Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 maggio 2015, n. 11235

Imposte sui redditi - Reddito d’impresa - Remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche - Competenza - Amministratori investiti di particolari incarichi - Attività aggiuntiva rispetto all'amministrazione in senso stretto - Consiglio di amministrazione - Competenza - Esclusione - Indeducibilità del costo

 

Ritenuto in fatto

 

1. In data 16.12.2004 veniva notificato alla società S. SRL ( succeduta alla società S. SPA), l'avviso di accertamento n. R28030300855/2004, per maggiori imposte IVA, IRPEG ed IRAP e sanzioni, relative all'anno di imposta 1999, redatto sulla scorta di p.v.c. emesso a seguito di verifica fiscale. Con tale atto impositivo venivano recuperati a tassazione gli emolumenti assegnati dal Consiglio di Amministrazione a due suoi consiglieri e dedotti dal reddito di impresa, per difetto d'investitura di particolari cariche ai sensi dell'art. 2389, comma 2, cc, ed i costi relativi a servizi amministrativi, esposti in una fattura con cui la società capogruppo C. SPA aveva addebitato una quota delle spese amministrative per l'esercizio 1999, a causa della loro non inerenza.

2. L'impugnazione proposta dalla società veniva accolta dalla Commissione Tributaria Provinciale di Torino con la sentenza n. 85/23/06.

L'appello proposto dall'Agenzia delle entrate avverso tale decisione veniva respinto dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte con la sentenza n. 17/24/08 depositata il 20/05/08.

3. Secondo il giudice di appello, ferma l'onerosità del mandato ricevuto dagli amministratori, l'art. 2389 c.c. opera una distinzione tra il compenso strettamente inerente l'appartenza al C. di A. o al Comitato esecutivo ed il compenso inerente particolari cariche: nel primo caso, disciplinato dal primo comma, il compenso è determinato dall'assemblea, nel secondo caso, disciplinato dal secondo comma, è determinato dal C. di A., sentito il Collegio sindacale. Ciò premesso, ha escluso che, contrariamente a quanto sostenuto dall'Amministrazione finanziaria, le particolari cariche, per le quali il C. di A. poteva determinare il compenso, fossero da identificare in quelle di Presidente o Amministratore delegato, dovendo rientrare tale potere nella competenza dell'assemblea. Ha quindi concluso che le "particolari cariche" rappresentavano una attività aggiuntiva rispetto all'amministrazione in senso stretto e che la previsione di un compenso aggiuntivo trovava giustificazione nel maggior carico di lavoro e nelle maggiori responsabilità insite nelle cariche particolari; a sostegno ha argomentato che tali cariche potevano involgere competenze tecniche che avrebbero potuto non essere adeguatamente valutate dall'assemblea.

In merito alla spese di amministrazione fatturate dalla società capogruppo, ne ha riconosciuto l'inerenza, pur dando atto della laconicità della fattura, sulla considerazione che la società poteva anche esternalizzare i servizi amministrativi e che, nel caso, era stato fornito ai verbalizzanti un dettaglio con la indicazione delle singole voci di costo e la percentuale di ribaltamento, che consentiva di verificarne la coerenza con la natura della prestazione e l'importo fatturato.

4. L'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. L'intimata non ha svolto difese.

 

Considerato in diritto

 

1.1. Le questioni affrontate con i motivi di ricorso riguardano due temi: 1) la deducibilità delle spese per emolumenti assegnati dal C. di A. a due suoi consiglieri; 2) l'inerenza delle spese per attività amministrative fatturate dalla capogruppo alla società verificata.

1.2. I primi due motivi affrontano il primo tema, gli ulteriori motivi il secondo.

2.1. Primo motivo - omessa motivazione sul fatto decisivo e controverso costituito dalla ragioni concrete per cui i compiti attribuiti dal C. di A. ad alcuni suoi componenti, in relazione ai quali erano stati corrisposti degli emolumenti poi dedotti dalla società, fossero da qualificare come cariche ai sensi dell'art. 2389, comma 2, c.c., all'epoca vigente, giacché la CTR si era limitata ad argomentare in modo generale ed astratto (art. 360, comma 1 n. 5, cpc).

2.2. Secondo motivo - Violazione per falsa applicazione dell'art. 2389 cc in combinato disposto con l'art. 2487, comma 2, c.c. e con l'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale (art. 360, comma 1 n. 3, cpc), corredato dal seguente quesito "Premesso che l'Agenzia aveva domandato la riforma della sentenza della CTP sostenendo che in base ad una corretta interpretazione dell'art. 2389 c.c., si dovessero considerare remunerabili con decisione del consiglio di amministrazione soltanto le particolari cariche previste nell'atto costitutivo della società e non qualsiasi attribuzione di compiti, aggiuntivi rispetto all'attività amministrativa in senso stretto, non correlata all'investitura di cariche conformemente all'atto costitutivo, con la conseguenza che la corresponsione di compensi sulla base di atto invalido non avrebbe mai potuto essere dedotta dal reddito della società, dica codesta Suprema Corte se alla presente fattispecie si applichi o no la norma giuridica, ricavata dall'art. 2389 cc in combinato disposto con l'art. 2487, comma 2, cc e con l'art. 12 delle disp. legge in generale, secondo cui "il consiglio di amministrazione stabilisce, sentito il parere del collegio sindacale, la rimunerazione degli amministratori che siano investiti di particolare cariche conformi alle previsioni dell'atto costitutivo", anziché la diversa e inesistente norma concretamente applicata dalla CTR, per la quale il consiglio di amministrazione stabilisce, sentito il parere del collegio sindacale, la rimunerazione degli amministratori che siano investiti di particolari incarichi che rappresentino un'attività aggiuntiva rispetto all'amministrazione in senso stretto".

2.3. I motivi sono strettamente connessi, sono fondati e vanno accolti. Sul piano logico/giuridico è opportuno iniziare con la trattazione del secondo.

2.4. Dopo una doverosa premessa sul fatto che il caso in esame ricade sotto la vigenza delle disposizioni codicistiche anteriori alla novella introdotta con il DLGS n. 6/2003, e che gli articoli di seguito richiamati sono quelli vigenti ratione temporis, va rimarcato che il tema proposto va affrontato previo inquadramento nel sistema normativo di riferimento.

2.5. Innanzi tutto è necessario ricordare che ai sensi dell'art. 2383 c.c. la nomina e revoca degli amministratori spetta all'assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori, che sono nominati nell'atto costitutivo, e salvo il disposto degli articoli 2458 c.c. e 2459 c.c. (non pertinenti alla fattispecie de quo), e che tale potere può subire una limitazione temporanea - disciplinata dall'art. 2386 c.c. - solo nel caso in cui nell'esercizio vengano a mancare uno o più amministratori: in tale ipotesi gli altri amministratori provvedono a sostituirli con deliberazione approvata dal collegio sindacale, tuttavia gli amministratori così nominati restano in carica solo fino alla successiva assemblea.

Per quanto attiene alle esercizio dei compiti amministrativi, in presenza di un organo amministrativo costituito nella forma del Consiglio di Amministrazione l'art. 2381 c.c. prevede che questo, se l'atto costitutivo o l'assemblea lo consentono, può delegare le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto di alcuni dei suoi membri, o ad uno o più dei suoi membri: tale potere di delega è tuttavia circoscritto, sia perché deve essere esercitato definendo i limiti della delega, sia perché è prevista la espressa indelegabilità di alcune attribuzioni (segnatamente quelle indicate negli articoli 2423, 2443, 2446 e 2447 c.c.).

Al consiglio di amministrazione, inoltre può competere anche la scelta tra i suoi membri del Presidente, se non abbia già provveduto l'assemblea a nominarlo (art. 2380, comma 4, c.c.).

2.6. Orbene da questo quadro normativo emerge con evidenza la netta separazione del potere di scelta del modello amministrativo e di nomina degli amministratori, che spetta all'assemblea, rispetto all'esercizio delle attività amministrative, separazione che trova in alcuni casi dei temperamenti dovuti alla esigenza di assicurare la più efficacie e tempestiva funzionalità dell'organo amministrativo.

L'art. 2389 c.c., che riguarda esclusivamente la competenza a determinare i compensi degli, amministratori, va letta ed interpretata nel rispetto di questo sistema: il primo comma prevede "1. I compensi e le partecipazioni agli utili spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti nell'atto costitutivo o dall'assemblea" ed il secondo "2. La rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dell'atto costitutivo è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale".

In particolare è chiaro che l'esercizio del potere stabilito al secondo comma non può esorbitare da quelle che sono le competenze proprie del C. di A., e ciò va ribadito innanzi tutto con riferimento al fatto che il legislatore lo riconnette all'investitura di "particolari cariche" in conformità con l'atto costitutivo.

Invero la norma disciplina il potere di remunerare coloro che rivestono "particolari cariche" e non già il potere di prevedere ed individuare le "particolari cariche", che è invece riservato all'atto costituivo e che deve comunque inerire a compiti di amministrazione: quanto alla concreta investitura dell'amministratore di "particolari cariche", la stessa in ragione della disciplina prima ricordata, compete innanzi tutto all'assemblea (o all'atto costitutivo per i primi amministratori ) e può competere anche al C. di A., ma nell'ambito delle previsioni dell'atto costituivo e nell'esercizio del potere di delega disciplinato in via generale dall'art. 2381 cc e di nomina previsto dall'art. 2380, comma 4, cc. Una volta che siano state conferite particolari cariche, nel rispetto del sistema prima ricordato, il C. di A. è quindi dominus nella determinazione della remunerazione, che dovrà comunque essere sottoposta all'approvazione dell'assemblea, almeno in sede di presentazione del bilancio.

2.7. Affermati tali principi, consegue con immediata evidenza l'errore in cui è incorsa la CTR: innanzi tutto va confutata l'affermazione secondo la quale tra le «particolari cariche in conformità dell'atto costitutivo» non si devono intendere quelle di Presidente, di Vice-presidente, di Amministratore delegato.

In proposito giova ricordare che questa Corte, sia pure in tema di quantificazione della remunerazione, anche di recente ha affermato che tra gli amministratori "investiti di particolari cariche", ai sensi dell'art. 2389 c.c., comma 2 (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 2006), rientra pacificamente l'amministratore delegato (Cass. sent. 23541/2013), anche se non può escludersi che possano essere previste statutariamente anche altre specifiche particolari cariche.

E d'altronde tutto l'ampio argomentare della CTR sul potenziale conflitto di interessi che, a suo dire, non sarebbe adeguatamente scongiurato dal parere del Collegio sindacale qualora il C. di A. potesse stabilire la remunerazione per l'Amministratore delegato, argomentare a contrario - peraltro del tutto astratto - che la Commissione utilizza per avvalorare la conclusione raggiunta per cui "le particolari cariche" invece rappresentano un'attività aggiuntiva rispetto all'amministrazione in senso stretto che, in ragione del maggior carico di lavoro e delle maggiori responsabilità, giustificherebbe il compenso aggiuntivo (fol. 5 sent.), risulta veramente lontano dalla normativa applicabile ed errato.

2.8. Pur dovendosi evidenziare che la Commissione non spiega nemmeno perché nella fattispecie così ricostruita non potrebbe ravvisarsi comunque un conflitto di interessi, quel che preme sottolineare è che questo argomentare sostanzialmente sembra confondere le "particolari cariche", che vanno ricondotte all'attività amministrativa, con gli incarichi aggiuntivi e, quindi - o almeno così sembra - diversi dall'attività amministrativa. Tale conclusione va decisamente respinta per la evidente necessità di non attribuire alla parola "cariche" anche il significato di incarichi, in particolare per l'esercizio di attività professionale e/o tecnica nell'interesse della società che non sia da comprendere fra quella dell'amministratore, e che non potrebbe certo essere disciplinato da una disposizione normativa intitolata, in modo chiaro, "compensi degli amministratori": è evidente che il riferimento normativo agli amministratori è rivolto alla carica rivestita ed alla funzione svolta, a cui direttamente vanno ricondotte anche le "particolari cariche" e non al singolo amministratore, persona fisica, che potrebbe anche essere destinatario di altri e specifici incarichi, non direttamente riconducibili all'attività amministrativa e, quindi, fuori dal campo di applicazione dell'art. 2389 cc.

2.9. La Commissione inoltre trascura di considerare se l'investitura sia stata conferita nel rispetto delle previsioni normative prima ricordate sull'esercizio del potere di delega e statutarie.

In proposito, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire,certamente è consentito alla volontà assembleare di prevedere che anche talune attività, che pure potrebbero rientrare tra quelle di gestione, configurino "cariche particolari" e, come tali, da retribuirsi autonomamente; giammai, peraltro, sarebbe giustificabile un autoconferimento da parte dello stesso amministratore, appartenendo tale potere esclusivamente all'assemblea, e non anche al Consiglio di amministrazione, che può provvede delegare sue attribuzioni ad un componente o ad un comitato esecutivo, solo se lo statuto o l'assemblea lo consentono (cfr. Cass. sent. n. 11023/2000).

2.10. L'applicazione dell'art. 2389 comma 2, c.c., che attribuisce al consiglio di amministrazione il compito di deliberare la remunerazione spettante per gli amministratori investiti di particolari cariche, presuppone dunque che le particolari cariche siano state previste nell'atto costitutivo e che siano state attribuite dall'assemblea o dall'organo amministrativo, ove ciò sia consentito dall'atto costitutivo o dall'assemblea o dalla legge e nei limiti ivi fissati, che le particolari cariche siano sempre espressione del potere gestorio, e non configurino mere attività professionali e che sia statao sentito il Collegio sindacale.

La CTR non ha fatto applicazione di tali principi ed il secondo motivo va quindi accolto.

2.11. Anche il primo motivo, complementare al secondo, merita accoglimento.

2.12. Deve invero considerarsi affetta dal denunciato vizio motivazionale la sentenza che non contenga alcuna indicazione degli elementi di prova sui quali si fonda il convincimento del giudicante. Nel caso di specie, la CTR non solo non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto prima enunciati, ma non ha chiarito affatto da quali elementi di prova sia stato tratto il convincimento che le attività in concreto svolte e remunerate siano riconducibili nell'ambito delle "particolari cariche" limitandosi ad affermare, con un argomentazione ad esdudendum, assertiva, astratta ed errata (v. prima sub.2.7.), che queste non si identificano con la carica di Presidente o Amministratore delegato e che, quindi, devono essere quelle che "rappresentino un'attività aggiuntiva rispetto all'amministrazione in senso stretto", senza esaminare la sussitenza di tutti i presupposti di legge per l'applicazione della disciplina richiamata.

3.1. Terzo motivo - Violazione di legge per disapplicazione dell'art. 21, comma 2, del DPR. n. 633/1972, in combinato disposto con l'art. 75, comma 5, del DPR n. 917/1986 (art. 360, comma 1 n. 3, cpc), corredato dal seguente quesito "Premesso che l'Agenzia appellante aveva eccepito l'indeducibilità dal reddito d'impresa di costi riportati in fattura non contenente i dati richiesti dalla legge per impossibilità conseguente di valutarne l'inerenza e premesso altresì che la CTR aveva accertato la fattura relativa al costo portato in deduzione essere priva dei dati richiesti dalla legge, dica codesta Suprema Corte se alla presente fattispecie si applichi o no la norma giuridica, ricavata dall'art. 21, comma 2, del DPR n. 633/1972, in combinato disposto con l'art. 75, comma 5, del DPR n. 917/1986, secondo cui "la spesa per prestazioni di servizi riportata in fattura che non contiene la serie di dati precisamente individuati dall'art. 21, comma 2, del DPr n. 633/1972 non è deducibile dal reddito d'impresa per difetto d'inerenza", anziché la diversa e inesistente norma concretamente applicata dalla CTR, per la quale può essere inerente al reddito d'impresa anche quel costo la cui fattura non contiene la serie di dati precisamente individuati dall'art. 21, del DPR n. 633/1972".

3.2. - Quarto motivo - Contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dall'inerenza del costo per servizi amministrativi fatturato a carico della società dalla sua controllante, giacché la CTR, dopo avere riconosciuto la laconicità della fattura riportante il relativo costo, aveva motivato circa la sussistenza del requisito dell'inerenza affermando che una società di capitali poteva anche esterna lizza re i servizi amministrativi "ove ritenga più conveniente tale soluzione... Pertanto non sembra potersi disconoscere l'inerenza del costo", con motivazione fondata in modo illogico e contradditorio sulla assenza di antieconomicità della spesa (art. 360, comma 1 n. 5, cpc).

3.3. - Quinto motivo - Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla idoneità probatoria del documento che avrebbe dettagliato le spese di amministrazione fatturate dalla società capogruppo, contestata dall'Ufficio sia in merito alla sua formazione e provenienza, sia in merito al suo contenuto, e che la CTR, senza spiegare in maniera congrua il ragionamento logico giuridico che aveva sorretto il suo giudizio finale, aveva ritenuto idoneo a provare l'inerenza della spesa, perché conteneva la indicazione della singola voce di costo e la percentuale del ribaltamento, consentendo di verificare la coerenza con la natura delle prestazioni e dell'importo fatturato.

3.4. I motivi terzo, quarto e quinto possono essere trattati insieme per connessione; sono fondati e vanno accolti.

3.5. In tema di accertamento delle imposte sui redditi, come già affermato da questa Corte, l'onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d'impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina di cui al DPR n. 597/73, che del DPR n. 917/86, incombe al contribuente. Quest'ultimo è, peraltro, tenuto altresì a dimostrare la coerenza economica dei costi sostenuti nell'attività d'impresa, ove - come nel caso di specie - sia contestata dall'Amministrazione finanziaria anche la congruità dei dati relativi a costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, in difetto di tale prova essendo legittima la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all'oggetto dell'impresa (cfr. Cass. 4454/10; 26480/10; 7701/13, 6972/2015).

3.6. Orbene, nel caso di specie, l'atto impositivo si fonda sulla considerazione, peraltro indicata puntualmente anche dalla stessa sentenza di appello (fol. 6) che la fattura n. 1409 del 09.03.200 per "addebito costi servizi per area amministrativa anno 1999" emessa dalla capogruppo C. era priva della puntuale indicazione dei servizi fatturati e che ciò non consentiva il riconoscimento dei costi che non erano stati correttamente giustificati e che la specifica delle voci di spesa prodotta dalla ricorrente, nel corso della verifica, era costituita da un foglietto di carta a quadretti manoscritto, privo di data certa e non riconducibile a scrittura contabile.

3.7. Premesso che in tema di imposte sui redditi, l'irregolarità della fattura, non redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo, per cui l'Amministrazione finanziaria - come nel caso di specie - può contestare l'effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi nella stessa indicati, (cfr. Cass. sent. n. 21446/2014, n. 5784/2010), la Commissione ha ritenti di superare la evidente insufficienza della fattura, definita "laconica", sulla scorta di una considerazione non pertinente, relativa alla indubbia possibilità per una società di esternalizzare i servizi amministrativi, poiché non era questo l'oggetto della contestazione, e sull'attendibilità e rilevanza probatoria riconosciuta al foglietto illustrativo, fornito dalla contribuente ai verbalizzanti.

3.8. Nonostante le specifiche censure mosse sulla formazione della fattura e sulla prova dei requisiti di inerenza, la CTR si è limitata ad affermare che la circostanza che il foglietto fosse stato consegnato al momento della verifica faceva escludere che fosse stato predisposto artificiosamente in epoca successiva alla stessa, circostanza alla quale non consegue automaticamente la veridicità dei dati in esso riportati e che evidenzia la contraddittorietà della motivazione, e che il dettaglio delle voci di costo e della percentuale di ribaltamento consentiva di verificare la coerenza con la natura della prestazione e dell'importo, affermazione questa meramente assertiva, privo di specifica illustrazione delle ragioni di fatto della ritenuta inerenza della spesa per la società verificata e priva di sufficienza motivazionale.

3.9. I motivi terzo, quarto e quinto vanno pertanto accolti.

4.1. Conclusivamente il ricorso va accolto su tutti i motivi e la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte in altra composizione per il riesame alla luce dei principi espressi, per la adeguata disamina e motivazione sulle circostanze di fatto indicate dalle parti e per la statuizione anche sulle spese di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso su tutti i motivi;

cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla CTR del Piemonte per il riesame e per la statuizione anche sulle spese di legittimità;