Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 luglio 2015, n. 14963

Inail - Infortunio sul lavoro - Indennizzo ex art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 - Danno biologico - Riconoscimento

Svolgimento del processo

1- La sentenza attualmente impugnata: 1) respinge l’appello proposto da D.L.V. avverso la sentenza del Tribunale di Palermo n. 2224 del 2006, di rigetto della domanda del L.V. volta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla corresponsione, da parte dell’INAlL, dell’indennizzo di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, per il danno biologico patito in conseguenza dell’infortunio sul lavoro occorsogli il 12 ottobre 2001; 2) in conseguenza della manifesta infondatezza e della temerarietà del ricorso in appello, condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo anteriore all’entrata in vigore dell’art. 42, comma 11, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, applicabile nella specie ratione temporis.

La Corte d’appello di Palermo, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il CTU nominato in appello ha concluso che dall’infortunio di cui si tratta non è residuata una riduzione dell’integrità psico-fisica che raggiunge il minimo indennizzabile, né la documentazione evidenzia alcun valido elemento medico-legale idoneo a consentire la valutazione dell’asserita ricaduta denunciata dal ricorrente;

b) tale giudizio medico-legale deve ritenersi qui integralmente richiamato è va pienamente condiviso perché è fondato su una corretta metodologia scientifica ed è immune da vizi logici;

c) la sostanziale conferma da parte del CTU dell’inesistenza di postumi indennizzabili quale già emersa dalla CTU di primo grado e dagli accertamenti eseguiti dall’INAIL in sede amministrativa, unitamente con la mancata produzione, nel fascicolo di parte dell’appellante, di documentazione sanitaria da cui poter desumere la limitazione funzionale del fatto traumatico, anche ai fini della valutazione della denunciata ricaduta, integrano le condizioni di manifesta infondatezza e temerarietà del ricorso in appello, ai suddetti fini.

2. - Il ricorso di D.L.V. domanda la cassazione della sentenza per un unico motivo; resiste, con controricorso, l’INAIL, che deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

 

Motivi della decisione

 

1 - Sintesi dei ricorso

1. — Con l’unico motivo di ricorso si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente motivazione circa l’asserita non riconducibilità dei postumi lamentati dal lavoratore all’infortunio patito sul lavoro.

Si sostiene che la Corte d’appello non avrebbe espresso in modo chiaro ed esaustivo le ragioni per le quali ha ritenuto di respingere la domanda di riconoscimento dell’indennizzo da parte dell’INAIL, in quanto si è limitata a fare proprie le conclusioni espresse dai CTU nominati nei due gradi di merito del giudizio, palesemente lacunose sotto il profilo diagnostico ed eziologico, i cui vizi si sono di riflesso riverberati sulla sentenza attualmente impugnata

II — Esame delle censure

2. - Il motivo di ricorso è inammissibile per plurime, concorrenti ragioni.

3. - Secondo la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità:

a) nelle controversie in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie dell’assicurato, le conclusioni del consulente tecnico di ufficio sulle quali si fonda la sentenza impugnata possono essere contestate in sede di legittimità se le relative censure contengano la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali che, in quanto tale, costituisce un vero e proprio vizio della logica medico-legale e rientra tra i vizi deducibili con il ricorso per cassazione ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, mentre in mancanza di detti elementi le censure configurano un mero dissenso diagnostico e, quindi sono inammissibili in sede di legittimità (Cass. 21 gennaio 1998 n. 530, Cass. 26 gennaio 1998 n. 751, Cass. 11 gennaio 2000 n. 225, Cass. 1 agosto 2002 n. 11467; Cass. 4 marzo 2008, n. 5865; Cass. 3 febbraio 2012, n. 1652);

b) in particolare, la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (vedi, per tutte: Cass. 17 luglio 2014, n. 16368; Cass. 6 settembre 2007, n. 18688; Cass. 7 marzo 2006, n. 4885);

c) peraltro, non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, sicché per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 4 maggio 2009, n. 10222; Cass. 6 settembre 2007, n. 18688).

Nella specie, la formulazione delle doglianze censure non risulta, ictu oculi, conforme ai suddetti principi, sicché le censure configurano un mero dissenso diagnostico e, come tali, sono inammissibili in sede di legittimità.

4. - A ciò va aggiunto che, peraltro, la Corte palermitana è pervenuta al rigetto della domanda (per inesistenza di postumi indennizzabili) e ha pure affermato la temerarietà dell'appello del L.V. non soltanto sulla base dell’adesione alle conclusioni del CTU ma anche sul rilievo della sostanziale identità di tali conclusioni rispetto a quelle del CTU di primo grado nonché rispetto agli accertamenti eseguiti dall’INAIL in sede amministrativa, unitamente con la mancata produzione, nel fascicolo di parte dell’appellante, di documentazione sanitaria da cui poter desumere la limitazione funzionale del fatto traumatico, anche ai fini della valutazione della denunciata ricaduta.

A fronte di tale complessiva argomentazione, le attuali censure, sulla base di una incompleta lettura della sentenza impugnata, muovono dalla premessa che la ratio decidendi della sentenza stessa sia ricavabile soltanto dalla adesione alle conclusioni del CTU, mentre essa risulta molto più articolata.

In particolare, nel presente ricorso, nulla si dice sulla mancata produzione della documentazione sanitaria da parte dell’interessato.

Ne consegue che, anche da questo punto di vista, il motivo è inammissibile, in quanto è jus receptum che perché si possa configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, infatti, l’erroneo o il mancato esame di elementi probatori o di elementi che emergono dalla relazione del CTU può costituire vizio di omesso esame di un punto decisivo della controversia e determinare un vizio di motivazione della sentenza impugnata solo se i dati processuali non esaminati o male esaminati siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento del giudice è fondato, in modo che la ratio decidendi della sentenza venga a trovarsi priva di base (Cass. 28 giugno 2006, n. 14973; Cass. 24 ottobre 2013, n. 24092).

IlI - Conclusioni

5. In sintesi, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio, ai sensi dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo anteriore all’entrata in vigore dell’art. 42, comma 11, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, essendo la nuova disciplina applicabile ai soli ricorsi conseguenti a fasi di merito introdotte in epoca posteriore al 2 ottobre 2003, data di entrata in vigore dell'indicato decreto legge (vedi Cass. 30 marzo 2004, n. 6324; Cass. 12 dicembre 2005, n. 27323; Cass. 16 gennaio 2012, n. 452; Cass. 11 ottobre 2012, n. 17349).

In ragione della funzione di nomofilachia affidata dall’ordinamento a questa Corte di cassazione, si ritiene opportuno, nonostante il suddetto epilogo del presente giudizio, dare conto della istanza depositata dal difensore del ricorrente nella quale, richiamandosi il provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo in data 15 maggio 2008, è stata chiesta la liquidazione delle spese e degli onorari per l’attività difensiva svolta nel presente giudizio, quali risultanti dalla nota spese ivi contenuta.

Al riguardo va precisato, dal punto di vista della formulazione di tale domanda, che non risulta essere stata depositata la delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo, ivi citata, di ammissione del L.V. al patrocinio a spese dello Stato, con riguardo, in particolare, al presente giudizio, né sono state fomiti elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali.

Quanto al merito della domanda, si deve ricordare che, in base al consolidato e condiviso orientamento di questa Corte tale ammissione non comporta che siano a carico dello Stato le spese che l’assistito dal beneficio sia condannato a pagare all’altra parte risultata vittoriosa, perché gli onorari e le spese di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 131, sono solo quelli dovuti al difensore della parte ammessa al beneficio, che lo Stato, sostituendosi alla stessa parte - in considerazione delle sue precarie condizioni economiche e della non manifesta infondatezza delle relative pretese - si impegna ad anticipare (Cass. 19 giugno 2012, n. 10053; Cass. 10 dicembre 2012, n. 22381; Cass. 11 novembre 2013, n. 25295; Cass. 25 marzo 2013, n. 7390; Cass. 21 gennaio 2013, n. 1307).

A ciò va aggiunto, per completezza, che, comunque, in tema di patrocinio a spese dello Stato, secondo la disciplina di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la competenza sulla liquidazione degli onorari al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione spetta, ai sensi dell’art. 83 del suddetto decreto, come modificato dall’art. 3 della legge 24 febbraio 2005 n. 25 al giudice di rinvio, oppure a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a seguito dell’esito del giudizio di cassazione. Nel caso di cassazione e decisione nel merito, la competenza spetta a quello che sarebbe stato il giudice di rinvio ove non vi fosse stata decisione nel merito (Cass. 13 maggio 2009 n. 11028; Cass. 12 novembre 2010 n. 23007; Cass. 21 gennaio 2013, n. 1307; Cass. 8 maggio 2014, n. 9946).

 

P.Q.M.

 

Dichiara il ricorso inammissibile. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.