Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 luglio 2015, n. 15390

Lavoro - Ferrovie - Trattamento economico - Passaggio dalle Ferrovie dello Stato al Comune

 

Svolgimento del processo

 

C.A. proponeva appello avverso le sentenze non definitiva n. 9/2009 e definitiva n. 727/2009 del Tribunale di Teramo, che, in via non definitiva, in parziale accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal Comune di Silvi, aveva individuato un diverso criterio di computo delle concessioni di viaggi, da inserirsi nel trattamento economico in suo godimento all’atto del passaggio dalle Ferrovie dello Stato al Comune e, in via definitiva aveva condannato il Comune a corrispondere la somma di euro 1.046,79, a titolo di differenze retributive derivanti dal controvalore economico delle concessioni di viaggio per il periodo 30-6-1998/31-1-2006.

L’appellante insisteva sull’eccezione di giudicato esterno, atteso che il decreto ingiuntivo era stato da lui chiesto a seguito di sentenza del medesimo Tribunale, ormai passata in giudicato, che aveva ritenuto non solo che le predette concessioni facessero parte del trattamento economico del ferroviere, ma aveva altresì riconosciuto che il controvalore delle stesse era quello stabilito dalle Ferrovie dello Stato con il prontuario dei prezzi. Contestava, comunque, il criterio di valutazione adottato dal Tribunale ed impugnava altresì la sentenza definitiva che, a seguito di c.t.u., aveva determinato la somma dovuta sulla base dell’erronea determinazione del criterio di calcolo.

Il Comune di Silvi si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza depositata il 21-6-2010, in accoglimento dell’appello e in riforma delle sentenze impugnate, rigettava l’opposizione al decreto ingiuntivo e condannava il Comune al pagamento delle spese.

In sintesi la Corte territoriale rilevava che la decisione passata in giudicato si esauriva nel riconoscimento del diritto, ma non investiva il meccanismo di calcolo del controvalore, che, peraltro, non era neanche oggetto della domanda, che faceva espressa riserva di quantificare il compenso in un separato giudizio".

Tanto premesso, la Corte di merito, atteso che le concessioni di viaggio, come affermato con la sentenza passata in giudicato, costituiscono retribuzione in natura, rilevava che il controvalore, doveva essere calcolato, indipendentemente dalla loro effettiva utilizzazione, in base al valore reale, e non a quello convenzionale (come quello ai fini del prelievo fiscale), e quindi in ragione del valore della carta di libera circolazione per l’intera rete ferroviaria, pari al prezzo della stessa, correttamente considerato nei calcoli posti a base del decreto ingiuntivo.

Per la cassazione di tale sentenza il Comune di Silvi ha proposto ricorso con due motivi.

L’A. ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, denunciando "motivazione insufficiente e perplessa, illogicità manifesta e contrarietà con le direttive fissate dal D.P.C.M. 5-8-1988 n. 325 e contraddittorietà manifesta", premesso che "per effetto del passaggio in giudicato della sentenza n. 721/2005, le cd. Concessioni di viaggio vanno considerate nella fattispecie concreta come parte integrante del trattamento economico in godimento all’atto del trasferimento dalle Ferrovie dello Stato e che di esse deve tenersi conto nella determinazione del trattamento retributivo da parte dell’Ente di destinazione a mente dell’art. 5, comma 2 D.P.C.M. n. 325/88, sicché il Comune di Silvi è tenuto al pagamento delle differenze retributive derivanti dal computo del controvalore economico della concessione in parola (cfr. dispositivo sentenza n. 721/05)", il ricorrente in primo luogo evidenzia che, nella fattispecie, la questione, rimane circoscritta alla determinazione del quantum debeatur, che secondo la sentenza impugnata, poiché il dipendente trasferito ha diritto a conservare il vantaggio assicuratogli dal possesso della carta di libera circolazione, coinciderebbe "con il risparmio del prezzo che pagherebbe se la dovesse acquistare".

In particolare il ricorrente afferma che l’iter argomentativo della Corte d’Appello "non riesce tuttavia a scalzare il rilievo avanzato dal primo giudice" circa la differenza tra "il prezzo di vendita al pubblico" di un bene e il valore che allo stesso può essere attribuito se il produttore lo fornisca direttamente ai propri dipendenti. In sostanza il ricorrente rileva che "la traduzione in termini economici della concessione di viaggio non dà luogo ad un valore coincidente con il prezzo di vendita", come si evince anche da Cass. 21-6-2010 n. 14898, che, "sebbene neghi al dipendente che non abbia maturato il diritto a pensione la conservazione del controvalore della concessione di viaggio, offre elementi indicativi alla tesi affermata dal primo giudice".

Tanto rilevato il ricorrente ripropone integralmente gli argomenti che aveva esposto nella memoria di costituzione in appello, riproducendo la stessa nel ricorso.

Tale motivo risulta inammissibile.

Come è stato affermato da questa Corte "il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all'art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d'inammissibilità, dedotto non solo con l'indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione." (v. Cass. 26-6-2013 n. 16038, Cass. 28-2-2012 n. 3010, Cass. 8-11-2005 n. 21659, Cass. 2-8-2005 n. 16132). Del pari "la motivazione omessa o insufficiente è configurarle soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione." (v. , per tutte, Cass. S.U. 25-10-2013 n. 24148).

Peraltro, come pure è stato precisato, "in tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all'art. 366, n. 3, cod. proc. civ., la pedissequa riproduzione dell'intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso" (v. Cass. S.U 11-4-2012 n. 5698, v. anche Cass. n.ri 17168/2012, 593/2013, 10244/201, 17002/2013, 26277/2013).

Orbene il motivo in esame si limita ad esprimere il dissenso nei confronti della decisione di appello e ad aderire al ragionamento del primo giudice, semplicemente riproponendo integralmente le argomentazioni svolte con la memoria di costituzione in appello, senza in realtà censurare specificamente la sentenza di appello e senza in effetti spiegare in cosa siano consistiti i dedotti vizi di violazione di legge e di insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione.

D’altra parte la sentenza della Corte d’Appello, partendo dal giudicato (che non ha investito il meccanismo di calcolo del controvalore) ha seguito un preciso iter logico ed ha disatteso, con specifiche argomentazioni, le valutazioni del primo giudice. Tale statuizione e tali argomentazioni dei giudici del gravame, a ben vedere, neppure sono state specificamente impugnate dal ricorrente.

Con il secondo motivo, denunciando insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte di merito avrebbe determinato il credito in oggetto (controvalore della concessione di viaggio) senza offrire "spiegazione alcuna né dell’esistenza di criteri né della loro corretta applicazione".

Anche tale motivo non merita accoglimento.

Come è stato precisato da questa Corte e va qui ribadito, "nel caso in cui sia certo il diritto alla prestazione spettante al lavoratore, ma non sia possibile determinare la somma dovuta, sicché il giudice la liquida equitativamente ai sensi dell'art. 432 cod. proc. civ., l'esercizio di tale potere discrezionale non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, purché la motivazione della decisione dia adeguatamente conto del processo logico attraverso il quale si è pervenuti alla liquidazione, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo" (19-2-2013 n. 4047, Cass. 6-5-2009 n. 10401).

Tanto è certamente avvenuto nel caso in esame in quanto la Corte territoriale, premesso che la concessione di viaggio, in base al giudicato, costituisce retribuzione in natura, ha affermato che, applicando i principi elaborati in tema di prestazioni in natura, la stessa deve essere calcolata "ai fini della determinazione del suo controvalore, dal momento della sua corresponsione, indipendentemente dalla sua effettiva utilizzazione" e non può essere parametrata "al valore attribuito ai fini del prelievo fiscale, giacché ove anche si voglia far riferimento ad un criterio equitativo, esso deve avere come base il valore reale e non convenzionale del bene offerto in controprestazione al lavoratore". La Corte, inoltre, ha rilevato che la finalità della norma di cui all’art. 5 del D.P.C.M. 325/88 "può dirsi realizzata ove il dipendente, trasferito da un’Amministrazione ad un’altra, non abbia a subire nessuna modifica peggiorativa del proprio trattamento economico in godimento al momento del passaggio", per cui la monetizzazione della concessione di viaggio "deve essere effettuata con riferimento a quello che è il valore della carta di circolazione per l’intera rete ferroviaria (tale estensione avendo la concessione in parola), quale risulta annualmente dal prezzario predisposto dalle Ferrovie, in base alla considerazione che il dipendente delle Ferrovie che usufruisce della carta di libera circolazione (rectius concessione di viaggio) può effettuare viaggi per l’intero importo della carta stessa, importo che è quello stabilito dal prezzario e che pagherebbe qualunque utente che decidesse di acquistare una carta di circolazione per l’intera rete ferroviaria". "Si deve cioè tener conto del vantaggio che riceve il dipendente dalla fruizione della carta, e che è in termini di risparmio del prezzo che pagherebbe se la dovesse acquistare, e non in termini di imponibile ai fini fiscali".

Tale motivazione, riguardante una questione di fatto in applicazione del precedente giudicato sull’an, risulta senz’altro adeguata e priva di vizi logici e resiste alla censura del ricorrente.

Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannato al pagamento delle spese in favore del controricorrente.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese, liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 2.500,00 per compensi, oltre spese generali e accessori di legge.