Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 agosto 2015, n. 17124

Contratto di lavoro - Apposizione di termine - Contratto collettivo che non lo prevede - Illegittimità

 

Svolgimento del processo

 

1. M.B. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la R. S.p.A. (d'ora in poi solo R.) al fine di sentire accertare e dichiarare l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato intercorso con la R. in conseguenza della nullità dei termini apposti a undici contratti di lavoro a tempo determinato conclusi nel periodo dal 24/6/1996 all’11/5/2002.

2 Il Tribunale accolse la domanda e dichiarò esistente tra le parti un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dal primo contratto; condannò la R. a riammettere in servizio il lavoratore con la qualifica di redattore ordinario nonché a pagare tutte le retribuzioni dalla scadenza dell’ultimo contratto (12/5/2002), con esclusione della retribuzione relativa agli intervalli non lavorati, oltre agli accessori di legge.

3. La sentenza fu impugnata da entrambe le parti. La Corte d’appello di Roma, con sentenza non definitiva, depositata in data 19/10/2009, rigettò l’appello principale proposto dalla R., con cui si era censurato il capo della sentenza che aveva ritenuto illegittimi i contratti a termine stipulati per sostituzione dei dipendenti in ferie o distaccati, ritenne insussistente una risoluzione per mutuo consenso dei rapporti di lavoro; dispose per la prosecuzione, del giudizio in ordine all’eccezione di novazione, sollevata dalla R. con riferimento al terzo contratto ed in ragione della catara di lavoro autonomo in esso convenuto.

4. Con sentenza definitiva depositata in data 21 maggio 2012, la Corte romana, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dalla R. e di quello incidentale proposto dal lavoratore, ha riputo applicabile l'art. 32 della legge n. 183/2010 e, per l'effetto, ha condannato la R. al pagamento in favore del B. di un'indennità risarcitoria pari a dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dalla cessazione dei rapporto fino al soddisfo; ha condannato la R. a pagare al lavoratore, per i periodi lavorati, le differenze retributive tra quanto percepito e quanto dovuto, da calcolarsi sulla base del trattamento economico previsto per i redattori ordinari a tempo indeterminato, sia dal CNLG sia dall’accordo integrativo aziendale, tenendo conto ai fini degli scatti di anzianità dei soli periodi effettivamente lavorati, oltre accessori di legge. Ha confermato nel resto l’impugnata sentenza.

5. Contro entrambe le sentenze, la R. propone ricorso per cassazione, fondato su sei motivi (i primi tre inerenti alla sentenza non definitiva), cui resiste con controricorso il B., che spiega ricorso incidentale, fondato su un unico motivo, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c. La R. deposita controricorso al ricorso incidentale.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi in quanto impugnazioni avverso la medesima sentenza, ai sensi dell’art. 335 c.p.c. Sempre in via preliminare deve rilevarsi che il controricorrente ha eccepito la mancanza di una valida dichiarazione di riserva facoltativa di ricorso avverso la sentenza non definitiva. L'eccezione, che investe una questione comunque rilevatale ex officio, è infondata in quanto risulta dagli atti, che questa Corte può esaminare in relazione al tipo di riscontro da operare, la prova di una tempestiva dichiarazione di riserva facoltativa di ricorso contro la sentenza non definitiva (art. 361 c.p.c.). Nel verbale di udienza del 13 novembre 2008 si legge, infatti, che L'avv. D. per R. dichiara di proporre riserva di ricorso per cassazione avverso SND. Anche l'avv. C.". Ora, poiché risulta che la sentenza non definitiva è stata depositata in cancelleria in data 19/10/2009, la riserva effettuata prima del detto deposito e dopo la lettura del dispositivo di udienza (avvenuta in data 3/4/2008) è da ritenersi senz’altro tempestiva.

Ed invero, a norma dell'art. 340, comma 1°, c.p.c., la riserva facoltativa di appello contro sentenze non definitive deve essere espressa entro il termine per appellare e, in ogni caso, non oltre la prima udienza istruttoria successiva alla comunicazione della sentenza stessa. La stessa disposizione è riprodotta, riguardo al ricorso per cassazione» nell’art. 361 c.p.c. in cui è previsto che il termine per il ricorso per cassazione avverso la sentenza non definitiva, può essere differito, mediante riserva, a pena di decadenza, entro il termine per la proposizione del ricorso, e in ogni caso non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza stessa. Ai sensi dell'art. 133 c.p.c., la sentenza è resa pubblica mediante il deposito in cancelleria ed il cancelliere dà atto del deposito in calce al provvedimento e vi appone la data e la firma. A partire dal compimento di queste attività, decorre il termine per la riserva d'appello, ai sensi dell'art. 340 c.p.c., comma 1, c.p.c. per l’appello, e 361, comma 1°, c.p.c., per il ricorso per cassazione.

Tale disciplina trova applicazione anche al rito del lavoro (Cass, 5 settembre 2006, n. 19036), con l’unica differenza, rispetto al rito ordinario, che l'impugnazione può essere proposta fin dal momento della lettura del dispositivo in udienza. Ciò, tuttavia, non consente di identificare in tale momento nel rito speciale la comunicazione della sentenza, espressamente prevista dall'art. 430 cod. proc. civ. ai fini del decorso del termine finale (Cass., 20 novembre 1991, 12455 che ha escluso che, nella specie, detto termine potesse considerarsi scaduto dopo la prima udienza successiva alla pronuncia della sentenza non definitiva con lettura del dispositivo, prima del deposito della sentenza stessa; v. pure Cass.,4 dicembre 2000, n. 15425; Cass., 25 agosto 2003, n. 12482; Cass., 22 luglio 2010, n. 17233, in motivazione). La riserva di impugnazione è, dunque, rituale e tempestiva.

1. Con il primo motivo di ricorso la R. censura la sentenza non definitiva per la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, lett. B), legge n. 230/1962, degli artt. 1362 e ss., c.c. dell’art. 3 del CNLG, degli accordi sindacali 18/7/1995 e 22/10/2001, nonché dell’art. 23 della legge n. 56/1987.

2. Ritiene che l’assunzione del giornalista era avvenuta ai sensi dell’art. 1, lett. b) legge n. 230/1962, che prevedeva l'assunzione a termine per sostituire lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, nonché ai sensi dell’art. 3 CCNLG, che disponeva che, in tal caso, le assunzioni potessero venire della percentuale del 100%, o se si preferiva, "in un rapporto paritario con l’intera popolazione redazionale". Vi era poi l’accordo, stipulato tra la R. e l’U., del 18/7/1995, con cui le parti avevano stabilito verbalmente una percentuale del 33% dell’organico. Assume peraltro che la determinazione della percentuale costituiva facoltà delle parti collettive e non già un obbligo e che l’art. 23 della legge n. 56/1987 non comminava alcuna sanzione per la mancata determinazione della percentuale. La R. era inoltre legittimata, unitamente all’U. ad individuare nuove ipotesi di assunzione a termine in quanto azienda di carattere nazionale. Aggiunge che il lavoratore non aveva posto nel ricorso introduttivo la questione del difetto di legittimazione della R. e dell’U. a prevedere nuove ipotesi di assunzione a termine, sicché la decisione sul punto era inammissibile.

3. Va innanzi tutto rilevato un profilo di improcedibilità del primo motivo di ricorso, poiché la censura non è accompagnata dal deposito della normativa contrattuale richiamata, nel suo testo integrale. Ciò contrasta con il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (nel testo sostituito del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2) - ma lo stesso vale anche nell’ipotesi di assunta violazione dei canoni ermeneutici di legge in sede di interpretazione dei contratti - il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l'estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale (cfr. Cass., Sez. Un., 23 settembre 2010 n. 20075; Cass. 15 ottobre 2010 n. 21358).

4. In ogni caso il motivo è infondato.

Va precisato che la Corte territoriale, con la sentenza non definitiva, ha ritenuto che il primo contratto è stato stipulato ai sensi dell'art. 3 C.N.L.G. in attuazione di quanto previsto dall’art. 23 della legge 28/2/1987, n. 56, nonché ai sensi della legge n. 230/1962, art. 1, comma 2°, lett. b), per sostituzione di personale assente per ferie. La Corte ha osservato che la clausola del contratto collettivo di lavoro giornalistico, nel prevedere un’ipotesi aggiuntiva di stipulazione di contratti a termine per sostituzione di personale in ferie, li aveva esclusi, contrariamente alla previsione della legge n. 56 del 1987, art. 23, dal rispetto del limite di contingentamento, nel senso che tale tipo di contratto non doveva rispettare il rapporto numerico tra assunzioni a termine e assunzioni a tempo indeterminato. Ha quindi ritenuto che la mancata previsione del limite di contingentamento per tale categoria di contratti (e quindi per quello in esame), comportava l’invalidità in parte qua della clausola contrattuale per violazione della previsione di cui alla legge n. 56 del 1987, art. 23, dovendo aversi riguardo alla sua natura inderogabile ed alla sua ratio, mirante ad evitare possibili abusi nell’utilizzazione dello strumento dei contratti a termine. La Corte ha poi escluso la validità dell’accordo sulla clausola di contingentamento pattuita oralmente, per l’ipotesi di lavoratori in ferie, in sede di stipulazione dell’accordo aziendale del 18/7/1995 e confermata nel successivo accordo aziendale 22/10/2001, di valore ricognitivo del precedente accordo orale, in quanto, in primo luogo, l’art. 23 per la sua formulazione esclude che la percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato possa essere determinata da un accordo aziendale; in secondo luogo perché la legge impone di stabilire un rapporto tra lavoratore assunto a termine e di dipendenti normalmente in forza tempo indeterminato, laddove nella fattispecie il rapporto era tra sostituti e sostituiti, con la conseguenza che la sostituzione sarebbe potuta venire anche in caso di assenza di altri lavoratori a termine, ipotesi quest’ultima non consentita.

5. Gli argomenti addotti dalla Corte appaiono del tutto condivisibili in quanto conformi a quanto già affermato da questa Corte, che, nell’affrontare la specifica questione della clausola di contingentamento nell'ipotesi de qua (assunzione per sostituire personale assente per ferie), ha osservato che la L. n. 56 del 1987, art. 23 consente - ratione temporis - che vengano individuate nei contratti collettivi di lavoro (stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative) specifiche fattispecie in relazione alle quali sia legittima l'apposizione al contratto di lavoro di un termine. La lettera della norma, che non contiene alcun riferimento a particolari esigenze o condizioni oggettive di lavoro o soggettive di lavoratori, e la espressa previsione che la contrattazione collettiva debba solo indicare la percentuale dei lavoratori da assumere rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato, inducono a ritenere che la mancanza di tale indicazione non permette la sussunzione delle fattispecie individuate dalla contrattazione collettiva nell'ambito di quelle per cui possa ritenersi legittima l'apposizione al contratto di lavoro di un termine (cfr., in tali termini, Cass. 22 novembre 2010 n. 23639).

6. Questa Corte ha anche affermato che evidenti esigenze di certezza impongono la necessità che gli accordi ai sensi della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, avvengano secondo forme prestabilite, tali da consentire un controllo in itinere delle parti sociali e degli stessi lavoratori, in un ambito "procedimentaIizzato" (v. Cass. 13 giugno 2005, n. 12632), in cui la clausola in questione venga anch’essa fissata in forma scritta, la sola, d’altra parte, idonea a garantire con certezza anche la eventuale verifica da parte del giudice, e che, peraltro, la legittimità di forme alternative di stipula dei contratti collettivi (riconosciuta dalla giurisprudenza: cfr. Cass. S.U. 22 marzo 1995 n. 3318) non esclude che peculiari esigenze di certezza degli impegni negoziali richiedano la forma scritta per determinate clausole. Ciò vale per la fissazione della quota percentuale delle assunzioni a termine: se pure è vero che anche l'indicazione di un numera massimo nell'anno può realizzare la finalità del contingentamento, è comunque necessario che tale indicazione sia accompagnata da quella dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, sì da potersi comunque verificare il rapporto percentuale fra lavoratori stabili e lavoratori a termine (v. Cass. 23639/2010 cit.; Cass, 3 marzo 2006, n. 4677; Cass., 17 marzo 2014, n. 6108).

7. Da tanto consegue che l’apposizione di un termine ad un contratto di lavoro stipulato con riferimento ad una fattispecie per la quale il contratto collettivo non contiene, ex lege n. 56/1987, art. 23, la espressa indicazione delle percentuali dei lavoratori da assumere rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato, è illegittima, non corrispondendo ad un tipo legale di contratto a termine (Cass., 8 aprile 2008, n. 9141).

8. Né rileva in proposito che, con l’accordo aziendale del 22 ottobre 2001, le parti avrebbero chiarito, riproducendolo e confermandolo per iscritto, il contenuto delle clausole stipulate oralmente in sede di conclusione dell’accordo del 18/7/1995, al fine di evitare incertezze interpretative derivanti dalla forma orale del citato accordo, posto che, in ogni caso, esso non è idoneo ex art. 1423 c.c. a sanare, con effetti retroattivi, una nullità già verificatasi per la violazione dei requisiti di contenuto dei contratti collettivi stipulati ai sensi della L. n. 56 del 1987, restando altresì escluso che le parti sociali, mediante lo strumento dell’ interpretazione autentica di vecchie disposizioni contrattuali possano autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti nulli o illegittimi per violazione di disposizioni di legge inderogabili (cfr. Cass., 16 maggio 2002, n. 7143; 25 marzo 2002, n. 4222; Cass., 16 novembre 2010, n. 23120).

9. Il motivo deve essere pertanto disatteso, con conseguente assorbimento di tutte le altre questioni relative alla validità di una percentuale fissata al 100%, alla legittimazione della R. e dell’ U. alla stipulazione di accordi aziendali che prevedano nuove ipotesi di contratti a termine, nonché alle mansioni assegnate al lavoratore assunto a termine, trattandosi di questioni logicamente successiva alla ritenuta nullità della clausola.

10. Con il secondo motivo, la R. censura la sentenza non definitiva per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, nonché per violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del CNLG, dell’art. 23 della legge n. 56/1987 e degli accordi sindacali 18/7/1997 e 3/6/1999, con riferimento al sesto, ottavo e undicesimo contratto. Assume che su tali contratti la Corte territoriale non avrebbe speso "una riga di motivazione".

11. Il motivo è da ritenersi assorbito nel rigetto della prima censura.

12. Deve invero ribadirsi, in conformità a precedenti di questa Corte, che tutti i motivi di ricorso che riguardano i contratti successivi al primo sono privi di decisività, giacche, come ha ritenuto il giudice del merito per effetto dell’illegittimità del termine apposto al primo contratto, si è stabilito tra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a far tempo dalla data della sua stipulazione. Trova quindi applicazione anche in questa sede il principio secondo cui, nel caso di contratti a termine ripetuti senza soluzione di continuità, stipulati in contrasto con le previsioni della legge "ratione temporis" applicabile (legge n. 56/1987, in questo caso), se il primo della serie viene dichiarato illegittimo, con conseguente trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, la stipulazione degli altri contratti a termine non incide sulla già intervenuta trasformazione del rapporto, a meno che: a) risulti provata la esplicita volontà dei contraenti di risolvere il precedente rapporto a tempo indeterminato e di costituire un nuovo rapporto a termine, cioè di porre in essere una novazione contrattuale (di cui vanno accertati gli estremi); b) ovvero, gli intervalli di tempo intercorsi tra i diversi contratti a termine siano di notevole durata e nel loro corso non vi sia stata né prestazione lavorativa né offerta della prestazione da parte del lavoratore, il quale non risulti esser rimasto a disposizione del datore di lavoro, sicché possa presumersi che i diversi intervalli trascorsi (o alcuno di essi) abbiano spezzato il nesso tra i periodi lavorativi, che pertanto sono da considerare separati, ancorché ciascuno disciplinato dalle norme sul rapporto di lavoro a tempo indeterminato (Cass., 17 gennaio 2014, n. 903; Cass., 21 marzo 2005, n. 6017). Poiché il motivo non prospetta alcuna delle ipotesi su elencate, esso deve ritenersi inammissibile per carenza di interesse.

13. Con il terzo motivo la R. Censura la sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., violazione degli artt. 1428 seguenti c.c., nonché per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, e assume che la Corte ha omesso di pronunciare e motivare sull’eccezione subordinata di invalidità degli interi contratti per errore di diritto essenziale riconoscibile, sollevata in primo grado e riproposta in secondo grado.

Il motivo, nella sua duplice articolazione, è in parte inammissibile e in parte improcedibile. L'inammissibilità sta nel fatto che la parte non trascrive gli esatti termini in cui la questione è stata posta al giudice di primo grado e riproposta in sede di appello, ma si limita ad una sua sintesi e ad una generica indicazione degli atti difensivi in cui la questione sarebbe stata proposta (memoria di costituzione, pagina 10 riga 4^; ricorso in appello, pagina 9, riga 19). Ciò impedisce ogni apprezzamento sulla ritualità e decisività della questione, così come impedisce di valutare se la stessa abbia costituito oggetto di uno specifico motivo di appello. Inoltre, la parte non deposita, unitamente al ricorso per cassazione, i detti atti, su cui pure fonda la sua censura, né indica dove gli stessi sarebbero attualmente reperibili, con la conseguenza che non può dirsi rispettato il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, così come consacrato dalle pronunce di questa Corte a sezioni unite, ed imposto anche per gli errores

in procedendo (Cass., 3 novembre 2011, n. 22726; Cass. Sez. Un. 22 maggio 2012, n. 8077; Cass., 17 gennaio 2007, n. 978; Cass., 16 aprile 2003, n. 6055).

14. Con il quarto motivo, la R. censura la sentenza definitiva per violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 1352 c.c., dei principi generali sull’attività giornalistica, dell’art. 1 CNLG in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3, c.p.c., nonché per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Assume che la Corte territoriale ha ritenuto esistente tra le parti un rapporto di lavoro subordinato anche con riguardo al terzo contratto, nonostante che: a) esso era stato denominato "testi per programma ‘Lavori in corso’ "; b) non aveva ad oggetto una generica messa a disposizione delle energie lavorative bensì un determinato numero di testi per l’autrice conduttrice del programma, verso un compenso "a testo"; c) non prevedeva obblighi di presenza né di orario, ma solo l’obbligo di consegnare i testi in tempo utile; d) eventuali diverse prestazioni rese non potevano essere idonee ad impegnare la R. non essendo state richieste da persone autorizzate a farlo, ed essendo le richieste prive di forma scritta, prevista a pena di invalidità. Inoltre mancavano tutti i requisiti, per qualificare l’attività come giornalistica.

15. Con riguardo a questo motivo vale quanto già detto nell’esaminare il secondo motivo di ricorso. Il motivo è posto in termini per così dire assoluti, sganciato cioè da ogni questione relativa ad un’eventuale risoluzione del rapporto a tempo indeterminato che è già venuto a costituirsi per effetto della ritenuta illegittimità del termine apposto al primo contratto, con la conseguenza che tutto ciò che è accaduto successivamente è irrilevante, perché interviene- in un rapporto già in corso. La sentenza infatti ha esaminato la questione ai soli fini di escludere che, attraverso questo contratto, le parti abbiano voluto novare il precedente rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato attraverso la costituzione di una diversa forma di rapporto di lavoro, connotato dall’autonomia. L’assenza di ogni censura, nel motivo in esame, circa il punto centrale della decisione della Corte territoriale, rende il motivo inammissibile, per carenza di interesse. Ad ogni buon conto, e per mera completezza di motivazione, deve rilevarsi che la Corte territoriale ha evidenziato, sulla base dell’istruttoria svolta, che, nell’esecuzione del terzo contratto di lavoro, il B. era addetto a reperire notizie informazioni, elaborare servizi ed eseguire interviste; che l'attività lavorativa si svolgeva in un unico ambiente di lavoro, attrezzato dalla R. con gli strumenti necessari (computer, telefono, fax); che egli partecipava alle riunioni quotidiane della redazione, nel corso delle quali erano discussi vari argomenti ed erano successivamente assegnati da parte della responsabile del programma, la giornalista E.F., le schede e i servizi informativi da predisporre in base alla "scaletta" della medesima elaborata; che il lavoratore sottoponeva tutte le informazioni e le notizie ritenute alla F. che stabiliva il taglio della scheda o del servizio e sollecitava eventuali approfondimenti che il B. provvedeva poi a realizzare sulla base delle istruzioni ricevute; che sussisteva un vincolo di presenza e di orario. Ha pertanto ritenuto, sulla base delle concordi deposizioni testimoniali raccolte, che nel periodo in cui il lavoratore collaborò alla realizzazione del programma "Lavori in corso" egli aveva di fatto svolto le medesime mansioni di giornalista redattore, già svolte in esecuzione dei due contratti precedenti e degli otto successivi, e che le stesse non erano limitate alla preparazione di testi, bensì alla raccolta, al commento all’elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione e informazione per il programma radiofonico su indicato. In altri termini, ha escluso che il rapporto a termine costituito in forza del terzo contratto avesse le caratteristiche del rapporto di lavoro autonomo e che si ponesse in termini di novità rispetto ai due precedenti contratti, non avendo la R. provato la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie prevista dall’art. 1230 c.c. Ha dunque ritenuto insussistente un accordo novativo del rapporto di lavoro subordinato in precedenza costituito. Si è in presenza di un ragionamento congruo, esaustivo, supportato da ampie emergenze istruttorie, sicché non sussiste neppure il dedotto vizio motivazionale.

16. Con il quinto motivo la R. denuncia la violazione dell’art. 112 cpc, dell'art. 1372 c.c., nonché l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio. Ritiene che la Corte ha errato e violato l’art. 1372 c.c. nella parte in cui ha fatto discendere dalla pretesa nullità del termine apposto al primo contratto la nullità del termine apposto tutti i contratti successivi e la sussistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo dal 24/6/1996 e ancora in essere al 11/5/2002, e ciò in quanto tutti i relativi rapporti si erano risolti per mutuo consenso o alle scadenze pattuite, per fatti concludenti, mediante concorde cessazione dell'esecuzione del contratto o, ancora, in occasione del terze, quinto, nono e undicesimo contratto, anticipatamente per espresso accordo scritto, formalizzato con lettere della R. sottoscritte dal lavoratore.

17. II motivo è infondato. Vanno qui richiamati i principi affermati da questa Corte - secondo cui: a) in via di principio è ipotizzabile una risoluzione del rapporto di lavoro per fatti concludenti (cfr. ad es., Cass. 6 luglio 2007, n. 15264; Cass. 7 maggio 2009, n. 10526; Cass. 23 luglio 2004, n. 13891); b) l'onere di provare circostanze significative al riguardo grava sul datore di lavoro che deduce la risoluzione per mutuo consenso (cfr. Cass., ord 4 agosto 2011, n. 16932; Cass., 29 aprile 2011, n. 9583, Cass.,1 febbraio 2010, n. 2279; Cass. 2 dicembre 2002 n. 17070); c) la relativa valutazione da parte del giudice costituisce giudizio di merito, c) la mera inerzia del lavoratore nel contestare la clausola appositiva del termine non è sufficiente a far ritenere intervenuta la risoluzione per mutuo consenso.

18. Tale orientamento, del tutto conforme al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321 c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l'indirizzo prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze; di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all'uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al riguardo, infatti, non può condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando esclusivamente il "piano oggettivo" nel quadro di una presupposta valutazione sociale "tipica" (v. Cass, 6 luglio 2007, n. 15264 e, da ultimo, Cass., 5 giugno 2013, n. 14209), prescinde del tutto dal presupposto che la risoluzione per mutuo consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale, anche se tacita (v. da ultimo, Cass., 28 gennaio 2014, n. 1780; Cass., 15 luglio 2014, n. 16139; Cass., 20 marzo 2014, n. 6528).

19, Ora, la questione relativa alla risoluzione del contratto per mutuo consenso è stata affrontata e risolta negativamente dalla sentenza non definitiva, la quale ne ha escluso l’esistenza in difetto di elementi concordanti, volti a manifestare la volontà delle parti in senso risolutorio, e non potendo darsi esclusivo rilievo al mero decorso del tempo. La stessa Corte ha precisato che proprio la reiterazione dei contratti a termine dopo la loro scadenza mostrava l’interesse delle parti alla prosecuzione del rapporto. La sentenza definitiva ha invece escluso che, per effetto della stipulazione del terzo contratto di lavoro, le parti abbiano voluto novare il precedente rapporto a tempo indeterminato (ex post costituito), trasformando il rapporto di lavoro subordinato in rapporto di lavoro autonomo e, nel giungere a tale conclusione, come si è su evidenziato, la Corte territoriale ha esaminalo il concreto atteggiarsi del rapporto tra le parti, le prestazioni rese, le modalità di esecuzione, l’esistenza di un potere organizzativo e gerarchico sul lavoratore, per escludere che esso avesse carattere di autonomia, essendo invece connotato da tutti i requisiti richiesti dagli artt. 2094 c.c. e 11 del CNLG. Da ciò ha tratto l'ulteriore convinzione che il detto contratto non ha avuto alcuna efficacia novativa del rapporto di lavoro giornalistico subordinato, già creatosi per effetto della nullità del termine apposto ai due precedenti contratti, in difetto di elementi costitutivi della fattispecie prevista dall’art. 1230 c.c.

20. Si è in presenza, per entrambe le decisioni, di ragionamenti logici ed adeguati solo genericamente contestati dalla società, che propone una diversa "lettura" della fattispecie, così chiedendo sostanzialmente a questa Corte di legittimità un inammissibile giudizio di merito di terza istanza (in tal senso v. Cass., 2 marzo 2012, n. 3308; si vedano, altresì, Cass. 10 novembre 2008, n. 26935; Cass. 28 settembre 2007, n. 20390; Cass. 17 dicembre 2004, n. 23554; Cass. 11 dicembre 2001 n. 15621, Cass. 21 gennaio 2014, n. 2141).

21. Infine, la società ricorrente non può dolersi della mancata considerazione delle accettazioni da parte del lavoratore delle lettere di "risoluzione anticipata" del rapporto, attesa la evidente non decisività di tale circostanza al fine dell’invocata risoluzione per mutuo consenso tacito del rapporto a tempo indeterminato. Al riguardo è sufficiente rilevare che (come si evince dalla lettura delle missive allegate al ricorso stesso della società), il lavoratore, con la sottoscrizione delle missive, ha solo preso atto dell’avvenuta risoluzione del rapporto per la cessazione dell’assenza del lavoratore sostituito, di guisa che le stesse, e le relative accettazioni, erano chiaramente riferite esclusivamente alla cessazione del singolo contratto e certamente non potevano esprimere una "chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo" (tanto meno all'interno della serie di contratti come sopra succedutisi nel tempo) (cfr. Cass., 14 settembre 2012, n. 15454).

22. Con il sesto motivo di ricorso, la R. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, commi 6° e 7°, l. n. 183/2010, lamentando l’erroneità della decisione nella parte in cui ha attribuito al lavoratore dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, nonostante che essa ricorrente avesse provato l’esistenza di accordi collettivi aziendali conclusi con l’U. per l’assunzione anche a tempo indeterminato di giornalisti già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, producendo i testi dei detti accordi, denominati accordi di bacino di riferimento professionale del personale giornalistico". Aggiunge che la sentenza è errata nella parte in cui non ha assegnato alle parti un termine per l’integrazione della domanda, e non ha esercitato i poteri istruttori previsti dall’art. 421 c.p.c.

23. Quest’ultimo motivo è inammissibile e improcedibile. L’inammissibilità deriva dalla circostanza che la sentenza ha ritenuto non provato l’inserimento del lavoratore nelle specifiche graduatorie previste dai detti accordi sindacali, da cui attingere per future assunzioni e tale affermazione non è stata adeguatamente censurata. Inoltre, la parte non trascrive né deposita, unitamente al ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 369, comma 2°. n. 4, c.p.c. i detti accordi aziendali, né indica con esattezza la loro attuale allocazione, nei fascicoli parte o di ufficio dei precedenti gradi del giudizio. Quanto al profilo inerente alla mancata assegnazione di un termine per l’integrazione della domanda e per l’esercizio, da parte della Corte, dei poteri istruttori ufficiosi, esso sì presenta inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo la R. precisato gli esatti termini delle richieste istruttorie formulate, in che termini sarebbero stati sollecitati i poteri istruttori del giudice e non avendo altresì provveduto ad indicare in quale atto difensivo o verbali di causa tali richieste e istanze sarebbero state avanzate, così violando il disposto degli artt. 366, comma 1°, n. 6 e 369, comma 2°, n. 4 c.p.c.

24. Con il ricorso incidentale, sostenuto da un unico motivo, il lavoratore denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 421 e 424 c.p.c., nonché omessa valutazione di un fatto controverso e decisivo. Censura la sentenza definitiva nella parte in cui ha omesso di condannare la R. al pagamento di una somma determinata, nonostante avesse in tal senso proposto uno specifico motivo di appello e depositato conteggi analitici e alternativi, l’uno che contemplava la retribuzione per i periodi non lavorati tra un contratto all’altro e l’altro con esclusione dei detti periodi. Nell’appello incidentale, egli si era doluto che la sentenza del tribunale aveva riconosciuto il diritto del ricorrente a percepire il trattamento previsto dagli accordi R-U., ma non aveva pronunciato sentenza di condanna. La Corte territoriale aveva emesso sì una pronuncia di condanna, ma non aveva provveduto a determinarne l’importo e ciò in violazione del disposto degli artt. 421 e 424 c.p.c. nonché dell’art. 115 c.p.c.

25. Il motivo è fondato.

26. Nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, l'attore, abbia richiesto la condanna del convenuto al pagamento di una determinata somma di danaro (cosiddetta condanna specifica) e non abbia poi, con il consenso del convenuto, limitato la domanda all’an debeatur (cosiddetta domanda generica), il giudice del merito non può emanare una condanna generica e rimettere la liquidazione del quantum, ma, in ossequio al principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, deve determinare le somme oggetto della pronuncia di condanna in base agli elementi acquisiti al processo, oppure rigettare la domanda per difetto di prova (cfr. in tema di risarcimento del danno, Cass., 18 febbraio 2011, n. 4051; Cass., 15 marzo 2007, n. 5997; Cass., 25 agosto 1993, n. 8992).

27. La Corte romana, con la sentenza definitiva ed in parziale accoglimento dell’appello incidentale, ha riconosciuto al B. per i periodi lavorati, le differenze retributive tra quanto percepito da quanto dovuto, da calcolarsi sulla base del trattamento economico previsto per i redattori ordinari a tempo indeterminato sia dal GNLG sia dall'accordo integrativo aziendale, tenendo conto ai fini degli scatti di anzianità dei periodi effettivamente lavorati, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali. Non ha tuttavia proceduto a determinare l’importo nel suo concreto ammontare. Ora, pur indicando la sentenza dei parametri per la determinazione della somma al cui pagamento la R. è stata condannata, essi non appaiono così dettagliati ed esaustivi da consentire, sulla base di un mero calcolo aritmetico, l’esatta quantificazione delle somme spettanti al lavoratore, né la sentenza rinvia a precisi dati contabili, che, integrati con la motivazione, assumano valore "specificante" della pretesa e conducano ad un’agevole determinazione del quantum.

28. Ne consegue che, sotto tale profilo, il ricorso incidentale è fondato e la sentenza deve essere cassata, con rinvio ad altro giudice affinché pronunci sentenza di condanna specifica delle somme spettanti al lavoratore sulla base dei criteri già indicati nella sentenza stessa. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.