanna della parte resistente alla rifusione delle spese giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, e la integrale compensazione tra le parti delle spese relative ai gradi di merito in considerazione della stabilizzazione dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità nelle more del giudizio.

 

P.Q.M.

 

- Accoglie il ricorso, quanto al primo motivo, assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla Università Policlinico "A.G." che condanna alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 30.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito, dichiarate interamente compensate tra le parti le spese relative ai precedenti gradi di merito.