Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 luglio 2015, n. 31391

Reati fiscali - Evasionefiscale - Sequestro probatorio - Corpo del reato - Invalidità della perquisizione - Irrilevanza

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il Tribunale penale di Vicenza, in funzione di giudice del Riesame, con ordinanza depositata il 26 aprile 2014, ha confermato il decreto di sequestro probatorio emesso il 6 marzo 2014 dal Pubblico Ministero del medesimo Tribunale nei confronti di D.G., indagato per il reato dì cui agli artt. 81 cpv. c.p. e 5 del D. Lgs. n. 74 del 2000, perché, nella qualità di legale rappresentante, amministratore e socio occulto dell'impresa D.T. s.r.l. con sede legale a Bratislava e sede amministrativa di fatto in Rossano Veneto, presso la sede della F.lli D. srl, al fine di evadere le imposte sul reddito, ometteva di presentare le prescritte dichiarazioni annuali, realizzando una evasione di imposta, in relazione agli anni 2006,2007, 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012. Secondo il Collegio il sequestro probatorio è stato legittimamente disposto in presenza del fumus delieti e volto a verificare la documentazione contabile ed extracontabile, in modo da determinare il luogo di effettivo svolgimento delle attività di gestione della società D. e gl' amministratori di fatto della stessa; quanto alla inutilizzabilità dell'attività di accertamento svolta dalla Guardia di Finanza successivamente al 4 settembre 2013 - eccepita dall'indagato sul presupposto che già in sede di accesso si fosse avuta contezza della notitia criminis e fossero state violate le garanzie previste dall'art. 220 disp. att. c.p.p. - il giudice del riesame ha richiamato la giurisprudenza di legittimità che ancora la legittimità del sequestro probatorio all'acquisibilità del bene, alla sua pertinenza con i reati ipotizzati ed alla insussistenza di divieti probatori.

2. Avverso tale decisione, l'indagato, per il tramite del difensore, ha proposto ricorso per cassazione, forte di due motivi di doglianza:

1) Violazione di legge ex art. 325 c.p.p., in riferimento all'art. 220 disp.att. c.p.p. e 253 c.p.p. Il Tribunale avrebbe avallato, in contrasto con la giurisprudenza, l'erronea applicazione dell'art. 220 disp. att. c.p.p., nonostante il riconoscimento del fumus delieti sin dalla data di accesso presso la società D. srl in data 4 settembre 2013. Inoltre, ripercorrendo l'attività di verifica svolta dalla Guardia di finanza il 4 settembre 2013, emerge che quanto meno la seconda parte della giornata (acquisizione di dati e notizie) è stata compiuta in violazione di tale disposizione normativa. Il decreto di sequestro è motivato su elementi di prova raccolti in violazione di legge, come tali inutilizzabili nelle fasi procedimentali successive. Inoltre non è corretta la motivazione dell'ordinanza impugnata in quanto era stato contestato non l'oggetto del sequestro, ma i presupposti legittimanti la qualificazione dei beni assoggettati a sequestro. La maggior parte della documentazione è stata rinvenuta e sequestrata nel corso della perquisizione effettuata in data 4 settembre 2013, ma non sussiste valenza dimostrativa della sua pertinenza al reato per cui si procede, se non a seguito della ricostruzione successiva, per cui tali indagini sono illegittime. Il ricorrente ha pertanto chiesto che quantomeno l'ordinanza impugnata sia annullata nella misura in cui non ha disposto l'annullamento parziale del decreto di sequestro relativamente olla documentazione acquisita dopo il 4 settembre 2013.

2) Violazione di legge ex art. 325 c.p.p., in riferimento ai criteri ed alle condizioni per l'utilizzabilità della documentazione acquisita in violazione dell'art. 52, comma 2 D.P.R. 633/72. I giudici avrebbero ritenuto corretto il richiamo per relationem agli esiti degli accertamenti effettuati dalla Guardia di finanza. In verità tali accertamenti hanno comportato un accesso domiciliare autorizzato a seguito di una nota della Guardia di finanza, il cui contenuto è rimasto sconosciuto al ricorrente, ed anche ai giudici del riesame, in quanto non ne hanno fatto menzione nell'ordinanza, in violazione del principio della giurisprudenza che afferma che la motivazione per relationem è ammessa sempre che il giudice dia conto di avere operato un vaglio critico dell'atto richiamato. Inoltre va considerato che l'accesso non avrebbe potuto essere disposto, visto che i gravi indizi di violazione fiscale non erano a carico della società italiana presso la cui sede fu effettuato, ma presso la società slovacca, mentre il Tribunale del riesame dà per scontato che l'accertamento su tale società estera avrebbe dovuto necessariamente prendere le mosse dalla società italiana.

 

Considerato in diritto

 

1. Osserva la Corte che i motivi di ricorso non sono fondati. L’art. 220 disp. att. al codice di procedura penale prescrive che quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti, emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale sono compiuti con l'osservanza delle norme del codice di procedura penale. Il principio trova ampio sviluppo interpretativo nella giurisprudenza in riferimento all'utilizzabilità quale prova del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, che è stato qualificato quale "atto amministrativo extraprocessuale", in grado di costituire "prova documentale anche nei confronti di soggetti non destinatari della verifica fiscale" ex art. 234 c.p.p., sempre che non siano emersi indizi di reato, in quanto il disposto della norma invocala impone di procedere secondo le modalità del c.p.p., in quanto "la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile" dal punto di vista probatorio (cfr., Sez. 3, n. 6881 del 18/11/2008, Ceragioli e altri, Rv. 242523, Sez. 3, n. 15372 del 10/02/2010, Fiorillo, Rv. 246599).

2. Nel caso in esame, secondo quanto indicato nell'ordinanza impugnata, la Guardia di finanza stava svolgendo la predetta attività di verifica non in veste di polizia giudiziaria ma nell'ambito dell'attività di ricerca ex art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972, che disciplina l'accesso della GDF nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali ovvero locali utilizzati da enti non commerciali al fine di effettuare ispezioni, verifiche, ricerche ed ogni altra rilevazione utile all’accertamento dell'lVA e per la repressione dell'evasione fiscale e di altre violazioni. Specificamente, aveva ottenuto l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica in quanto il controllo della documentazione della società destinataria implicava l'accesso domiciliare (art. 51 comma 1) e quindi aveva provveduto ad effettuare attività di ricerca all'esito della quale erano emersi elementi del reato per cui si indaga, pertanto la Procura della repubblica provvedeva a disporre il sequestro probatorio della documentazione acquisita in corso di accesso. Anche accedendo alla tesi adombrata nel ricorso che si sia trattato di perquisizione (ex art. 52 comma 3) e non invece di ricerca di documentazione in sede di verifica fiscale, come invece precisato dal Tribunale del riesame, l’illegittimità della perquisizione non invaliderebbe il conseguente sequestro qualora, come nel caso di specie, l'apprensione riguardi cose qualificabili quale corpo di reato (nel caso di specie documentazione costituente mezzo per commettere i reati per i quali è stata attivata l'indagine preliminare).

3. Infatti va ricordato che il potere di sequestro, in quanto riferito a cose obiettivamente sequestrabili, non è condizionato dalle modalità con le quali queste sono state reperite (seppure anche fossero non legittime, nel qual caso sussisterebbero gli eventuali riflessi disciplinari, ed anche penali, per chi le pose in essere), ma solo dall’acquisibilità del bene e dalla insussistenza di divieti probatori espliciti o univocamente enucleabili dal sistema, (tra le molte, di recente, cfr. Sez. 3, n. 41937 del 9/4/2014, Tormena).

4. In particolare, per quanto attiene al secondo motivo di ricorso, va ribadito che l'autorizzazione ex art. 52 d.p.r. n. 633 del 1972 ha natura di atto amministrativo e non equivale a valutazione sulla notitia criminis, ma sulla sussistenza dei presupposti previsti dalla legislazione tributaria della richiesta di accesso in luoghi di privata dimora del contribuente. La Corte di Cassazione, proprio in sede di giudizio legittimità in materia tributaria del D.P.R. n. 633/1972 (cfr., per tutte, Cass. civ. S.UU. 21 novembre 2002, n. 16424), ha più volte ritenuto sufficiente una motivazione sintetica ovvero costituita dal semplice richiamo alla nota dell'Amministrazione finanziaria contenente la richiesta della relativa adozione, facendo riferimento agli indizi di violazione della norma tributaria che giustificano la richiesta. Quindi la motivazione dell'ordinanza impugnata - che ha ribadito proprio tale principio è del tutto corretta quanto alla legittimità del provvedimento di vincolo ai fini di prova, imposto sulla documentazione scaturente dall'accertamento tributario, in ossequio al principio, già descritto, di legittima acquisizione della documentazione, mentre le doglianze del ricorrente attengono al limitato aspetto amministrativo/tributario dell'accertamento. Tra l'altro il ricorrente non ha fornito alcuna prova della sua ignoranza del contenuto dell'atto richiamato per relationem, come enunciato nell’atto di Impugnazione, a fronte di una precisa disciplina dell'accertamento in sede amministrativa che stabilisce che il contribuente venga informato, all'inizio della verifica fiscale, "delle ragioni che l'abbiano giustificata e dell'oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria".

5. D'altra parte risulta del tutto infondata l'affermazione dell'illegittimità dell'accesso nei confronti della società fratelli D. srl e quindi non sussiste alcuna illegittimità del vincolo cautelare a fini probatori imposto sulla documentazione di pertinenza di tale società e di quella ivi rinvenuta e riferibile con chiara evidenza alla società D.T. srl, con sede a Bratislava. Infatti, va ricordato che per i casi di estrovestizione, avuto riferimento alla verifica fiscale in via ammininistrativa, è legittimo un accertamento tributario svolto presso una società avente sede in Italia ove vi siano ragionevoli elementi per ritenere che tale sede sia del pari una sede concreta, seppure occulta, di una stabile organizzazione estera, come nel caso in cui società residenti sul territorio dello Stato abbiano costituito all'estero società che presentino potenzialmente le caratteristiche di soggetti "esterovestiti".

Il ricorso dell'indagato, in conclusione, va respinto e lo stesso va condannato, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.