Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 luglio 2015, n. 16079

Rapporto di lavoro - Vertenza - Riconoscimento di una qualifica professionale e relativo trattamento economico - Verbale di conciliazione

 

Ragioni di fatto e di diritto della decisione

 

Con sentenza depositata in data 26 gennaio 2009 la Corte d’appello dell’Aquila dichiarava inammissibile l’appello proposto da G.D.B. avverso la sentenza resa dal Tribunale di Pescara con la quale era stata accolta l’opposizione, proposta dalla AUSL di Pescara, avverso il precetto di pagamento intimato dall’appellante in forza di un verbale di conciliazione dichiarato esecutivo e con il quale si definiva una vertenza avente ad oggetto il riconoscimento di una qualifica professionale ed il relativo trattamento economico.

La Corte, qualificata l’opposizione come opposizione a precetto, disciplinata dall’art. 615, comma 1° c.p.c., ha ritenuto la sentenza inappellabile alla luce dell’art. 616 c.p.c. nel testo novellato dall’art. 14 del 24 febbraio 2006, n. 52, in ragione della data del suo deposito (3/11/2006).

Contro la sentenza l’appellante soccombente propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

La ASL non svolge attività difensiva.

Con il primo motivo, la parte ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione degli artt. 615, 616, 618 bis c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. Assume che l’art. 616, nel testo modificato, nella parte in cui sancisce l’inappellabilità delle sentenze pronunciate nel giudizio di opposizione all’esecuzione, concerne i giudizi svoltisi a mente dell’art. 615, comma 2, c.p.c., 618 bis, comma 2, c.p.c. dinanzi al giudice dell’esecuzione e non anche quelli decisi dal giudice del lavoro o comunque decisi dal giudice competente ai sensi degli artt. 615, comma 1°, e 618, comma 1°, c.p.c. Assume altresì che, trattandosi di opposizione a precetto in materia di lavoro, devono trovare applicazione le norme del rito del lavoro e non quindi l’art. 616 c.p.c.

Con il secondo motivo, censura la sentenza per omessa o insufficiente motivazione, nella parte in cui non ha spiegato il perché non sarebbe concepibile un diverso regime in tema di impugnabilità delle sentenze di opposizione all’esecuzione, a seconda che siano trattate dal giudice dell’esecuzione o dal giudice del lavoro.

I due motivi, che si affrontano congiuntamente in quanto coinvolgono la medesima questione, sono infondati.

Al giudizio in esame trova applicazione, ratione temporis, l’art. 616 c.p.c. nel testo sostituito a decorrere dal 1° marzo 2006 dall’art. 14 della legge 24 febbraio 2006, n. 52, e prima dell’intervento della legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha soppresso, a decorrere dal 4 luglio 2009, l’ultimo periodo della norme in esame, a tenore del quale "la causa è decisa con sentenza non impugnabile".

Questa Corte ha con orientamento ormai consolidato affermato che, nei giudizi di opposizione all'esecuzione decisi con provvedimento pubblicato a partire dal 1° marzo 2006, la sentenza - a norma dell'art. 616 c.p.c. come modificato dall'art. 14 della legge 24 febbraio 2006, n. 52 - non è impugnabile con l’appello ed è perciò soggetta al ricorso immediato per cassazione, ai sensi dell'art. 111, comma 7°, Cost. Tale principio è applicabile tanto nei giudizi di opposizione a precetto quanto in quelli di opposizione ad un'esecuzione già iniziata, con la precisazione che la disposizione transitoria dell'art. 58, comma 2°, della legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha ripristinato l'immediata appellabilità delle sentenze ex art. 616 cod. proc. civ., è applicabile esclusivamente ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della predetta legge (4 luglio 2009).

Nel caso in esame è pacifico che alla data del 4 luglio 2009 era già pendente il giudizio di appello, erroneamente proposto, e non quello di primo grado sicché non è applicabile l’art. 58, comma 2°, cit. (in tal senso Cass., 30 aprile 2011, n. 9591; Cass., 17 agosto 2011, n.17321: Cass., 23 ottobre 2012, n. 18161).

Anche il secondo aspetto dei motivi in esame è infondato. Questa Corte si è già pronunciata sull’argomento in analogo procedimento, osservando che, a parte l’operatività o meno dell'art. 618 bis cod. proc. civ., per l'ipotesi di esecuzione intrapresa in forza di verbale di conciliazione, esclusa dalla dottrina, detta norma nel prevedere che per le materie trattate nei capi 1° e 2° del titolo 4° del libro secondo cod. proc. civ. le opposizioni all'esecuzione e agli atti esecutivi sono disciplinate dalle disposizioni previste per le controversie individuali di lavoro in quanto applicabili, si riferisce soltanto al rito da applicare e non anche alle impugnazioni dei provvedimenti emessi a conclusione dei giudizi di opposizione. E per le sentenze rese nei giudizi di opposizione all'esecuzione, l'art. 616 cod. proc. civ., nel testo come sostituito dalla L. 14 febbraio 2006, n. 52, art. 14, modifica che ha effetto dal 1 marzo 2006, prevede che esse non sono impugnabili (Cass., ord., 21 luglio 2010, n. 17199).

Il Collegio condivide queste argomentazioni e si deve perciò concludere per il rigetto del ricorso sulla base del principio per il quale la causa di opposizione all’esecuzione conclusa con sentenza pubblicata nel periodo compreso tra il 1 marzo 2006 ed il 4 luglio 2009 e la causa di opposizione agli atti esecutivi sono decise con sentenze non appellabili anche se relative alle materie trattate nei capi 1° e 2° del titolo 4° del libro secondo del codice di rito, quindi anche se il relativo procedimento è stato disciplinato dalle norme previste per le controversie individuali di lavoro (Cass., 18 agosto 2011, n. 17349). Nessun provvedimento sulle spese deve essere adottato in ragione del mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.