Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 agosto 2015, n. 17175

Tributi - Imposte sui redditi - Sale & lease back - Rinegoziazione debiti con la banca - Società in liquidità - Abuso del diritto - Non sussiste

Svolgimento del processo

Con sentenza 28.1.2013 n. 6, la Commissione di II grado di Bolzano, in parziale riforma della decisione di prime cure:

- dichiarava estinto il giudizio per intervenuta cessazione della materia del contendere nei confronti di B.H., quale socia di P.P.D.F. GmbH e Co. KG, essendo stata definita la lite ai sensi dell’art. 39, comma 12, del DL n. 98/2011 conv. in legge n. 111/2011

- rigettava l’appello incidentale proposto dalla società

- accoglieva l’appello principale dell’Ufficio di Bolzano della Agenzia della Entrate, dichiarando legittimi gli avvisi di accertamento notificati alla predetta società ed al socio P.S.M., quanto alla prima, limitatamente alla maggiore IRAP dovuta per l’anno 2004, quanto al secondo, in relazione alla maggiore IRPEF dovuta per lo stesso anno d’imposta.

I Giudici territoriali ritenevano provata la fattispecie di "abuso di diritto" contestata dall'Ufficio, non ravvisando ragioni economiche diverse dal mero risparmio d’imposta nella condotta negoziale della società, che aveva stipulato con Centro Leasing Banca s.p.a. un contratto di "sale & lease back" avente ad oggetto un bene immobile, al solo scopo di realizzare il vantaggio fiscale derivante dal più favorevole regime di deduzione dei canoni di leasing, rispetto a quello previsto per le quote di ammortamento del costo di acquisto del bene, deducibili per un minore importo e scaglionate in un più lungo periodo. A tale conclusione i Giudici di merito pervenivano in base alla insussistenza della prova di concrete esigenze che giustificassero la necessità per la società di acquisire nuova liquidità, nonché in base alla corrispondenza intercorsa con la società di leasing dalla quale emergeva che i motivi della operazione erano di natura esclusivamente fiscale.

I Giudici di appello confermavano, invece, la decisione di prime cure relativamente alla statuizione di annullamento dell’avviso limitatamente alla pretesa della maggiore IVA, non essendo stato conseguito dalla società, in ordine a tale imposta, alcun vantaggio fiscale, nonché relativamente alla statuizione di annullamento della irrogazione delle sanzioni pecuniarie, in quanto non applicabili a fattispecie di abuso di diritto diverse da quelle contemplate nell’art. 37 bis Dpr n. 600/73.

La sentenza di appello è stata ritualmente impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Entrate che ha dedotto con due motivi,vizi di violazione di norme di diritto e, con nota depositata in Cancelleria in data 24.2.2014, ha chiesto rinvio della udienza fissata il 10.3.2014 avendo proposto la società contribuente, avverso la medesima sentenza di appello, ricorso per revocazione ed essendo stata disposta dalla Commissione tributaria di II grado di Bolzano, con ordinanza 10.7.2013, prodotta in atti, la sospensione del termine per proporre la impugnazione per cassazione, ai sensi dell’art. 398 co 3 c.p.c..

Definito il giudizio di revocazione, la società ed il socio hanno ritualmente notificato alla Agenzia fiscale controricorso, proponendo avverso la medesima sentenza di appello contestuale ricorso incidentale, affidato a sei motivi.

La Agenzia ha depositato controricorso al ricorso incidentale.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo del ricorso principale la Agenzia fiscale deduce la violazione del principio [ndr. del divieto] dell’abuso diritto e dell’art. 19 Dpr n. 633/72, sostenendo che la CTR aveva errato a riconoscere il diritto alla detrazione della imposta versata in rivalsa dalla società sull’importo dei canoni di leasing liquidati nelle fatture emesse da Centro Leasing Banca s.p.a., in quanto la operazione commerciale "abusiva" era inopponibile alla Amministrazione finanziaria "senza distinzione alcuna tra le diverse tipologie di imposta pertanto una volta accertato l’abuso del diritto la CTR avrebbe dovuto ritenere la nullità del contratto di sale & lease back, per illiceità della causa (almeno così sembra interpretarsi l’argomento svolto a pag. 9 ricorso), costituendo il negozio in questione "uno schermo formale concordato per celare una operazione di finanziamento" e quindi "in realtà un contratto simulato", con la conseguenza che doveva essere ritenuto inesistente anche il diritto alla detrazione IVA ex art. 19 Dpr n. 633/72.

1.1 II motivo, che rispetta i requisiti minimi di autosufficienza ex art. 366 co 1 n. 4 c.p.c. (è individuata la statuizione impugnata; la critica si articola su di una interpretazione sistematica del principio di estrazione comunitaria del divieto di abuso del diritto in materia fiscale con la disciplina normativa che riconosce il diritto alla detrazione dell’IVA versata a monte), deve ritenersi infondato.

1.2 II tentativo della Agenzia ricorrente di istituire una equiparazione tra fattispecie illecita e fattispecie abusiva in materia tributaria va incontro ad una evidente confusione di nozione giuridiche distinte -non sovrapponibili, nè complementari- che transitano dalla mancanza di causa del contratto, "non potendo le parti trasferire beni solo per trasferirli, e cioè senza perseguire uno scopo economico " (ricorso pag. 8), alla condotta illecita per frode fiscale, al vizio di nullità del contratto ed alla simulazione contrattuale pappare evidente come il contratto di lease back costituisca in realtà uno schermo formale concordato per celare una operazione di finanziamento ricorso pag. 10 e 11), venendo ad individuare la ricorrente quale operazione dissimulata la stipula di contratto con causa di finanziamento, ipotesi che non era stata affatto considerata nel giudizio di merito in cui erano stati posti in comparazione, ai fini della dimostrazione dell’abuso, il regime di deducibilità fiscale del contratto di sale & lease back (che assolve tipicamente anche ad una causa di finanziamento -che non può, quindi, evidentemente ritenersi dissimulata, come afferma l’Agenzia ricorrente-) con il regime di deducibilità delle quote di ammortamento dei cespiti immobiliari, che la CTR aveva preso a riferimento come parametro della conformità fiscale.

1.3 La statuizione della sentenza della CTR, investita dal motivo, era incentrata, peraltro, sul fatto che la condotta abusiva non aveva generato perdite fiscali per l’Erario (né, corrispondentemente, "vantaggi fiscali" per la società) che aveva incassato l’IVA sia sul corrispettivo della vendita, che sui canoni di leasing.

Ne segue che se non è dato individuare un indebito vantaggio fiscale, in ordine alla debenza IVA, conseguito dalla società stipulando il contratto di sale & lease back, non soltanto rispetto alla ipotesi (considerata dalla CTR) in cui la società avesse portato in deduzione le quote di ammortamento del valore degli immobili in proprietà (atteso che in tal caso non sussisterebbe proprio il presupposto impositivo ex art. 1 Dpr n. 633/72), ma neppure rispetto all’ipotizzato contratto di finanziamento ("dissimulato"), nulla in proposito essendo stato allegato dalla ricorrente, osserva il Collegio che l’errore di diritto contestato alla CTR si risolve in una mera astratta postulazione, non essendo dato comprendere in che modo sia stata realizzata la elusione dell’IVA, atteso che la Agenzia ricorrente ha omesso del tutto di indicare quale sia la perdita di gettito fiscale subita a causa nel negozio abusivo, e quindi quale sia la "maggiore" IVA che l’Erario avrebbe incassato qualora le operazioni di sale & lease back non fossero state compiute e la società contribuente avesse realizzato la diversa operazione negoziale da ritenersi fiscalmente corretta.

1.4 La oggettiva diversità dei presupposti impositivi riconducibili ai differenti tributi (nella specie IVA ed imposte dirette), tale che non può operare la interpretazione analogica o sistematica tra norme che appartengono alle diverse discipline delle singole imposte (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 22165 del 27/09/2013, con riferimento a norme di agevolazione fiscale previste ai fini IRPEG ed ILOR; id. Sez. 5, Sentenza n. 235 del 09/01/2014 secondo cui "nel processo tributario l'efficacia espansiva del giudicato esterno non ricorre quando i separati giudizi riguardino tributi diversi (nella specie, IVA ed IRPEG - ILOR), stante la diversità strutturale delle suddette imposte, oggettivamente differenti, ancorché la pretesa impositiva sia fondata sui medesimi presupposti di fatto"), destituisce inoltre di qualsiasi pregio la tesi della Agenzia fiscale secondo cui l’abuso del diritto accertato in materia di imposte dirette comporterebbe automaticamente la eliminazione della operazione negoziale che sarebbe inidonea ad integrare qualsiasi altro presupposto d’imposta e, conseguentemente, a costituire la società contribuente titolare di debiti e crediti IVA in relazione alle fatture emesse e ricevute in dipendenza di detta operazione negoziale.

L’inopponibilità del negozio abusivo nei confronti della Amministrazione finanziaria deve, infatti, intendersi come inopponibilità relativa allo specifico tributo per il quale è stato accertato il conseguimento dell’indebito vantaggio fiscale, diversamente opinando - seguendo la tesi della ricorrente- si perverrebbe addirittura ad un risultato contrastante con l’ordinamento comunitario, determinandosi una perdita di entrate relative al tributo armonizzato nonostante si sia verificato il relativo presupposto d’imposta (nella specie infatti la operazione conclusa tra la società contribuente e la società di leasing non dà luogo ad operazione oggettivamente nè soggettivamente inesistente), dovendo aggiungersi, al riguardo che, se non viene in contestazione la effettività dell’attività economica sottesa alla operazione negoziale, la perdita del diritto alla detrazione IVA, può verificarsi soltanto nel caso in cui si accerti la condotta fraudolenta o il tentativo di frode (e dunque in presenza di condotte illecite) ovvero che "che l’operazione controversa, nonostante il rispetto delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la recepisce, abbia il risultato di procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sia contraria all’obiettivo perseguito da queste disposizioni e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione controversa è il conseguimento di un vantaggio fiscale" (cfr. Corte di Giustizia CE sentenza in data 21.2.2006, causa C-255/02, Halifax pie, punto 74-75; id. sentenza in data 17.7.2014, causa C-272/13, Equoland soc. coop. a r.l., punto 39).

Nella specie difetta del tutto la prova del danno al bilancio dello Stato per mancato introito dell’IVA, palesandosi infondata la censura essendo conforme a diritto la statuizione della CTR che ha escluso, in difetto di un indebito vantaggio fiscale, l’abuso del diritto in relazione al rapporto tributario concernente l’IVA, riconoscendo alla società contribuente il diritto alla detrazione d’imposta versata in rivalsa sulle fatture emesse da Centro Leasing Banca s.p.a. per canoni di leasing.

2. L’esame del secondo motivo del ricorso principale deve essere rimandato dopo quello dei motivi del ricorso incidentale, vertendo su questione (irrogabilità di sanzioni pecuniarie in caso di condotta fiscale "abusiva") dipendente dalla previa verifica di legittimità della statuizione della sentenza della CTR che accerta la sussistenza dell’abuso di potere in materia di imposte sui redditi.

3. Il primo motivo del ricorso incidentale, con il quale si censura la sentenza di appello per vizio di omessa motivazione ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c. non avendo la CTR esaminato il motivo di gravame incidentale concernente la nullità dell’avviso di accertamento in quanto privo di sottoscrizione del funzionario competente, deve essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse e per difetto di autosufficienza ex art. 366 co 1 n. 6 c.p.c., indipendentemente dalla erronea individuazione del parametro del sindacato di legittimità, atteso che attraverso l’errore di fatto i ricorrenti incidentali intendono piuttosto far valere il diverso vizio di nullità processuale, ex art. 360 co 1 n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia su uno specifico motivo di gravame, in violazione dell’art. 112 c.p.c..

3.1 Emerge dalla stessa esposizione del motivo che la società, con il ricorso introduttivo e con l’appello incidentale, aveva contestato la invalidità degli avvisi di accertamento in quanto sottoscritti anziché dal Direttore dell’Ufficio emittente, da un funzionario amministrativo, e che, a fronte di tale contestazione, l’Ufficio finanziario aveva prodotto, in grado di appello, l’atto di delega di firma al funzionario "dirigente" G.D., come previsto dall’art. 42 Dpr n. 600/73 (ricorso incid. pag. 35-36).

Non risulta che dopo la indicata produzione documentale la società abbia insistito nella eccezione o contestato anche la validità dell’ "atto di delega", con la conseguenza che, se da un lato, difetta uno specifico interesse a censurare il mancato esame di tale documento da parte della CTR, dall’altro, avendo i ricorrenti incidentali omesso di trascrivere il contenuto o gli elementi essenziali dell’atto di delega -e di allegare eventuali difformità nella riferibilità della sottoscrizione dell’avviso di accertamento al funzionario dirigente delegato alla firma-, il motivo di ricorso si palesa anche privo di autosufficienza.

4. Con il secondo motivo del ricorso incidentale la sentenza di appello viene impugnata per violazione degli artt. 37 bis, commi 4 e 5 , e 42, comma 2, del Dpr n. 600/73, in relazione all’art.360 co 1 n. 3 c.p.c., in quanto la CTR avrebbe erroneamente affermato che gli avvisi erano validamente motivati, sebbene non contenessero specifiche controdeduzioni ai chiarimenti fomiti dal contribuente, come richiesto a pena di nullità dall’art. 37 bis Dpr n. 600/73

4.1 Con il terzo motivo i ricorrenti incidentali deducono il vizio di violazione degli artt. 7 e 12, comma 7, della legge 212/2000, nonché dell’art. 42, comma 2, Dpr n. 600/73, in relazione all’art. 360 co l n. 3 c.p.c., essendo stati gli avvisi riconosciuti dalla CTR esenti da vizi motivazionali, sebbene la società all’esito della verifica avesse presentato proprie osservazioni e l’Ufficio accertatore non avesse svolto alcuna considerazione per disattenderle.

4.2 Entrambi i motivi debbono ritenersi inammissibili per difetto di autosufficienza ex art. 366 co 1, nn. 4 e 6 c.p.c..

Osserva il Collegio che l’atto impositivo prende in considerazione tanto i "chiarimenti", quanto le "osservazioni" fornite dalla società contribuente, sia pure con laconica motivazione, affermando che gli stessi "non appaiono sufficienti a rideterminare la pretesa tributaria. Ne segue che i ricorrenti incidentali per censurare la genericità e dunque la inidoneità di tale sintetica proposizione ad assolvere al requisito di validità della motivazione dell’avviso di accertamento avrebbero dovuto specificare e indicare i fatti, documenti, elementi di valutazione, nuovi e diversi da quelli già valutati dai verbalizzanti e riportati nel PVC, offerti all’esame dell’Ufficio con i chiarimenti e le osservazioni e tali da richiedere, pertanto, una puntuale controdeduzione nella motivazione dell’avviso da parte dell’Amministrazione fiscale.

A tale onere di autosufficienza non hanno adempiuto la società ed il socio in quanto:

- nel motivo non viene riportato il contenuto dei "chiarimenti" trasmessi alla Amministrazione finanziaria con nota 4.12.2009, sicché non è dato verificare se il contribuente avesse fornito all’Ufficio nuovi documenti od avesse prospettato nuove questioni od ulteriori ambiti di indagine rispetto a quelli già riportati ed esaminati dai verbalizzanti nel PVC, in tal caso rimanendo avvalorata la carenza motivazionale degli avvisi, o se, invece, il contribuente si fosse limitato semplicemente a ribadire genericamente la regolarità della operazione negoziale, apparendo evidente in quest’ultimo caso che, in difetto di nuovi elementi di fatto o di nuovi chiarimenti, la PA non era tenuta a contestare con gli avvisi, in modo specifico, la nota del 4.12.2009, non rispondendo alla "ratio legis" delle norme tributarie indicate in rubrica -volta a garantire la effettività del contraddittorio nella fase amministrativa- sanzionare con la nullità un adempimento meramente formalistico (autonoma motivazione) in quanto meramente riproduttivo della esposizione dei presupposti di fatto e delle ragioni in diritto che sorreggono la pretesa impositiva;

- non sono riportate nel motivo di ricorso le "osservazioni" che la società avrebbe formulato ai verbalizzanti il 21.4.2009, ai sensi dell’art. 12 legge n. 212/2000, all’esito della verifica fiscale (ric. incid. pag. 46), rimanendo in tal modo impedita alla Corte la necessaria verifica preliminare di coerenza della censura al vizio di legittimità denunciato, non essendo dato accertare se le questioni prospettate con dette "osservazioni" rivestissero il carattere della novità e specificità cui va ricollegata la insorgenza dell’obbligo di specifica controdeduzione da parte dell’Ufficio finanziario al fine di realizzare la effettività della garanzia del contraddittorio.

5. Il quarto motivo (vizio di omessa motivazione ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.) è infondato.

5.1 I ricorrenti incidentali contestato la statuizione della CTR secondo cui il provvedimento autorizzatorio all’accesso da parte dei verificatori contiene gli elementi fondamentali per esplicare i propri effetti, sostenendo che l’atto amministrativo risulta privo di data, numero di protocollo e timbro dell’ufficio e le sigle illeggibili, in calce, del Tenente della Guardia di Finanza L.C., appaiono differenti potendo quindi "ragionevolmente dubitarsi che le stesse siano state apposte dalla medesima persona".

5.2 Orbene per giurisprudenza consolidata di questa Corte la esistenza in concreto del potere amministrativo, che deve essere esercitato secondo forme procedimentali tipiche ed è -di regola- veicolato da provvedimenti formali, e la riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere, anche in presenza di lacune od irregolarità di taluni elementi, bene possono essere desunte dal contesto complessivo dell'atto stesso, essendo stato ritenuto esente da vizi di validità anche il provvedimento privo di sottoscrizione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 4923 del 02/03/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 4757 del 27/02/2009; id. Sez. 5, Sentenza n. 4283 del 23/02/2010; id. Sez. 6-5, Ordinanza n. 11458 del 06/07/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 13461 del 27/07/2012).

5.3 Nella specie i ricorrenti incidentali si sono limitati a trascrivere soltanto la parte del documento relativa alle sigle sottoscritte, ma dallo stesso motivo di ricorso incidentale e dal controricorso al ricorso incidentale emerge in modo chiaro come l’ordine di servizio concerneva l’autorizzazione all’accesso nei locali della impresa per svolgere specifici accertamenti, indicando i militari autorizzati, il periodo della durata della verifica e gli anni d’imposta oggetto di indagine, e recando in calce sigle illeggibili del Comandante della Tenenza (Tenente L.C.).

I ricorrenti incidentali non contestano che il provvedimento autorizzatorio, allegato al PVC, fosse in possesso dei verbalizzanti al momento dell’accesso, rendendosi quindi del tutto irrilevante la mancanza della data nel provvedimento, atteso che l’elemento temporale di emissione dell’atto rileva esclusivamente ai fini della prova della necessaria anteriorità della autorizzazione (atto presupposto) rispetto all’accesso nei locali d’impresa ai fini della esecuzione delle operazioni di verifica.

Quanto alla assenza degli altri elementi formali, la riconducibilità del provvedimento autorizzatorio al Comandante della Tenenza competente per territorio, attestata dalla indicazione nell’atto della identità del sottoscrittore, consente di escludere qualsiasi incertezza in ordine alla provenienza della autorizzazione dall’organo titolare del relativo potere, e dunque rimane escluso l’effetto invalidante ipotizzato dai ricorrenti incidentali, tenuto conto che l’atto pubblico fa fede fino a querela di falso, ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., della sua provenienza dal sottoscrittore, ed eventuali dubbi circa la effettiva paternità delle sigle illeggibili apposte in calce al provvedimento (difetto di genuinità) avrebbero dovuto essere fatti valere attraverso il rimedio appropriato della impugnazione per querela di falso materiale.

6. Anche il quinto motivo del ricorso incidentale, con il quale si deduce la nullità della sentenza di appello per carenza assoluta di motivazione (in punto di mancato accertamento delle valide ragioni economiche che giustificavano la operazione negoziale ed in punto di prova dell’indebito vantaggio fiscale conseguito attraverso detta operazione) ex artt. 132 co 2 n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c.; 36 co 2 n. 4 Dlgs n. 546/1992, in relazione all’art. 360 co 1 n. 4 c.p.c., è infondato.

6.1 La motivazione svolta dalla CTR a sostegno della decisione impugnata, è articolata su tre elementi indiziari ritenuti dai Giudici di appello dimostrativi della condotta "abusiva": 1-mancanza di immediate esigenze di liquidità per la società contribuente; 2- inesistenza di altre concrete ragioni economiche della operazione di sale & lease back; 3- illustrazione della convenienza fiscale della operazione, contenuta nel prospetto informativo fornito da Centro Leasing Banca s.p.a..

6.2 Nel motivo in esame i ricorrenti incidentali contestano i singoli elementi indiziari, allegando che la società non disponeva al tempo di liquidità sufficiente per acquistare gli immobili; che la operazione era diretta al procacciamento del finanziamento necessario per mantenere il possesso degli immobili da condurre in locazione (ric. incident. pag. 60 e 61).

Orbene la critica svolta nella esposizione del motivo non si attaglia affatto al denunciato vizio di nullità processuale per mancanza di un requisito formale di validità della sentenza, ma viene piuttosto a censurare la motivazione della sentenza per errori di fatto nella rilevazione valutazione del materiale probatorio, e dunque in relazione a diverso parametro normativo del sindacato di legittimità (art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.), circostanza questa antinomica rispetto alla dedotta nullità, in quanto presuppone, al contrario di quella, che la sentenza sia dotata di una motivazione (ove pure affetta da illogicità) e quindi presuppone la esistenza di quel requisito formale di validità di cui la sentenza, con il motivo in esame, si assume priva.

7. Con il sesto motivo del ricorso incidentale la sentenza di appello è impugnata per violazione dell’art. 53 Cost, dell’art. 37 bis Dpr n. 600/73, dell’art. 67, comma 8 (attuale art. 102) Dpr n. 917/1986 TUIR.

Sostengono i ricorrenti incidentali che i contratti di sale & lease back stipulati con Centro Leasing Banca s.p.a. non potevano ritenersi elusivi in quanto conclusi successivamente alla modifica legislativa del regime di deducibilità dei canoni di leasing immobiliare (per cui era previsto l’obbligo minimo di durata contrattuale di otto anni), costituendo tale disciplina una specifica misura antielusiva volta a rendere equivalente, sul piano fiscale, la scelta effettuata dall’operatore tra l’acquisto in proprietà dell’immobile -con deduzione dei costi per quote annuali secondo il piano di ammortamento- e la stipula di un contratto di leasing immobiliare -con deducibilità dei canoni per la durata minima di otto anni-, equivalenza riconosciuta dalla stessa Amministrazione finanziaria nelle risoluzioni 23.2.2004 n. 19/E, 10.5.2004 n. 69/E e 25.2.2005 n. 27/E, e che veniva ad escludere la astratta configurabilità di un indebito vantaggio fiscale.

Il motivo è fondato, dovendo risolversi la questione controversa alla stregua delle considerazioni svolte nel precedente di questa Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 25758 del 05/12/2014 (cui adde Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 405 del 14/01/2015), alle quali il Collegio intende aderire Secondo la giurisprudenza comunitaria (la cui elaborazione della figura dell'abuso del diritto tributario in ambito di tributi armonizzati è stata recepita dalla giurisprudenza di legittimità ed estesa anche ai tributi non armonizzati) perché si possa parlare di pratica abusiva, occorre che si verifichino due condizioni. Da un lato, le operazioni controverse devono, nonostante l'applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della direttiva IVA e della legislazione nazionale che la traspone, procurare un "vantaggio fiscale" la cui attribuzione sia contraria all'obiettivo perseguito da queste disposizioni. Dall'altro, deve risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo "scopo essenziale" dell'operazione controversa è l'ottenimento di detto vantaggio fiscale (v., in tal senso, Corte Giustizia sentenza 21.2.2006, causa C-255/02, Halifax pie, punti 74 e 75; id. sentenza in data 21.2.2008, causa C-425/06, Part Service s.r.l., punto 58; id. sentenza in data 27.10.2011, causa C-504/10, Tanoarch s.r.o., punto 52; id. sentenza in data 22.3.2012, causa C- 153/11, Klub OOD; id. sentenza in data 20.6.2013, causa C-653/11, Newey, punto 46).

Orbene l'elemento integrante "l’indebito" vantaggio fiscale per "contrarietà" allo scopo perseguito dalle norme tributarie eluse, va ricercato nella causa concreta della operazione negoziale sottesa al "meccanismo giuridico contorto" (cfr. Corte cass. 5 sez. 8.4.2009 n. 8487, id. 5 sez. 10.6.2011 n. 12788 che fanno riferimento ad un "uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico" id. 5 sez. 21.1.2011 n. 1372, id. 5 sez. 20.5.2011 n. 11236, id. 5 sez. 20.10.2011 n. 21782, id. 5 sez. 15.1.2014 n. 653 che fanno riferimento a "vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione od un risparmio d'imposta"; id. 5 sez. 30.11.2012 n. 21390 che si riferisce a "modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato"), volto ad aggirare la normativa tributaria, e posto in atto per raggiungere lo scopo essenziale del risparmio d'imposta che in altro modo non sarebbe possibile conseguire (cfr. Corte giustizia, Newey, cit. "il principio del divieto dell'abuso del diritto comporta il divieto delle costruzioni meramente artificiose"), rimanendo precluso l'utilizzo di strumenti o combinazioni negoziali, pur se esenti da vizi di nullità ex art. 1418 c.c., volti a realizzare un risultato fiscale non conforme a quello "normale" e cioè non conforme allo scopo voluto dalla norma tributaria elusa, avuto riguardo alla realtà effettuale della operazione economica e non al suo mero rivestimento giuridico (cfr. Corte cass. 5 sez. 29.9.2006 n. 21221, che richiede di valutare l’operazione "nella sua essenza"; id. 5 sez. 21.11.2008 n. 27646 secondo cui occorre "cogliere la vera natura della prestazione ed assoggettarla ad imposizione per il suo effettivo contenuto"; id. 5 sez. 21.1.2009 n. 1465 ed id. 5 sez. 22.9.2010 n. 20029, per cui l'operazione economica deve essere valutata "tenuto conto sia della volontà delle parti implicate, che del contenuto fattuale e giuridico"; id. Sez. 6-5, Ordinanza n. 6835 del 19/03/2013 secondo cui la verifica della condotta abusiva "impone di privilegiare l'intrinseca natura e gli effetti giuridici, rispetto al titolo e alla forma apparente degli stessi, con la conseguenza che i concetti privatistici relativi all'autonomia negoziale regrediscono, di fronte alle esigenze antielusive poste dalla norma, a semplici elementi della fattispecie tributaria, per ricostruire la quale dovrà, dunque, darsi preminenza alla causa reale e complessiva dell'operazione economica, rispetto alle forme dei singoli negozi giuridici"; id. Sez. 5, Sentenza n. 17965 del 24/07/2013).

Nella specie il vantaggio fiscale "indebito" è stato individuato dalla Commissione tributaria nella forma "accelerata" di deducibilità del costo del bene materiale strumentale all'esercizio della impresa (rispetto alla ordinaria previsione di ammortamento del costo dei fabbricati industriali) della quale la società contribuente si è avvalsa utilizzando il regime fiscale più favorevole previsto dall'art. 67, comma 8 (vecchio) TUIR applicabile ratione temporis.

La indicata norma tributaria, infatti, in relazione ai contratti di leasing finanziario aventi ad oggetto beni immobili, consentiva alla impresa utilizzatrice la intera deducibilità dei canoni alla sola condizione che il contratto non avesse durata inferiore ad otto anni (le successive modifiche introdotte dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 5 ter, comma 1 conv. in L. 2 dicembre 2005, n. 248, non rilevano ai fini del presente giudizio in quanto trovano applicazione ai contratti di locazione finanziaria stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione, giusta il disposto dell'art. 5 ter, comma 2, della legge), e pertanto, adottando lo schema negoziale del contratto di "sale & lease back", in assenza di valide ragioni apprezzabili sotto il profilo dei criteri di gestione della impresa (i Giudici di merito hanno fondato la decisione sulle seguenti rationes decidendi: 1-non emergevano esigenze di acquisizione di liquidità da parte della società; 2-il pagamento di una maxi-rata iniziale consentiva la pronta deducibilità dal reddito di un importo elevato; 3-dai documenti della società di leasing acquisiti dai verbalizzanti, risultava che la operazione era stata eseguita eminentemente per fruire di un regime fiscale più favorevole), la società contribuente avrebbe inteso esclusivamente aggirare le norme tributarie che, in relazione ai costi di costruzione od acquisto di beni immobili strumentali, prevedevano una diluizione temporale maggiore della deducibilità delle quote di ammortamento.

7.1 Orbene osserva il Collegio che lo scopo delle norme che, in materia di imposte sui redditi, disciplinano l'ammortamento dei costi per beni strumentali è quello di evitare una scorretta rappresentazione del reddito d'impresa (tanto in relazione al principio di competenza ex art. 109 TUIR, quanto in considerazione del principio di autonomia delle obbligazioni tributarie relative a "ciascun periodo di imposta", corrispondente, in difetto di diverse indicazioni legislative o statutarie, all'anno solare: art. 76 TUIR) e quindi una inesatta determinazione della base imponibile nel caso di deduzione di spese afferenti beni materiali strumentali il cui impiego e sfruttamento sia durevole nel tempo, venendo a riverberare la "abusiva" utilizzazione del differente regime di ammortamento previsto per i contratti di leasing, volta ad anticipare "indebitamente" la deducibilità del componente negativo di reddito, sul principio costituzionale di capacità contributiva del soggetto passivo. Pertanto, in astratta ipotesi, non può essere escluso a priori che il contribuente, attraverso un uso "distorto" di schemi negoziali, persegua uno scopo contrario a quello affidato alle norme tributarie che mirano alla corretta rappresentazione della effettiva capacità contributiva, venendo a fruire di un regime fiscale più favorevole, che -se pure previsto da specifiche norme tributarie- non è tuttavia corrispondente a quello -meno vantaggioso- che avrebbe dovuto essere applicato in quanto espressamente riservato, dalle norme tributarie eluse, alla "operazione economica sostanziale" che il contribuente ha inteso effettivamente realizzare, ottenendo in tal modo, abusando del diritto tributario, un "indebito" vantaggio fiscale.

7.2 La comparazione richiesta dalla norma tributaria non deve essere compiuta con riferimento alla scelta tra diverse operazioni negoziali che avrebbero potuto essere realizzate dalla impresa (non potendo l'Amministrazione finanziaria sindacare la preferenza per la acquisizione di liquidità mediante accesso al credito bancario, piuttosto che mediante contrazione di obbligazioni con i soci, o stipula di un mutuo, ovvero mediante lo schema negoziale del "sale & lease back"), quanto piuttosto con riferimento ai "risultati" che la impresa viene a conseguire con l'attività negoziale in concreto svolta (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 12249 del 19/05/2010, che esamina un caso in cui non si pone alcuna necessità di individuare una operazione negoziale alternativa, ma si ravvisa l'abuso di diritto nella operazione negoziale intesa a sostituire mediante un rapporto di comodato da una società di capitali a soggetto non imprenditore - associazione sportiva composta dagli stessi soci della società di capitali - un complesso di beni organizzati in forma di azienda, venendo quindi in comparazione non la scelta di differenti ed alternative operazioni negoziali, ma la differente situazione fiscale in cui verserebbe la società di capitali ove non avesse realizzato l'atto elusivo), ben potendo -in ipotesi- non sussistere affatto una opzione alternativa tra schemi negoziali diversi ma egualmente idonei a realizzare il medesimo risultato economico-giuridico, come nel caso in cui emerga (all'esito di un accertamento in fatto, condotto in base alle specifiche circostanze concrete, e che deve essere comprovato dalle risultanze istruttorie) che l'impresa si sia determinata ad intraprendere una nuova attività negoziale -caratterizzata dall’abnorme o distorto utilizzo degli strumenti giuridici impiegati, o dalla manifesta incompatibilità od incoerenza rispetto alle logiche di mercato- al solo scopo di fornire una qualificazione giuridica diversa alla medesima situazione iniziale (acquisto di bene immobile, che consente l'ammortamento della spesa in quote annuali per un lungo periodo: art. 102, comma 2 TUIR - già art. 67, comma 2 TUIR-manifestando la volontà di non realizzare -o di realizzare solo in misura trascurabile- il fine di finanziamento, qual è caratteristico del contratto di sale & lease back, per perseguire invece esclusivamente -od "essenzialmente"- l'obiettivo del vantaggio fiscale connesso alla deducibilità in notevole minore tempo (pari alla durata di otto anni del contratto) dell'originario costo di acquisto dell'immobile.

7.3 La ricostruzione della vicenda negoziale operata dalla Commissione tributaria viene dunque a fondarsi, da un lato, sull'assunto per cui, l'acquisto o la costruzione di un bene immobile strumentale all’esercizio della impresa (nella specie fabbricato industriale) determina "come conseguenza ineludibile" l'assoggettamento del contribuente allo specifico regime della deducibilità del relativo costo mediante quote annuali di ammortamento (secondo la disciplina ordinaria prevista dall'art. 67, commi 1 - 7, attuale art. 102, commi 1-6, TUIR) e, dall'altro, specularmente, sulla implicita negazione della facoltà del soggetto contribuente, che ha acquisito la proprietà del bene strumentale, di sottrarsi all'indicato regime fiscale mediante atti di disposizione del bene immobile in questione -non giustificati da puntuali esigenze di liquidità- al fine di ottenere, attraverso la stipula del contratto di "sale & lease back", un finanziamento ed evitare gli oneri connessi all'appostamento in bilancio del bene come immobilizzazione materiale: secondo la CTR, pertanto, la società contribuente, avrebbe potuto egualmente ottenere nuova liquidità, anziché effettuando tale complessa operazione, limitandosi a stipulare un nuovo contratto di finanziamento bancario e continuando a dedurre annualmente le quote di ammortamento sul bene strumentale acquisito in proprietà.

7.4 Entrambi i postulati su cui poggia il ragionamento svolto dai Giudici tributari per qualificare abusiva la operazione economica non rivestono affatto la natura assiomatica che la Commissione tributaria ha inteso loro riconoscere.

7.5 Come più volte ribadito dalla giurisprudenza comunitaria e di legittimità la opzione del soggetto passivo per la operazione negoziale che risulti fiscalmente meno gravosa non costituisce ex se condotta "contraria" allo scopo della disciplina normativa tributaria, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà di scelta (cfr. Corte di Giustizia, sentenza Halifax, punto 73, cit., la 6A direttiva in materia di IVA consente all'imprenditore la scelta tra operazioni esenti ed operazioni soggette ad imposta e pertanto non impone a tale soggetto "di scegliere quella che implica un maggior pagamento IVA. Al contrario....il soggetto passivo ha diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale"; conf. Corte di Giustizia, sentenza Part Service s.r.L, cit., punto 47. La legittimità dell'opzione fiscale più favorevole da parte del soggetto contribuente trova conferma anche nella giurisprudenza di questa Corte: Corte cass. 5 sez. 29.9.2006 n. 21221; id. 5 sez. 12.5.2011 n. 10383, secondo cui non può mai integrare abuso del diritto la scelta dell’imprenditore di istallare stabilimenti industriali -costituendosi in forma societaria- nei territori del Mezzogiorno, così da fruire delle previste agevolazioni fiscali, atteso che "i detti risparmi fiscali.... rappresentano la contropartita fissata dallo stesso legislatore ad incentivazione di tale costituzione e non una finalità antigiuridica").

7.6 Esercitata tale facoltà di scelta l'operatore rimane soggetto al regime fiscale previsto in relazione ai presupposti impositivi od agevolativi considerati dalla norma tributaria che regola la operazione compiuta, non essendo invece consentito all'operatore economico conseguire i benefici fiscali, attribuiti in relazione alla effettuazione di una determinata operazione giuridico-economica, utilizzando strumenti negoziali diversi per i quali l'ordinamento tributario prevede un regime fiscale differente, anche se -in ipotesi- in entrambi i casi le operazioni realizzate pervengano allo stesso risultato economico finale (è l'ipotesi considerata da Corte di Giustizia, sentenza 9.10.2001, causa C-108/99, Cantor Fitzgerald International, punti 31 e 32, richiamata anche nella sentenza Halifax: il Giudice di Lussemburgo chiamato a pronunciarsi sulla questione pregiudiziale se l'art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva -che dispone la esenzione IVA per le prestazioni di servizi concernenti la locazione di beni immobili- fosse applicabile alla operazione negoziale che prevedeva il subentro di un terzo -CFI- nel contratto di locazione relativo ad immobile di proprietà del locatore, con assunzione dei debiti insoluti, dietro pagamento di un corrispettivo da parte dell'originario conduttore -Wako- che intendeva in tal modo evitare la prosecuzione del contratto locativo, ha statuito chiaramente che: "57. È vero che la Wako avrebbe potuto rimanere locatario e sublocare l'immobile alla CFI ad un prezzo meno elevato di quello che doveva pagare al proprietario o ch'essa avrebbe potuto versare un'indennità al proprietario affinché questi accettasse lo scioglimento anticipato del contratto. In tali due ipotesi l'effetto economico sarebbe stato analogo a quello dell'operazione dì cui alla causa principale senza che gli interessati dovessero corrispondere l'IVA. 32. Una circostanza siffatta non autorizza però ad interpretare l’art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva nel senso che sarebbe del pari applicabile ad una prestazione di servizi non implicante la cessione del diritto di occupazione di un immobile,,..").

7.7 Tanto premesso osserva il Collegio che, se non è dubitabile che il costo concernente un immobile strumentale costituisce componente negativo di reddito deducibile con il sistema delle quote di ammortamento, non è dato tuttavia rinvenire nell'ordinamento tributario alcun obbligo giuridico del soggetto che ha acquistato la proprietà del bene immobile strumentale di rimanere necessariamente vincolato a tale regime fiscale, atteso che, come rientra nella libera determinazione del soggetto- imprenditore la facoltà di optare tra l'acquisto della proprietà dell’immobile, versando immediatamente l'intero prezzo della compravendita, od invece la utilizzazione del medesimo bene in leasing con clausola di riscatto finale della proprietà (leasing traslativo), modulando in tal modo il relativo impegno finanziario, o ancora il semplice utilizzo in godimento del bene immobile da rilasciare alla scadenza al concedente- proprietario (leasing finanziario puro), così non può ritenersi impedito all'operatore economico l'impiego di qualsiasi altro strumento negoziale -diretto a conseguire il medesimo risultato dell’utilizzo del bene immobile strumentale- tra cui anche, per quanto interessa la presente fattispecie, il contratto di "sale & lease back" (assunto ormai da tempo a "contratto d'impresa socialmente tipico" - Corte cass. 3 sez. 16.10.1995 n. 10805; id. 3 sez. 6.8.2004 n. 15178; id. 3 sez. 21.7.2004 n. 13580; id. 3 sez. 21.1.2005 n. 1273; id. 3 sez. 14.3.2006 n. 5438; id. 5 sez. 25.5.2009 n. 12044 - e che ha ricevuto anche espresso riconoscimento normativo nell'art. 2425 bis c.c. in tema di iscrizione a bilancio delle plusvalenze derivanti appunto da "operazioni di compravendita con locazione finanziaria venditore") in forza del quale l'impresa titolare della proprietà aliena il bene strumentale ad una società finanziaria, la quale ne paga il prezzo e contestualmente lo concede in locazione finanziaria alla stessa impresa venditrice, verso il pagamento di un canone e con possibilità di riacquisto del bene al termine del contratto, per un prezzo normalmente molto inferiore al suo valore. Ciascuno dei casi indicati, infatti, comporta un proprio differente regime fiscale (prezzo di vendita; canone di leasing; plusvalenza), e la relativa applicazione -in quanto conseguenza diretta della scelta operata dall'impresa- non può, evidentemente, integrare "abuso del diritto" solo perché il soggetto si determina a compiere la operazione negoziale fiscalmente meno onerosa.

7.8 Occorre, infatti, che ulteriori elementi circostanziali emergano dalla fattispecie concreta sottoposta all'esame del Giudice affinché la operazione possa connotarsi come pratica abusiva non consentita. Orbene gli elementi fattuali caratterizzanti la peculiare fattispecie, valorizzati a tal fine dalla Commissione tributaria, vengono individuati: 1- nella solidità e buona liquidità della impresa che non giustificava il negozio di finanziamento con la cessione dell'immobile; 2-nel rilevante importo della maxi-rata iniziale del leasing; 3-nei documenti raccolti presso Centro Leasing, dai quali emergeva che la operazione veniva condotta solo per motivi fiscali. Tali elementi vengono considerati dai Giudici di merito sintomatici dell'abuso di diritto tributario.

7.9 La conclusione raggiunta dai Giudici territoriali non appare conforme ai principi di diritto enunciati in tema di "abuso del diritto", sopra richiamati.

7.10 Rileva il Collegio, quanto al primo elemento, che l'ottima situazione economica, patrimoniale e finanziaria di una società, non impedisce per ciò stesso alla stessa di attingere al credito al fine di procurarsi liquidità non necessariamente da destinare ad investimenti produttivi ma anche soltanto per riorganizzare la propria esposizione debitoria verso i fornitori e rinegoziare, come nel caso di specie, le passività verso la banca finanziatrice: la assenza di attuali esigenze di liquidità si risolve dunque in un indizio meramente generico e non espressivo ex se di una "anomala" condotta imprenditoriale.

La pattuizione delle condizioni del contratto di "sale & lease back", tra cui la previsione di una maxi-rata iniziale, rientra nella libera determinazione negoziale delle parti e nella valutazione della convenienza economica dell’affare in relazione al costo di accesso al finanziamento offerto sul mercato dalle società di leasing: difetta la prova -nulla, al riguardo, avendo accertato la CTR- che la previsione di tale condizione integri un elemento difforme od abnorme rispetto alla attuazione dello schema del contratto di "sale & lease back" affermatosi nella prassi commerciale, é dunque viene meno anche la efficacia indiziaria di tale circostanza.

7.11 Ne segue che alcuna espressione di anomalia od irragionevolezza rispetto alle ordinarie logiche d'impresa può essere rinvenuta negli elementi indiziali sopra a indicati, bene essendo rimessa all'esercizio della autonomia privata, di cui la libera iniziativa economica ex art. 41 Cost., comma 1 è espressione, la ricerca della forma di finanziamento ritenuta più opportuna (accesso al credito bancario nelle diverse forme negoziali previste; investimento in strumenti finanziari; delibera di nuovi conferimenti da parte dei soci; emissione di obbligazioni; stipula di contratti di leasing o di lease back, ecc), assolvendo ad uno specifico e concreto interesse economico della impresa la estinzione di pregressi debiti o passività bancarie mediante l'acquisizione di nuova liquidità a condizioni di finanziamento ritenute convenienti a giudizio della stessa impresa (quanto a tasso di interesse e scadenze previste per la restituzione dei canoni). E tale libertà d'impresa non solo non è - nè potrebbe essere- disconosciuta dall'ordinamento tributario, ma trova invece diretto riscontro in quest'ultime (come esattamente rilevato dalla difesa della ricorrente), avendo espressamente considerato il Legislatore, accanto alla disciplina ordinaria dell’ammortamento del costo degli immobili strumentali, anche la ipotesi alternativa della deduzione dei costi di finanziamento diretti all'acquisto del bene immobile strumentale ovvero dei canoni di leasing, considerando tendenzialmente equivalente "nel lungo periodo" -avuto riguardo alla natura durevole del bene ed alla sua funzione strumentale- la incidenza sul reddito d'impresa della spesa sostenuta dal proprietario del bene e dall'utilizzatore del bene in leasing (tale equiparazione può trovare, evidentemente, giustificazione soltanto nel caso in cui la deduzione dei canoni della locazione finanziaria sia distribuita su un lungo periodo: in tal senso gli interventi legislativi di modifica dell'art. 102 TUIR hanno progressivamente incrementato la durata del periodo di deducibilità dei canoni dei beni immobili strumentali: D.L. 30 settembre 2005, n. 203 conv. in L. 2 dicembre 2005, n. 248; da ultimo D.L. 2 marzo 2012, n. 16 conv. in L. 26 aprile 2012, n. 44).

7.12 Pertanto, se la opzione tra l'acquisto in proprietà un bene strumentale e la locazione finanziaria avente ad oggetto il medesimo bene, rientra nel libero esercizio della attività economica, non sindacabile sotto il profilo della opportunità ma soltanto sotto il profilo della "manifesta illogicità" od "antieconomicità" della operazione, e se nella specie non sono emerse, alla stregua dell'accertamento condotto dalla CTR, elementi di "alterazione" della causa concreta del negozio di "sale & lease back", ne segue che difetta del tutto, nella fattispecie in esame, l'elemento obiettivo di un uso "distorto" degli strumenti negoziali o di una "anomalia" nella condotta economica del soggetto-contribuente, sintomatici della pratica abusiva (la prova del quale deve essere fornita dall'Amministrazione finanziaria: Corte cass. 5 sez. 21.1.2009 n. 1465; id. 5 sez. 22.9.2010 n. 20029), con la ulteriore conseguenza:

a) che la opzione effettuata dalla società contribuente per un regime fiscale più favorevole, è del tutto conforme al principio affermato dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale secondo cui "il soggetto passivo ha diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette dì limitare la sua contribuzione fiscale" ;

b) che la operazione effettuata dalla società contribuente -in assenza di indizi sintomatici di anomalia riferiti allo schema negoziale-, in quanto volta a modificare la situazione proprietaria del bene immobile ed a procurarsi un nuovo finanziamento, non può per ciò stesso ritenersi abusiva, atteso che il regime fiscale applicabile, concernente la "anticipata" deducibilità del componente negativo di reddito (canoni di leasing), costituisce la naturale conseguenza del fenomeno economico-giuridico che le parti hanno voluto realizzare, per cui all'effetto traslativo del diritto di proprietà sul bene immobile ed alla concessione in locazione del medesime bene corrispondono differenti regimi fiscali in ordine alla deducibilità dei costi;

c) che la scelta dell'operatore rivolta a realizzare un determinato assetto aziendale funzionale all'esercizio della impresa -attuato sostituendo il regime della proprietà sul bene strumentale, con il diritto di godimento sul medesimo bene- bene può essere determinata, anche prevalentemente, dall'obiettivo di conseguire un risparmio d'imposta, non comportando tale scelta alcun "aggiramento" delle norme fiscali sull'ammortamento, quanto piuttosto la individuazione ex ante del regime giuridico dei beni aziendali più conveniente in relazione al regime fiscale meno gravoso, rendendosi pertanto del tutto irrilevante, ai fini dell'accertamento della pratica abusiva, l'elemento fondato sulla "intenzione" della società contribuente che, dalla documentazione rivenuta presso la società di leasing, risultava essersi determinata ad optare tra il mantenimento in proprietà e la concessione in godimento del bene immobile eminentemente in relazione al più favorevole regime fiscale.

7.13 II fatto che tale operazione comportasse anche un più favorevole regime fiscale della deducibilità dei costi, non è "ex se" sufficiente ad integrare la figura dell'abuso di diritto, non essendo giuridicamente sostenibile la tesi della Commissione tributaria secondo cui la società, con lo schema negoziale in questione, avrebbe aggirato le norme sulle imposte sui redditi che sarebbero state applicate laddove, rimanendo proprietaria dell'immobile, avesse stipulato con la banca un nuovo finanziamento: è appena il caso di rilevare come tale argomento confligge palesemente con il diritto d'impresa costituzionalmente tutelato, ed implica una indebita invasione nella sfera delle scelte imprenditoriali che non possono essere sindacate dagli Uffici finanziari alla stregua dei criteri di opportunità e convenienza, ma soltanto ove le operazioni evidenzino caratteri di antieconomicità ed irrazionalità tali da richiedere una specifica giustificazione della condotta tenuta dalla impresa, non essendo dato rinvenire nell'ordinamento tributario norme che vincolino il soggetto imprenditore a ricorrere a determinate modalità di finanziamento piuttosto che ad altre.

7.14 Conseguentemente il sesto motivo del ricorso incidentale è fondato e la sentenza di appello deve, pertanto, essere cassata, rimanendo assorbito l’esame del settimo motivo del ricorso incidentale, nonché l’esame del secondo motivo del ricorso principale, con il quale l’Agenzia fiscale ha dedotto la violazione dell’art. 37 bis , comma 6, Dpr n. 600/73 e dell’art. 1, comma 2, Dlgs n. 546/1997 (recte: n. 471/1997), sul presupposto che i Giudici territoriali avevano errato nel ritenere non sanzionabili le fattispecie di abuso non tipizzate nell’art. 36 bis Dpr n. 600/73, in quanto l’illecito tributario doveva ravvisarsi, comunque, "per il solo fatto che la dichiarazione del contribuente sia difforme rispetto all’accertamento, venendo ad essere privata di rilevanza la questione dipendente concernere la irrogabilità delle sanzioni pecuniarie in difetto di accertamento di una operazione negoziale integrante abuso del diritto.

8. In conclusione il ricorso principale deve essere rigettato (primo motivo infondato; secondo motivo assorbito), il ricorso incidentale deve essere accolto (fondato il sesto motivo, assorbito il settimo, infondati il quarto ed il quinto, inammissibili gli altri), la sentenza impugnata deve essere cassata e, non occorrendo disporre ulteriori accertamenti istruttori la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 co 2 c.p.c. con l’accoglimento dei ricorsi introduttivi proposti dalla società e dal socio e la condanna dell’Amministrazione fiscale alla rifusione delle spese di lite che si liquidano in dispositivo, non sussistendo a carico della parte ricorrente principale i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo dovuto a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, del Dpr n. 115/2002, trattandosi di parte pubblica istituzionalmente esonerata, per valutazione normativa della sua qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014; id. Sez. 6 - L, Sentenza n. 23514 del 05/11/2014).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale (infondato il primo motivo, assorbito il secondo); accoglie il ricorso incidentale, quanto al sesto motivo (infondati il quarto ed il quinto motivo; assorbito il settimo; inammissibili il primo, secondo e terzo motivo); cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi introduttivi proposti dalla società e dal socio e condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite che liquida a favore dei ricorrenti in solido in € 8.000,00 per compensi, € 200,00 per esborsi oltre agli accessori di legge, dichiarando compensate tra le parti le spese relative ai gradi merito.