Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 luglio 2015, n. 16109

IVA - Avvisi di rettifica e revisione per la ripresa a tassazione di IVA - Importazione

 

Svolgimento del processo

 

1. La F.V. spa, società titolare di deposito ai fini IVA sito in Scandicci, proponeva ricorso innanzi alla CTP di Varese avverso gli avvisi di rettifica e revisione per la ripresa a tassazione di IVA relativa all’anno 2007 in relazione all’importazione da parte delle società S. s.r.l., S.G. s.r.l. e S.M. s.r.l. di alcune partite di merci provenienti da paesi extraeuropei non introdotte nel deposito pur avendo fruito della sospensione del pagamento del tributo. Pretesa che l’Amministrazione aveva rivolto alla F.V. spa in qualità di obbligato solidale degli importatori in relazione alla sua qualità di gestore del deposito.

2. La CTP accoglieva il ricorso con sentenza impugnata dall’Agenzia delle Dogane innanzi alla CTR della Lombardia la quale, con sentenza n.53/19/12, depositata il 16.5.2012, confermava la decisione impugnata.

3. La CTR, pur ritenendo fondata la censura dell’Ufficio in ordine alla ritenuta carenza di motivazione dell’atto impositivo, respingeva l’impugnazione, evidenziando che la materiale introduzione dei beni nel deposito IVA contestata alla contribuente non era prevista espressamente da alcuna disposizione, non facendo ad essa menzione nemmeno l’art.50 bis comma 4 lett.b) del D.L. n.331/1993. Nemmeno rilevante risultava, secondo la CTR, l’art.16 comma 5 bis del d.l. ult. cit. laddove equipara la materiale introduzione della merce in deposito allo svolgimento di prestazioni di servizi ancorché eseguiti al di fuori dei locali del deposito. Aggiungevano i giudici di appello che la possibilità di assolvere gli obblighi dell’IVA all’importazione mediante il sistema del reverse charge era espressamente riconosciuta dall’art.19 ss. del d.p.r. n.633/72 e 50 bis d.l.n.331/1993. Infatti, malgrado le differenze fra IVA all’importazione e IVA interna, per entrambe valeva il principio di neutralità dell’IVA. Nel caso di specie non vi era stato alcun danno erariale. Senza dire che l’inosservanza di obblighi formali in materia di reverse charge non privava il contribuente di fruire del diritto alla detrazione in forza della sentenza della Corte di Giustizia 8.5.2008, causa C-95/07 e C-96/97. Il pagamento dell’IVA con il sistema dell’autofatturazione al momento dell’estrazione della merce integrava il pagamento dell’IVA all’importazione che era comunque da considerare come imposta neutrale. Aggiungeva, ancora, la CTR che la diversità fra IVA all’importazione -che secondo l’Ufficio non era stata assolta- e IVA interna era solo apparentemente corretta, risultando anzi in stridente contrasto con il principio di neutralità dell’IVA.

3.1 Evidenziava, infine, quanto alle sanzioni ex art. 13 d.lgs.n.471/97, che le stesse non si applicavano quando i versamenti erano stati tempestivamente eseguiti presso un Ufficio diverso da quello competente, aggiungendo che la condotta della contribuente non aveva arrecato alcun danno all’erario.

4. L’Agenzia delle Dogane ha proposto ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi. La F.V. spa ha resistito con controricorso.

5. La causa, dopo essere stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della definizione di un procedimento di rinvio pregiudiziale sollevato da altra autorità giudiziaria, veniva rimessa all’udienza pubblica dal Collegio che non ha ravvisato i presupposti per la decisione ex art.375 c.p.c. ed è stata posta in decisione all’udienza del 10 giugno 2015, dopo il deposito di memorie da entrambe le parti.

 

Motivi della decisione

 

6. Con il primo motivo l’Agenzia deduce la violazione dell’art.50 bis d.l.n.331/1993 conv. con modificazioni dalla l.n.427/1993 in relazione all’art.201 CDC (art.360 c.1 n.3 c.p.c.). Si contesta, in particolare, l’interpretazione della CTR secondo la quale la disposizione di cui al ricordato art.50 bis non imponeva di ritenere l’immissione effettiva della merce nel deposito ai fini IVA per godere dei benefici previsti da tale disposizione. Si prospetta che il termine "custodia" utilizzato dall’art.50 bis presuppone la materiale immissione della merce in un luogo fisico idoneo alla conservazione. Ciò che prevedeva espressamente la lett.b) del comma 4 dell’art.50 bis ult.cit. Tale conclusione era stata peraltro avallata dalla giurisprudenza di questa Corte con diverse sentenze emesse nel maggio 2010.

6.1 Con il secondo motivo l’Agenzia deduce la violazione degli artt.17 e 67-70 dPR n.633/72, in relazione all’art.50 bis d.l.n.331/1993 conv. nella l. n.427/1993 (art.360 comma 1 n.3 c.p.c.).

Espone che la CTR aveva confuso il concetto di neutralità dell’imposta con quello dell’obbligo giuridico di corrispondere l’imposta, nascente al momento della presentazione della merce extracomunitaria alla dogana. Era peraltro erronea l’assimilazione operata dalla CTR fra IVA all’importazione e IVA interna e fra i sistemi di assolvimento. La prima, costituente un diritto di confine facente capo alla Comunità, era correlata all’importazione delle merci in dogana ed era esigibile in quel momento, a fronte di un sistema dell’IVA nazionale correlato all’auto liquidazione, al versamento dell’imposta per massa di operazioni attive e passive e alla dichiarazione relativa al periodo d’imposta. Peraltro, la CTR aveva confuso il concetto di assolvimento degli obblighi contabili dell’IVA con quello di effettivo pagamento dell’imposta, integrando l’autofatturazione una mera inversione degli obblighi contabili gravanti sul soggetto passivo dell’imposta ed un mero mezzo virtuale di assolvimento, come pure aveva riconosciuto la giurisprudenza di questa Corte.

6.2 Con il terzo motivo l’Agenzia lamenta la violazione dell’art.50 bis d.l.n.331/93 conv. nella l.n.427/1993, in relazione all’art.201 CDC (art.360 comma 1 n.3 c.p.c.). Lamenta che la CTR aveva considerato come violazione formale la mancata introduzione nel deposito IVA ancorché l’art.201 CDC indicasse come violazione sostanziale ogni violazione che comportava l’irregolarità dell’operazione doganale. Peraltro, i benefici previsti dall’art.50 bis cit. erano indiscutibilmente collegati all’introduzione della merce nei depositi IVA.

6.3 Con il quarto motivo l’Agenzia lamenta la falsa applicazione dell’art.13 d.lgs.n.471/1997, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 C.P.C. Aveva errato la CTR nel ritenere che l’assolvimento cartolare dell’IVA potesse qualificarsi come mero adempimento ad ufficio incompetente, vertendosi in tema di IVA all’importazione che doveva essere versata all’Agenzia delle Dogane. Secondo la ricorrente il mero adempimento cartolare dell’IVA mediante autofatturazione non equivale al pagamento dell’IVA all’importazione. Dovevano quindi ritenersi applicabili le sanzioni previste dall’art.13 d.lgs.n.471/11997.

7. La F.V. spa, nel controricorso, deduce l’inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza e l’infondatezza di tutte le censure.

7.1 Evidenzia, quanto al primo motivo, che la nozione civilistica di deposito era irrilevante, come risultava dall’art.8 comma 21 bis del d.l. n. 16/2012, che aveva modificato il comma 5 bis dell’art.16 d.l. n. 185/2008, escludendo espressamente tempi minimi di giacenza e obblighi di scarico dal mezzo di trasporto. Tanto era stato ritenuto da diverse pronunzie degli organi di giustizia tributaria, non prevedendo l’art.50 bis ult. cit. l’applicabilità del regime IVA ivi stabilito ai casi di effettiva introduzione della merce importata in deposito, ma solo la destinazione della merce al deposito stesso. Tanto era del resto confermato da altre discipline normative di paesi UE-Spagna, Paesi Bassi, Regno Unito-. Aggiunge che i precedenti richiamati dall’Agenzia ricorrente a sostegno delle proprie tesi non potevano essere condivisi, laddove affermavano che la disciplina in tema di deposito IVA riposava negli artt.98/110 CDC. Per contro, la disciplina di tali depositi andava ricercata nella sesta direttiva CEE, oltre che nell’art.50 bis cit. e nel D.M. n.419/1997. Le motivazioni delle sentenze della Cassazione richiamate dalla ricorrente presentavano, poi, profili di contraddittorietà, visto che il sistema previsto dalla disciplina in tema di deposito IVA prescindeva, dal transito fisico della merce dal deposito.

7.2 Quanto al secondo motivo la controricorrente deduce che l’IVA era un’unica imposta alla quale sono assoggettate le cessioni, le prestazioni e le importazioni. Quanto postulato dalla ricorrente in ordine alla natura di riserva propria comunitaria era poi smentito dall’art.2 Reg.CEE n.1553/1989. Ad onta di quanto affermato dall’Agenzia, l’assolvimento mediante reverse charge dell’IVA era equivalente a quello ordinario di versamento, tanto risultando dall’art.9 bis d.lgs.n.471/97, dalla giurisprudenza di questa Corte- sent.n. 10819/2010, 17588/2010, 8038/2013, 20486/2013- e dalla Risoluzione dell’Amministrazione finanziaria n.56/E del 6.3.2009. Aggiunge che il meccanismo del reverse charge integra un vero e proprio assolvimento dell’IVA. La tesi dell’Agenzia avrebbe dunque determinato una duplicazione d’imposta come ritenuto dalla Commissione Finanze nella Risoluzione del 25.5.2011. In ogni caso, il principio di neutralità dell’IVA non poteva essere messo in discussione dai provvedimenti attuativi dei singoli Stati in tema di riscossione dell’imposta, come già chiarito dalla giurisprudenza comunitaria. Né la giurisprudenza comunitaria evocata dall’Agenzia poteva ritenersi conferente rispetto alla fattispecie in esame.

7.3 Quanto al terzo motivo, lo stesso era in parte inconferente e comunque infondato, non risultando il deposito ai fini IVA disciplinato dal codice doganale comunitario e risultando i precedenti della Cassazione intimamente contraddittori nella parte in cui avevano escluso la materialità dell’inserimento in deposito della merce. Aggiungeva la controricorrente che ai fini del deposito IVA non era richiesta l’introduzione della merce ih deposito né tempi minimi di giacenza.

7.4 Rispetto al quarto motivo, la controricorrente ne evidenziava l’infondatezza in quanto l’autofatturazione integrava un pieno assolvimento del tributo, escludendo la violazione.

7.5 La F.V. chiedeva, poi, che questa Corte proponesse rinvio pregiudiziale ex art.267 TFUE innanzi alla Corte di Giustizia per accertare: a) se il deposito IVA istituto dalla sesta direttiva CEE e dalla dir.2006/112/CEE è disciplinato dal codice doganale comunitario; b)se, ancora, secondo i testi comunitari anzidetti è necessario per l’esenzione dal pagamento del tributo la destinazione dei beni importati al deposito ovvero è indispensabile l’introduzione fisica della merce in deposito fiscale; c)se, inoltre, il quadro comunitario impedisce di ritenere corretta la prassi dell’amministrazione di non considerare l’autofatturazione come sistema di assolvimento dell’IVA all’importazione; d) se, infine, viola il principio di neutralità dell’IVA la pretesa dello Stato di esigere l’IVA assolva in reverse charge "mediante emissione di autofattura e contestuale registrazione nel registro delle vendite e degli acquisti".

8. I quattro motivi proposto dall’agenzia, che meritano un esame congiunto risultando tutti strettamente connessi, sono fondati nei limiti di seguito esposti.

8.1 Occorre sgombrare il campo dalla dedotta inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, invero pienamente rispettato dalla parte ricorrente, la quale ha parimenti fondato le censure sugli elementi indicati dalla CTR e pacifici fra le parti.

8.2 Prima di affrontare le censure occorre ricordare che il tema di indagine demandato a questa Corte ruota attorno a quattro questioni di particolare rilevanza, attenendo alle modalità per il riconoscimento del beneficio dell’esenzione del pagamento IVA in favore dei soggetti che importano, per quel che qui riguarda, merce extra UE con le forme dell’immissione in libera pratica destinata all’immissione in depositi fiscali IVA.

8.3 In punto di fatto risulta pacifico che la F.V., nell’esercizio dell’attività professionale di spedizioniere e gestore di un deposito fiscale ai fini IVA sito in Scandicci, ha assistito alcuni importatori nelle operazioni di importazione di merci provenienti di Paesi Terzi. Espletate le operazioni doganali, la merce venne dichiarata essere destinata al deposito IVA della F.V. con conseguente sospensione del pagamento dell’IVA all’importazione-v.pag.1 controricorso-. Risulta ancora pacifico che l’IVA veniva successivamente assolta dagli importatori all’atto dell’estrazione della merce dal magazzino IVA in regime di reverse charge, con emissione di autofatture.

8.4 L’accertamento dell’Agenzia delle Dogane ha riguardato il mancato assolvimento dell’IVA all’importazione in ragione della verifica compiuta, dalla quale emergeva che alcune partite di merci importate da paesi extra UE non erano mai state materialmente introdotte nel deposito pur avendo usufruito della sospensione del pagamento dell’IVA. Il giudice di primo grado, nell’accogliere il ricorso proposto dalla F.V., rilevava che la solidarietà fra importatore e gestore del deposito fiscale non sussisteva "perché questi avevano assolto l’imposta emettendo autofattura all’atto dell’estrazione della merce dal magazzino IVA sulla base delle annotazioni della merce presa in carico nel registro deposito Iva, per cui essendo stata pagata l’IVA sia pure presso l’ufficio competente per l’IVA nazionale, questa non poteva essere richiesta nuovamente dalla dogana (quale IVA all’importazione) perché avrebbe comportato una duplicazione d’imposta-cfr.quanto riportato a pag.2 ricorso per cassazione-.

8.5 II giudice di appello ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane sulla base delle seguenti argomentazioni: a) la materiale introduzione dei beni in deposito fiscale ai fini IVA per fruire dell’agevolazione sulla relativa imposta non è prevista a livello normativo; b) la possibilità di assolvere l’IVA con il sistema del reverse charge è normativamente prevista- artt.19 dpr n.633/72 e 50 bis d.l.n.331/1993- dovendosi ritenere che l’IVA in contestazione era esattamente quella assolva con l’autofattura, nemmeno potendo far gravare sul contribuente eventuali violazioni formali se gli obblighi sostanziali erano stati assolti; c) la diversità fra IVA all’importazione e IVA interna sostenuta dall’Ufficio era in stridente contrasto con il principio di neutralità, generando una duplicazione di imposta.

8.6 Orbene, al fine di definire l’odierno procedimento occorre verificare se: a) il beneficio del mancato pagamento dell’IVA all’atto dell’immissione di beni extra UE in libera pratica sancito dall’art.50 bis comma 4 lett.b) d.l.n.331/1993 presuppone la materiale introduzione della merce nel deposito fiscale ai fini IVA; b) il meccanismo della c.d. autofatturazione previsto dall’art.50 bis comma 6 d.l.n.331/93 integra il pagamento dell’IVA all’importazione; c) la mancata considerazione dell’assolvimento dell’IVA interna con il sistema dell’autofatturazione ai sensi del comma 6 dell’art.50 bis determina una lesione del principio di neutralità fiscale o comunque importa una duplicazione d’imposta.

La giurisprudenza interna in tema di depositi IVA.

8.8 Le questioni sopra esposte hanno trovato già risposta nella giurisprudenza di questa Corte, ma richiedono di essere riesaminati in relazione alla recente presa di posizione della Corte di Giustizia che, adita in sede di rinvio pregiudiziale da altra autorità giudiziaria sulle questioni sopra esposte, ha fornito rilevanti principi interpretativi destinati ad operare anche nel presente contenzioso.

8.9 Orbene, la questione dell’applicazione del regime di cui all’art.50 bis comma 4 lett.b) d.l.n.331/1993 alle ipotesi di immissione di beni extra UE in libera pratica senza la materiale introduzione della merce nel deposito fiscale ha trovato già risposta nella giurisprudenza di questa Corte, a cui tenore l’introduzione della merce d’importazione nel deposito IVA costituisce il presupposto per l’esenzione dall’IVA all’importazione su merci comunitarie, parificate dal Reg. CEE 2932/92 a merci non comunitarie immagazzinate (art. 98, lett. a) e b), codice doganale comunitario), fruenti dell’esenzione daziaria perché vincolate al regime del deposito doganale, stabilito nell’autorizzazione. Ragion per cui, essendo il presupposto per fruire di tale esenzione da dazi ed IVA costituito proprio da quell’immagazzinamento, consegue che, in difetto del presupposto, l’IVA all’importazione è dovuta-cfr.Cass.n.12581/2010 e le successive sentenze, depositate tra il 19 ed il 21 maggio 2010, nn. 12262, 12275, 12579, 12580-.

8.10 Si è poi aggiunto che tale conclusione non risulta minata dall’art. 16, comma 5-bis, del D.L. n. 185/2008, come convertito dalla legge n. 2/2009, secondo cui «l’art. 50-bis, comma 4, lett. h), del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 1993, n. 427. Ciò perché "...considerare non incidenti sulla introduzione in deposito le prestazioni di servizi (comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali) non interferisce sulla introduzione medesima, propriamente intesa: in locali limitrofi possono eseguirsi attività accessorie - senza incidenza negativa sull’introduzione -, ma non è dato equiparare ad essa una sistemazione «in locali limitrofi ai depositi IVA» ..., perché ciò equivarrebbe ad eliminare una seria e coerente nozione di deposito IVA."-cfr.Cass.n.12581/2010, cit.-.

8.11 E’ stata pure esclusa la dedotta duplicazione di imposta in relazione all’utilizzazione del meccanismo dell’autofatturazione in sede di estrazione dei beni virtualmente inseriti nel deposito IVA, non potendo l'avvenuto assolvimento con le modalità anzidette dell'IVA interna compensare il mancato pagamento dell'IVA all'importazione.

8.12 In questa direzione era stata sottolineata la diversità del sistema di accertamento dei due tributi, poiché l'IVA all'importazione è diritto di confine che viene accertato e riscosso nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo (importazione), con riversamento di una quota parte alla Comunità europea, mentre l'IVA nazionale viene autoliquidata e versata in relazione alla massa di operazioni attive e passive poste in essere dal contribuente ed inserite nella dichiarazione periodica. Per tali ragioni si è ritenuto che il richiamo al sistema della c.d. autofatturazione di cui al comma 6 dell’art.50 bis non assume alcuna incidenza rispetto all’obbligo di pagamento dell’IVA all’importazione nell’ipotesi di mancato immagazzinamento della merce in deposito IVA, in quanto detto meccanismo integra una vera e propria «operazione "neutra", di compensazione dell'IVA nazionale a debito con quella a credito. L'introduzione della merce d'importazione nel deposito IVA costituisce dunque il presupposto per l'esenzione dall'IVA all'importazione su merci comunitarie, parificate dal Reg. CEE 2932/92 a merci non comunitarie immagazzinate (art. 98, lett. a), h) del Codice Doganale Comunitario), fruenti dell'esenzione daziaria perché vincolate al regime del deposito doganale, stabilito nell'autorizzazione. E poiché il presupposto per fruire di tale esenzione da dazi ed IVA è costituito proprio da quell'immagazzinamento..., consegue che, in difetto del presupposto, l'IVA all'importazione è dovuta.»-cfr. sentenze di questa Corte da ultimo citate-.

Si è parimenti ammessa la responsabilità del gestore del deposito nelle ipotesi di mancato immagazzinamento, precisandosi che ciò dipendente dal fatto che la responsabilità solidale del suddetto nasce dalla irregolare gestione del deposito IVA, che ha consentito agli importatori, attraverso mere registrazioni, di attraversare il confine senza il pagamento dell'IVA all’importazione, restando in possesso della merce non depositata, sulla quale hanno corrisposto soltanto l’IVA in autofattura-cfr. Cass.n. 12267/2010-.

8.13 L’indirizzo giurisprudenziale anzidetto, collocato temporalmente nel maggio 2010, è stato ribadito dapprima da Cass.n. 11642/2013 e, successivamente, da Cass.n.2254/14.

La sentenza Equoland-Corte giust. 17 luglio 2014, C-272/13-

9. Sul "diritto vivente" appena ricordato si è innestata la decisione della Corte di Giustizia resa dalla Corte di giustizia il 17 luglio 2014 nel caso Equoland (causa C-272/13).

9.1 La sentenza Equoland ha confermato la piena compatibilità della legislazione e della giurisprudenza interna in tema di obbligatorietà dell’inserimento effettivo della merce nel deposito IVA, riconoscendo ai singoli Stati la possibilità di determinare le modalità con le quali fare operare il sistema del deposito fiscale dal quale derivare il beneficio dell’esenzione del pagamento dell’IVA ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva CEE.

9.2 Secondo la Corte di Giustizia "...spetta agli Stati membri determinare le formalità che il soggetto passivo deve adempiere al fine di poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA in base alla suddetta disposizione." Si è poi aggiunto che "...il legislatore italiano ha previsto che, al fine di poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione, il soggetto passivo abbia l’obbligo di introdurre fisicamente la merce importata nel deposito fiscale, poiché si presume che tale presenza fisica garantisca la successiva riscossione dell’imposta." Secondo la Corte l’obbligo di inserire le merci nel deposito fiscale ha "carattere formale", ma non per questo lo stesso è privo di rilevanza, in quanto "... è atto a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi perseguiti, vale a dire garantire un’esatta riscossione dell’IVA nonché evitare l’evasione di tale imposta e, in quanto tale, non eccede quanto necessario per conseguire i suddetti obiettivi."

9.3 II test di proporzionalità al quale dunque è soggetta l’attività compiuta dallo Stato rivolta a determinare le formalità necessaria per ottenere il benefico dell’esenzione dal pagamento dell’IVA non ha evidenziato alcuna divergenza fra ordinamento interno e sistema UE.

9.4 Si è quindi ritenuto in dispositivo che "L’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2006/18/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006, nella sua versione risultante dall’articolo 28 quater della sesta direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che subordini la concessione dell’esenzione dal pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all'importazione, prevista da tale normativa, alla condizione che le merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini di tale imposta siano fisicamente introdotte nel medesimo. "

 9.5 Discorso diverso viene svolto dal giudice comunitario rispetto alle ricadute prodotte dall’assolvimento dell’IVA con il sistema dell’autofatturazione che l’importatore e/o il titolare del deposito svolgevano dopo il passaggio virtuale in deposito all’atto dell’estrazione dei beni, essendo la Corte giunta a conclusioni opposte a quelle espresse da questa Corte.

9.6 Sul punto, giova ricordare i quesiti formulati dal giudice a quo alla Corte di giustizia, risultando essi decisivi al fine di fugare i dubbi, prospettati dall’Agenzia delle Dogane sia in memoria che nel corso della discussione orale, circa l’irrilevanza ai fini del presente procedimento delle conclusioni espresse dalla Corte di Giustizia nel caso Equo land:

«2) La [sesta direttiva] e la [direttiva IVA] ostano alla prassi con cui uno Stato membro riscuote l’IVA all’importazione nonostante questa - per errore o irregolarità - sia stata assolta in reverse charge mediante emissione di autofattura e contestuale registrazione nel registro delle vendite e degli acquisti?

3) Viola il principio di neutralità dell’IVA la pretesa dello Stato membro di esigere l’IVA assolta in reverse charge mediante emissione di autofattura e contestuale registrazione nel registro delle vendite e degli acquisti?».

9.7 Si tratta, a ben considerare, delle medesime questioni agitate nel presente giudizio, nel quale l’Agenzia delle dogane, ponendo a base della rettifica l’IVA all’importazione non versata dall’importatore, contesta la rilevanza dell’assolvimento (successivo) dell’IVA all’atto dell’estrazione della merce con il meccanismo del c.d. reverse charge -.

9.8 Ora, rispetto alla questione relativa alla piena idoneità di siffatto meccanismo a determinare gli effetti del pagamento dell’IVA all’importazione, la Corte di giustizia ha offerto alcune indicazioni precise e tassative - in relazione alla nota efficacia erga omnes dei principi espressi rispetto a casi sovrapponibili a quelli scrutinati dal giudice europeo-. Anzitutto, si è ritenuto che il meccanismo del reverse charge non ha valore formale o fittizio, ma costituisce reale assolvimento dell’IVA-p.37 sent.Equoland: "...l’inosservanza di tale obbligo non ha comportato, perlomeno nel procedimento principale, il mancato pagamento dell’IVA all’importazione poiché questa è stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile applicato dal soggetto passivo..."; p.42 sent.:"... dalla giurisprudenza della Corte emerge che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano in udienza, il regime dell’inversione contabile previsto dalla sesta direttiva consente, in particolare, di contrastare l’evasione e l’elusione fiscale constatate in taluni tipi di operazioni (v. sentenza Véleclair, CD414/10, EU:C:2012:183, punto 34)...". Ne consegue che il sistema dell’autofatturazione è in grado di determinare l’assolvimento dell’IVA all’importazione quando lo stesso non è preordinato ad una frode-p.39 sent.Equoland: "...siffatto versamento tardivo non può essere equiparato, di per sé, a una frode, la quale presuppone, da un lato, che l’operazione controversa, nonostante il rispetto delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la recepisce, abbia il risultato di procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sia contraria all’obiettivo perseguito da queste disposizioni e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione controversa è il conseguimento di un vantaggio fiscale (v., in tal senso, sentenze Halifax e a., CO255/02, EU:C:2006:121, punti 74 e 75, nonché EMS-Bulgaria Transport, EU:C:2012:458, punto 74)."-.

9.9 In conclusione, la sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, come modificata dalla direttiva 2006/18, deve essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo.

9.10 La Corte europea, pertanto, non ha ritenuto che la differenza fra IVA all’importazione e IVA interna può impedire l’assolvimento della prima per effetto dell’autofatturazione in sede di estrazione, inscrivendosi la posizione espressa nella sentenza Equoland nell’ordine di idee, già espresso dalla giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia, 25 febbraio 1988, C-299/86, Drexl), secondo il quale l'IVA all'importazione, richiesta dallo Stato italiano ha natura di tributo interno. Indirizzo, quest’ultimo confermato di recente da Cass.n. 19749/2014. Del resto, tale prospettiva si coniuga con uno degli indirizzi espressi dalla giurisprudenza penale di questa Corte, secondo il quale l'IVA all'importazione ha natura di tributo interno, con conseguente inapplicabilità della violazione contenuta nel D.P.R. n. 43 del 1973, art. 292, operando il rinvio, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, alle leggi doganali, solo quoad poenam (Cass.pen., Sez. 3, n. 34256 del 12/07/2012, Pierino).

9.11 Peraltro, la sentenza Equoland è partita dall’idea che la violazione del sistema di versamento dell’IVA realizzata dall’importatore per effetto della immissione solo virtuale della merce integra una violazione formale-p.29- che non può rimettere in discussione il diritto a detrazione del soggetto passivo-p.39 sent.cit.-. Secondo la Corte, sebbene sia certamente legittimo per uno Stato membro, al fine di garantire l’esatta riscossione dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione e di evitare l’evasione, prevedere nella propria normativa nazionale sanzioni appropriate, volte a penalizzare il mancato rispetto dell’obbligo di introdurre fisicamente una merce importata nel deposito fiscale, siffatte sanzioni non devono tuttavia eccedere quanto necessario per conseguire tali obiettivi. La Corte ha ritenuto che nel caso posto al suo vaglio la merce importata non era stata fisicamente introdotta nel deposito fiscale e che l’IVA era dovuta al momento dell’importazione sicché il pagamento mediante il meccanismo dell’inversione contabile costituiva un adempimento tardivo di tale imposta sul valore aggiunto.

9.12 Tale versamento tardivo, però, in mancanza di un tentativo di frode o di danno al bilancio dello Stato, è tale da integrare solo una violazione formale che non poteva rimettere in discussione il diritto a detrazione del soggetto passivo. Di conseguenza, in considerazione del ruolo preponderante che il diritto a detrazione occupa nel sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, diretto a garantire la perfetta neutralità fiscale di tale imposta rispetto a tutte le attività economiche, poiché tale neutralità presuppone la facoltà per il soggetto passivo di detrarre l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche, una sanzione consistente in un diniego del diritto a detrazione non è conforme alla sesta direttiva nel caso in cui non fossero accertati nessuna frode o danno per il bilancio dello Stato.

9.13 La stessa Corte ha poi precisato che rispetto alla parte della sanzione consistente in una maggiorazione dell’imposta secondo una percentuale forfettaria(nel caso di specie il 30 per cento del tributo secondo quanto stabilito dall’art.13 d.lgs.n.471/1997-, una siffatta modalità di determinazione dell’importo della sanzione - senza che sussista una possibilità di gradazione del medesimo - può eccedere quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA ed evitare l’evasione (v., in tal senso, sentenza Rèdlihs, EU:C:2012:497, punti 45 e da 50 a 52)."-v.p.44-,

9.14 Si è poi aggiunto che nel caso esaminato "...in considerazione dell’entità della percentuale fissata per la maggiorazione prevista dalla normativa nazionale e dell’impossibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni caso di specie, non è escluso che tale modalità di determinazione dell’importo della sanzione, e dunque la parte corrispondente della medesima, possa rivelarsi sproporzionata"-v.p. 45 -.

9.15 In definitiva, secondo la Corte spetta unicamente al giudice del rinvio- " ...la valutazione finale del carattere proporzionato della sanzione" sent.Equoland-,

9.16 Ai fini del test di proporzionalità la Corte ha chiarito che la determinazione in misura fissa della sanzione potrebbe non rispettare il principio anzidetto, avuto riguardo alla natura "formale" della violazione- e alla possibilità che il solo pagamento degli interessi moratori potrebbe costituire sanzione adeguata almeno per i casi in cui in cui non era finalizzato all’evasione- p.46 sent.Equoland: "... il versamento di interessi moratori può costituire una sanzione adeguata in caso di violazione di un obbligo formale, purché non ecceda quanto necessario al conseguimento degli obiettivi perseguiti, consistenti nel garantire l’esatta riscossione dell’IVA e nell’evitare l’evasione..." e sempre che l’importo degli interessi moratori non corrisponda all’importo del tributo detraibile.

La posizione espressa la Circolare n.16/D dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli del 20 ottobre 2014 dopo la sentenza Equoland.

10. L’Agenzia delle dogane, all’esito di un incontro con l’Avvocatura Generale dello Stato, nel diramare le istruzioni per uniformarsi alla sentenza Equoland rispetto al contenzioso pendente che presentava caratteri sovrapponibili a quello deciso nella causa anzidetta -p.3.1-, ha adottato la Circolare n.16/D del 20 ottobre 2014 ed invitato i singoli uffici ad operare in sede di autotutela al fine annullare, laddove non ricorra l’ipotesi di frode, gli atti di revisione relativi alla pretesa dell'IVA all’importazione gravante sui beni non introdotti fiscalmente nel deposito IVA ma ivi contabilmente registrati a cura del depositario per i quali l’IVA è stata assolta col meccanismo dell’autofatturazione. La stessa Agenzia ha disposto di abbandonare i giudizi che presentano identici elementi in fatto e in diritto rispetto a quelli del caso Equoland.

10.1 Sulla stessa linea si è posta la Circolare 15/E del 25.3.2015 adottata dall’Agenzia delle Entrate.

Per quanto riguarda la sanzione l’Agenzia delle dogane, ritenendo applicabile l’art.13 d.lgs.n.471/1997, ha affermato che spetta all’amministrazione valutare le modalità di svolgimento dell’operazione e il comportamento delle parti contribuenti anche al fine di applicare le riduzioni contemplate in caso di tempestiva regolarizzazione- un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo se la regolarizzazione avviene entro il 15° giorno- anche se l’estrazione dei beni è avvenuta nel medesimo giorno di presentazione in dogana della dichiarazione di immissione in libera pratica di merci destinata ad essere introdotti in deposito fiscale ai fini IVA.

Applicazione dei principi esposti al caso di specie.

11. E’ poi opportuno evidenziare che, ad onta di quanto prospettato dalla difesa dell’Agenzia delle dogane, non si ravvisa alcuna significativa diversità del caso esaminato nella sentenza Equoland.

11.1 In definitiva, tanto i quesiti posti dal giudice a quo che la soluzione espressa dalla Corte europea nella sentenza Equoland appaiono rilevanti rispetto al caso di specie, nel quale si discuteva della rettifica relativa all’IVA all’importazione a carico dell’importatore che si era limitato ad inserire virtualmente la merce immessa in libera pratica nel deposito IVA. E in questa stessa direzione si sono del resto orientate le due Agenzie coinvolte nelle circolari sopra ricordate.

11.2 Ne consegue che i principi espressi dal giudice di Lussemburgo, in relazione alla natura delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia, aventi efficacia erga omnes rispetto a vicende omogenee rispetto a quelle esaminate in sede di rinvio pregiudiziale ex art.267 TFUE e alla rilevabilità ex officio delle questioni che involgono l’applicazione del diritto UE al fine di evitare possibili contrasti fra diritto interno e diritto sovranazionale- Cass.n.13065/2006; Cass.,20 luglio 2007 n.16130; Cass.S.U.18 dicembre 2006 n.26984-, devono essere applicati dal giudice del rinvio.

11.3 Non appare dunque utile investire nuovamente la Corte europea di un’ulteriore richiesta di rinvio pregiudiziale, pure sollecitata dall’Agenzia. Orbene, facendo applicazione dei superiori principi al caso di specie, nel quale la CTR ha ritenuto, ai fini del regime sospensivo dell’IVA all’importazione, la sufficienza dell’annotazione delle merci nel magazzino e non la materiale introduzione della merce in deposito nonché l’idoneità del sistema di assolvimento dell’IVA all’atto dell’estrazione dei beni solo virtualmente inseriti in deposito con il sistema dell’autofatturazione, appare evidente la parziale contrarietà a diritto della decisione impugnata.

11.4 Non è, anzitutto, conforme a legge la statuizione che ha escluso la necessità dell’effettivo inserimento della merce nel deposito IVA che invece risulta dallo spirito e dalle finalità del regime agevolativo introdotto dall’art.50 bis u.c., al cui interno il riferimento specifico alla consegna dei beni non può non richiedere l’effettiva consegna fisica della merce in sede di deposito, essa collegandosi ai concetti di custodia-comma 1-giacenza dei beni in deposito- comma 3- ed estrazione- comma 6-.

11.5 Gli esiti ai quali è giunta la Corte di Giustizia nella sentenza Equoland hanno, del resto, confermato la compatibilità della legislazione interna rispetto al quadro comunitario, nei termini sopra descritti.

11.6 D’altra parte, l’indirizzo, ormai ben consolidato di questa Corte sul tema della necessità di una custodia reale della merce nel deposito IVA resiste ai rilievi difensivi esposti dalla ricorrente.

11.7 Ed invero, la necessità dell’esistenza di appositi spazi destinati alla custodia dei beni si desume, anzitutto, dall’esplicito riferimento ai locali contenuto nel comma 1 dell’art. 50-bis, nonché dalla necessità ivi prevista - comma 4, lett. a)- che i beni vengano materialmente introdotti nel deposito.

Anche il comma 6, laddove descrive le operazioni di "estrazione" dei beni dal deposito IVA ai fini della loro utilizzazione presuppone ineludibilmente il materiale inserimento della merce in deposito. Solo in questo senso può essere interpretato detto comma laddove prende in considerazione gli acquisiti operati sui beni prima dell’estrazione "durante la giacenza fino al momento dell’estrazione". E’ poi il comma 5 dell’art.50 bis a prevedere che i controlli doganali si effettuino attraverso la "vigilanza dell’impianto". Senza dire che, come puntualmente rilevato in dottrina, nell’istanza di autorizzazione i soggetti legittimati a gestire il deposito devono previamente individuare i locali di cui hanno la disponibilità destinati alla custodia dei beni loro affidati (art. 2, comma 3, del D.M. n. 419/1997) e che l’art. 4, lett. h) dello stesso d.m. ha previsto la possibilità di eseguire le eventuali manipolazioni usuali necessarie ad assicurare la conservazione dei beni medesimi nei locali limitrofi a quelli ordinariamente impiegati per la custodia delle merci in regime di deposito IVA, considerando dunque indispensabili i primi. Ciò che conferma come non sia sufficiente la mera presa in carico documentale degli stessi nell’apposito registro previsto dall’art. 50-bis, comma 3-cfr. Circ.Ag.Dogane circolare 28 aprile 2006, n. 16/D-

11.8 Deve dunque ritenersi che in caso di mancato immagazzinamento della merce si realizza una vera e propria sottrazione della merce dalla quale scaturisce l’immediata insorgenza dell’obbligazione fiscale concernente l’IVA all’importazione.

11.9 In mancanza della regolare introduzione nel deposito IVA, la merce non poteva quindi che considerarsi come oggetto di un’importazione definitiva ai sensi dell’art. 67 del D.P.R. n. 633/1972 giustificando l’operato dell’Ufficio doganale in punto di rettifica della dichiarazione di immissione in libera pratica- v. art. 78 del Reg. CEE n. 2913/1992 e art. 11 D.Lgs. 8 n.374/1990-.

11.10 Rimane parimenti superabile l’argomento che la controricorrente utilizza per giustificare la propria tesi, correlato all’esistenza di discipline legislative diverse nei singoli Paesi, alcune delle quali favorevoli all’immissione solo virtuale della merce in deposito. Tale circostanza per l’un verso è in linea con il quadro comunitario che, come già evidenziato, lascia ai singoli Stati un certo margine di apprezzamento, gli stessi godendo della possibilità di individuare i luoghi dei depositi non doganali e, dunque, la disciplina in concreto applicabile, con le modalità operative sopra ricordate. Ma ciò esclude in radice la possibilità di realizzare un’armonizzazione delle legislazioni nel senso prospettato dalla controricorrente proprio perchè sul punto la legislazione comunitaria non la impone.

11.11 Nemmeno persuasivo risulta l’argomento letterale speso dalla controricorrente in ordine alla diversità terminologica tra introduzione e destinazione all’introduzione risultante dalle lett.a) e b) del comma 4 dell’art.50 bis.

11.12 Tale diversità non dimostra che sia sufficiente la mera destinazione all’introduzione, invece spiegandosi in ragione della particolare condizione della merce extra UE destinata al deposito fiscale IVA all’atto delle operazioni di immissione in libera pratica che giustifica l’esenzione temporanea dall’IVA. Ed infatti, dalla lettura della lett.b) del comma 4 ult.cit. e del comma 1 dello stesso art.50 bis risulta che la custodia nei depositi IVA riguarda soltanto i "beni nazionali e comunitari", e che i beni di importazione extracomunitaria, per essere immessi in un deposito IVA, debbono essere stati dichiarati in dogana alla importazione per la "immissione in libera pratica" in modo da acquistare previamente la posizione doganale di "beni comunitari' ai sensi degli artt.29 TFUE, 4 n.7, 79 reg. CEE n. 2913/1992 CDC e 128 Reg.CE 450/2008-cfr. Cass.n.2254/2014-.Se è questa la prospettiva corretta, appare evidente che la diversità terminologica è correlata al passaggio della merce dalla condizione di merce extra UE a quella di merce comunitaria.

11.13 Per quel che invece riguarda la questione relativa agli effetti dell’assolvimento dell’IVA interna con il sistema dell’autofatturazione all’atto dell’estrazione delle merci ad elidere sulla pretesa fiscale relativa all’IVA all’importazione azionata dall’Agenzia delle dogane, la sentenza impugnata deve essere rivista in relazione ai principi espressi dalla sentenza Equoland. Pertanto il giudice del rinvio dovrà verificare, al fine di eventualmente escludere la debenza del tributo richiesto, il rispetto dei principi sul punto espressi dalla Corte di Giustizia più sopra richiamati nella sentenza Equoland e ricordati ai punti 9.9 e 9.10.

12. Per quel che riguarda la sanzione applicata alla parte contribuente e i motivi di censura nn.3 e 4, gli stessi sono fondati nei termini di seguito esposti.

12.1 Reputa il Collegio che la sanzione applicabile all’importatore che si avvale del sistema di sospensione del versamento dell’Imposta sul valore aggiunto all’importazione senza immettere materialmente nel deposito IVA la merce extra UE va individuata nel paradigma normativo di cui all’art.13 d.lgs.n.472/1997, a nulla rilevando il contenuto precettivo dell’art.70 d.PR n.633/1972. Proprio in relazione alla giurisprudenza della Corte di Giustizia e di questa Corte deve infatti ritenersi che l’IVA all’importazione costituisca un tributo interno.

12.2 E’ sufficiente, sul punto, evidenziare che proprio la sentenza Equoland ha. ritenuto che l'IVA all'importazione, richiesta dallo Stato italiano, ha natura di tributo interno. Indirizzo, quest’ultimo confermato di recente da Cass.n. 19749/2014. Pertanto legittimamente l’Amministrazione ha fatto riferimento, rispetto alla sanzione applicata, all’art.13 d.lgs.n.471/1997.

12.3 Ed invero, detta disposizione, inserita all’intero della legge organica di settore concernente le sanzioni amministrative in materia tributaria-art. 1 - è applicabile, salvo diversa espressa previsione, ai procedimenti di irrogazione di tutte le sanzioni tributarie non penali-art.26 comma 3 d.lgs.ult.cit.

12.4 Va ancora aggiunto che l’art.70 dPR n.633/72 rinvia alla disciplina sanzionatoria in tema di leggi doganali.

12.5 Orbene, non rinvenendosi all’intero del testo unico leggi doganali di cui al dPR n. 43/1973 o del Reg.CEE n.2913/1992 -cod.doganale comunitario- una disposizione sanzionatoria speciale per le condotte di omesso o ritardato versamento dell’IVA all’importazione, appare corretta la sussunzione della condotta contestata alla parte contribuente nello stigma del ricordato art. 13, in questa direzione orientando per un verso - come detto - il riconoscimento dell’IVA all’importazione quale tributo interno e, per altro verso, la portata generale della sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 e la sua applicabilità all’omesso o ritardato versamento di qualunque tributo - Cass. n.17436/2010-.

12.6 Errata, pertanto, risulta la decisione impugnata laddove ha escluso l’applicazione dell’art.13 d.lgs.n.471/1997 senza considerare che tale sanzione consegue tanto all’ipotesi del mancato pagamento dell’IVA all’importazione che a quella di ritardato pagamento della stessa- ove dovesse risultare che il sistema dell’autofatturazione con il quale è stata assolta l’IVA interna era conforme a quanto previsto dalla sentenza Equoland al fine di escludere l’esistenza della relativa pretesa fiscale da parte dell’Agenzia delle dogane.

12.7 Resta ancora da evidenziare che, come già ricordato, la sentenza Equoland ha espresso rilevanti principi in tema di proporzionalità della sanzione di cui all’art.13 d.lgs.n.471/1997 in relazione alla condotta di mancato versamento dell’IVA all’importazione per effetto dell’immissione virtuale dei beni in deposito IVA.

12.8 Orbene, anche tali principi dovranno essere applicati dal giudice del rinvio. La CTR, in particolare, dovrà valutare in sede di rinvio la proporzionalità della sanzione applicata in relazione alla contestazione esposta dall’Ufficio, considerando la rilevanza del pagamento effettuato all’atto di estrazione della merce con le forme della autofatturazione disciplina dal comma 6 dell’art.50 bis d.l.n.331/1993 e tenendo conto del tempo intercorso fra omesso versamento dell’IVA all’importazione ed eventuale assolvimento dell’IVA interna — con annotazione nei relativi registri- all’atto dell’estrazione della merce -v. pp.39 e 42 sent.Equoland-. Ciò anche al fine di vagliare l’applicazione alla fattispecie delle misure sanzionatone ridotte previste dal medesimo art. 13 cit. in caso di ritardo nel versamento e della loro proporzionalità in relazione ai criteri indicati dalla Corte di Giustizia ai punti n.42/44 della sentenza Equoland.

Sulla base delle superiori conclusioni, il ricorso va accolto nei termini di cui in motivazione e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia, la quale si atterrà ai principi di diritto sopra esposti, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR della Lombardia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.