Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 agosto 2015, n. 17287

Appalto di manodopera - Divieto - Utilizzazione di capitali, macchine, attrezzature dell’appaltante - Marginale apporto dell’appaltatore in termini di qualità - Interposizione fittizia

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso proposto avanti il Giudice del lavoro di Padova P.D.B. domandava l'accertamento nei confronti di I. s.r.l. e di A.S. di S.L. e B.M. s.n.c della violazione dell'art. 1 L. n. 1369/1960, con conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la I. s.r.l. dal 25.1.2003 e - accertata la responsabilità della detta I. nel sinistro occorso al ricorrente in data 6.2.2003 - chiedeva fa condanna della detta società al risarcimento dei danni patrimoniali quantificati in euro 725.421,21 o in via subordinata della A. con condanna del S. e del B. al pagamento dei detti danni quali soci illimitatamente responsabili. Si costituivano la A., il S. e il B. chiedendo il rigetto della domanda come proposta nei loro confronti. Si costituiva I. s.r.l. che chiedeva il rigetto della domanda e in via subordinata l'accertamento della responsabilità del sig. M.E. per i fatti di cui era causa, con manleva nei confronti dell'I. La società chiamava in causa la A.S. spa; la Z. s.p.a. nonché la R. s.p.a. che a loro volta chiedevano il rigetto della domanda. Il Giudice di prime cure con sentenza n. 851/09 non definitiva accertava l'esclusiva responsabilità della A. e dei sigg.ri S. e B. nell'infortunio ed assolveva la I. da ogni pretesa avversaria.

La Corte di appello di Venezia con sentenza dell'11.10.2012 accoglieva l'appello della A. s.n.c. e, in riforma dell'impugnata sentenza, rigettava la domanda proposta in primo grado dal B. nei confronti della detta società e dei suoi soci; in parziale accoglimento dell'appello incidentale proposto dal B. condannava la I. al risarcimento in favore del B. dei danni subiti per l'infortunio di cui è causa, respingeva l'appello incidentale di I. e rigettava ogni domanda proposta con lo stesso appello incidentale nei confronti dei A. s.n.c.; M.E., A. s.p.a. e Z. s.p.a.

Risolte alcune questioni relative alle eccezioni proposte in ordine all'interesse all'impugnazione ed alla ritualità delle notifiche, sul punto dell'esistenza di una intermediazione illecita di manodopera la Corte territoriale riportava l'opinione del Giudice di prime cure, secondo il quale l'attività consistente nella posa in opera delle guaine bituminose sul capannone in via di edificazione presso il cantiere I. di San Dorigo Della Valle (TS) costituiva un appalto lecito in quanto era stato accertato che la società appaltatrice aveva utilizzato mezzi di lavoro prevalentemente propri anche sotto il profilo qualitativo (rispetto alla modesta complessità dell’oggetto dell'appalto) e che la A. era dotata all'epoca di una sufficiente organizzazione di fattori produttivi. Per i Giudici di appello invece la prova espletata aveva fatto emergere che tutti i materiali necessari per la coibentazione (guaina, colla, stifferite a pannelli, bombole a gas) erano forniti dalla I.; il detto materiale veniva trasportato sul tetto dei capannoni attraverso una gru di notevoli dimensioni. Non era quindi vero che l'appalto si risolveva nello srotolare la guaina sul solaio e nell'uso di un cacciavite e di un trapano, posto che l'esecuzione dell'opus presupponeva capitali e attrezzature (la gru, i ponteggi, le scale in ferro) tutte di proprietà I., ma impiegati da A. da cui, a presunzione di illiceità assoluta ex art. 1 comma terzo I. n. 1369/1960. Dalle dichiarazioni dei testi emergeva anche che era il geometra M., dipendente I. che impartiva ordini e direttive del lavoro ed appariva del tutto superfluo che tali ordini e direttive fossero ripetute dai soci A.

La stessa I. aveva affermato nelle sue difese che la sicurezza nel cantiere dipendeva dal M. che sorvegliava venisse rispettata la normativa antinfortunistica: pertanto, posto che il contratto di appalto era nullo, ogni responsabilità gravava sulla I. ed era risultato pacificamente che l'incidente era dovuto al mancato rispetto macroscopico della normativa antinfortunistica che obbligava a coprire aperture esistenti nel pavimento dei luoghi e degli ambienti di lavoro. Del resto la stessa I. aveva affermato che l'aspetto antinfortunistico era seguito dal M. e in ogni caso l’A. non aveva risorse ed attrezzature per provvedere in proprio. Ogni domanda nei confronti del M. di rivalsa andava rigettata perché non era stato parte nel giudizio di primo grado, né era possibile ipotizzare una manleva delle società di assicurazioni chiamate in giudizio perché si trattava di un lavoratore in nero che operava in condizioni di illegalità per un appalto a sua volta illegittimo, caso quindi estraneo alle polizze assicurative come dalle società tempestivamente dedotto.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la I. con tre motivi; resistono il B. e con unico controricorso la A. il B.M. ed il S.L.. Il  difensore della A. del B. e del S. ha depositato in udienza conclusioni e nota spese. La I. ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 L. n. 1369/1960 per avere la Corte erroneamente ravvisato nell'apporto dei materiali utili alla realizzazione dell'appalto da parte della sub committente un "indice rilevatore" di interposizione illecita di manodopera: l'apporto dei materiali non costituisce elemento sintomatico dell’illiceità.

Il motivo appare infondato. La Corte territoriale ha correttamente ricostruito la giurisprudenza di legittimità in ordine alla liceità degli appalti ricordando che devono sussistere due condizioni: a) "un genuino apporto all'attività produttiva svolta relativo alla disponibilità ed all'organizzazione degli uomini e dei mezzi in vista della produzione del servizio richiesto e (b) " le modalità di gestione del rapporto di lavoro siano tali da far ritenere esistente un autonomo ed esclusivo legame di subordinazione del lavoratore nei confronti dell'appaltatore medesimo".

In sostanza la Corte di appello ha escluso la sussistenza di entrambi questi elementi. Per i Giudici di appello la prova espletata ha, infatti, fatto emergere che tutti i materiali necessari per la coibentazione (guaina, colla, stifferite a pannelli, bombole a gas) erano forniti dalla I.; il detto materiale veniva trasportato sul tetto dei capannoni attraverso una gru di notevoli dimensioni. Non era quindi vero che l'appalto si risolveva nello srotolare la guaina sul solaio e nell'uso di un cacciavite e di un trapano, posto che l'esecuzione dell'opus presupponeva capitali e attrezzature (la gru, i ponteggi, le scale in ferro) tutte di proprietà I., ma impiegati da A. Dalle dichiarazioni dei testi emergeva anche che era il geometra M. dipendente I,, che impartiva ordini e direttive del lavoro ed appariva del tutto superfluo che tali ordini e direttive fossero ripetute dai soci A. La stessa I. aveva affermato nelle difese che la sicurezza nel cantiere dipendeva dal M. che sorvegliava venisse rispettata la normativa antinfortunistica. Parte ricorrente oppone la tesi per cui l'impiego di capitali, macchine ed attrezzature non determina una presunzione assoluta di liceità se risulta essere stato corrisposto un compenso. Ma tale ultima circostanza non emerge né dalla sentenza né dal motivo che non offre alcun riscontro di tale assunzione. Va peraltro ricordato che questa Corte ha affermato il seguente principio "ai fini dell'accertamento dell'ipotesi di appalto illecito di manodopera prevista dall'art. 1, comma terzo, della legge n. 1369 del 1960, l'impiego, da parte dell'appaltatore, di macchine e attrezzature di proprietà dell'appaltante dietro relativo compenso non configura di per sè l'ipotesi vietata dalla legge, la quale, al contrario, va esclusa allorquando tali macchine ed attrezzature assumano una modesta rilevanza rispetto alla qualità dei servizi forniti dall'appaltatore, sì che in capo a quest'ultimo possa comunque riconoscersi un reale rischio economico di impresa (Nella specie, fa sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva escluso l'intermediazione illecita in relazione ad una società appaltatrice della gestione contabile e amministrativa di società facenti parte dello stesso gruppo di imprese, sul presupposto che la società appaltatrice aveva organizzato in modo del tutto autonomo il lavoro dei propri dipendenti, sicché l'impiego delle macchine ed attrezzature di una sola di tali società - dietro corresponsione di un canone a prezzo di mercato - era risultato del tutto irrilevante ai fini del raggiungimento degli obiettivi aziendali)" (Cass. n. 16551/2004; cfr. anche 11022/09). Non solo quindi deve essere provato l'erogazione di un compenso ma macchine ed apparecchiature devono avere una modesta rilevanza rispetto alla qualità dei servizi forniti dall'appaltatore, circostanza questa che deve escludersi alla luce dell'accertamento ampiamente motivato compiuto dai Giudici di appello. Va poi conclusivamente osservato che, anche a voler accogliere la tesi sviluppata nel motivo, non conseguirebbe l'accoglimento del ricorso in quanto, come già detto, i Giudici di appello hanno accertato che i lavoratori della lavoravano sotto la direzione ed il controllo dei dipendenti della società ricorrente.

Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 L. 1369/1960, nonché il vizio di omessa motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto l'apporto di attrezzature da parte di I. sufficiente per la comminatoria di sanzione, senza verificare la quantità e qualità del contributo in rapporto all'intera economia dell'appalto.

Il motivo è infondato in quanto, come già osservato, non risulta comprovato che per l'uso di apparecchiature e macchinari della ricorrente sia stato dato un compenso come richiesto dalla giurisprudenza citata dalla stessa parte ricorrente. Non vi è dubbio, alla stregua dell'accertamento compiuto, che poter utilizzare una gru, ponteggi o scale in ferro sia più rilevante e preponderante rispetto all'utilizzazione di cacciaviti, corde, coltelli e metro. Su questo punto non sussiste alcuna carenza motivazionale della sentenza impugnata. Come già osservato in relazione al precedente motivo, anche a voler accogliere la tesi sviluppata dal motivo, non conseguirebbe l'accoglimento del ricorso in quanto, come già detto, i Giudici di appello hanno accertato che i lavoratori della A. lavoravano sotto la direzione ed il controllo dei dipendenti della società ricorrente.

Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 L. n. 1369/60 e violazione dell'art. 116 c.p.c., nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto le asserite istruzioni impartite dal I. condizioni necessarie e sufficienti per la comminatoria di sanzione senza verificare la natura e l'intensità del potere asseritamente esercitato dalla stessa.

Il motivo appare infondato in quanto mira ad una "rivalutazione del fatto" come tale inammissibile in questa sede. La motivazione della sentenza sul punto appare congrua e logicamente coerente in quanto indica le fonti probatorie dell'accertamento e le relative circostanze e cioè che gli ordini e le direttive provenivano dal M. dipendente I. che ne sorvegliava l'esecuzione (anche se dipendenti dell'A. ribadivano il contenuto degli ordini ricevuti, circostanza correttamente ritenuta inessenziale). Le censure, oltre ad essere di fatto, non si fondano su di un'organica e complessiva ricostruzione della prova espletata attraverso la riproduzione delle deposizioni testimoniali del cui contenuto si discute e pertanto sono inidonee a provare una non corretta sintesi delle stesse da parte dei Giudici di appello. La difesa del B. peraltro, ha allegato numerose dichiarazioni testimoniali non menzionate nel motivo a conferma della ricostruzione della sentenza impugnata ed ha sottolineato come in appello la stessa, cercando di addossare la responsabilità dell'evento al M., abbia sostenuto la tesi che era questi, dipendente I., a sorvegliare tutta la materia della sicurezza per l'intero cantiere.

Pertanto si deve rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite del giudizio di legittimità in favore del B. costituito, seguono la soccombenza e vanno liquidate come al dispositivo. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità tra parte ricorrente e la A. posto che anche quest'ultima società ha concorso nella violazione della legge n. 1369/1960. Nulla nei confronti delle altre parti.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità tra la parte ricorrente e la A. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite nei confronti del B. che si liquidano in euro 100,00 per esborsi, nonché in euro 7.500,00 per compensi oltre accessori come per legge. Nulla nei confronti delle altre parti. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.