Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 luglio 2015, n. 15294

Tributi - Imposte sui redditi - Sanzioni per violazione norme tributarie - Incertezza normativa - Legittime senza istanza nel ricorso introduttivo

 

Ritenuto in fatto

 

1. La C. s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna indicata in epigrafe, con la quale, in parziale accoglimento dell’appello dell’Ufficio, è stata dichiarata la legittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della contribuente limitatamente alla ripresa a tassazione, ai fini IRPEG ed IRAP del 2001, della somma di €. 232.405,04, contabilizzata come sopravvenienza passiva, a seguito della mancata vendita di un’imbarcazione alla T. S.A., e della quale l’Ufficio aveva disconosciuto l’inerenza.

Il giudice d’appello ha ritenuto che la detta spesa "non era prevista dal contratto con la T., che prevedeva solo la restituzione dell’acconto versato, in caso di inadempimento del contratto stesso; in secondo luogo la somma risulta documentalmente incassata dalla diversa società I.C. che ha acquistato la imbarcazione 26/02, senza aver preso nessun accordo per il successivo trasferimento alla T. per cui detta successiva vendita non può essere posta in relazione diretta con la mancata vendita della imbarcazione cl. 94/02".

2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 75, comma 5, del TUIR (vecchia numerazione, ora art. 109) e formula il quesito di diritto se "possa considerarsi inerente all’attività d’impresa - e pertanto deducibile - un costo che, pur nascendo dalla lettura sistematica di una operazione contrattuale complessa, data da una cessione poi risolta transattivamente e da una successiva cessione del medesimo bene, abbia portato alla realizzazione di un ricavo per l’impresa medesima, maggiore del ricavo che sarebbe stato generato dalla esecuzione della sola prima vendita".

Con il secondo motivo, è denunciata la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., chiedendo "se sia illegittimo il pronunciamento di un giudice che non formi il proprio convincimento valutando prudentemente sia i documenti acquisiti agli atti, sia la mancata contestazione sugli stessi della parte contro la quale i detti documenti sono stati prodotti".

Con la terza censura la ricorrente si duole della insufficienza della motivazione della sentenza "con la quale il giudicante, in presenza di un costo qualificato dalle parti in maniera differente e dalla cui definizione derivino effetti fiscali diametralmente opposti di deducibilità ovvero di indeducibilità, ometta di procedere ad una precisa definizione e qualificazione del costo medesimo".

Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 1965 e 1967 cod. civ. e si conclude con il quesito "se la prova scritta di una transazione, intervenuta in seno ad una compravendita di imbarcazioni, possa ritenersi assolta sulla base di contratti, lettere, fax, letti nel loro unitario contesto".

I quattro motivi, da esaminare congiuntamente per stretta connessione, sono inammissibili.

Nessuno di essi, infatti, risponde ai requisiti prescritti, per la loro formulazione, dall'art. 366 bis cod. proc. civ., il quale, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, richiede che: a) quanto alle censure di violazione di legge, il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata, al fine, quindi, del miglior esercizio della funzione nomofilattica: con la conseguenza che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si rivela inidonea a chiarire quale sia l'errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale la regola da applicare, in relazione alla concreta fattispecie (per tutte, Cass., sez. un., n. 26020 del 2008 e n. 19444 del 2009); b) in ordine a censure di vizi motivazionali, il motivo deve contenere la chiara e sintetica indicazione del fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, o delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della stessa la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass. nn. 2652 e 8897 del 2008, 27680 del 2009 e numerosissime successive conformi).

Va aggiunto che, con le censure indicate, la ricorrente tende inammissibilmente a sollecitare a questa Corte una complessiva lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, meramente contrapponendovi una propria ricostruzione della fattispecie concreta e un proprio apprezzamento dei fatti e delle prove, difformi da quelli compiuti dal giudice stesso.

2. Con il quinto motivo è dedotta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e si chiede alla Corte "se debba ritenersi illegittima una sentenza che ometta qualsivoglia riferimento, sia nella narrativa in fatto, sia nella parte motiva, sia nel dispositivo vero e proprio, ad uno specifico. motivo di doglianza esposto da una delle parti, non statuendo, neppure per inciso e, pertanto, andando totalmente a pretermettere il motivo medesimo".

Anche questo motivo è inammissibile per violazione del citato art. 366 bis cod. proc. civ., essendo consolidato il principio in virtù del quale la formulazione del quesito, nel caso di censura di omessa pronuncia, non può essere generica, esaurendosi nella enunciazione della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, dovendo contenere la precisazione della questione sulla quale il giudice abbia omesso di pronunciare (Cass. nn. 4146 del 2011, 10758 del 2013).

3. Infine, con il sesto motivo, la ricorrente denuncia nuovamente la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., formulando il quesito se violi tale norma la sentenza che "non si pronunci sulla richiesta di non applicazione - ovvero di proporzionale riduzione - degli importi irrogati a titolo di sanzioni per obiettiva incertezza sulla portata del dettato normativo, quando la detta richiesta - sebbene non sia stata oggetto di uno specifico motivo di doglianza - sia stata espressamente formulata nelle conclusioni dell’atto".

Il motivo - che è ammissibile per le ragioni indicate nel paragrafo precedente - è infondato.

Va, infatti, condiviso e ribadito il principio secondo il quale la disapplicazione, da parte del giudice, delle sanzioni per violazioni di norme tributarie (ai sensi degli artt. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, 6, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997 e 10, comma 3, della legge n. 212 del 2000), qualora accerti che le stesse sono state commesse in presenza ed in connessione con una situazione di oggettiva incertezza nell'interpretazione normativa (da riferire non al contribuente, né all’Ufficio, bensì al giudice stesso), è possibile - anche in sede di legittimità - solo se domandata dal contribuente nei modi e nei termini processuali appropriati, cioè, secondo i principi generali in tema di processo tributario, sin dal ricorso introduttivo (Cass. nn. 25676 del 2008, 24060 del 2014).

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in €. 8.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.