Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 luglio 2015, n. 14432

Lavoro subordinato - Demansionamento - Perdurare della situazione illegittima - Acquiescenza del lavoratore alla situazione imposta dal datore - Non sussiste.

 

Svolgimento del processo

 

La Corte d'appello di Perugia, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva le domande propose da C.S., responsabile del settore acquisti e magazzino della A. s.p.a. con qualifica di quadro cat. A2, intese a conseguire il riconoscimento della qualifica superiore di quadro, posizione organizzativa cat-A1 per il periodo marzo 1994-giugno 2005, e delle conseguenti differenze retributive. Reputava altresì fondata la domanda di accertamento della intervenuta destinazione allo svolgimento di mansioni non corrispondenti né alla formale qualifica rivestita, né a quella effettivamente spettante, nel periodo marzo 1999-luglio 2004, e di condanna della società al risarcimento del danno per effetto della dequalificazione professionale patita.

Respingeva, invece, le censure formulate dal C. con riferimento alla reiezione della domanda di accertamento della illegittimità del licenziamento irrogatogli 27/6/05 all'esito di procedimento di riduzione del personale, e di reintegra nel posto di lavoro con ogni conseguenza risarcitoria, sul rilievo che con l'accordo stipulato fra le parti sociali il 16/7/04, la società non aveva assunto alcun impegno di astenersi dal. recedere dai singoli rapporti di lavoro dei prestatori in esubero, prima che fosse determinato il periodo di CIGS. Escludeva poi, la fondatezza delle pretese azionate in relazione al premio di incentivazione ed all'incentivo all'esodo, per la carenza dei presupposti previsti dal citato accordo, in ordine all'erogazione degli stessi.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre con tre motivi la società.

Resiste con controricorso il C. il quale propone ricorso incidentale affidato ad unico motivo.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art.378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Deve preliminarmente respingersi l'eccezione di nullità della notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio sollevata dal C. con riferimento alla omessa indicazione da parte del procuratore domiciliatario notificante, del numero di registro cronologico nonché del numero di raccomandata A.R. spedita al destinatario.

1.1 Al di là di ogni considerazione in ordine alla fondatezza delle ragioni sottese alla critica, che riposano sulla violazione delle prescrizioni sancite dall'art.3 l.53/94, è d'uopo il richiamo ai principi elaborati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, secondo i quali, nel caso in cui il destinatario di una notifica affetta da vizi di nullità si costituisca in giudizio, si verifica un'ipotesi di sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo cui l'atto era diretto, ai sensi dell'art.156, terzo comma, cod. proc. civ., anche quando la costituzione                avvenga                al solo scopo di far valere tale vizio (vedi in tali sensi, di recente, Cass. 29 gennaio 2015 n.1676) .

2. Con il primo motivo di censura, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.2943, 2946 e 2948 c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Si stigmatizza l’impugnata sentenza per aver recepito pedissequamente le conclusioni rassegnate dal nominato ausiliare in tema di quantificazione del risarcimento del danno conseguente all'erroneo inquadramento, e si addebita alla Corte territoriale di non aver tenuto conto della eccezione di prescrizione sollevata in relazione ai.crediti a tale titolo azionati.

2.1. La doglianza è inammissibile.

Si impone innanzitutto l'evidenza del difetto di autosufficienza del motivo di censura afferente agli accertamenti peritali espletati nel corso del giudizio di merito.

Va infatti richiamato il principio più volte affermato da questa Corte, e che va qui ribadito, secondo cui in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l'operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l'onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l'apprezzamento dell'incidenza causale del difetto di motivazione (vedi, ex plurimis, Cass. 17 luglio 2014 n. 16368).

2.2 II motivo si presenta, sotto altro versante, ugualmente carente, ove si consideri che la ricorrente non solo ha omesso di riportare il tenore della consulenza tecnica neanche nei suoi passaggi maggiormente significativi, ma anche di indicarne la sua collocazione in atti, in violazione del principio espresso in questa sede di legittimità, alla cui stregua la parte che intende far valere in sede di legittimità un motivo di ricorso fondato sulle risultanze della consulenza tecnica è tenuta - in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso - anche ad indicare se la relazione cui si fa riferimento sia presente nel fascicolo di ufficio del giudizio di merito (specificando, in tal caso, gli estremi di reperimento della stessa), ovvero a chiarire alla Corte il diverso modo in cui essa possa essere altrimenti individuata, non potendosi affidare al giudice di legittimità il compito di svolgere un'attività di ricerca della relazione, in sede decisoria, senza garanzia del contraddittorio ed in violazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo (vedi Cass. 22 febbraio 2010 n. 4201).

2.3 La critica formulata con detto primo motivo, laddove si lamenta l'erroneità dell'iter logico-giuridico seguito dalla Corte distrettuale, tralasciando di considerare l'intervenuta prescrizione dei diritti azionati, si espone inoltre, ad una censura di inammissibilità per novità della censura.

2.4 Invero, "nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell'ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti" (vedi in tali sensi, Cass.21 febbraio 2012 n.4787, Cass. 28 luglio 2008 n.20518).

2.5 L'omessa trattazione della questione giuridica considerata nel contesto motivazionale della sentenza impugnata, palesa, dunque, l'evidenza dell'ulteriore profilo di inammissibilità che connota detta censura, non avendo la ricorrente allegato l’avvenuta tempestiva deduzione della questione dinanzi al giudice di merito né indicato in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la effettività e tempestività di tale asserzione.

3. Con il secondo mezzo di impugnazione, sì deduce violazione e falsa applicazione dell'art.2103 c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Si lamenta che la Corte distrettuale abbia trascurato di conferire valenza significativa alla intervenuta accettazione da parte del lavoratore delle mansioni lui ascritte, sul rilievo che la acquiescenza manifestata dal predetto alle condizioni di lavoro successivamente denunciate come dequalificanti, integrasse una condizione di effettiva accettazione negoziale delle stesse.

3.1 II motivo è privo di fondamento.

Va infatti ribadito il principio affermato in questa sede di legittimità, secondo cui deve escludersi che il protrarsi nel tempo di una situazione illegittima, quale il demansionamento del lavoratore accertato dal giudice di merito, possa essere inteso come acquiescenza del lavoratore alla situazione imposta dal datore (cui compete il potere organizzativo del lavoro), essendo indisponibili gli interessi sottesi ai limiti allo jus variandi datoriale (cfr. art. 2103 c.c., u.c.), ovvero come prova della sua tollerabilità, potendo essere anzi proprio la protrazione della situazione di illegittimità rilevante per fondare le ragioni che giustificano le dimissioni del lavoratore, come desumibile dalla sentenza di merito che ha attribuito rilevanza alla durata ed all'intensità del demansionamento del lavoratore (cfr. Cass. 13 giugno 2014 n.5454).

4. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.1119 - 1175 - 1219 - 1227 - 2103 c.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Si argomenta, in sintesi, che l’obbligazione scaturente dall'esercizio dello jus variandi, non genera responsabilità risarcitoria se non dal momento della costituzione in mora, da perfezionarsi secondo i dettami sanciti dall'art.1219 c.c. ed in coerenza con il principio sancito dall'art.1227 c.c. secondo cui il creditore è tenuto ad attivarsi per limitare l'entità dei danni conseguenti al preteso inadempimento del debitore, e si lamenta che di detti principi, non abbia tenuto conto la Corte territoriale.

Anche siffatta censura è priva di pregio.

4.1 Valgono, al riguardo, le medesime considerazioni espresse in relazione al primo mezzo di impugnazione, vertendosi in tema di questioni che, non emerse alla luce dell'iter motivazionale percorso dai giudici del gravame, ridondano in termini di inammissibilità, per novità, del motivo.

Non si discute, invero, di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti, bensì di questioni implicanti un accertamento di fatto, che non risultano trattate in alcun modo nella sentenza gravata, e che non possono essere per la prima volta sottoposte a scrutinio in sede di legittimità (vedi Cass. cit. n.4787 del 2012, Cass. n.20518 del 2008), anche tenendo conto del fatto che l’ipotesi disciplinata dal secondo comma dell’art. 1227 cod. civ, ed invocata a sostegno di detto terzo motivo, costituisce oggetto di una eccezione in senso stretto che non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di cassazione (vedi Cass. 29/07/2003 n. 11672).

Sotto tutti i profili delineati, il ricorso principale, in quanto privo di fondamento, deve essere respinto.

5. Dal canto suo, il C. con unico motivo, sotto il profilo di violazione e falsa applicazione degli artt.4 e 24 l. 223/91 e degli accordi sindacali del 16/7/04 e del 21/9/04 nonché di omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la pronuncia della Corte distrettuale per aver travisato il tenore degli accordi sindacali, laddove aveva accertato che la società non avesse assunto alcun impegno di recedere dai singoli rapporti dei prestatori in esubero, prima che fosse terminato il periodo di cigs.

5.1 II ricorso incidentale è improcedibile.

Non può prescindersi, sul punto, dal richiamo al fermo orientamento espresso da questa Corte, e che va qui ribadito, in base al quale, ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dalla disposizione di cui all'art. 366 bis c.p.c., è necessario indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, provvedendo anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l'esame (vedi Cass. 6 marzo 2012 n. 4220, Cass. 9 aprile 2013 n. 8569, cui "adde" Cass . 24 ottobre 2014 n. 22607).

5.2 Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento, un contratto o un accordo collettivo prodotto in giudizio, postula quindi, che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità. In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi, come nella specie, della erronea valutazione di un accordo sindacale da parte del giudice di merito, ha il duplice onere - imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 - di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi l'accordo in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto dello stesso.

Nello specifico, l'accordo sindacale del 16/7/04 (neanche trascritto nel suo contenuto), non risulta in quale parte del fascicolo sia rinvenibile, non sottraendosi pertanto, ad un giudizio di improcedibilità alla stregua dei dettami sanciti dall'art.369 c.p.c., comma 2.

6. Infine, l'esito complessivo della lite, in cui si ravvisa una prevalente soccombenza della ricorrente in via principale, induce a compensare per metà le spese del presente giudizio di cassazione, che per il residuo si pongono a carico della società e si liquidano per l'intero come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi.

Rigetta il ricorso principale e dichiara improcedibile il ricorso incidentale.

Compensa per metà, fra le parti, le spese del giudizio di cassazione e condanna la società ricorrente al pagamento della residua metà, spese che si liquidano per .l'intero, in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.