Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 luglio 2015, n. 15290

Tributi - Accertamento - IRPEG ed IRAP - Operazioni con imprese domiciliate in regimi fiscali privilegiati

 

Svolgimento del processo

 

La G. e C. Spa ha proposto ricorso dinanzi alla CTP di Genova avverso avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione, ai fini IRPEG ed IRAP 2003, i costi sostenuti a fronte di operazioni intercorse con imprese domiciliate in Paesi non appartenenti alla Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati (Paesi individuati nel D.M. 24-4- 1992 e successive modificazioni: c.d. blak list); costi ritenuti indeducibili per mancata separata indicazione nella dichiarazione dei redditi.

La CTP ha parzialmente accolto il ricorso, ritenendo deducibili i costi, ferme restando le sanzioni, da rideterminarsi ai sensi dell'art 8, comma 1, d.lgs 471/97.

Con sentenza depositata il 16-4-2009 la CTR Liguria, in parziale riforma dell'impugnata sentenza, ha determinato in euro 10.000,00 la sanzione dovuta; in particolare la CTR, in ordine alla deducibilità dei costi, nel confermare sul punto la gravata sentenza, ha dapprima premesso che, in base al tenore dell'art. 110 comma 11 TUIR, le due condizioni in esso previste cui era subordinata la deducibilità dei costi affrontati per questo tipo di operazioni (e cioè lo svolgimento in modo prevalente di un’attività commerciale effettiva da parte dell'impresa estera nonché l’effettivo interesse economico per l'impresa residente in Italia e la concreta esecuzione delle operazioni stesse) erano tra loro alternative, per cui era facoltà del contribuente scegliere quale delle due provare; nel caso di specie la contribuente aveva provato il proprio interesse economico allo svolgimento di operazioni con imprese domiciliate in Paesi c.d. blak list e l’effettività delle operazioni; la CTR, inoltre, in ordine alle sanzioni, ha ritenuto applicabile alla fattispecie in questione la sanzione specificamente prevista dall'art. 8 comma 3 bis d.lgs 471/97 per l'omessa indicazione in dichiarazione dei costi di cui all'art. 110, comma 11 TUIR, anziché quella (cui si era riferita la CTP) prevista dall’art. 8, comma 1, d.lgs 471/1997 (comma 3 bis introdotto dal comma 302 della L. 27-12-2006 n. 296; L. finanziaria 2007: sanzione proporzionale - 10% - rispetto ai costi non indicati in dichiarazione); al riguardo ha ritenuto di applicare detta sanzione retroattivamente sia perché espressamente prevista dalla detta L. Finanziaria sia perché più favorevole al contribuente (art. 3 d.lgs 472/1997).

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l'Agenzia, affidato a due motivi; ha resistito la società.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia, denunziando -ex art. 360 n. 3 c.p.c.- violazione dell'art 110, commi 10 e 11, dpr 917/86 (già art. 76, comma 7 bis e 7 ter) nonché falsa applicazione dell'art 1, commi 301, 302 e 303 della L. 27-12-2006 n. 296 e dell'art 11 r.d. 16 marzo 1942 n. 267, ha dedotto che la CTR, essendosi limitata a verificare l'esistenza di un effettivo interesse economico dell'impresa all'effettuazione delle operazioni, aveva in tal modo implicitamente rigettato la tesi dell’Ufficio secondo la quale la verifica dell’effettività delle operazioni costituiva sì una discriminante della deducibilità delle spese, ma a condizione che fosse stato previamente rispettato l’obbligo di indicazione separata dei costi in questione nella dichiarazione dei redditi (indicazione separata che pacificamente, nel caso in questione, non vi era stata); al riguardo ribadiva la legittimità di detta tesi, atteso il tenore letterale dell'art. 110, comma 11, TUIR, che, nella sua formulazione originaria (precedente la L. finanziaria 2007), disponeva che la deduzione dei costi in questione era "comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti"; la deduzione dei costi senza averli separatamente indicati nella dichiarazione, pertanto, pur non essendo autonomamente sanzionata, integrava una violazione (di natura sostanziale) relativa alla dichiarazione, sanzionabile come tale ai sensi dell'art. 1, comma 2, d.lgs 471/97 (era cioè una sanzione per evasione d'imposta); con la L. finanziaria 2007 (art 1 comma 301) l'indicazione separata dei costi era poi divenuta non più un "onere" (presupposto stesso per la deduzione dei costi) ma un "obbligo" del contribuente, autonomamente punito, quale violazione solo formale, con la sanzione introdotta dall'art 1, comma 302 (che aveva introdotto all'art. 8 d.lgs 471/97 il nuovo comma 3 bis), applicabile (in base al comma 303) anche alle violazioni commesse prima della data entrata in vigore della detta L. finanziaria; con siffatta retroattività, tuttavia, il legislatore aveva inteso solo parificare quoad poenam due fattispecie eterogenee (violazioni sostanziali commesse nel vigore della predetta disciplina e violazioni formali commesse nel vigore della disciplina novellata) ma non poteva giammai costituire un indice della volontà di attribuire efficacia retroattiva oltre che alle norma sanzionatorie anche alla disciplina sostanziale.

Il motivo va rigettato

Nella versione in vigore sino al 31 dicembre 2003, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76, recita: "... 7-bis. Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni, intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all'Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati.... 7-ter. Le disposizioni di cui al comma 7-bis non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione)).... La deduzione delle spese e degli altri componenti negativi di cui al comma 7-bis è comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti.

In termini perfettamente identici si esprime, al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, commi 10 e 11, nel testo in vigore dal 1 gennaio 2004 all'1 gennaio 2007.

Le norme vigenti sino al 31 dicembre 2006, dunque, sancivano l'indeducibilità dei costi scaturenti da operazioni intercorse con soggetti residenti in Stati o territori a finalità privilegiata (c.d. Paesi black list), ove non risultasse provato che i contraenti esteri svolgevano effettiva attività commerciale ovvero che le operazioni poste in essere rispondevano ad un effettivo interesse economico ed avevano avuto concreta esecuzione e, in ogni caso, ove i costi non fossero stati separatamente indicati in dichiarazione.

Con decorrenza dall'1 gennaio 2007, la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 301, (finanziaria 2007) ha modificato il testo del D.P.R, n. 917 del 1986, art 110, nella parte rilevante ai fini della presente controversia, nei termini seguenti: "10. Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all'Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati.... 11. Le disposizioni di cui al comma 10, non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. Le spese e gli altri componenti negativi deducibili ai sensi del primo periodo sono separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi...". Il contestuale art 1, comma 302 L. n. 296 del 2006, ha, poi, sancito: "al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, dopo il comma 3, è aggiunto il seguente: "3-bis. Quando l'omissione o incompletezza riguarda l'indicazione delle spese e degli altri componenti negativi di cui all'art. 110, comma 11, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, si applica una sanzione amministrativa pari al 10 per cento dell'importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di Euro 500 ed un massimo di Euro 50.000".

Per la normativa entrata in vigore l'I gennaio 2007, dunque, la deducibilità dei costi scaturenti da operazioni intercorse con soggetti residenti in Paesi Black list risulta subordinata solo alla prova dell'operatività dell'impresa estera contraente e dell'effettività della transazione commerciale. La separata indicazione in dichiarazione dei costi suddetti è degradata, invece, da presupposto sostanziale di relativa deducibilità ad obbligo di carattere formale (a garanzia, evidentemente, delle esigenze di controllo degli uffici finanziari), passibile di corrispondente sanzione amministrativa. La L. n. 296 del 2006, art 1, al comma 303, ha, infine, ulteriormente disposto in via transitoria: "303. La disposizione del comma 302 si applica anche per le violazioni commesse prima della data di entrata in vigore della presente legge, sempre che il contribuente fornisca la prova di cui all'art. 110, comma 11, primo periodo, del citato testo unico delle imposte sui redditi. Resta ferma in tal caso l'applicazione della sanzione di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, comma 1". Così delineata l'evoluzione del quadro normativo di riferimento, va quindi stabilito se la retroattività della normativa innovativa sia circoscritta alla disciplina sanzionatoria o coinvolga, invece, anche il profilo dell’abolizione del regime di assoluta indeducibilità dei costi non separatamente indicati in dichiarazione.

In tale prospettiva, va rilevato che il dato letterale sembra escludere la retroattività della sopravvenuta eliminazione del previgente regime d’indeducibilità, se non separatamente indicati in dichiarazione, dei costi scaturenti da operazioni intercorse con soggetti residenti e fiscalmente domiciliati in Stati o territori "a fiscalità privilegiata"; regime incontrastatamente sancito dalla norme succedutesi sino al 31 dicembre 2006.

Indicativa è, al riguardo, la circostanza che la disposizione transitoria di cui alla L. n. 296 del 2006, art 1, comma 303, attribuisce, in termini testuali, portata retroattiva esclusivamente al precedente comma 302, che dispone in tema di sanzioni, e non anche al comma 301, introducente l'eliminazione (peraltro con esplicito riferimento alla sola previsione dell'art 110 d.p.r. 917/1986 e non anche alla corrispondente disposizione ancora precedentemente vigente) del regime d’indeducibilità dei costi in rassegna se non separatamente indicati.

La soluzione non risulta, d’altro canto, inconciliabile, in termini assoluti, con il dato sistematico; la limitazione della retroattività al solo nuovo regime sanzionatorio può infatti, in tale ottica, trovare una propria autonoma e coerente giustificazione nella finalità, evidenziata dall'Agenzia, di anticipare - fermo restando il regime d'indeducibilità dei costi non separatamente dichiarati - almeno l'operatività del nuovo sistema sanzionatorio, ispirato al sopravvenuto riconoscimento del carattere meramente formale della violazione, sostituendolo, in via di applicazione retroattiva, a quello previgente (cfr. D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1) correlato alla natura sostanziale allora riconosciuta alla violazione.

Tanto premesso, al Collegio, in linea con quanto affermato da questa Corte con sentenza 4030/2015, appare, ciò non pertanto, necessaria una rivisitazione dell'orientamento in materia già espresso da questa Corte (cfr. Cass. 20081/14, 5398/12) nel senso dell'irretroattività dell'abolizione del regime di assoluta indeducibilità dei costi non separatamente indicati in dichiarazione.

Per quanto riguarda la disciplina "a regime", le innovazioni apportate dalla L. n. 296 del 2006 alla normativa in tema di deducibilità di costi inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Paesi a fiscalità privilegiata, sottende indubitabilmente l'intenzione di trovare un punto di equilibrio meno gravoso per il contribuente rispetto a quello precedentemente definito, nel contemperamento dell’interesse del contribuente medesimo a poter dedurre i costi effettivamente sostenuti, seppur nell'ambito di operazioni intercorse con soggetti operanti in aree fiscalmente sospette, con l'interesse erariale a veder assicurata, in relazione ai costi riferiti ad operazioni obiettivamente suscettibili di ragionevole sospetto, un'efficace azione di controllo. Punto di equilibrio che si è ritenuto di poter raggiungere, trasformando la separata indicazione in dichiarazione dei costì in oggetto, da presupposto di deducibilità dei costi medesimi, in obbligo dichiarativo amministrativamente sanzionato; in tal modo coniugando la deducibilità dei costi che il contribuente dimostri effettivi ed inerenti, indipendentemente dalla relativa separata indicazione in dichiarazione,

con il mantenimento, a fini di controllo (seppur con effetti più circoscritti), dell'obbligo d’indicazione separata in dichiarazione.

La ratio dell'innovazione legislativa "a regime" - aderente, peraltro, ai canoni costituzionali della capacità contributiva e dell'uguaglianza tributaria - si proietta inevitabilmente sulla relativa disciplina transitoria e, facendo aggio sul dato testuale, induce a leggerla nel senso dell'estensione dell'applicazione retroattiva anche all'abolizione del regime di assoluta indeducibilità dei costi non separatamente indicati in dichiarazione.

Peraltro, pur nella grave ambiguità del complessivo contesto normativo, dato a conforto della soluzione qui prescelta sembra cogliersi nell'ultima proposizione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 303, che - in esito all'affermazione dell'efficacia retroattiva della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art 8, comma 3 bis, introdotto dal precedente comma 302, in ipotesi di mancata indicazione separata dei costi black list tuttavia comprovati nella loro effettività- recita: "Resta ferma in tal caso l’applicazione della sanzione di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, comma 1. La norma prevede indubitabilmente, per le sole violazioni dell'obbligo di separata indicazione riferibili a situazioni di diritto transitorio, il cumulo della sanzione proporzionale del 10% (entro limiti prescritti), disposta dal sopravvenuto comma 3 bis, con la sanzione, definita nel minimo e nel massimo, di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1, e, trovando ragion d'essere solo sul presupposto dell’estensione della retroattività anche all'abolizione del previgente regime d'indeducibilità, la legittima a sua volta, finendo così con il costituire clausola di chiusura dell'intera disciplina.

Considerata la maggior gravità per il contribuente del previgente regime di radicale indeducibilità e, altresì, della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art 1, comma 2, ad esso ricollegabile, la norma non viola, d'altro canto, il principio di legalità. Né, per effetto della stessa previsione normativa, può, per le situazioni di diritto transitorio, evocarsi il criterio di specificità.

Atteso che sul punto la sentenza impugnata, benché per altre ragioni, risulta conforme alla conclusione sopra indicata, s impone il rigetto del motivo, con correzione della motivazione ex art 384 c.p.c..

Con il secondo motivo di ricorso l'Agenzia, denunziando -ex art 360 n. 3 c.p.c.- violazione dell'art 8, comma 3 bis d.Igs 471/97, ha dedotto che la CTR, pur ritenendo correttamente applicabile in via retroattiva la sanzione prevista dall'art. 8, comma 3 bis dlgs 471/97, ha determinato la sanzione in euro 10.000,00, così violando le regole poste dalla suddetta disposizione; il detto articolo, invero, al di fuori di qualsiasi discrezionalità, quantificava la sanzione nella misura del 10% dell'importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati in dichiarazione, sempre che l’ammontare che ne scaturiva non fosse inferiore ad euro 500,00 e superiore ad euro 50.000,00- in tale ipotesi, (come nel caso di specie, ove era incontestato che l’ammontare dei costi dedotti dalla contribuente ammontava ad euro 86.518,00 e quindi la sanzione doveva essere pari ad 80.651,80), la sanzione applicabile doveva essere quella massima di euro 50.000,00.

Ai sensi dell'art. 8, comma 3-bis d.lgs 471/97 "quando l'omissione o incompletezza riguarda l'indicazione delle spese e degli altri componenti negativi di cui all'articolo 110, comma 11, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si applica una sanzione amministrativa pari al 10 per cento dell'importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di euro 500 ed un massimo di euro 50.000.

Erroneamente, pertanto, la CTR, pur facendo espressamente riferimento alla detta disposizione e ritenendo la stessa applicabile retroattivamente, ha poi proceduto a determinarla discrezionalmente nell'importo di euro 10.000,00 anziché, prendendo atto del superamento del limite massimo in caso di utilizzazione della percentuale del 10% sull’ammontare (euro 806.518,00) dei costi dedotti dalla contribuente, nel detto importo massimo di euro 50.000,00.

In conclusione, pertanto, va rigettato il primo motivo di ricorso, con correzione della motivazione ex art. 384, ult, comma c.p.c., nel senso su indicato; va accolto il secondo motivo e, per l'effetto, va cassata in relazione al detto motivo l’impugnata sentenza; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, determinando in euro 50.000,00 la sanzione applicata.

In considerazione dell'accoglimento solo parziale del ricorso e della su descritta evoluzione giurisprudenziale sulla questione trattata nel primo motivo, si ritiene sussistano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il primo motivo; accoglie il secondo; cassa l'impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, determina in euro 50.000,00 la sanzione; dichiara compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.