Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 luglio 2015, n. 13535

Lavoro - Estinzione del rapporto per mutuo consenso - Dimissioni - Scadenza del termine apposto illegittimamente - Condizioni - Accertamento della volontà, anche tacita, di porre fine al rapporto

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 9682/2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma respingeva la domanda proposta da M.R. nei confronti della s.p.a. P.I. diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine finale apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti dall’1-3-2000 al 31-5-2000 per "esigenze eccezionali" ex art. 8 ccnl 1994 come integrato dall’acc. 25-9-97 e succ., con le pronunce conseguenziali.

La R. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

La società si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 3-9-2008, respingeva l’appello, confermando l’accoglimento dell’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito avanzata dalla società.

Per la cassazione di tale sentenza la R. ha proposto ricorso con due motivi.

La società ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 1372 c.c., la ricorrente, lamenta che la Corte di merito ha disatteso il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità che, per la risoluzione per mutuo consenso tacito, richiede la presenza di comportamenti che denotino "una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro", con onere della allegazione e della prova in capo alla parte che prospetti lo scioglimento del rapporto, di talché la mera circostanza oggettiva del decorso del tempo di per sé non assume alcuna rilevanza.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando altresì vizio di motivazione, lamenta che la Corte territoriale, mentre nella premessa ha negato al solo trascorrere del tempo valore sintomatico al fine di dichiarare la risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito, ha poi concluso, "senza motivare tale illogica soluzione", ritenendo che la inerzia del lavoratore protratta per quattro anni, unitamente alla breve durata del contratto di lavoro, fosse idonea a determinare la detta risoluzione del rapporto.

Tali motivi, che, in quanto strettamente connessi possono essere trattati congiuntamente, risultano fondati e vanno accolti.

Come questa Corte ha più volte affermato "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo" (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, "è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso" (v. da ultimo Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre "grava sul datore di lavoro", che eccepisca tale risoluzione, "l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro" (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass. 1-2-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887) e "la valutazione del significato e della portata del complesso degli elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto" (v. Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932).

Tali principi, del tutto conformi al dettato di cui agli art. 1372 e 1321 c.c. e al sistema, sono stati ripetutamente ribaditi da questa Corte (v. da ultimo, fra le tante, Cass. n.ri 3924, 4181, 7282, 7630, 7772, 7773/2015, cfr. anche Cass. 13-2- 2015 n. 2906, che, in sostanza, in una fattispecie concreta "peculiare", in ragione dell’accertamento di fatto congruamente motivato dalla Corte di merito, ha respinto il ricorso del lavoratore, precisando espressamente che la soluzione adottata "non costituisce un superamento" del "consolidato orientamento di questa Corte di legittimità").

Va pertanto ulteriormente confermato tale indirizzo consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al riguardo, infatti, non può condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando esclusivamente il "piano oggettivo" nel quadro di una presupposta valutazione sociale "tipica" (v. Cass. 6-7-2007 n. 15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n. 14209), prescinde del tutto dal presupposto che - come è stato chiarito da Cass. 28-1-2014 n. 1780 - "la risoluzione per mutuo consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale che in quanto tale, seppure tacita, non può essere configurata su un piano esclusivamente oggettivo. D'altra parte, il mero decorso del tempo e la mera inerzia del lavoratore costituiscono un semplice fatto che, al di fuori delle ipotesi tipiche fissate dalla legge, di per sé è irrilevante. Né può essere sufficiente al fine della risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito la mera cessazione della funzionalità di fatto del rapporto stesso, tanto più che nel rapporto di lavoro possono anche intervenire numerose ipotesi di sospensione, previste dalla legge o derivanti dalla volontà delle parti (v. fra le altre Cass. 7- 7-1998 n. 6615)".

Orbene nella fattispecie la Corte di merito, in sostanza, pur avendo richiamato l’indirizzo consolidato di questa Corte, ha poi, in contrasto con lo stesso, ritenuto configurabile la risoluzione per mutuo consenso tacito in considerazione soltanto della "notevolissima fase di non attuazione del rapporto (oltre 4 anni)" con (id est) "la mancanza di qualsiasi manifestazione di interesse da parte del lavoratore alla funzionalità di fatto di esso nel tempo antecedente la proposizione detrazione giudiziaria" e della "breve durata dell’esecuzione del contratto (3 mesi)".

Il ricorso va, pertanto, accolto e l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, la quale provvederà attenendosi all’indirizzo qui ribadito e statuirà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.