Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 luglio 2015, n. 14310

Lavoro subordinato - Licenziamento per mancato rendimento - Accertamento - Presupposti

 

Svolgimento del processo

 

1. Con sentenza depositata in data 2/2/2012 la Corte d'appello di Torino, accogliendo l’impugnazione proposta dalla V. n.v. contro la sentenza resa dal Tribunale di Ivrea, ha rigettato la domanda proposta da M.D., volta ad ottenere la declaratoria dell’illegittimità del licenziamento intimatogli con lettera del 2/4/2009 dalla società appellante, di cui era dipendente con la qualifica di 6A categoria professionale ex C.C.N.L. Metalmeccanica privata.

2. La Corte, dissentendo dal giudizio espresso dal Tribunale, ha affermato che:

a) la contestazione formulata nella lettera del 18/3/2009 conteneva due diversi addebiti: la mancata compilazione del cosiddetto "performance dialogue" e lo scarso rendimento. Con particolare riguardo a quest’ultimo addebito, che costituiva il nucleo centrale della contestazione, l'accertamento della violazione era stato reso possibile dall’esame di rapportini, settimanali, redatti nel periodo dal 20 ottobre 2008 fino al marzo del 2009, da cui era emersa la scarsa produttività del lavoratore, sia in assoluto sia comparata con quella di altri dipendenti aventi il suo stesso profilo professionale. La contestazione, con riguardo a questo profilo, era pertanto tempestiva;

b) la tempestività doveva rapportarsi al tipo di addebito contestato, in quanto il giudizio sulla sussistenza e rilevanza dello scarso rendimento non può essere condotto in modo istantaneo, ma suppone un’osservazione protratta nel tempo;

c) la società non aveva violato il principio di buona fede non segnalando al lavoratore la difformità della sua produttività dagli standard, poiché è "fuor di logica" porre a carico del datore di lavoro l'onere di sollecitare il dipendente ad adempiere l'obbligazione fondamentale del rapporto di lavoro, che è quello di rendere la prestazione lavorativa;

d) sussistevano gli addebiti contestati: il fatto dell’omessa compilazione dei moduli diretti a valutare annualmente i dipendenti V. (performance dialogue) si era realizzato relativamente al 2009; quanto agli anni precedenti, la contestazione, pur tardiva, era stata effettuata dalla società per rimarcare "lo scarso spirito di collaborazione e lo scarso interesse" mostrati dal lavoratore, nonché, ad colorandum, per rimarcare che l'omissione si era già verificata in precedenza.

3. Contro la sentenza, il D. propone ricorso per cassazione fondato su tre motivi, illustrati da memoria, cui resiste la società con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo ed il secondo motivo, che si trattano congiuntamente in quanto involgono questioni connesse, il ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 2°, l. 20 maggio 1970, n. 300, e dell’art. 1175 c.c. "con riferimento alla mancata compilazione dei moduli performance dialogue e weekly reports assume che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto tempestiva la contestazione, omettendo di considerare che già negli anni precedenti egli non aveva compilato e consegnato alla società il performance dialogue senza che alcuna contestazione gli fosse mossa, e da tanto doveva desumersi la tolleranza della società nei confronti del detto comportamento e la scarsa rilevanza del suo inadempimento. In ordine ai rapportini settimanali, segnala che fin dall'ottobre 2008 la società era stata in grado di verificarli e quindi di accertare il preteso scarso rendimento, con la conseguenza che la contestazione effettuata nel marzo dell'anno successivo era da ritenersi senz'altro tardiva. Inoltre, la mancata segnalazione, da parte della società, del suo scarso rendimento, con l’invito ad allinearsi agli standard di produttività degli altri dipendenti, costituiva violazione del principio di buona fede nell'esecuzione del rapporto.

2. Con il terzo motivo, denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando l'omessa pronuncia del giudice in ordine alla proporzionalità tra il fatto commesso e la sanzione irrogata, considerato che il contratto collettivo nazionale di lavoro prodotto in primo grado non prevedeva la sanzione espulsiva per i fatti contestati.

3. I primi due motivi sono infondati.

4. E’ opportuno rammentare che l'accertamento relativo alla sussistenza del requisito dell'immediatezza della contestazione trae fondamento da una indagine di fatto, che, come tale, è incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di mento (vedi, per tutte, Cass., 6 settembre 2007, n 18711; Cass., 1 febbraio 2010, n 2283). Sempre in materia di licenziamento per giusta causa, l'immediatezza della contestazione degli addebiti va intesa in senso relativo, dovendosi tenere conto del tempo necessario per l'accertamento e la valutazione dei fatti da parte del soggetto abilitato ad esprimere la volontà imprenditoriale di recedere (Cass., 10 gennaio 2008, n. 282; Cass., 17 settembre 2008, 23739).

5. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha ritenuto tempestiva la contestazione considerando la necessità, per l’imprenditore, di servirsi di un congruo periodo di osservazione per valutare la condotta del lavoratore e ravvisare in essa una violazione del dovere di diligenza e collaborazione. Ha pertanto considerato l'arco temporale compreso tra l'invio del primo rapporto settimanale (ottobre 2008) e il momento della contestazione (marzo 2009) come necessario (e sufficiente) per monitorare l'attività del dipendente e confrontarla con quella degli altri dipendenti, sì da verificare la sussistenza di una sproporzione significativa tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento (cfir. Cass., 22 gennaio 2009, n. 1632).

6. In proposito deve rimarcarsi che l'addebito mosso al D. si sostanzia nella violazione dell'obbligo di diligenza e di collaborazione con il datore di lavoro ed è costituito non già da un unico e specifico episodio, o da più episodi singolarmente considerati, come sembra equivocare il ricorrente, bensì da una condotta continuativa, che si è protratta nel tempo e che deve essere (ed è stata) unitariamente considerata al fine di valutare la sussistenza dell'inadempimento e la sua gravità nell'ottica del sinallagma contrattuale.

7. II licenziamento per cosiddetto "scarso rendimento", invero, costituisce un'ipotesi di recesso del datore per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento, prevista dagli artt. 1453 e segg. cod. civ.

8. Si osserva infatti che, nel contratto di lavoro subordinato, il lavoratore non si obbliga al raggiungimento di un risultato ma alla messa a disposizione del datore delle proprie energie, nei modi e nei tempi stabiliti, con la conseguenza che il mancato raggiungimento del risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, giacché si tratta di lavoro subordinato e non dell’obbligazione di compiere un'opera o un servizio (lavoro autonomo). Ove tuttavia, siano individuabili dei parametri per accertare che la prestazione sia eseguita con la diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, il discostamento dai detti parametri può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione (Cass., 20 agosto 1991, n. 8973).

9. E' dunque evidente che, per stabilire se tale segno dimostri univocamente che vi è stato inadempimento, è necessario valutare la condotta nel suo complesso per un’apprezzabile periodo di tempo, tenendo bene a mente che il mancato raggiungimento del parametro non va confuso con l'oggetto dell'accertamento, che è costituito dall’inesatta o incompleta o mancata esecuzione della prestazione.

10. La valutazione compiuta dalla Corte territoriale è in tutto conforme ai principi espressi da questa Corte ed è sorretta da motivazione congrua, esaustiva, sicché essa è del tutto esente dalle censure mossele con il ricorso.

11. Lo stesso è a dirsi con riguardo alla presunta violazione dell'art 1175 c.c , che la Corte ha motivatamente escluso, con un giudizio anch’esso adeguato e privo di contraddizioni logiche o giuridiche.

12. L'ultimo motivo è invece, in parte, infondato e, in parte, presente profili di improcedibilità.

13. È infondato nella parte in cui si assume omessa una motivazione che invece è espressa ed esauriente. La Corte ha infatti esaminato gli addebiti mossi al lavoratore ed ha ravvisato una totale sproporzione tra l'attività lavorativa del D. rispetto a quella dei suoi colleghi, anche di inquadramento inferiore e di minore anzianità. Ha considerato che nel periodo di riferimento (dal 26 al 31 gennaio 2009 e dal nove al 13 marzo 2009) "gran parte delle caselle corrispondenti alle varie tipologie di attività (gestione delle negoziazione, gestione dei contratti, incontro con i fornitori, incontro con i clienti interni, gestione listini, attività per stage gates) risultano desolatamente vuote"; con riferimento ad attività di minor qualità professionali, come la gestione operativa degli ordini, ha rilevato come la produttività è risultata del tutto insoddisfacente ("due e quattro ordini nelle due settimane considerate"), a fronte di una media degli altri buyers di più di 40 al giorno e di più di 200 alla settimana. Ha quindi ritenuto "prive di consistenza" le giustificazioni addotte dal lavoratore, oltre che sotto certi aspetti contraddittorie. Il giudizio di gravità dell'inadempimento e di proporzionalità è stato pertanto compiutamente condotto ed esso è privo di meongruenze, peraltro neppure segnalate in ricorso. La censura riguardante la mancata previsione del fatto contestato tra le ipotesi per cui il contratto collettivo nazionale di lavoro prevede la sanzione del licenziamento è invece improcedibile atteso il mancato deposito del contratto, nel suo testo integrale, nelle precedenti fasi del giudizio ed in questa sede, in violazione del disposto di cui all’art 369, comma 2°, n. 4, c.p.c., con la conseguenza che, anche sotto tale profilo, il motivo non può essere accolto (cfr Cass, 7 luglio 2014, n. 15437).

14. Il ricorso deve dunque essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, in applicazione del principio della soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate € 100 per esborsi e € 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali e accessori di legge.