Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 luglio 2015, n. 15323

Tributi - Accertamento - Induttivo - Studi di settore - Negoziante - Saldi - Elevato costo della merce - Percentuale di ricarico bassa - Sussiste

 

Fatto

 

Il contribuente impugnò l'avviso col quale, ai fini iva, irap ed irpef per l'anno d'imposta 2003, l’Agenzia delle entrate, rapportandone ricavi e redditi con quelli di alcune aziende operanti nel medesimo settore, aveva accertato un maggior reddito ed un maggior volume d'affari imponibili, facendo leva, in particolare, sulla notevole consistenza di beni destinati alla rivendita. Con l’impugnazione, rappresentò che le valutazioni dell’ufficio non avevano tenuto conto del fatto che l’indice di rotazione del magazzino e quello di ricarico erano congrui rispetto allo studio di settore applicabile.

La Commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso, ma quella regionale ha accolto l’appello dell’ufficio, puntando sulla percentuale di ricarico delle merci, molto più bassa di quella media e sulla consistente quantità di merce in magazzino, contrapposta al volume degli acquisti ed al modesto importo dei corrispettivi; a fronte di ciò, ha rimarcato il giudice d’appello, il contribuente non è riuscito a fornire adeguate spiegazioni e a dar conto, ad esempio, dell’incidenza degli sconti praticati ai clienti, considerato, tra l’altro, che, nella prospettazione di G., appena il 20% del totale dei ricavi andava imputata a vendite per saldi di fine stagione.

Avverso questa sentenza propone ricorso il contribuente per ottenerne la cassazione, che affida a cinque motivi, che illustra con memoria ex art. 378 c.p.c., cui l’Agenzia delle entrate reagisce con controricorso.

 

Diritto

 

1. - Infondato è il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, Io co., n. 4, c.p.c., col quale il contribuente si duole della violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione, là dove, pur avendo l’Agenzia, in sede di conclusioni dell’appello, richiesto la determinazione dei ricavi mediante l’applicazione al costo del venduto della percentuale più equa, il giudice d’appello ha reputato l’avviso di accertamento integralmente fondato.

In definitiva, il ricorrente finisce col sostenere che le suddette conclusioni dell’ufficio si siano tradotte in una parziale, implicita rinuncia alla pretesa tributaria.

In fatto, le conclusioni dell’appello riportate in ricorso ("si chiede che codesta On.le Commissione tributaria....voglia riformare la sentenza impugnata e, nell’esercizio dei propri poteri di decisione nel merito, qualora ne ravvisi i presupposti, voglia rideterminare i ricavi applicando al costo del venduto la percentuale di ricarico ritenuta più equa") non esprimono univocamente alcuna rinuncia, limitandosi a sollecitare, sussistendone i presupposti, i poteri di valutazione del merito della controversia (sulla necessità dell’accertamento di una volontà inequivoca di rinuncia, vedi, fra molte, Cass. 10 luglio 2014, n. 15860); in diritto, si verte in materia di diritti ed obblighi indisponibili, in relazione ai quali non sono ammissibili condotte tacite, significative della volontà abdicativa dall'esercizio del potere, al quale l’amministrazione non può rinunciare se non nei limiti di esercizio di autotutela (fra varie, vedi Cass. 12 giugno 2009, n. 13695).

2. - Col secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il contribuente lamenta la violazione degli art. 39, comma 1, lett. d), ultimo periodo, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, 62-sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 31, convertito, con modificazioni, dalla l. 29 ottobre 1993, n. 427, nonché degli articoli 2727 e 2729 c.c., là dove la Commissione tributaria regionale ha reputato fondato l’accertamento analitico-induttivo, in base allo scostamento dei ricarichi dichiarati, rispetto a quelli medi estrapolati da una platea di contribuenti più ristretta rispetto a quella su cui è costituito il modello matematico-statistico, sebbene il contribuente abbia dichiarato ricavi coerenti con quelli desumibili dagli studi di settore.

2.1.-La procedura di accertamento fiscale sulla base dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all'interno della procedura di accertamento di cui all’art. 39 del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, ma l’affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili (Cass, sez.un., 26635, 26636, 26637 e 26638/09). Nulla esclude, per conseguenza, che, in sede di accertamento analitico-induttivo, l’amministrazione si possa basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente, pur tratti dagli studi di settore, senza essere tenuta a verificare tutti i dati richiesti per lo studio (Cass. 27 luglio 2011, n. 16430).

Quel che rileva è il peso da attribuire agli elementi prescelti e la loro idoneità ad assurgere al rango di presunzioni gravi, precise e concordanti.

L’apprezzamento in ordine alla gravità, precisione e concordanza degli indizi posti a fondamento dell’accertamento effettuato con metodo presuntivo, tuttavia, attiene alla valutazione dei mezzi di prova, ed è pertanto rimesso in via esclusiva al giudice di merito, salvo lo scrutinio riguardo alla congruità della relativa motivazione (tra varie, Cass. 30 ottobre 2013, n. 24437).

3. - Nel caso in esame, i vizi di motivazione oggetto del terzo e quinto motivo si risolvono in mere critiche della valutazione compiuta dal giudice d’appello, il quale, secondo il contribuente, male ha fatto a tener conto di uno scostamento rilevato rapportando i ricarichi operati a quelli di una platea di aziende più ristretta rispetto a quella considerata dal modello matematico-statistico (terzo motivo) e giudicando corretta la percentuale di ricarico applicata dall'ufficio, sebbene l’ufficio medesimo ne avesse richiesto la determinazione (<quinto motivo). Mere critiche, si diceva, tendenti a sovrapporre la propria difforme valutazione a quella contestata.

4. -Infondato, infine, è il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., col quale il contribuente si duole della violazione dell’art. 112 c.p.c., là dove il giudice d’appello ha fatto leva su incongruenze dedotte dall’ufficio per la prima volta in sede.

Irrilevante è difatti la circostanza dedotta, in quanto il giudice d’appello ha fondato la propria valutazione su elementi (percentuale di ricarico, rapporto fra rimanenze ed acquisti, importo dei corrispettivi) coerenti con quelli indicati nello stralcio dell’avviso di accertamento riprodotto in ricorso, che si riferisce, appunto, al "costo del venduto...particolarmente elevato rispetto ai ricavi di esercizio con conseguente inattendibilità del ricarico medio dichiarato" al "...reddito d’impresa dichiarato inferiore alle media del gruppo omogeneo di appartenenza con riferimento al tipo di attività e alla fascia di ricavi..." ed alla "notevole consistenza dei beni destinati alla rivendita, che lasciano presumere il conseguimento di maggiori ricavi...".

5. - Il ricorso va in conseguenza respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il contribuente alla rifusione delle spese, che liquida in euro 8000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.