Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 luglio 2015, n. 15213

Contratti a termine - Nullità - Trasformazione in un unico rapporto a tempo indeterminato - Dimissioni volontarie

 

Svolgimento del processo

 

1. - La sentenza non definitiva n. 6433/2007 attualmente impugnata, in parziale accoglimento dell’appello proposto da F.G. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 20187/2005 e in parziale riforma di tale sentenza, così dispone: 1) dichiara la nullità dei contratti a termine stipulati dall’appellante con R.R.I. s.p.a. (d’ora in poi: R.) dal 3 ottobre 1985 al 14 gennaio 1999 e la loro trasformazione in un unico rapporto a tempo indeterminato, risolto per dimissioni volontarie il 13 marzo 1999; 2) rigetta la domanda del lavoratore concernente il periodo sino al 15 gennaio 2002; 3) dichiara la nullità dei 3 contratti a termine stipulati per il periodo dal 15 gennaio 2002 al 7 luglio 2002.

In tale sentenza la Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il G., nell’arco di 16 anni ha stipulato 26 contratti a termine con la R.;

b) con riferimento ai contratti stipulati nel periodo tra il 3 ottobre 1985 e il 14 gennaio 1999, ai sensi dell’art. 1, secondo comma, lettera e), della legge n. 230 del 1962, appare difettare, quanto meno, il requisito della temporaneità, in quanto i programmi per cui ha lavorato hanno tutte le caratteristiche di ordinari eventi nel palinsesto della R., comunque sono anche ravvisabili gli estremi della "frode alla legge", da questo punto di vista, essendo emerso che esisteva, ad esempio, una lista di truccatori-parrucchieri cui attingere regolarmente, stante un organico R. molto inferiore al necessario;

c) l’unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato derivante dalla trasformazione dei contratti a termine stipulati per il suddetto periodo è, tuttavia, cessato con atto di dimissioni volontarie del lavoratore in data 13 marzo 1999, che non essendo stato tempestivamente impugnato "produce i suoi effetti normali tra i quali la rinuncia alla prosecuzione del rapporto tra le parti";

d) i successivi contratti sino al 15 gennaio 2002, stipulati ai sensi del Contratto aziendale del 5 aprile 1997, sono legittimi perché perfettamente rientranti tra le ipotesi di assunzione a termine delineate nel suddetto Accordo;

e) sono invece illegittimi i contratti successivi al 15 gennaio 2002, perché il CCL R. dell’8 giugno 2000, in base al quale sono stati conclusi, non può considerarsi un contratto collettivo "nazionale", ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001;

f) pertanto, a decorrere dal 7 aprile 2002, per effetto della illegittimità della clausola appositiva del termine agli ultimi tre contratti, il rapporto si è trasformato in un rapporto a tempo indeterminato tuttora in atto.

2 - La sentenza definitiva n. 6862/2009 attualmente impugnata, in parziale accoglimento dell’appello proposto da F.G. avverso la sentenza del Tribunale di Roma EL 20187/2005 e in parziale riforma di tale sentenza, così dispone: 1) dichiara il diritto dell’appellante al riconoscimento degli scatti biennali di anzianità, maturati nel periodo 3 ottobre 1985-14 marzo 1999, in base ai periodi di lavoro effettivamente svolti e condanna la R. a corrispondere le conseguenti differenze retributive, oltre agli accessori di legge; 2) condanna la R. a pagare al G., a titolo di risarcimento del danno, le retribuzioni mensili corrispondenti all'ultimo importo percepito in busta paga, a decorrere dal 10 giugno 2003 e fino alla scadenza del triennio successivo al 7 luglio 2002, oltre agli accessori di legge; 3) dichiara compensate in ragione della metà le spese di entrambi i gradi di merito del giudizio e condannala R. a rifondere al G. la rimanente metà, nella misura specificamente liquidata in dispositivo.

In tale sentenza la Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il lavoratore ha provveduto alla messa in mora il 10 giugno 2003, con la attivazione della procedura conciliativa, la sua pretesa risarcitoria va circoscritta, ex art. 1227 cod. civ., al triennio successivo alla scadenza del contratto, quindi va limitato al periodo tra la messa in mora e il 7 luglio 2005, parametrato all’ultima retribuzione percepita in busta paga come operatore di ripresa di IV livello;

b) con la sentenza non definitiva si è accertata la sussistenza di due distinti rapporti a tempo indeterminato, rispettivamente, il primo per il periodo 3 ottobre 1985-13 marzo 1999 e il secondo dal 15 gennaio 2002 in poi, sicché le intervenute dimissioni intermedie, seguite dalla stipulazione ulteriori contratti a termine legittimi, hanno creato uno lato indiscutibile tra i due rapporti, pertanto il rivendicato riconoscimento dell’anzianità di servizio va esaminato con distinto riferimento a ciascuno di tali rapporti;

c) ne deriva che gli scatti biennali, da computare sono per i periodi effettivamente lavorati, vanno riconosciuti solo per il primo rapporto, non essendo maturati per il secondo, alla data del deposito del ricorso introduttivo;

d) è infondata, infine, la richiesta di riconoscimento dell’inquadramento superiore al IV, non essendo il passaggio al II livello automatico;

e) inammissibile è la richiesta della R. di opporre in compensazione al credito risarcitorio del G. il proprio credito per le somme dovute dal lavoratore a titolo di restituzione dell’indennità contrattuale del 35% percepita nel corso dei diversi contratti a termine, sulla base dei chiarimenti a verbale all’art. 1 CCL R. 9 maggio 1990, perché le suddette somme sono state riscosse dal lavoratore in base al principio di corrispettività delle prestazioni nonché del principio della parità di trattamento dei lavoratori assunti a tempo determinato a quelli assunti a tempo indeterminato;

f) il parziale accoglimento delle pretese giustifica la compensazione in ragione della metà delle spese di entrambi i gradi di merito del giudizio, con condanna della R., parzialmente soccombente, al pagamento delle rimanenti metà, liquidate come in dispositivo e distratte ex art. 93 cod. proc. civ.

3. - Il ricorso di R.R.I. s.p.a., illustrato da memoria, domanda la cassazione di entrambe le suddette sentenze per otto motivi; resiste, con controricorso, F.G., che propone, a sua volta, ricorso incidentale per tre motivi, cui replica la R. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, perché proposti avverso le medesime sentenze.

I - Sintesi dei motivi del ricorso principale

1 - Il ricorso è articolato in otto motivi.

1.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia sulla eccezione di risoluzione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato asseritamente costituitosi fra le parti, proposta con riferimento a fatti estintivi verificatisi nel periodo successivo alle dimissioni del 17 marzo 1999. Si cita, come precedente in termini sul punto, Cass. 22 novembre 2010, n. 23636.

1.2 - Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per ultrapetizione, con riferimento alla dichiarazione di nullità dei 3 contratti a termine stipulati per il periodo dal 15 gennaio 2002 al 7 luglio 2002, fondata sulla unica ragione della non qualificabilità come contratto collettivo nazionale di lavoro - ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001 - del CCL R. in data 8 giugno 2000, in base al quale tali contratti sono stati conclusi.

Ad avviso della R., in tal modo la Corte romana avrebbe rilevato d’ufficio una ragione di nullità mai dedotta dal G.

1.3.- Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n.5, cod. proc. civ., omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento alla statuizione con la quale la Corte d’appello ha escluso il carattere nazionale del il CCL R. in data 8 giugno 2000.

Si sostiene che la Corte territoriale non abbia minimamente giustificato la scelta operata nel senso di attribuire al suindicato CCL natura meramente aziendale, con conseguente venire meno della relativa efficacia per effetto dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 368 del 2001, limitandosi apoditticamente ad affermare il carattere "pacifico" di tale assunto.

1.4 - Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 cod. civ. nonché degli artt. 1, 3, 4, 5 e 11 del d.lgs. n. 368 del 2001.

Sia dall’art. 1418 cod. civ. sia dal d.lgs. n. 368 cit. si desume che non è possibile pronunciare la nullità parziale o totale del contratto per "irregolarità" ulteriori del rapporto e/o del negozio da cui il rapporto nasce.

D’altra parte, dall’art. 11 del d.lgs. n. 368 cit. si desume che, con l’entrata in vigore di tale decreto, le clausole dei contratti collettivi di lavoro non nazionali, prevedenti ipotesi di contratti a termine, sono state immediatamente abrogate, perdendo efficacia.

Peraltro, questo non significa che, nella specie, dalla ipotizzata inefficacia del CCL del 2000 al momento della sottoscrizione dei contratti da parte del G. derivi necessariamente una dichiarazione di nullità della clausola temporale apposta ai contratti stessi, in quanto si tratta di verificare se comunque nei contratti siano rinvenibili i requisiti previsti dall’art. 1 del d.lgs. n. 368 cit. e non si riscontrino contrasti con i divieti e i limiti di cui ai successivi arti 3, 4 etc. dello stesso decreto.

Ebbene, la Corte romana ha omesso di effettuare simile verifica.

1.5 - Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione del sopravvenuto art. 32, commi da 5 a 7, della legge n. 183 del 2010.

Si rileva che la R. è stata condannata a corrispondere al G., a titolo risarcitorio, le retribuzioni mensili a decorrere dal 10 giugno 2003 fino al 7 luglio 2005 (data di scadenza del triennio successivo al 7 luglio 2002), mentre, in base ai commi 5-7 del citato art. 32 potrebbe essere condannata soltanto al pagamento dell’indennità risarcitoria onnicomprensiva non superiore a 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Pertanto, in caso di rigetto dei precedenti motivi, si chiede l’applicazione di tale ius superveniens.

1.6- Con il sesto motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1217 cod. civ., anche in combinazione con gli artt. 1362 e 1364 cod. civ.; b) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento alla decorrenza del diritto al risarcimento del danno.

In subordine rispetto al mancato accoglimento del quinto motivo, si sostiene che debba, comunque, essere cassata la statuizione con la quale la R. è stata condannata a corrispondere al G., a titolo risarcitorio, le retribuzioni mensili a decorrere dal 10 giugno 2003 fino al 7 luglio 2005, in quanto non troverebbe corrispondenza nel testo della lettera del G., in data 10 maggio 2003, erroneamente qualificata come valido atto di mora accipiendi. non avendo in essa l’interessato offerto alla R., sostanzialmente e formalmente, le proprie prestazioni di lavoro.

Di ciò si avrebbe conferma nel lungo lasso di tempo, di quasi due anni, intercorso tra la suddetta lettera e la proposizione del ricorso giurisdizionale (febbraio 2005).

1.7. - Con il settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc, civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ., degli artt. 2 e 5 della legge 18 aprile 1962, n. 230 e dei chiarimenti a verbale all’art. 1 CCL R. 9 maggio 1990.

Sempre in subordine rispetto al mancato accoglimento del quinto motivo, si contesta la statuizione della Corte d’appello di esclusione del diritto della R. di opporre in compensazione al credito risarcitorio del G. il proprio credito per le somme dovute dal lavoratore a titolo di restituzione dell’indennità contrattuale del 35% percepita nel corso dei diversi contratti a termine, sulla base dei chiarimenti a verbale all’art. 1 CCL R. 9 maggio 1990.

1. 8 - Con l’ottavo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia sulla domanda di detrazione dell’aliunde perceptum dalle somme dovute al lavoratore.

Sempre in subordine rispetto al mancato accoglimento del quinto motivo, si rileva che la Corte romana sarebbe incorsa nel suindicato error in procedendo per non avere esaminato l’istanza ritualmente formulata dalla R. per l’ordine di esibizione dei modelli reddituali del G., successivi alla scadenza dell’ultimo dei contratti della serie.

Il - Sintesi dei motivi del ricorso incidentale

2. - Il ricorso incidentale è articolato in tre motivi.

2.1Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., vizio di motivazione, in merito alla statuizione di risoluzione per dimissioni volontarie (in data 13 marzo 1999) del primo rapporto a tempo indeterminato, sulla quale poggia l’erronea divisione operata dalla Corte d’appello dell’unico rapporto a tempo indeterminato in essere tra le parti in due periodi, rispettivamente 3 ottobre 1985-14 marzo 1999 e dal 15 gennaio in poi.

Si sostiene che l’erroneità della suddetta decisione troverebbe conferma nelle seguenti incongruenze contenute nelle sentenze impugnate: 1) nella sentenza non definitiva n. 6433/2007 si afferma che le dimissioni volontarie sarebbero intervenute il 13 marzo 1999, anche se il relativo scritto - di cui mai il G. ha avuto copia - fatto firmare dal datore di lavoro è datato 17 marzo 1999; 2) nella sentenza definitiva viene riconosciuto il diritto del lavoratore agli scatti biennali di anzianità, maturati nel periodo dal 3 ottobre 1985 al 14 marzo 1999; 3) non si tiene conto di un documento depositato dalla R. nel quale, con riguardo al G., al periodo contrattuale 10 marzo 1999-17 marzo 1999 era già affiancato il periodo 10 marzo 1999-30 maggio 1999, il che conferma l’erroneità dell'affermazione relativa alle dimissioni visto che, in realtà, anche la fattispecie in oggetto è stata trattata dall’azienda secondo la prassi ordinaria della predisposizione con ampio anticipo dei moduli occorrenti per le diverse assunzioni a termine regolarmente previste.

2.2 - Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., vizio di motivazione, in merito alla statuizione relativa alla ricostruzione dell’unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato ancora in atto, con violazione della contrattazione collettiva anche in ordine al mancato inquadramento al III livello dell’operatore di ripresa, per effetto dell’anzianità di servizi maturata in base alla contrattazione collettiva.

2.3 - Con il terzo motivo si deduce l’erroneità sia della disposta compensazione per metà delle spese del giudizio sia della relativa quantificazione.

Si sottolinea che l’attuale difensore antistatario aveva depositato le note delle spese legali, relative ai due gradi di merito, con dettagliate indicazione e quantificazione delle spese stesse.

La Corte d’appello, senza alcuna motivazione, non ha tenuto conto di tali note e, inoltre, sempre senza adeguata motivazione ha disposto la parziale compensazione delle spese, benché la R. fosse integralmente soccombente.

IlI - Esame delle censure

3. - In base all’esame congiunto di tutti i motivi di censura - reso opportuno dalla loro intima connessione - si perviene all’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, che incidendo sulla intera ricostruzione della vicenda posta a base della presente controversia, comporta l’assorbimento di tutti gli altri motivi sia del ricorso incidentale sia del ricorso principale.

4. - Con il primo motivo del ricorso incidentale, come si è detto, si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., vizio di motivazione, in merito alla statuizione con la quale la Corte territoriale ha affermato essere intervenuta la cessazione per atto di dimissioni volontarie del lavoratore (in data 13 marzo 1999) - che non essendo stato tempestivamente impugnato, avrebbe prodotto "i suoi effetti normali tra i quali la rinuncia alla prosecuzione del rapporto tra le parti" - dell’unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato derivante dalla trasformazione dei contratti a termine stipulati dal G. con la R. nel periodo tra il 3 ottobre 1985 e il 14 gennaio 1999, trasformazione determinata dal fatto che, per tali contratti, conclusi ai sensi dell’art. 1, secondo comma, lettera e), della legge n. 230 del 1962, la Corte romana ha ritenuto che mancasse, quanto meno, il requisito della temporaneità (avendo la totalità dei programmi cui essi si riferivano tutte le caratteristiche di eventi ordinari nel palinsesto della R.) e che, comunque, fossero in essi anche ravvisabili gli estremi della "frode alla legge", essendo emersa, da questo punto di vista, l’esistenza, ad esempio, di una lista di truccatori-parrucchieri cui attingere regolarmente, per il fatto che il corrispondente organico R. era molto inferiore al necessario.

5. - Al riguardo va ricordato che, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) in linea generale, nella ipotesi di una pluralità di contratti a termine ripetuti nel tempo tra le stesse parti senza sostanziale soluzione di continuità pur se intervallati da periodi di inattività, la configurazione di una risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni volontarie del lavoratore (o per mutuo consenso) presuppone un rigoroso accertamento da parte del giudice del merito - effettuato sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali altre circostanze significative - della sussistenza di una chiara e univoca volontà del lavoratore dimissionario (o, nel caso di mutuo consenso di entrambe le parti) di porre fine ad ogni rapporto lavorativo. Pur competendo la valutazione del significato e della portata del complesso dei pertinenti elementi di fatto al giudice del merito, peraltro le relative conclusioni e argomentazioni sono censurabili in sede di legittimità, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, come appunto accade nella specie (vedi, per tutte, fra le tantissime: Cass. 26 luglio 2011, n. 16287);

b) nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato sul presupposto dell’illegittima apposizione di un termine a numerosi contratti intervallati da periodi di inattività, la mera inerzia del lavoratore non può essere interpretata come fatto estintivo del rapporto (in quanto tale effetto consegue dal concorso di altre circostanze significative), e inoltre soccorrono valutazioni di tipicità sociale con riguardo alla peculiarità della situazione, che comportano la considerazione sia della notoria circostanza relativa all’affidamento che il lavoratore "precario" normalmente fa sulla prospettiva di futuri contratti a termine sia del suo timore di pregiudicare tale esito con una eventuale iniziativa giudiziaria (Cass. 11 febbraio 2010, n. 2279; Cass. 4 agosto 2011, n. 16932; Cass. 18 novembre 2010, n. 23319; Cass. 9 ottobre 2014, n. 21310; Cass. 22 novembre 2010, n. 23633);

c) pertanto, considerato che con le dimissioni volontarie il lavoratore subordinato mostra di non essere più interessato alla prosecuzione del rapporto di lavoro, nella ipotesi di una pluralità di contratti a termine ripetuti nel tempo senza sostanziale soluzione di continuità, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per dimissioni volontarie del lavoratore è necessario che sia accertata la cosciente e libera volontà dell’interessato di porre fine ad ogni rapporto di lavoro con la controparte, tenendo conto sia di tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi della fattispecie sia delle anzidette valutazioni di tipicità sociale che caratterizzano la situazione;

d) ai riguardo va considerato che l’atto di dimissioni volontarie del lavoratore subordinato è un atto unilaterale recettizio (avente contenuto patrimoniale) cui sono applicabili, ai sensi dell’art. 1324 cod. civ., le norme sui contratti, salvo diverse disposizioni di legge, e che, come tale, è annullabile, secondo la disposizione generale di cui all’art. 428, comma primo, cod. civ., ove il dichiarante provi di trovarsi, al momento in cui è stato compiuto, in uno stato di privazione delle facoltà intellettive e volitive - anche parziale purché tale da impedire la formazione d’ima volontà cosciente - dovuto a qualsiasi causa, pure transitoria, e di aver subito un grave pregiudizio a causa dell’atto medesimo, senza che sia richiesta - a differenza che per i contratti, per i quali vige la specifica disposizione di cui al secondo comma dell'art. 428 cod. civ. - la malafede del destinatario (Cass. 18 marzo 2008, n. 7292; Cass. 5 novembre 1990, n. 10577);

e) in particolare, per la sussistenza della incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento delle dimissioni, non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la menomazione di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente (facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all’atto che sta per compiere), menomazione che deve essere accertata e valutata dal giudice del merito, le cui conclusioni e argomentazioni al riguardo sono censurabili in sede di legittimità, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale (Cass. 1 settembre 2011, n. 17977; Cass. 15 gennaio 2004, n. 515).

6. - Nella sentenza impugnata la Corte d’appello non si è attenuta ai suindicati principi in quanto:

1) non ha dato conto di avere effettuato il suddetto specifico accertamento volto ad appurare se l’atto di "dimissioni" - che il lavoratore avrebbe firmato, ma di cui egli sostiene, non contrastato dalla R., di non essere in possesso - corrispondesse ad una effettiva volontà dimissionaria del G., tenendo conto di tutte le peculiarità della vicenda, caratterizzata dalla stipulazione tra le parti di un totale di ben 26 contratti a termine nell’arco di 16 anni, la maggior parte dei quali conclusi dopo il suindicato atto di "dimissioni";

2) di conseguenza, ha collegato l’effetto della cessazione del rapporto esclusivamente alla mancata tempestiva impugnazione dell’atto chiamato di "dimissioni", desumendo implicitamente da tale mancata impugnativa la sussistenza della volontà del lavoratore di rinunciare alla prosecuzione del rapporto tra le parti, senza attribuire alcun rilievo alla circostanza che in un breve lasso di tempo successivo il medesimo lavoratore ha stipulato numerosi altri contratti a termine con la stessa datrice di lavoro e anche in modo parzialmente contraddittorio rispetto alla affermata ravvisabilità anche degli estremi della "frode alla legge" nel rapporto di lavoro che si sarebbe risolto per dimissioni volontarie del lavoratore, elemento che, invece, non avrebbe potuto essere considerato ininfluente al fine di stabilire se l’atto di "dimissioni" potesse essere viziato come atto di volontà e/o "imposto" dalla datrice di lavoro (Cass. 12 luglio 2002, n. 10193; Cass. 18 marzo 2008, n. 7292; Cass. 23 aprile 2012, n. 6342).

Ne consegue che, come rilevato dal ricorrente incidentale, la motivazione sul punto appare del tutto illogica e contraddittoria per le anzidette ragioni.

7. - Va anche aggiunto che sulla anzidetta affermazione della avvenuta risoluzione del suindicato rapporto a tempo indeterminato per mancata tempestiva impugnazione dell’atto di "dimissioni" poggia anche la ricostruzione della intera vicenda effettuata dalla Corte romana in base alla quale è stata affermata la sussistenza di due distinti rapporti a tempo indeterminato, rispettivamente, il primo per il periodo 3 ottobre 1985-13 marzo 1999 e il secondo dal 15 gennaio 2002 in poi, sull’assunto secondo cui le intervenute ’’dimissioni" intermedie, seguite dalla stipulazione ulteriori contratti a termine legittimi, avrebbero creato uno iato indiscutibile tra i due rapporti suddetti.

8. - Al riguardo deve essere ricordato che, in base a costanti e condivisi indirizzi di questa Corte:

1) nel caso di sequenza di contratti a termine ripetuti senza soluzione di continuità, stipulati in contrasto con le previsioni della legge 18 aprile 1962 n. 230 (nella specie, ratione temporis applicabile), se il primo della serie viene dichiarato illegittimo, con conseguente trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, la stipulazione degli altri contratti a termine non incide sulla già intervenuta trasformazione del rapporto (vedi, per tutte: (Cass. 21 marzo 2005, n. 6017; Cass. 11 ottobre 2012, n. 17328; Cass. 17 gennaio 2014, n., 903 cit.);

2) tale principio non trova applicazione solo laddove risulti provata la esplicita volontà dei contraenti di risolvere il precedente rapporto a tempo indeterminato e di costituire un nuovo rapporto a termine, cioè di porre in essere una novazione contrattuale - istituto che postula il mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione, ai sensi dell’art. 1230 cod. civ. e che è connotato non solo dall’aliquid novi, ma anche dall’animus novandi (inteso come manifestazione inequivoca dell’intento novativo) e dalla causa novandi (intesa come interesse comune delle parti all’effetto novativo) (vedi, tra le molte: Cass. 9 marzo 2010 n. 5665; Cass. 12 marzo 2010 n. 6081)

- ovvero quando gli intervalli di tempo intercorsi tra i diversi contratti a termine siano di notevole durata e nel loro corso non vi sia stata né prestazione lavorativa né offerta della prestazione da parte del lavoratore, il quale non risulti esser rimasto a disposizione del datore di lavoro, sicché possa presumersi che i diversi intervalli trascorsi (o alcuno di essi) abbiano spezzato il nesso tra i periodi lavorativi, che pertanto sono da considerare separati, ancorché ciascuno disciplinato dalle norme sul rapporto di lavoro a tempo indeterminato (vedi, per tutte: Cass. 5 maggio 2004, n. 8561).

9. - Ne consegue che con la configurazione di due distinti rapporti - oltretutto basata su un erroneo e lacunoso accertamento dell’atto di dimissioni, come si è detto - la Corte d’appello di Roma non ha rispettato i suddetti principi laddove, dopo aver affermato l’illegittimità del primo contratto a termine stipulato fra le parti avente effetto dal 3 ottobre 1985, con conseguente trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, ha poi ritenuto - congiungendo il rapporto nato per effetto del primo contratto con quelli nati in base ai contratti successivi stipulati fino al 14 gennaio 1999, tutti considerati illegittimamente stipulati ex art. 1, secondo comma, lettera e, della legge n. 230 del 1962 - che: a) sarebbe stato posto in essere un primo rapporto a tempo indeterminato per il periodo 3 ottobre 1985-13 marzo 1999, da tenere distinto da quello ugualmente a tempo indeterminato cui hanno dato luogo gli ultimi tre contratti (aventi decorrenza dal 15 gennaio 2002) anch’essi affetti da nullità della clausola di apposizione del termine; b) le intervenute ’’dimissioni" intermedie tra queste due serie di contratti, seguite dalla stipulazione ulteriori contratti a termine legittimi, avrebbero creato uno "lato" indiscutibile tra i due rapporti suddetti.

10. - Nella specie, infatti, non risulta essere stata ipotizzata alcuna novazione contrattuale - né dalla sentenza oggi impugnata risultano elementi in tal senso, d’altra parte, il fatto stesso che, con intervalli di tempo piuttosto ridotti, sia stato stipulato un numero così ingente di contratti a termine avrebbe dovuto indurre la Corte romana - in conformità con la indicata giurisprudenza di questa Corte - a presumere la sussistenza dell’offerta della prestazione da parte del lavoratore, dando anche il rilievo alla situazione di incertezza sulla propria condizione lavorativa in cui il G. si è trovato per ben sedici anni.

Va, infine, rilevato che tale erronea costruzione ha anche determinato un’altrettanto erronea valutazione dell’anzianità di servizio, che è stata effettuata con distinto riferimento a ciascuno dei due rapporti, individuati come si è detto.

11. - Dalle suddette osservazioni in merito all’inesattezza del frazionamento del rapporto di lavoro effettuata dalla Corte d’appello - oltretutto sulla base dell’assunto secondo cui sarebbe intervenuta una rinuncia, da parte del G., alla prosecuzione del rapporto di lavoro, desunta dalla sola mancata tempestiva impugnazione di un atto di "dimissioni", la cui sussistenza è stata solo apoditticamente affermata - deriva l’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale - basato sul presupposto della unitarietà del rapporto da considerare esatto, come si è rilevato - con assorbimento sia degli altri motivi del ricorso incidentale medesimo sia di tutti i motivi del ricorso principale, basati sull’accettazione della erronea separazione dei diversi periodi contrattuali operata dalla Corte territoriale.

12. - Deve essere, peraltro, precisato che:

a) per quanto si è detto, il rapporto di lavoro in oggetto deve essere considerato unitariamente, a decorrere dalla data di stipulazione del primo contratto (3 ottobre 1985), con quel che ne consegue;

b) in base alla costante giurisprudenza di questa Corte, l’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi, ulteriori rispetto a quelle legali, di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro non richiede che il contratto collettivo debba essere nazionale, ma soltanto che "i contratti collettivi di lavoro" (non qualificati quanto al loro livello) siano "stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale". Neppure la norma compie alcuna selezione con riferimento alla parte datoriale, che può essere pertanto anche una singola azienda; ne deriva che anche un contratto aziendale, purché stipulato con un’organizzazione sindacale che presenti i requisiti su indicati, può legittimamente individuare nuove ipotesi di apposizione del termine (vedi, per tutte: Cass. 14 settembre 2012, n. 15455);

c) conseguentemente, con riguardo ai dipendenti della R., tale facoltà è da riconoscere sia all’Accordo collettivo 5 aprile 1997 - che è stato stipulato tra l’associazione sindacale I. e la R. (dal lato datoriale) e le associazioni sindacali SLC-CGIL, FIS-CISL e UILSIC-UIL (dal lato sindacale) - sia al CCL 8 giugno 2000, che è stato stipulato tra R. spa, R. S. spa, R. W. spa e R. C.  spa, assistite dall’one industriali di Roma (dal lato datoriale) e le associazioni sindacali SLC-CGIL, FIS-CISL e UILSIC-UIL (dal lato sindacale) - in quanto non possono nutrirsi dubbi sul fatto che le anzidette associazioni sindacali siano da qualificare come "sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale" (vedi, per tutte: Cass. 14 settembre 2012, n. 15455 cit).

IV - Conclusioni

13. - In sintesi, il primo motivo del ricorso incidentale deve essere accolto, mentre vanno dichiarati assorbiti tutti gli altri motivi del medesimo ricorso incidentale e tutti i motivi del ricorso principale.

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche ai seguenti:

1) "con le dimissioni volontarie - che costituiscono un atto unilaterale recettizio (avente contenuto patrimoniale) a cui sono applicabili, ai sensi dell’art. 1324 cod. civ., le norme sui contratti, salvo diverse disposizioni di legge, e che sono pertanto annullabili, secondo la disposizione generale di cui all’art. 428, comma primo, cod. civ. - il lavoratore subordinato mostra di non essere più interessato alla prosecuzione del rapporto di lavoro. Pertanto, nella ipotesi di una pluralità di contratti a termine ripetuti nel tempo senza sostanziale soluzione di continuità, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per dimissioni volontarie del lavoratore è necessario che sia accertata la cosciente e libera volontà dell'interessato di porre fine ad ogni rapporto di lavoro con la controparte, tenendo conto sia di tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi della fattispecie sia delle valutazioni di tipicità sociale che caratterizzano la situazione, che comportano la considerazione sia della notoria circostanza relativa all’affidamento che il lavoratore "precario" normalmente fa sulla prospettiva di futuri contratti a termine sia del suo timore di pregiudicare tale esito con una eventuale iniziativa giudiziaria";

2) "nel caso di sequenza di contratti a termine ripetuti senza soluzione di continuità, stipulati in contrasto con le previsioni della legge 18 aprile 1962 n. 230 (nella specie, ratione temporis applicabile), se il primo della serie viene dichiarato illegittimo, con conseguente trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, la stipulazione degli altri contratti a termine non incide sulla già intervenuta trasformazione del rapporto, a meno che: a) risulti provata la esplicita volontà dei contraenti di risolvere il precedente rapporto a tempo indeterminato e di costituire un nuovo rapporto a termine, cioè di porre in essere una novazione contrattuale (di cui vanno accertati gli estremi); b) ovvero, gli intervalli di tempo intercorsi tra i diversi contratti a termine siano di notevole durata e nel loro corso non vi sia stata né prestazione lavorativa né offerta della prestazione da parte del lavoratore, il quale non risulti esser rimasto a disposizione del datore di lavoro, sicché possa presumersi che i diversi intervalli trascorsi (o alcuno di essi) abbiano spezzato il nesso tra i periodi lavorativi, che pertanto sono da considerare separati, ancorché ciascuno disciplinato dalle norme sul rapporto di lavoro a tempo indeterminato".

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara assorbiti gli altri motivi del medesimo ricorso e tutti i motivi del ricorso principale.

Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.