Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 luglio 2015, n. 13966

Previdenza - Contributi assicurativi - Retribuzione imponibile - Accordi di riallineamento retributivo - Comulabilità con gli sgravi contributivi previsti dall'art. 3, comma 5, della legge n. 448 del 1998

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 26 marzo 2009 la Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce del 9 marzo 2007 con la quale, in accoglimento dell’opposizione proposta da C. L. T. avverso la cartella esattoriale notificatagli dalla S. s.p.a. il 25 agosto 2005 con la quale gli era stato ingiunto il pagamento della somma di € 8.247,37 a titolo di contributi previdenziali e somme aggiuntive per il periodo dall’ottobre 2000 al novembre 2001, dichiarava non dovute le somme di cui alla cartella opposta. La Corte territoriale ha ritenuto applicabile alla fattispecie in esame lo sgravio contributivo triennale previsto dalla legge 448 del 1998 anche per le imprese di nuova costituzione purché siano osservati i contratti collettivi nazionali per i soggetti assunti, avendo aderito agli accordi di riallineamento che, ai sensi dell’art. 5 comma 1 d.l. n. 510 del 1996 convertito in legge n. 608 del 1996 come modificato dall’art. 23 della legge n. 196 del 1997, hanno la medesima validità dei CCNL di categoria.

L’INPS ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato ad un unico articolato motivo.

C. L. T. resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con l’unico motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 3, commi 5, 6 e 7 della legge 23 dicembre 1998, n. 448; 5 del decreto legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito con modificazioni dalla legge 28 novembre 1996, n. 608 e successive modificazioni e dell'art. 75, comma 4, della predetta legge n. 448/1998; artt. 87 ed 88 (ex artt. 92 e 93) del Trattato istitutivo della Comunità europea del 25 marzo 1957 con riferimento alla Decisione della Commissione Europea sull'Aiuto di Stato n. 701/98 adottata in data 20 luglio 1999 con avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee del giorno 11 dicembre 1999 C 359/04 (comunicata all'Italia con lettera SG (99) D/6511 del 10 agosto 1999), nonché alla Decisione della Commissione Europea sull'Aiuto di Stato n. 545/98 adottata in data 3 marzo 1999 con avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee del giorno 24 aprile 1999 C 113/12 (comunicata all'Italia con lettera SG(99) D/2482 dell'8 aprile 1999), ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si deduce che lo sgravio contributivo competerebbe solo alle imprese che assicurano nuove assunzioni, come affermato dalle decisioni richiamate rese in sede comunitarie che hanno valore vincolante per il giudice nazionale.

Il ricorso è fondato. A proposito degli accordi di riallineamento questa Corte (vedi, per tutte: Cass. 13 agosto 2012, n. 14450) ha già avuto modo di sottolineare che con il D.L. n. 510 del 1996, art. 5, convertito dalla L. n. 608 del 1996, si istituirono i contratti o accordi di riallineamento "al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e di consentire la regolarizzazione retributiva e contributiva per le imprese operanti nei territori di cui alle zone di cui all'articolo 92, paragrafo 3, lettera a), del Trattato istitutivo della Comunità europea" (art. 5, comma 1 cit., come modificato dalla L. n. 448 del 1998, art. 75), cioè nelle "regioni ove il tenore di vita sia normalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione" (come si legge nell'art. 87 TUE, in cui è confluito l'art. 92 TCE), originariamente individuati nei territori meridionali di cui alla L. n. 64 del 1986, art. 1. Tale art. 1 è stato abrogato, con decorrenza 1 maggio 1993, dalla L. 19 dicembre 1992, n. 488, art. 4, mentre tutta la L. n. 64 del 1986, è stata abrogata, con decorrenza 20 ottobre 2012, dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 23, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. Si è altresì precisato che il D.L. n. 510 del 1996, è stato successivamente più volte modificato dalla L. n. 196 del 1997, art. 23, dalla L. n. 448 del 1998, art. 75 e dalla L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 20. La principale caratteristica degli accordi di riallineamento è rappresentata dalla possibilità offerta ai datori di lavoro che intendessero regolarizzare i propri dipendenti e quindi farli emergere dal "sommerso" di derogare a due norme fondamentali poste a carico dei datori di lavoro stessi in materia di trattamento dei lavoratori: 1) quella in base alla quale la retribuzione su cui commisurare la contribuzione è quella rapportata al "minimale" di cui alla citata L. n. 389 del 1989, art. 1, nel senso che la contribuzione deve essere necessariamente commisurata alla retribuzione determinata dai contratti collettivi stipulati dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, qualunque sia la retribuzione dovuta o corrisposta al lavoratore in forza del rapporto di lavoro; 2) quella di cui alla stessa L. n. 389 del 1989, art. 6, comma 9, lett. c), in base alla quale il beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali, ivi previsto, e, in particolare, le riduzioni contributive non potevano spettare per i lavoratori retribuiti con retribuzioni inferiori a quelle previste dal precedente art. 1, comma 1. Infatti, il comma 4 del suddetto del D.L. n. 510 del 1996, art. 5, consentiva - in deroga alla prima delle suddette norme - di prendere a riferimento per il calcolo dei contributi previdenziali non la retribuzione sopra indicata - cioè il compenso non inferiore a quello previsto dai CCNL stipulati dalle OO.SS maggiormente rappresentative sul piano nazionale - ma quella, inferiore, fissata dai contratti di riallineamento retributivo. Quanto alla seconda regola, il comma 1 dell'art. 5 consentiva di fruire della fiscalizzazione degli oneri sociali anche in caso di contribuzione inferiore al minimale, purché parametrata alla retribuzione fissata dagli accordi di riallineamento. Entrambe le deroghe sono state concepite come condizionate al fatto che le imprese recepissero gli accordi provinciali di riallineamento retributivo con specifici accordi aziendali, da applicare nelle singole imprese (vedi, per tutte: Cass. 18 agosto 2004, n. 16155; Cass. 10 marzo 2011, n. 5719).

2.2.- Ai fini del presente giudizio - in cui non si controverte dell'attribuibilità alla ditta C. dei benefici connessi con l'applicazione della normativa sugli accordi di riallineamento, ma della cumulabilità di tali benefici con quelli previsti dalla L. n. 448 del 1998, art. 3 - è bene sottolineare che, come si è detto sopra, la normativa sui contratti di riallineamento già dal suo incipit - come modificato dalla L. n. 448 del 1998, art. 75 - dimostra di essere nata come derogatoria rispetto alla normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, come è facile desumere dalla definizione del relativo ambito territoriale di applicazione attraverso il richiamo dell'art. 92 del Trattato CEE (corrispondente oggi all'art. 87 del TUE), che disciplina, appunto, gli aiuti di Stato. Solo questa osservazione potrebbe essere sufficiente a dimostrare come una normativa che ha caratteristiche del tutto peculiari e che è destinata ad operare in certe aree considerate depresse al fine di favorire la regolarizzazione della manodopera esistente non sia compatibile - diversamente da quanto ritenuto dalla Corte leccese - con la contemporanea fruizione da parte dello stesso datore di lavoro e per i medesimi lavoratori di altri benefici aventi la diversa finalità di incrementare l'occupazione, come emerge da un piana lettura della L. n. 448 del 1998, art. 3, nel quale più volte si fa riferimento a nuove assunzioni avvenute negli anni dal 1999 al 2001, cioè ad una situazione di incremento occupazionale. D'altra parte - come rileva anche l'Istituto ricorrente - la Corte d'appello non avrebbe potuto non considerare sia le norme del Trattato UE, sia le molteplici decisioni della Commissione europea in materia. Del resto, il comma 7 della L. n. 448 del 1998, art. 3, espressamente stabilisce che "l'efficacia delle misure di cui ai commi 4 e 5 è subordinata all'autorizzazione ed ai vincoli della Commissione delle Comunità europee ai sensi dell'art. 92 e segg. del Trattato istitutivo della Comunità europea".

A sua volta il successivo art. 75 della stessa L. n. 448, nel prevedere "modifiche alle disposizioni in materia di contratti di riallineamento retributivo", ha stabilito espressamente di modificare il primo periodo del comma 1 del D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 5, sostituendo alle parole: "per le imprese operanti nei territori individuati dalla L. 1 marzo 1986, n. 64, art. 1" le seguenti: "per le imprese operanti nei territori di cui alle zone di cui all'art. 92, paragrafo 3, lettera a), del Trattato istitutivo della Comunità europea, ad eccezione di quelle appartenenti ai settori disciplinati dal Trattato CECA, delle costruzioni navali, delle fibre sintetiche, automobilistico e dell'edilizia".

Ciò ha determinato un rafforzamento esplicito della subordinazione della disciplina degli accordi di riallineamento al diritto comunitario, cui si è pervenuti anche perché la Commissione europea con la decisione CEE/88/318/ del 2 marzo 1988, aveva già cominciato a manifestare il proprio indirizzo di rigore - consolidatosi nel corso degli anni - in merito alla normativa nazionale prevedente sgravi contributivi, proprio perché considerata in contrasto con il divieto di aiuti di Stato (in materia, vedi, per tutte: Cass. 4 maggio 2012, n. 6756).

È noto che le decisioni adottate dalla Commissione UÈ, nell'ambito delle funzioni ad essa conferite dal Trattato UE, ai sensi dell'art. 211 (ex art. 155), sull'attuazione e lo sviluppo della politica della concorrenza nell'interesse comunitario, in forza degli artt. 88 e 87 (ex artt. 93 e 92) dello stesso Trattato, ancorché prive dei requisiti della generalità e dell'astrattezza, costituiscono fonte di produzione di diritto comunitario, anche con specifico riguardo alla materia degli aiuti di Stato, e quindi vincolano il giudice nazionale nell'ambito dei giudizi portati alla sua cognizione (Cass. 17 novembre 2005, n. 23269). Si tratta di un vincolo che, avendo come destinatario non solo lo Stato membro, ma anche i soggetti dell'ordinamento interno, ivi comprese le autorità nazionali, amministrative e giurisdizionali, e traducendosi nell'obbligo di dare attuazione al diritto comunitario, se necessario attraverso la disapplicazione delle norme interne che siano in contrasto con esso, rende viziata da errore di diritto la sentenza del giudice interno che abbia ritenuto irrilevante la decisione con cui la Commissione abbia disposto la sospensione di una misura di aiuto fino all'esito della procedura di verifica (Cass. 10 novembre 2006, n. 24065). Ne consegue che, anche da questo punto di vista, la Corte leccese non avrebbe mai potuto basare la propria decisione su una interpretazione della L. n. 448 del 1998, art. 3, nel suo rapporto con il D.L. n. 510 del 1996, art. 5, che non corrisponde alla lettera delle norme, alla loro ratio e non tiene minimamente conto del diritto comunitario, cui entrambe le disposizioni fanno riferimento, essendo l'attribuzione di entrambi i benefici subordinata all'autorizzazione e ai vincoli posti dalla Commissione europea agli aiuti di Stato, le cui decisioni in materia hanno carattere vincolante. Conseguentemente l'impugnata sentenza va cassata e, non accorrendo ulteriori accertamenti di fatto, il giudizio va deciso nel merito, ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ., comma 2, seconda parte, con il rigetto rigetta l'opposizione alla cartella di pagamento proposta da C. L. T.

La natura e la sostanziale novità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese, riguardo ai due gradi di merito del giudizio. Invece, le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso;

Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'opposizione alla cartella di pagamento proposta da C. L. T.;

Compensa, tra tutte le parti, le spese giudiziali dei due gradi di merito; Condanna C. L. T. al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione - in favore dell'INPS - liquidate in Euro 100,00 per esborsi, ed Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge. Nulla spese in favore delle parti non costituite in questa sede.